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2020-03-07 09:50 pm
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[Voltron] The Reality Between Us (Capitolo 1)

 

Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 2003

Rating: SAFE




The Reality Between Us

a.k.a. See what I’ve become




Successe senza preavviso. Stava tornando sui suoi passi, anche se non si era tolto il casco. Aveva intenzione di uscire di nuovo con Red per andare a cercare Shiro. Doveva essere da qualche parte, non poteva essere sparito nel nulla in quel modo. Ma era anche stanco. La disperazione, l’insonnia, l’angoscia lo stavano logorando. Continuava a litigare con tutti, a diventare ancora di più quel lupo solitario che tanto gli recriminavano. Cosa avrebbe dovuto fare? Arrendersi? Era questa la risposta da dare agli altri per farli stare buoni? 

Non esisteva.
Shiro non si era mai arreso con lui, anche quando la gente gli aveva ripetuto fino alla nausea Keith è un caso perso

Lui avrebbe continuato a cercarlo fino a trovarlo. Avrebbero dovuto legarlo, ma anche in quel caso avrebbe lottato, avrebbe morso se necessario. 

Si rendeva conto di star grattando il fondo. Allura, Coran, perfino Pidge avevano tentato di farlo ragionare. Per quanto potesse ascoltarli, anche essere in parte d’accordo con le loro motivazioni, il punto rimaneva che non avrebbe mai potuto abbandonare Shiro. 

Fosse anche morto. 

Avrebbe riportato il suo cadavere. 

Ma finché non c’era un corpo, allora Shiro doveva essere sopravvissuto. Non poteva credere altrimenti. 

Tuttavia, il destino aveva in serbo qualcosa anche per lui. Qualcosa di più grande che non avrebbe mai e poi mai potuto prevedere. 



Pensava sarebbe accaduto durante una missione. 

Qualcosa del tipo un colpo, un dolore improvviso e lancinante, il buio. Morto. 

Non ci furono colpi, né dolori. O meglio, il dolore venne dopo il buio. Un buio senza gravità, denso, e poi pieno di colori, strisce di colori, o forse luci, girandole così veloci e vorticanti che lo stomaco gli salì in gola e poi scese in basso violentemente. 

Quando sbatté in terra, il grido soffocato fino a quel momento gli sfuggì dalle labbra in un lamento. Si accorse di non aver respirato; il cervello ricalibrò il sotto e il sopra ma le sinapsi trasmisero solo altro dolore pungente, un bruciore che arrivò dagli occhi, come se fosse rimasto sott’acqua a sguardo sgranato. 

Si tolse il casco con movimenti scoordinati. Ansimò con la bocca spalancata, respirando aria come fossero state sorsate. Era carponi per terra, puntellato sugli avambracci, scossi da tremori, ma prima che potesse cedere del tutto due grosse mani lo trassero verso l’alto. Rimase instabile sui piedi per qualche secondo, ma poco dopo, stretto in un abbraccio, l’equilibrio non fu più necessario. 

«Keith!» 

Le braccia che lo circondavano finirono con svuotarlo di nuovo di aria, ma l’odore, la voce, gli scorci catturati dallo sguardo annebbiato del paladino rosso, erano famigliari. 

«Mi soffochi» biascicò Keith, impotente e allo stremo. «Hunk, lasciami.» 

Lasciarlo andare non fu del tutto una buona idea. Barcollò, ma le stesse mani che lo avevano tirato in piedi tornarono a sorreggerlo. Furono la prima cosa bizzarra che Keith notò. Le braccia di Hunk erano del solito colorito bruno, ma c’erano delle cicatrici ad attraversarle, molte, davvero brutte, lì dove le maniche finivano e prima che iniziassero i guanti. Non ricordava di averle mai viste. 

«Cosa ti è successo?» domandò, alzando lo sguardo. E il respiro, di nuovo, gli morì dentro. Strinse le dita su quelle stesse braccia, ma non fu per reggersi.

Hunk era diverso. Molto diverso. Sempre lui ma… invecchiato. Era più grande. Più maturo. Le spalle erano larghe, l’addome compatto, i capelli più lunghi e c’era un accenno di barba che terminava in un pizzetto. 

Keith allontanò le mani di scatto e fece un passo indietro, nonostante muovere qualsiasi muscolo gli facesse male. 

La domanda chi sei nacque spontanea e altrettanto spontaneamente morì in gola. Con un movimento rapido si tastò la parte bassa della schiena e trovò la confortante presenza del proprio pugnale nella fodera. Le dita si strinsero intorno all’impugnatura. 

«Ehi, calma Keith. Sono io.» 

Hunk alzò i palmi in maniera inoffensiva e sorrise indulgente, ma Keith continuò a non sentirsi pronto a credergli. Nulla gli dava sentore di pericolo, se non il fatto stesso che non fosse l’Hunk che conosceva. L’Hunk che dall’interfono aveva appena chiamato la squadra a rapporto per la cena, fermandolo dall’uscire di nuovo in ricognizione. 

Keith fece un ulteriore passo indietro, ampliando la propria visuale, nonostante i contorni apparissero ancora sfocati.

La sala era famigliare. Era una di quelle del Castello dei Leoni, anche se appariva spenta e usurata. Le luci che la illuminavano non facevano parte dell’impianto originale, ma erano fissata alle pareti e diversi cavi correvano ovunque, attaccati anche a macchinari che non aveva mai visto e che non sembravano tecnologia alteana.

La sensazione di essere completamente fuori posto fu più prepotente. Non sapeva come descriverla, ma non riusciva a liberarsi dall’idea che fosse tutto sbagliato. 

«Ehi, Keith, ascolta. Ti sembrerà strano ma va tutto bene. Non proprio alla grande, ma sei arrivato qui intero. Con tutti gli arti! E dalle scansioni pare che tu non abbia lesioni interne, il che è un grande wow per noi. E per te, ovvio, perché, sì appunto, sei intero.» 

«Che diavolo stai dicendo?» sbottò Keith e non si preoccupò di suonare brusco, né che fosse più un’accusa che una domanda, e neanche di aver estratto il pugnale. 

Persino la reazione di Hunk fu famigliare; il trasalire, stringendosi nelle spalle, ancora con i palmi alti. E poi ci fu uno sbuffo impaziente alle spalle del paladino giallo, il rumore di qualcosa posato poco delicatamente sul pavimento e l’apparire di Pidge dalle spalle di Hunk.

Braccia incrociate e sguardo contrito. Una coda alta di capelli disordinati, una silhouette slanciata, con delle curve di cui Keith non aveva mai ipotizzato l’esistenza, e una cicatrice che attraversava l’occhio destro. Come se non fosse stato abbastanza, si rese conto che la pupilla conservava di umano solo l’apparenza.  

«Facciamola breve» sbottò Pidge, regalando al paladino rosso uno sguardo significativo da capo a piedi, mentre la sua protesi oculare sembrava registrare dati su dati. «Hai appena fatto un viaggio nel tempo. Il primo viaggio nel tempo in assoluto. È probabile che vomiterai qualsiasi cosa mangerai nelle prossime ventiquattro ore. Ti faremo altri esami per constatare il livello delle radiazioni, anche se il fatto che tu sia intero e che non mostri segni di organi spappolati è già un ottimo traguardo.» 

«Sei un mostro di insensibilità» la ammonì Hunk con un sospiro, mani sui fianchi, e lo stesso tono che avrebbe potuto usare per dire che capodanno capitava di Sabato e Lunedì già si tornava a lavorare. 

La ragazza fece spallucce.

«Diamoci una mossa. Facciamo questi test e spegniamo tutto prima che qualcuno venga a ficcanasare» disse voltandosi e tornando ai suoi terminali, scavalcando la moltitudine di cavi che correvano come radici per tutta la stanza. 

«Rettifico, sei tremenda, sul serio. Perché “ficcanasare”? Siamo tutti d’accordo, no? Oh, aspetta, intendi i bambini?»

«Ah-ah, sì, esatto, i bambini» borbottò Pidge con un gesto vago, il volto illuminato dalla schermata su cui sfrecciavano stringhe di codice.

Keith continuò a non capire nulla, anche se la presa sul pugnale si fece più fiacca.

Viaggio nel tempo. La frase gli rimbombò nei timpani, ma senza riuscire a fare breccia in un pensiero concreto. 

Non era semplicemente possibile. Aveva appena litigato con Lance, e neanche un’ora prima aveva discusso con Coran, Allura, Hunk e Pidge - quelli veri - sulla necessità di esplorare il relitto di una nave galra in cerca di indizi su dove potesse essere finito Shiro dopo l’ultima battaglia contro Zarkon.

Poteva ancora sentire Lance borbottare nelle proprie orecchie, ne aveva quasi l’eco in testa. 

Si diede un’altra occhiata febbrile intorno. 

Non era nell’hangar di Red, ma era il Castello, non aveva dubbi. Era diverso, come Hunk e Pidge, ma il design lo stesso. Il pavimento aveva delle crepe e zone aggiustate, le pareti non più immacolate ma come se fossero passati degli anni e nessuno se ne fosse preso cura.  

«… metti via il pugnale, dai. Non mi piace parlarti mentre hai quel coso in mano.» La voce di Hunk arrivò vicina e Keith alzò l’arma di scatto.

«Stai indietro!» Non intendeva essere così brusco, perché la familiarità gli diceva che era Hunk, ma la tachicardia non accennava a smorzarsi. 

L’altro paladino si fece indietro con un verso sorpreso, ancora sulla difensiva. 

«Hunk, usa le maniere forti e stendilo» mugugnò Pidge, continuando a trafficare con i computer. 

«Cosa? No! È sottoshock. Io sarei sottoshock dopo un viaggio simile. E tu non sei d’aiuto.»

«Come ti pare, ma ricordati che è Keith. Puoi anche non essere gentile.»

«Non è quel Keith. Non ancora. Credo. Da che linea tempor- Ehi! Keith fermo!»

Hunk alla fine ricorse alle maniere forti per impedire al paladino rosso di fiondarsi fuori dalla stanza. Con una presa molto più forte di quella che ricordasse, Keith si ritrovò di nuovo al centro della stanza, con un nuovo moto di nausea a indebolirlo mentre la rabbia per essere sballottolato a quel modo gli intimava di reagire. 

«Senti Hunk, facciamola finita e legalo. Non abbiamo tempo per le sue lagne.»

«Voglio che si senta a suo agio! Se riuscissimo a calmarlo sarebbe più semplice spiegargli tutto! Ma così non-»

«E da dove vorresti iniziare? Dall’incidente di Silnova o dalla battaglia di Xarfen? No aspetta, ci sono! Digli direttamente di Nova Marmora.»

«Pidge! Ma perché sei così? Lui non è Keith!» ma con uno sbuffo, e senza accorgersi di tenere ancora stretto il paladino rosso, Hunk si voltò verso di lui, abbozzando una smorfia che voleva essere un sorriso rassicurante. «Senza offesa, sei Keith. Di prima, intendo. Passato, presente… ci si confonde un po’!» ridacchiò, ma senza allegria. 

Keith era pallido per il malessere e per quei botta e risposta con cui la storia del viaggio nel tempo si stava concretizzando. Stava tentando di sottrarsi dalla manona di Hunk, ma lo sforzo gli faceva girare la testa. 

«Mi serve che stia fermo» era tornata a insistere Pidge, col tic-tic dei tasti premuti che risuonava fastidioso. 

«Se solo provassi a essere più gentile!»

«Non sarò gentile, amichevole né buona con lui! Mettitelo in testa!»

«Ma che stai dicendo? Lo abbiamo portato qui per farci aiutare!» 

Ma la più giovane degli Holt non replicò, trincerandosi in un silenzio più pesante di qualsiasi altra risposta malevola. Un mutismo che aiutò Hunk a interpretare quel suo essere indisposta. 

«Non ci credo! Lo hai fatto… lo hai fatto per l’altro motivo! Avevi giurato!» tuonò il maggiore e Keith rabbrividì nella propria pelle. Questa volta, chi aveva di fronte, non era per nulla l’Hunk suo compagno. «Sei la solita egoista!»

Le dita di Pidge si arrestarono, tese e rigide sopra la tastiera. Il suo sguardo lampeggiava furia, come il leggero tremito del suo corpo. Parlò, ma sembrò urlare. «Ho giurato prima che Matt finisse in una medi-pod per colpa di quello stronzo! Poteva finire di distruggere questa merda di universo, non me ne frega un cazzo, ma non doveva toccare- Matt-» faceva fatica a respirare dalla rabbia e il suo volto era così stravolto che Keith non riuscì a riconoscerla. «Quindi sì, l’ho portato qui per il primo motivo per cui abbiamo costruito tutto questo!» e con uno scatto delle braccia indicò l’intera sala, che alla vista vacillante del paladino rosso acquisiva i connotati di un laboratorio a tutti gli effetti. «Scusa se ho assecondato il piano b e non me ne frega niente se fuori di qui lo ammazzeranno. Anzi, sai cosa? Spero che sopravviva abbastanza per soffrire come noi in questi anni!»  

Hunk era sconvolto e non si accorse di come Keith stesse scivolando a terra, avvinto dai postumi del viaggio temporale e dalla cattiveria nelle affermazioni di Pidge. Non aveva la forza di ribattere o chiedere spiegazioni. Di difendersi da qualsiasi accusa gli stessero muovendo. Voleva solo ritrovare Shiro. Aveva bisogno di un viso amico. 

E fu la sua voce che zittì Hunk e Pidge. La voce di Shiro, dalla soglia della stanza, turbata e sconcertata, roca. 

«Che cosa avete fatto...» e non fu una domanda. 

Ma agli occhi stanchi di Keith, per il suo cuore provato, anche quello Shiro… non era il suo Shiro. 


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2019-04-03 10:22 pm
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[Voltron] Chiudi gli occhi

 

Cow-T, settima settimana, M6

Prompt: Rosso

Numero parole: 826

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lance/Keith

Note: amorini.



Festeggiare il Natale stava diventando una tradizione, anche se era solo il terzo anno.

Nonostante i due Natali precedenti fossero stati sperduti nello spazio senza nessun vero e proprio addobbo, albero, o cenone, era stato più lo spirito a contare. E Keith non ne aveva mai avuto molto in generale.

Però al primo «Ehi, ma mancano solo due mesi a Natale!» di Lance cominciava ad avvertire un formicolio lungo la schiena. Non era qualcosa di fastidioso o spiacevole, più un gentile promemoria che gli riportava a galla ricordi tiepidi.

Sì, da quando erano tornati sulla Terra avevano l’obbligo morale - sempre a detta di Lance - di fare le cose per bene: decorazioni di ogni sorta, carta da regalo a tema, ricette di nonne, ricorrenze di trisavoli e tradizioni varie ed eventuali. Però, e Keith lo stava ammettendo tra sé, sorseggiando la tisana digestiva post veglione, il tam-tam valeva la piacevole sensazione dello stomaco pieno, il calore del camino che pervadeva la stanza, la televisione in sottofondo impostata su qualche film datato e la compagnia che in quegli anni aveva sostituito la sua solitudine.

«È ora di aprire i regali!» trillò Matt con l’entusiasmo di un bambino.

«Eeeh? Di già? Ma non ho ancora battuto Pidge a carte!» si lamentò Lance.

«Se aspetti di vincere per aprire i regali, puoi iniziare la lista per l’anno prossimo» ghignò Pidge, chiudendo anche quella partita a proprio vantaggio.

«Shiro ci ha visto lungo a imporre la regola che non si gioca a soldi...» commentò Hunk impietoso, dalla sua posizione sul divano vicino a Keith. «O a Strip Poker. Lance in mutande non è la mia idea di Natale...»

Keith si lasciò sfuggire una risata più sonora del solito, arrossendo, ma solo Hunk, nella confusione da “Apriamo i regali!”, la colse e lo ricambiò con un immenso sorriso e una pacca sulle spalle.

In meno di dieci minuti il pavimento del salone fu ricoperto di carta stracciata e nastri, mentre l’aria frizzantina si saturò di allegria man mano che i pacchetti venivano aperti. Ci furono i regali più vari, da quelli seri e toccanti, a quelli scherzosi e imbarazzanti.

«Ma quella scatola immensa per chi è?» si interessò Pidge, quando ormai sotto l’albero erano rimasti pochi altri pacchi, tra cui quello citato. Era una scatola con coperchio, a sfondo blu con cristalli di neve e un largo nastro di raso azzurrino che la teneva chiusa con un fiocco sulla cima.

Lance si schiarì la voce, saltando in piedi e battendo le mani.

«Facciamo un gioco! Chiudete gli occhi e non riapriteli finché non ve lo dico io! E bocca cucita!»

Dopo un’occhiata perplessa generale e vari «Eddai! Cosa vi costa!», tutti cedettero alla richiesta. Per qualche secondo si sentì solo Lance muoversi sugli scarti della carta a terra, esprimere un «Oh issa!» e scalpicciare di nuovo. Poi, per quasi un minuto, un silenzio di stasi.

«Ci vuole ancora molto?» borbottò Pidge a braccia incrociate, ma con le labbra piegate in un lieve sogghigno mentre iniziava a capire la situazione.

«Ssh!» la rimbeccò Lance all’istante, preda del proprio cuore in tumulto.

Lui e Keith si stavano guardando negli occhi con un’incertezza da cardiopalma. Quando il paladino rosso aveva sentito qualcosa toccarlo era leggermente sobbalzato, per irrigidirsi l’attimo dopo in cui aveva capito di essere il destinatario del grosso pacco di Lance.

Davanti a lui, Lance si stava passando una mano sulla faccia sentendola calda, mentre con l’altra cercava di esprimersi a gesti secchi per incoraggiarlo a sciogliere il fiocco. Keith si mosse maldestramente - finendo col dare una gomitata a Hunk, anche lui ridacchiante della situazione nonostante gli occhi chiusi - e si liberò del nastro. Un istante dopo stava fissando il contenuto con un’espressione indecifrabile.

Shiro si schiarì la gola, seduto al tavolo con la testa appoggiata alla mano in una posa che sembrava comunicare quanto si stesse godendo la scena anche senza vederla. «Ci state tenendo sulle spine.»

«È emozionante! Anche questa è una tradizione?» domandò Allura, senza trattenere l’entusiasmo e tenendo le palpebre serratissime.

Lance e Keith li stavano ascoltando a malapena, immersi nella loro parentesi di imbarazzo. Ancora impacciato, Keith tirò fuori dalla scatola il proprio regalo e un bigliettino svolazzò di fianco a lui.

“Per ringraziarti di quel bonding moment che però non è mai avvenuto!”

Lance aveva cambiato colore e, di nuovo, a gesti, pregò Keith di nascondere il bigliettino.  

«Ok, potete aprire gli occhi!»

Nonostante fossero tutti già pronti a ridere, rimasero inermi di fronte alla scena.

Keith, con le gote sfumate di un rosa acceso, stava stringendo e contemplando il proprio regalo negli occhietti finti. Era un grande peluche a forma di ippopotamo, di una sfumatura insolitamente rossa e, anche se di pezza, sembrava capace di rendere il paladino rosso un bambino felice del proprio regalo.

«Grazie Lance» mormorò Keith, stringendolo al petto, e Pidge dovette allungare le mani e sostenere il paladino blu prima che gli crollasse addosso incespicando nelle proprie emozioni.


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2019-04-02 05:45 pm

[Voltron] Sotto il segno del Leone

 

Cow-T, settima settimana, M12

Prompt: Oroscopo - Leone

Numero parole: 501

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Human!Lance/Lion!Shiro, Human!Lance & Lion!Keith

Note: ispirata alla AU creata da 33-Ko/nsf-ko e Kuroshiroganee (le trovate su Twitter!) su Lance che vive con Shiro e Keith leoni! **



Il sole non era ancora sorto sull'orizzonte piatto della Savana, ma i suoi raggi avevano iniziato a colorare le nuvole nel cielo di rosa e arancio.

Lance iniziò a svegliarsi al rumore ritmico di una coda sbattuta sul terreno, impaziente. Districò una mano da sotto una zampa di Shiro e si stropicciò un occhio, rigirandosi nell'abbraccio del leone. Un leggero verso gutturale gli fece inclinare il capo per adocchiare un altro leone dal pelo rossiccio, seduto a pochi passi e che continuava a frustare il terreno con la coda.

Keith emise uno strano sbuffo, grattando il terreno vicino a Lance. Il ragazzo lo guardò corrucciato, senza capire, e assonnato. Il calore di Shiro era così invitante e avrebbe voluto solo tornare a dormire, con il respiro regolare e vibrante del grande felino che facevano venire voglia di stringerlo. Ma il leone rosso continuò a reclamare l'attenzione dell'umano e Lance finì col doversi mettere almeno seduto per dargli retta, ma restandosene contro la massa di pelo morbido di Shiro.

Keith si placò all'improvviso, senza più muoversi. Lance sbuffò esasperato, emettendo a sua volta un verso che avrebbe voluto dire avanti, che c’è, perché mi hai svegliato?

Il leone rosso girò su se stesso e andò a frugare in mezzo all’erba alta che circondava il giaciglio di Shiro. Tornò con qualcosa in bocca che fece rotolare ai piedi di Lance. Era un pugnale da bracconiere. Lance passò lo sguardo dall’arma a un Keith molto contento della sua conquista e che spingeva la lama verso l’amico umano, che la prese con diffidenza.

Poi una lampadina gli si accese nella mente.

Stava sorgendo il ventottesimo sole del settimo mese. Come gli aveva spiegato Allura anni prima, era la data del suo compleanno!

E sei anche nato sotto il segno del Leone, aveva aggiunto, quando lui imbronciato aveva continuato a disegnare Shiro e Keith sul foglio, lamentandosi nei suoi versi strani dei vestiti scomodi.

Col senno di poi, il ragazzo ripensò a quei momenti con un po’ di nostalgia, ma non avrebbe scambiato per nulla al mondo la sua vita attuale con nient’altro. Anche se non era un leone, non avrebbe mai voluto vivere con gli umani, anche con quei pochi che si erano dimostrati amici. Andava bene così. Era felice così.

Shiro sbadigliò, iniziando ad aprire gli occhi e Lance affondò il viso nella sua criniera, mentre con una mano si allungava per cercare di accarezzare quella di Keith in segno di ringraziamento. Fu un gesto breve, perché il leone rosso non era tipo da smancerie, ma a Lance bastò per ridacchiare una prima volta e poi ancora di più quando Shiro si alzò, rovesciandolo per terra, e iniziò a leccarlo sui fianchi, facendolo contorcere per il solletico. Rimase senza fiato, mentre l’enorme leone bianco gli si accovacciava sopra, facendogli vibrare il petto con le fusa, mentre Keith sembrava sbuffare per tutte quelle coccole. Lance rise di cuore, con un sorriso gigantesco, prima di far risuonare il primo ruggito della giornata nell’aria tiepida del mattino.


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2019-03-23 06:40 pm
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[Voltron] Sopravvivi

 

Cow-T, sesta settimana, M2

Prompt: Protectiveness, physically or verbally defending someone

Numero parole: 6464

Rating: NSFW (ma poco)


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro & Keith & Lance

Note: ambientata da qualche parte durante la S2, dopo l’episodio 8. È ‘na roba, senza né capo né coda. Volevo scriverla colo per il “Tempo Morto” >>






Mentre dagli spalti dell'Arena provenivano schiamazzi e suoni rimbombanti, l'aria nel corridoio di ingresso era tesa e stagnante.

"Porca puttana" sibilò tra i denti Lance accovacciandosi e tenendosi il braccio sinistro stretto al petto con l'altro. Aveva ancora metà del viso coperto di sangue, le ciglia che si appiccicavano tra loro in modo sgradevole.

"In piedi!" gli abbaiò la guardia, tirandolo su proprio per la spalla dolente, strappandogli un gemito che attirò l'attenzione anche degli altri prigionieri.

Keith scattò prima ancora che la guardia potesse percuotere Lance e si mise in mezzo, pronto a prendere il colpo con aria di sfida, ma niente arrivò anche solo a sfiorarlo. Se l'atmosfera prima era tesa, divenne solida in un battito di ciglia.

"È già ferito" tuonò Shiro, incurante del fatto che tutte le guardie gli stavano puntando le armi addosso. Non c'era un fiato se non quello di Lance e da un momento all’altro sembrava dovesse scoppiare l’inferno.

"Riposo" ordinò una voce. I soldati tornarono ai loro posti e l'attenzione fu catalizzata sul nuovo arrivato, il più alto in grado lì a giudicare dall'armatura. Il volto di Shiro si rabbuiò, mentre i prigionieri più in fondo iniziarono a mormorare tra loro qualcosa che suonava come è arrivato il Carceriere.

Intanto, nell'Arena, l'incontro in corso stava procedendo, tra le grida sempre più invasate degli spettatori.

"Il prossimo turno è tra pochi dobosh. Sarà un Tempo Morto tre contro uno. Lasciate solo i paladini di Voltron e allontanate tutti gli altri."

Le guardie sgomberarono il corridoio in pochi minuti, mentre il Comandante Drav si voltava verso i tre rimasti, valutandoli.

"Entrerà prima quello ferito, poi l'altro piccolo. Il Campione sarà l'ultimo" dispose e le guardie assentirono.

L'espressione di puro rancore sul volto di Keith non si affievolì, anche quando con lo sguardo cercò quello di Shiro senza capire di che cosa stesse parlando il Galra in comando. Nel mentre, Lance era troppo frastornato dal dolore per sentirsi spaventato adeguatamente.

"Che cazzo sta dicendo" gemette, girandosi anche lui verso il paladino nero.

Il Carceriere addolcì l'espressione in un sorriso affabile.

"Lascio spiegare a te, Campione, in cosa consista un Tempo Morto. Te lo ricordi?"

Non c'era una singola cicatrice sul corpo di Shiro che in quel momento non bruciasse per essere di nuovo lì, prigioniero nelle Arene Galra. Erano stati catturati durante una missione di liberazione che si era trasformata in un’imboscata. Ancora non riusciva a capacitarsene. Avevano lottato, ma quando Lance era stato ferito le cose erano precipitate. Probabilmente, se fosse stato solo, sarebbe impazzito, ma con lui erano stati catturati e trascinati anche Keith e Lance; il solo pensiero che potessero andare incontro agli orrori subiti da lui stesso in passato lo aveva indotto a una calma glaciale, in grado di tenere a bada il ribollire sotto pelle. Strinse i pugni, fissando con astio Drav come un tempo si sarebbe soltanto sognato di fare.

"Il Tempo Morto è un incontro a tempi. Saremo tre contro un solo sfidante, ma entreremo a turno dentro l'arena. Prima Lance, poi Keith, poi io. A distanza di tre... dobosh l'uno dall'altro."

"Quattro dobosh. Abbiamo deciso di divertirci un po' di più" lo corresse il Carceriere.

Il paladino nero sembrava pronto a saltargli alla gola.

"Possiamo farcela" affermò Lance, stirando un risolino sbilenco. "Tre contro uno. Ci stanno sottovalutando."

"Ho visto bene a mandare prima dentro te, vedo" commentò Drav sulla stessa ilarità. "Il primo turno di un Tempo Morto è quello della Carne da Macello. Uno stuzzichino per l'opponente. I Tempi Morti sono interessanti quando capitano prigionieri come voi, compagni di armi. Anche se gli incontri più toccanti sono quelli con le coppiette. Vedere l'amato o l'amata cercare di sopravvivere per tre dobosh senza poter fare niente. È toccante."

Lance non era più così sicuro della propria affermazione. Si voltò verso i compagni.

"Quattro dobosh durano poco" disse, senza sapere bene che cosa volesse intendere lui stesso, ma in cerca di sostegno. Anche se Shiro ricambiò lo sguardo, la sua mascella era troppo contratta per riuscire a farlo parlare. Un boato esplose dalle tribune, ma nessuno ci prestò attenzione, lì nel corridoio di ingresso.

"Quattro dobosh possono durare molto o poco, piccolo paladino, dipende dalle tue capacità. Hai le gambe lunghe, prova a correre più che puoi. Ma non sarai messo in panchina allo scadere del tuo tempo, anzi. Campione, non hai parlato di come finisce l'incontro."

Non ci furono spiegazioni da parte dell'interpellato, così Drav continuò.

"Il Tempo Morto finisce quando una delle due fazioni viene terminata. Quindi resterai nell'arena fino a quando ucciderete il vostro opponente-"

"O quando verremo uccisi noi" concluse Keith, lapidario. "Vittoria o morte."

Drav spostò la sua attenzione sul paladino rosso, assottigliando lo sguardo. "Circolano voci bizzarre su di te. Si dice che tu sia un piccolo ibrido Galra. Ci riserverai delle sorprese?" Come Shiro, anche Keith non rispose.

Si sentì un suono profondo e riverberante, che coprì per pochi istanti gli strepiti del pubblico.

"L'incontro è finito. Tra cinque dobosh cominciamo" annunciò Drav, guardando impassibile mentre l'arena veniva sgomberata dai precedenti lottatori.

Shiro approfittò della distrazione e del nuovo baccano per avvicinarsi a Lance.

"Ascoltami" iniziò serissimo e impersonale; sembrava che la sua voce fosse di qualcun altro. "Scappa. Qualsiasi sia la creatura che ci troveremo di fronte, non cercare di combatterla. Non sei nelle condizioni di sostenere una lotta."

Lance era spaventato come mai in vita sua. "Sì, ok, ma..."

Shiro si rivolse al paladino rosso. "Keith, a te daranno un'arma, ma sarà inutile. Vogliono vedervi soffrire. Vogliono che io vi veda morire. Non dategli questa soddisfazione. Il nostro avversario tenterà di uccidere per primo Lance anche quando saremo dentro tutti e tre, perché sarà il nostro punto debole."

"Ho capito" annuì Keith.

"Ragazzi mi state spaventando..." mormorò Lance, sentendo l'angoscia annidarsi nello stomaco con un senso di nausea più forte del dolore al braccio.

"Resta vivo" gli ordinò Shiro e non c'era compassione nei suoi occhi. Questo fece più male a Lance di qualsiasi altra cosa. Il paladino blu afferrò quello nero per il braccio, nel bisogno di dirgli qualcosa, di avere qualcos’altro oltre quelle parole, ma lo sentì così rigido che le dita non provarono neanche a stringerlo.

"Lance" lo chiamò Keith, mettendosi tra di loro e guardando il compagno negli occhi. "Vinceremo noi, ma devi rimanere lucido. Se ti viene un'idea... dimmela e basta, niente segnali. Lo sai che li interpreto male" e accennò un sorriso che avrebbe voluto infondere sicurezza in memoria di qualcosa che avevano già fatto. Tuttavia, il terrore stava divorando Lance al punto che non riuscì neanche a rispondere, non senza che Keith gli appoggiasse una mano sulla spalla sana, per scuoterlo leggermente. "Lance, rimani concentrato. Hai capito cosa ho detto?"

Il paladino blu abbassò lo sguardo e annuì. "Scappo. Analizzo. Non mi metto in mezzo perché sono il punto debole."

"Sei ferito" gli ricordò Keith, che dette un'occhiata a Shiro in cerca di appoggio, ma l'uomo non pareva li stesse ascoltando; la sua postura era rigida, il suo sguardo fisso sul centro dell'arena. Il paladino rosso riprese il discorso. "Analizza il nemico. Sarai quello con più tempo per trovare dove colpirlo. Ok?"

"... ok."



Lance fu buttato nell’Arena con uno spintone. Incespicò sui piedi per non cadere, ma fu l’ultimo dei suoi pensieri quando si ritrovò a essere fissato da centinaia, migliaia di occhi sconosciuti che subito gli fischiarono e gli urlarono contro. Peggio solo di quel trattamento c’era l’odore di morte che impestava l’atmosfera. C’erano chiazze a macchiare il pavimento, non solo rosse, ma di qualsiasi fosse il colore si capiva che fosse sangue, se non anche qualcosa di più. Tentò di trattenere i conati di vomito e ci riuscì solo perché fu distratto dall’annuncio per far entrare lo sfidante. Qualcuno stava parlando con un qualche tipo di microfono, non riusciva a individuare dove e non lo stava ad ascoltare, anche se aveva sentito nominare già “paladino blu”, “Voltron” e “perdenti”. Ci fu un rombare crescente, una sorta di countdown di urla, quando si aprì una grata simile a quella da cui era stato fatto uscire lui, ma molto, molto più alta e larga.

La creatura che Lance si trovò di fronte sarebbe potuta essere l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua. Alta, grossa e incattivita. Non dava l’idea di un essere senziente, non più per lo meno, dallo sguardo dilatato e sgranato. In un altro momento lo avrebbe definito come un qualche animale selvaggio uscito da Star Wars, ma sapere quella cosa viva, reale e in procinto di dilaniarlo, gli fece accantonare qualsiasi paragone e prenderlo per ciò che era: la sua morte.

“Resta vivo, Lance” si ripeté, stringendosi il braccio ferito per avere una scarica di dolore che lo svegliasse. “Quattro dobosh ed entra Keith. Keith il domatore di bestie. Altri quattro dobosh e poi Shiro metterà fine a tutto.”

L’annunciatore continuò a parlare e Lance continuò a sentire solo il sangue pompargli nelle orecchie come una tempesta. Solo quando si udì di nuovo il gong capì che era iniziata. Il mostro davanti a lui - uno Wazrog se aveva capito bene - spalancò le fauci e spianò le sue tre file di denti. Lance poté immaginarsi maciullato da quegli spuntoni grandi quanto la sua mano e non ebbe bisogno di imporsi di scappare. Scartò di lato, cercando un riparo che si accorse subito non c’era.

“Scappa” si disse ancora a voce alta. Il terreno tremò sotto ai suoi piedi e gli fece quasi perdere l'equilibrio. La creatura barrì, battendo in terra con le quattro zampe anteriori, graffiando il terreno. Lance la vide caricarlo e si tuffò dietro una delle quattro colonne all’ultimo. Il pilone scricchiolò quando tutta la potenza della belva gli finì addosso. Lo stesso paladino si ritrovò per terra per l’urto, ma almeno era scampato al primo inseguimento. Si guardò alle spalle e la creatura si stava scrollando la testa dopo la botta.

Incespicando, Lance si rimise in piedi e si allontanò, cercando di girare intorno alla bestia e trovare un punto cieco. Aveva i polmoni in fiamme e sentiva la tuta nera da paladino madida di sudore, ma cercò di focalizzarsi. Aveva una bestia enorme davanti, quattro zampe anteriori (una meccanica) e due posteriori, queste ultime flessibili e agili come quelle di un gatto. Il corpo era percorso da cicatrici, nonostante sembrasse avere una pelle spessa e dura, e uno dei corni in testa era spezzato. Aveva anche una coda poderosa, forse la parte con cui meno Lance avrebbe voluto avere a che fare dopo la bocca; un colpo di frusta e gli avrebbe spezzato la schiena.

La creatura levò di nuovo il proprio verso, vibrando nell’aria tanto da paralizzare il paladino anche solo così. Che possibilità avrebbero avuto? Non vedeva punti da colpire, non senza un’arma, e l’unica sarebbe stato il braccio di Shiro, una volta entrato, ma sarebbe bastato da solo?

Lance muoviti!” l’urlo era proprio del paladino nero, trattenuto dalle guardie nell’ingresso del corridoio. Il ragazzo si riebbe, avvertendo di nuovo il terreno tremare sotto le suole. Riprese a correre, nonostante i muscoli tesi dalla paura gli facessero male. Quanto tempo era passato? C’era un timer da qualche parte? Quanto sarebbero durati quattro dobosh in fuga per la propria vita?

Raggiunse di nuovo una delle colonne, piazzandocisi di fronte. Prima era stato un colpo di fortuna, ma ora poteva provare a usare con coscienza quell’inganno. Un trucco semplice, ma la bestia sembrava del tipo che cacciava finché non aveva la preda tra le zampe, o forse no da come si era fermata a qualche metro da Lance, artigliando il terreno e creando dei solchi. Sfidò l’umano con un verso più simile a un ululato, ma non si mosse. L’impazienza stava montando rapidamente in Lance, logorandogli i nervi.

“Andiamo!” gridò, allargando il braccio che non gli faceva male. “Vieni a prendermi!”

Da qualche parte qualcuno stava gridando contro il vociare delle folle, ma Lance non sentiva niente, concentrato sul momento in cui sarebbe dovuto scattare per togliersi di mezzo. La bestia partì, ma non corse come aveva fatto fino a quel momento: balzò in avanti. Colto alla sprovvista, Lance scattò a sua volta, ma in ritardo. Una delle zampe gli si parò davanti, sbarrandogli la fuga. Fu davvero questione di secondi; il paladino non trovò altra soluzione se non buttardi in terra all’ultimo. Non capì neanche cosa successe dopo che qualcosa lo colpì, togliendogli il fiato. Tutto si fece ovattato, mentre rotolava finendo in una delle pozze di sangue.

Il Wazrog aveva battuto comunque contro il pilastro un’altra volta e il suo grido di dolore riecheggiò tra gli spalti, ma per Lance fu solo il rimbombare di un incubo.

Cercò di tirarsi in piedi, ma aveva sbattuto anche il braccio ferito e il dolore gli mozzò il fiato. Il sangue su cui era finito gli diede la nausea, facendolo scivolare quando tentò di alzarsi.

Scappa. Non sei nelle condizioni di sostenere la lotta.

La voce di Shiro gli risuonò di nuovo tra le tempie, smorzandogli ulteriormente le energie. Non sarebbe riuscito a rimettersi in piedi. Era ferito. Ma anche non lo fosse stato, rimaneva l’anello debole tra Shiro e Keith. Loro erano fatti per sopravvivere lì dentro, non lui. Lui era un pilota di cargo che aveva sprecato la sua seconda possibilità. Paladino dell’universo, poi? Lui, che era senza talenti? Si rivoltò sulla schiena, rimanendo sdraiato. Non vedeva il soffitto dell’Arena perché era troppo buio. Di lì a poco ci sarebbe stato solo quello, con forse una luce in fondo al tunnel, come si raccontava. Voleva chiedere scusa per essere quell’inutile peso. Alla sua famiglia e ai loro sacrifici, ai suoi amici perché non era stato all’altezza. Agli altri paladini, che avrebbero dovuto trovare qualcuno migliore per il Leone Blu.

Il pavimento stava tremando di nuovo. Lance realizzò che fosse ormai davvero finita quando avvertì la presenza del Wazrog sopra di sé, a oscurare le luci dell’Arena e a riscaldare l’aria col suo fiato. Che schifo morire masticati, pensò, e l’idea lo disgustò al punto da farlo retrocedere e ripensarci a giacere lì in quella pozza di sangue vischioso e puzzolente. Ma non andò lontano quando con la mano scivolò un’altra volta, finendo di nuovo schiena a terra. Dalle tribune era ricominciato un ritmo serrato di urla. Ci fu anche il gong che doveva sancire il termine dello scontro, ormai chiaro. Il paladino blu serrò gli occhi.

Non ci fu nulla ad annunciare il colpo che prese Lance al fianco, e che non assomigliava per niente a una zanna o un artiglio. Gemette di dolore, ma non ebbe il tempo di lamentarsi davvero, mentre rotolava per terra in un intrico di braccia e gambe.

Cazzo Lance, vuoi morire!? Alzati subito e vai dietro la colonna! ORA!” era Keith e gli urlò nelle orecchie, mentre balzava in piedi. Lance saltò a sua volta più per la scarica di adrenalina che per il dolore che aveva per tutto il corpo. Non si mosse subito, non quando osservò il compagno come un miraggio mentre fronteggiava il nuovo verso di frustrazione e rabbia della bestia. Keith aveva in mano un bastone di metallo, una vecchia lancia a impulso scarica e ammaccata, ma se i Galra avevano supposto che fosse un’arma inutile, il braccio destro di Voltron la sfoggiava come si stesse preparando a piegare l’universo.

“Lance… muoviti” sibilò Keith, guardandolo con la coda dell’occhio - che per un attimo a Lance parve giallo, ma doveva essere una sensazione data dall’intontimento. Inciampò nei propri piedi e il dolore al braccio si risvegliò completamente, facendogli mordere il labbro, ma si avviò al riparo verso la colonna. Udiva i “booo” della folla, ma la sua concentrazione era solo per Keith.

“Stai attento ai balzi!” urlò, guardando come la bestia stesse flettendo le gambe posteriori. Keith tuttavia sembrava pronto; quando il Wazrog saltò puntando le quattro zampe davanti con l’intento di schiacciarlo, saltò anche Keith con l’ausilio della lancia, colpendolo forte su un occhio. Il Wazrog guaì così forte da far male ai timpani e si dimenò perdendo il controllo della caduta, finendo di nuovo contro uno dei piloni, quello dietro cui era nascosto Lance. Senza aspettare segnali, Lance circumnavigò a passo di gazzella la creatura in terra e corse dal paladino rosso.

¡Me salvaste la vida!” gridò, e Keith lo guardò con una smorfia e un’espressione confusa.

“Smettila di distrarti! Non è finita” ringhiò, riposizionandosi con la lancia. “E parla una lingua comprensibile.”

Il Wazrog ruggì e li caricò nello stesso momento, costringendoli a separarsi; diede la caccia prima a Keith, macinando la distanza così velocemente da distruggergli il terreno sotto i piedi con gli artigli. Uno di questi riuscì anche a raggiungerlo di striscio, aprendogli una ferita sul polpaccio, ma questo non fermò il paladino rosso dal correre. Tentò di portare la bestia contro la parete dell’arena per farla schiantare di nuovo, ma questa gli balzò davanti.

KEITH!” urlarono sia Lance sia Shiro a occhi sbarrati. Furono attimi al cardiopalma. Il paladino rosso non si sarebbe potuto fermare in tempo per non finire in bocca al Wazrog, ma sfruttò il terreno viscido; all’ultimo scivolò sotto il corpo della bestia, evitando per un soffio le zanne; si scorticò un braccio e dovette sacrificare l’arma, non prima però di colpire il Wazrog allo stesso occhio. Non gli andò così bene quando la coda, dimenata dal dolore, centrò lui in pieno petto, lanciandolo via.

Ci fu uno scroscio di urla, una doccia gelida per Shiro e Lance mentre quest’ultimo raggiungeva il compagno a terra.

“Sto bene” biascicò Keith riprendendo fiato e forzandosi a rialzarsi.

“Quel colpo deve averti rotto le costole!”

Sto bene! Vai! Dietro una delle colonne, ora!”

Entrambi si precipitarono a nascondersi, mentre il Wazrog barriva il proprio dolore, calpestando il terreno e facendo tremare tutto.

“Direi che ora è a un livello molto incazzato” constatò Lance dal loro riparo. “Sicuro non credo ci veda più da quell’occhio.”

“Devo recuperare il bastone, abbiamo solo quello per attaccare” biascicò Keith, ancora preda del dolore al petto.

“E come pensi di fare?”

“Ce la fai a correre senza farti prendere?”

Lance non rispose come avrebbe fatto di solito, sprezzante e sicuro anche solo dell’idea di dimostrare qualcosa a Keith. Abbassò lo sguardo e si strinse il braccio al petto. Lui era l’anello debole.

“Lance” lo richiamò Keith, cercando di non suonare pressante mentre teneva d’occhio la situazione. “Dovrai solo correre più veloce che puoi. Muoviti da una colonna all’altra. Al resto penserò io. Non ti prenderà.”

La bestia arrancava per il dolore e li stava cercando; il paladino rosso costrinse quello blu a guardarlo in faccia.

“Tu corri a destra, ok? Io corro verso il bastone appena inizia a inseguirti.”

“Lo porto alla colonna… ma non ci sbatterà di nuovo” iniziò Lance, il cervello un passo avanti alla paura. “Però posso… posso farlo impazzire un po’ tenendolo occupato.”

“Attento alla coda” il compagno sembrò soddisfatto.

Lance annuì. “Riesci a colpirlo all’altro occhio?”

Keith ricambiò il gesto. “È quello che voglio fare.”

“Renderlo cieco.”

“Sì. Dobbiamo resistere ancora un minuto e trenta.”

L’ormai famigliare quanto inquietante tremore del terreno li avvertì che non avevano più tempo.

Hasta la later, Keith!” gridò Lance e si lanciò di corsa oltre la colonna. L’inneggiare del pubblico disse al paladino rosso che le cose stavano andando come avevano appena progettato. Corse a sua volta, cercando con lo sguardo la lancia a impulso; l’urto contro la creatura l’aveva sbalzata lontana dal punto in cui lui e il Wazrog avevano impattato. Accelerò il passo quando la individuò in terra.

Keeeeeith!”

In un altro momento sarebbe potuta essere una scena comica. Il paladino rosso aveva appena raccolto il solo mezzo che avevano da mettere tra loro e la bestia, quando voltandosi vide Lance sbracciarsi nella sua direzione.

Corri!” stava gridando, con il Wazrog alle calcagna.

Per quanto reattivo fosse stato Keith fino a quel momento, non sembrava in grado di trasmettere il messaggio ai muscoli di muoversi quando quell’idiota gli stava portando addosso il mostro.

“Muoviti!” strepitò ancora Lance, gesticolando con il braccio sano e alla fine afferrandolo per un polso quando gli passò vicino.

Perché hai puntato a me!?” gridò ora Keith, con i nervi a fior di pelle.

“Non abbiamo parlato della seconda parte del piano! Pensavo intendessi fare un altro faccia a faccia!”

“Mi ha quasi ucciso!”

“È da quasi otto minuti che tenta di uccidere me!”

Le folle parevano divertite da quel teatrino.

“Manca poco” ansimò Keith, che con la coda dell’occhio cercava di capire se avrebbe potuto trovare uno spiraglio di attacco, ma il Wazrog era così grosso e arrabbiato che sembrava di essere rincorsi da un branco di elefanti imbizzarriti.

“Verso la colonna!” ordinò. Alla fine quei quattro piloni che formavano una sorta di ring interno all’arena erano l’unico pseudo riparo che potessero avere. Grandi abbastanza da permettere a due come lui e Lance di sfruttare le proprie dimensioni a vantaggio, considerando come il mostro avrebbe dovuto per forza circumnavigare il pilastro.

Il secondo tempo stava ormai scadendo. Keith continuava a tenerne conto. In tre, con Shiro, sarebbero riusciti a sopraffarre quella creatura. Dovevano resistere ancora un po’ e riuscire a colpire il Wazrog al secondo occhio per ottenere il vantaggio definitivo.

“Quando saremo lì dietro, non starmi in mezzo ai piedi!” urlò Keith. “Devo avere spazio di manovra!”

“Ricevuto!” replicò Lance, senza lamentarsi.

Solo secondi, pensò Keith. Avevano bisogno solo di resistere e sfruttare gli ultimi secondi. Potevano farcela. Dovevano.

Raggiunsero la colonna in scivolata, rotolandoci dietro. Le zampe della bestia sembrarono seguirli e scamparono ai suoi artigli per un baleno, sfruttando la forma stretta e lunga del pilastro per trovare più spazio.

“Spostati!” gridò Keith, pronto a lanciarsi ad attuare il piano. Ma Lance non lo stava ascoltando; stava alzando le braccia davanti il volto in un movimento a rallentatore e di istinto che il paladino rosso non capì finché con la coda dell’occhio non vide un qualcosa muoversi dietro di sé. Era la coda del Wazrog e stava per beccarli. Non la potevano evitare. Il mostro era così grosso da poterli chiudere su due fronti nonostante la colonna in mezzo.

Keith non ebbe neanche il tempo di pensare. Ruotò sul posto quel tanto che bastò per mettere tra sé e il colpo di frusta in arrivo il bastone a impulso. Nello stesso momento l’arena scoppiò in un boato assordante, tra suoni e voci, ma i due ragazzi percepirono solo il dolore.

Se la lancia attutì, la botta fu comunque violentissima. La coda prese Keith di traverso sul busto e lo scagliò indietro, contro Lance, ed entrambi finirono addosso alla colonna e poi in terra.

Keith era inerme sul pavimento sporco, senza fiato per il colpo ricevuto; Lance aveva battuto la testa e non si muoveva.

Lance…” esalò Keith con dolore e la vista sfuocata, allungando la mano verso il compagno e aggrappandosi al suo braccio. Il volto del paladino blu era macchiato di sangue fresco che gocciolava sul terreno. Su entrambi si estese l’ombra e la presenza pesante del Wazrog, insieme al vociare dagli spalti e al suono del gong. Shiro

Keith non chiuse gli occhi, anche quando di fronte a sé ebbe soltanto la bocca della creatura e le sue fila di denti lucide di saliva. Strinse le dita sul braccio di Lance, sperando come poche volte in vita sua.

Sulle tribune si gridava un solo nome, cadenzato da battiti di mani che il ragazzo scandì con i battiti del cuore. Gliene rimanevano pochi, ma sostenne ognuno di loro finché non sentì il suono di una voce famigliare; non stava parlando, ma gridando tutta la propria frustrazione.

Il paladino rosso non vide l’azione in sé, ma potè immaginarla; chiuse gli occhi quando il sangue del Wazrog gli schizzò addosso, caldo, vischioso e con un odore da far vomitare. Shiro fu preciso, sapeva dove voleva colpire per chiudere tutto subito, e il suo braccio meccanico affondò nel collo della bestia mentre era distratta dai due ragazzi.

Il primo pensiero coerente di Keith, mentre le folle esplodevano di acclamazioni per la vittoria lampo del Campione ritornato, fu che almeno Lance, da svenuto, non avvertì nulla, né il fetore né le urla per quella pantomima sadica.

Shiro anche li ignorò; era lì di fianco, rigirando Lance per controllarne le condizioni. Keith lo sentì sospirare tra un ansimo e l’altro.

“È solo… svenuto” disse il mezzo Galra, sputacchiando il sapore disgustoso di sangue che aveva in bocca.

La mano del paladino nero arrivò a tirarlo in piedi mentre ci provava lui stesso, con poco successo. Probabilmente Lance aveva avuto ragione sulla costola rotta, e l’ultimo scontro col mostro poteva averne aggiunte altre. Faticava ancora a respirare e si appoggiò al braccio di Shiro, mentre questi si era caricato Lance sulla spalla, senza aspettare l’arrivo delle guardie a scortarli fuori.

Dagli spalti intanto si udivano ancora gli spettatori osannare il Campione urlando un Bentornato! che faceva desiderare a Keith di fare una strage. Ma anche solo camminare verso l’uscita dell’Arena gli tolse il briciolo di energia rimastagli. Si accasciò contro Shiro, aggrappandosi al suo braccio per non cadere in terra, ma l’ultima cosa che sentì fu Drav dare ordine di portarli in infermeria.



Riprendere i sensi fu più traumatico di quando Keith li aveva persi. Si svegliò bruscamente, con due Galra dal volto coperto che lo stavano esaminando, prelevandogli del sangue. Scattò ancora prima di realizzarlo davvero, rovesciando uno dei due e facendo volare via la siringa. Fu una colluttazione breve, perché l’altro medico gli puntò addosso un blaster, intimandogli di calmarsi.

Fu sbattuto fuori dall’infermeria qualche minuto dopo, massaggiandosi il torace ma solo per una sensazione di pizzicore che per il dolore che aveva provato nell'arena. Se aveva qualcosa di rotto era stato sistemato.

Fuori, ad attenderlo, insieme a altre dozzine di prigionieri, c’erano Shiro e Lance. Il paladino blu era rannicchiato con le ginocchia al petto e il viso nascosto nelle braccia (ora entrambe sane), ancora sporco di sangue; il più grande era di fianco a lui, a braccia conserte, serrate, e guardava un punto cieco sul pavimento. La sua sola aura bastava a creargli il vuoto intorno, riempito da un brusio scandito ogni tanto ancora dalla parola Campione.

Entrambi alzarono il volto a vedere uscire Keith, il sollievo sul viso di entrambi.

“Mi hanno preso del sangue” fu la prima cosa che uscì dalla bocca di Keith, mentre si guardava l'incavo del gomito.

“Fanno di peggio” replicò Shiro senza pensarci e il paladino rosso lo guardò a sguardo sbarrato, imbarazzato. “Scusa. Questo posto-”

“Non importa” tagliò corto Keith.

Intorno a loro il resto dei prigionieri iniziò a muoversi verso il corridoio e Shiro stesso si staccò dal muro.

“Andiamo” disse.

“Dove? Di nuovo nell'arena!?” Lance trasalì, irrigidendosi e stringedosi tra le proprie braccia. Era stanco, sembrava tenere a malapena gli occhi aperti. Anche Keith non si mosse, le dita strette a pugno e le nocche bianche.

Shiro scosse la testa per poi fare cenno agli altri due di seguirlo.

Dieci minuti dopo, Lance si stava guardando in giro paonazzo, appoggiato a un muro per sostenersi. Gli avevano rifilato qualcosa, un antidolorifico, ma era come se gli avessero dato un colpo in testa e poi lo avessero sbattuto in una centrifuga. Finì col coprirsi gli occhi con una mano e lasciare andare un respiro sgretolato.

Erano nella zona docce. Lance non poteva pretendere che fossero bagni decenti, considerando che si trattava pur sempre di una pigione, ma almeno gli stalli per separare le docce, aveva protestato. C’erano dozzine e dozzine di alieni ovunque, nudi come qualsiasi cosa li avesse messi al mondo li aveva fatti. In meno di due minuti aveva visto genitali tali per cui neanche i più fantasiosi contenuti alien biology terrestri potevano prepararlo.

“Non vuoi toglierti quello schifo di dosso?” chiese Keith. Dava le spalle al resto delle docce, ma era rosso in viso anche lui nonostante cercasse di mantenere uno stato apparente di calma. Stava trafficando con la parte superiore della tuta nera da paladino, di quello che rimaneva tra sangue e strappi vari.

“Sì, ma…” Lance sospirò di nuovo, sentendosi così stanco che avrebbe raggiunto la doccia strisciando e ci si sarebbe rannicchiato sotto sperando forse di annegarci. Sempre che ci si dirigesse davvero. Non voleva neanche immaginare che schifo dovesse essere se ogni giorno prigionieri ricoperti di morte ci si lavavano.

“Anche se sono docce in comune, questo è il luogo più pulito che troverete dopo l’infermeria” disse Shiro che si stava liberando anche lui della tuta. “Starete meglio, dopo” concluse, finendo di togliersi quello che aveva addosso. Entrambi i ragazzi lo guardarono, per poi incrociare lo sguardo tra di loro e riabbassarlo, la sfumatura rossa sulle loro gote era molto più accentuata di prima.

Keith seguì l’esempio di Shiro in silenzio, al contrario di Lance che si coprì di nuovo il viso con le mani, desiderando interiormente di poter lasciare andare un urlo di frustrazione.

“Lagnati di meno” borbottò Keith di fianco a lui, a braccia conserte. Anche se il paladino blu non lo vedeva, bastava la sua sola presenza a farlo sentire a disagio, al pensiero che fosse nudo lì vicino. Non che Lance non avesse mai visto altri ragazzi nudi, ma era Keith - e anche Shiro. Nonostante pensasse che fosse colpa delle circostanze, era davvero troppo spossato per reagire e allo stesso tempo troppo in negazione per farlo. Voleva tornare al Castello dei Leoni, nella sua camera e nel suo pigiama blu; ancora meglio, voleva tornare sulla Terra, a casa. Stava davvero vivendo l’incubo di essere prigioniero del nemico? Aveva realmente rischiato di morire neanche un’ora prima, mentre alieni sconosciuti esultavano alla prospettiva? Voleva lavarsi via quello schifo, quel sangue dalla pelle e dai capelli, ma fare anche solo un passo in quel momento avrebbe concretizzato ancora di più quella realtà malata.

Lance.

Ma Lance scosse la testa, le mani premute quasi con dolore sul viso, in completa abnegazione.

Una presa decisa sui suoi polsi lo costrinse ad aprire le mani e guardare in faccia Shiro. Aveva i capelli umidi e già appiccicati alla fronte, l’acqua cadeva in gocce dalla punta del suo naso e dalle sue ciglia sul suo torace esposto, su cicatrici che Lance adocchiò per la prima volta. C’era qualcosa che gli ottenebrava gli occhi, di così profondo che il paladino blu distolse lo sguardo con la sensazione di essere inghiottito. Lui era ancora quello più debole, dopo tutto. Quella situazione era troppo per lui.

“Non sopravvivrai qui se ti tiri indietro” gli disse serio e diretto. Lance si irrigidì nella sua presa e iniziò a respirare dalla bocca, continuando a guardare un punto imprecisato.

Keith si fece più vicino, fissando Shiro con la fronte corrugata e poggiangoli una mano sul braccio. Sembrava di toccare l’acciaio, duro e freddo.

“Shiro” iniziò, ma senza sapere esattamente cosa dire. Nella sua testa suonava come non lo stai aiutando, ma la sua bocca non riusciva a mettere a parole il pensiero. Da quando erano stati portati nell’Arena aveva avuto la sensazione che Shiro fosse lontano, che si fosse alzato un muro tra di loro. Percepiva il bisogno del maggiore di salvaguardarli, ma allo stesso tempo si era accorto di quella rigidità nei loro confronti. La stessa con cui aveva detto a Lance di sopravvivere come fosse un compito da portare a termine, senza empatia. Non era da Shiro.

“Lance è stanco” iniziò, per sentire un attimo dopo la stessa stanchezza di cui parlava gravargli sulle spalle, invisibile ma pressante. “Anche io sono stanco. E…” cercò le parole, ma alla fine si abbandonò all’onestà. “Non ti riconosco, Shiro.”

Il paladino nero strinse involontariamente le dita intorno ai polsi di Lance, che si morse un labbro per non far uscire un suono, non mentre fissava come gli altri due si stavano guardando. Le parole di Keith parevano aver fatto breccia.

Shiro lasciò andare Lance, facendo un passo indietro e passandosi una mano sul viso bagnato. “Mi dispiace” disse, incespicando un po’ sulle parole. “Io…” scosse la testa. “Non avrei mai pensato di ritrovarmi di nuovo qui. Non di nuovo prigioniero e… e sentirmi chiamare Campione” si era preso la testa tra le mani, nel tentativo di bloccare i pensieri e i sentimenti che vi stavano turbinando. “L’ultima cosa che volevo era che qualcuno di voi si ritrovasse in questo inferno… o che… rischiasse di morirci” e fissò entrambi. Per un attimo, gli altri due paladini ebbero la sensazione che il volto del loro leader non fosse bagnato solo dall’acqua delle docce.  

Lance lasciò andare il respiro che aveva bloccato in gola, che suonò come un piccolo singulto, a metà tra sollievo e dolore. Non aveva neanche lui idea di cosa fosse o cosa stesse provando, ma vedere Shiro liberarsi di quelle sensazioni che lo aveva attanagliato fino a quel momento, lo fece stranamente sentire meglio. Sembrava più il paladino, l’eroe che ricordava.

L’attimo dopo, quando Lance cercò di spostarsi dal sostegno del muro per dire qualcosa di confortante, ebbe un piccolo blackout, ritrovandosi sostenuto dalle braccia di entrambi i compagni che lo chiamavano. Fece una smorfia.

“Questo schifo che mi hanno rifilato sta facendo più peggio che meglio” brontolò. Tra l’altro, aveva anche fame, ma sentirsi ancora addosso l’odore di sangue al contempo gli dava la nausea.

“Fatti aiutare. Dopo starai meglio” e memore di averlo detto anche prima, ma con un tono e una distanza senza calore, Shiro aggiunse un piccolo sorriso di scuse. “Dico davvero.”

Lance si ritrovò le dita degli altri due a liberarlo dalla tuta nera da paladino. Fu onestamente imbarazzante per diversi motivi e ringraziò di essere così prostrato dalla cattura, dallo scontro nell’arena e in generale dalle ultime ore per riuscire a dare forma a pensieri ambigui su cui ancora stava scendendo a patti con se stesso. In un altro momento, contesto, futuro, quella vicinanza, quell’aiuto a tratti obbligato, sarebbe potuto essere l’inizio di qualcos’altro di più intimo e profondo. Tuttavia, in quel momento, Lance accettò a occhi chiusi, le palpebre serrate, le mani un po’ impacciate - di Keith - che gli spalmarono addosso quello che probabilmente era sapone, dando sollievo alla sua pelle, e le dita - di Shiro - che gli insaponarono i capelli con gentilezza, per poi passare a togliergli il sangue rappreso anche dal viso. Nessuno dei tre parlò. Lance rimase il più fermo possibile, anche perché non si fidava del proprio equilibrio, ma sapeva che se si fosse sbilanciato gli altri due lo avrebbero afferrato prontamente. La sicurezza di quando erano tutti insieme, come un’unica entità a formare il Difensore dell’Universo, era tornato a pervaderlo e farlo respirare meglio.

A un certo punto Lance doveva aver perso i sensi, perché quando riaprì gli occhi non era più sotto il getto della doccia, ma era sdraiato su una panca e nell’aria c’era un odore di cibo che gli fece gorgogliare lo stomaco.

“Ehi?”

Guardando in alto, dopo aver sbattuto le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco, Lance vide Shiro, seduto sulla stessa panca, un cucchiaio di cibo poltiglia viola in mano.

“Sei svenuto sotto la doccia” lo informò Keith, guardandolo dall’altra parte del tavolo, anche lui con un cucchiaio in mano. Aveva una smorfia in faccia, forse per quello che aveva appena riferito, forse per il sapore della roba nel piatto.

Lance si era tirato su, mettendosi a sedere e massaggiandosi la testa per un leggero capogiro. Si accorse che non indossava più la tuta, ma aveva lo stesso completo da prigioniero con cui avevano trovato Shiro quando era piovuto dal cielo prima che tutta quell’avventura nello spazio iniziasse. Anche gli altri due avevano la stessa divisa, logora ma stranamente pulita e inodore. Forse, dopo tutto, i Galra ci tenevano che non scoppiassero epidemie tra i loro prigionieri.

“Mangia qualcosa” suggerì Shiro, spingendogli un piatto davanti. Il paladino blu avrebbe volentieri sbranato un elefante in quel momento, anche se la vista del food goo in parte gli smorzava l’appetito. Si diede un’occhiata intorno. Come fuori dall’infermeria, e poi anche nelle docce, tutti i prigionieri continuavano a lanciare loro occhiate, indirizzate principalmente al Campione, creando intorno a loro una specie di vuoto reverenziale. Non era poi così male, considerando che se la sola presenza di Shiro li teneva lontano da altri guai, probabilmente avrebbero avuto anche il modo e il tempo di pensare a un piano per andarsene. Quel pensiero ottimistico gli fece ingurgitare il primo cucchiaio di poltiglia senza altre riserve. E così tutto il piatto, fino a strappargli un piccolo rutto che gli fece guadagnare un’occhiata schifata da Keith, a cui però rispose con un gesto che sembrava voler scacciare una mosca.

Con un sospiro, si sentì di nuovo stanco e si appoggiò alla spalla di Shiro. “Voglio che ce ne andiamo da qui al più presto” e suonò in tutto come una lamentela delle sue, leggera e capricciosa, ma così piena di speranza da riuscire a strappare un sorriso al più grande.

“Non sarà facile” disse quest’ultimo, scambiando uno sguardo con il paladino rosso. “Anche se ora so come sono fatte queste navi prigione, la prima volta sono stato aiutato. E Drav non ci leverà gli occhi di dosso un attimo.”

“Dici che quan in giro non c’è un’altra Lama di Marmora infiltrata come Ulaz? Avete un codice, una parola segreta con cui riconoscervi?” chiese Lance a Keith, la fronte corrugata seriamente.

Keith roteò gli occhi al soffitto. “No, scemo. Non funziona così.”

“Secondo me non sai neanche come funziona davvero. Sei stato con loro il tempo di farti ridurre a un tiragraffi sanguinolento.”

Keith sembrò sul punto di ribattere, ma Shiro bloccò la loro scaramuccia sul nascere. “Smettetela subito” disse, per quanto anche quello scambio aveva un che di tranquillizzante, essendo una routine a cui si erano abituati e che gli faceva ricordare per cosa sarebbe sopravvissuto quella volta. Per portarli lontano da lì prima che l’Arena li spezzasse come aveva fatto con lui. In un modo o nell’altro sarebbero sopravvissuti.

“La Principessa e gli altri ci staranno cercando” riprese, guardando prima l’uno e poi l’altro. “Riusciranno a trovarci, anche senza Voltron completo. E riguardo l’idea di un membro della Lama infiltrato… tenete gli occhi aperti. Sono certo che anche Kolivan farà in modo di aiutarci. Ma fino a quel momento, restate vivi.”

Restiamo vivi, intendevi dire. Tutti e tre” sottolineò Lance e Keith per una volta fu d’accordo col compagno attaccabrighe, annuendo con risolutezza. Il paladino blu riprese. “Non ce ne andiamo da qui senza di te. Che si fottano i fan del Campione. Tu sei il nostro leader. Senza di te non andiamo da nessuna parte! Siamo come i tre moschettieri ma, ecco, senza D’Artagnan tra le scatole. Uno per tutti?”

Keith gliela lasciò vinta, forzandosi a non rispondere negativamente, ma neanche dandogli corda. Shiro invece sospirò leggero, quasi rise, distendendo le labbra rigide. “E tutti per uno.”   


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2019-03-16 10:26 pm

[Voltron] Felice Anno Nuovo! (Se sopravvivi)

 

Cow-T, quinta settimana, M1

Prompt: In fuga

Numero parole: 921

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Keith/Lance, involontaria Lance/Krolia, Shiro, Kolivan.

Note: post S8?



Sarebbe dovuto essere un capodanno tranquillo, diplomatico date le presenze extraterrestri, ma alle dieci di sera la festa era allo sbando, la musica era a palla con una playlist da balli di gruppo caraibici e qualcuno a caso - Lance, Veronica, Kinkade e Nadia - avevano tirato fuori gli alcolici in anticipo sull'ora prevista.

Un'ora e più dopo, quando Shiro, Keith, Krolia e Kolivan giunsero al party dopo aver finito con gli ultimi incarichi e riunioni di quel giorno (visto che l'universo non si poteva adeguare ai tempi dell'anno terrestre), trovarono più una festa simile a quelle delle confraternite del college che alla più famosa accademia aerospaziale della Terra - nonché sede terrestre dell'Alleanza Galattica.

Persino Iverson li accolse rosso in faccia, sollevando il bicchiere di carta a mo' di saluto.

Shiro e Keith si scambiarono uno sguardo. "Tutto bene, comandante?" provò il Capitano dell'Atlas con discrezione.

"Alla grande figlioli! Non so cosa ci abbia messo qui dentro quel mascalzone di McClain, ma devo strigliarlo di meno!"

Shiro e Keith si guardarono di nuovo. Krolia sbuffò alle loro spalle. "Voi umani reggete proprio male le vostre stesse bevande."

Due cadetti corsero davanti a loro solo coi pantaloni e rincorrendosi con un mocio a cui era stato affissa una stampella e una delle giacche bianche e nere di Shiro.

Kolivan si voltò verso l'ex paladino nero, la fronte corrugata. "È un'usanza per la fine dell'anno terrestre?"

Shiro si stava massaggiando una tempia. "Non esattamente."

"Non si può lasciare Lance da solo cinque minuti" brontolò Keith, guardandosi in giro con occhio critico e stanco, per ritrovarsi improvvisamente un braccio intorno alle spalle insieme a tutto il peso del proprietario.

"Il gatto è tornato!" era Lance stesso e lo disse gridando, ricevendo un urrà da qualche parte in mezzo alla folla. "Ce ne avete messo! Qui ci sentivamo soli senza di voi!" continuò l'ex paladino blu, agitando il bicchiere verso i nuovi arrivati, rischiando di soffocare Keith nel stringerlo.

"E hai fatto ubriacare Iverson per questo?" chiese Shiro, sollevando un sopracciglio ma anche un po' l'angolo della bocca.

Lance si portò l'indice della mano con cui reggeva il bicchiere alle labbra. "Shhh. Che non si è accorto della correzione! Continuava a dire che ubriacarsi non era decoroso, ma mi pare che anche ai nostri ospiti piaccia!" e nell'affermarlo guardò la sala dove, oltre ai componenti della Garrison, c'erano anche diversi alieni e non sembravano esattamente lucidi. "Veronica, Ryan e Nadia sono dei bartender nati! Cioè, capite? Non solo salvano l'universo, ma salvano anche le feste!"

Keith riuscì a districarsi dal braccio di Lance, la treccia tutta arruffata. Krolia stava ridendo con una mano sulla bocca e il figlio la guardò malissimo.

"Che c'è? Anche tuo padre era così quando beveva."

"Molesto?"

"Espansivo" corresse lei con un ghignetto che non le apparteneva e che sembrava intendere altro. "E simpatico."

"Oh oh!" saltò su Lance, mettendosi in mezzo. "Hai sentito la mamma, Keithy? Sono simpatico! Grazie mamma!"  

Shiro dissimulò in un colpo di tosse una risata. Keith non sapeva più chi guardare con sguardo omicida. "Lance!"

"Keith!" ricambiò il compagno ubriaco, alzando il bicchiere.

"Non chiamare mia madre... mamma" farfugliò l'ex paladino rosso, rabbrividendo nelle proprie spalle.

"Geeeeelosooooo?"

"Cosa!? No! È mia madre!" Anche Krolia rise, mentre Kolivan guardava il teatrino con le labbra in una linea meno severa del solito, come se per una volta capisse la scenetta.

"Ed è una gran bella mamma!" assicurò Lance e stavolta Shiro non riuscì a fingere niente, ma all'occhiataccia di Keith si ricompose - non senza scambiare uno sguardo con Krolia stessa.

"Lance, forse hai bisogno di bere un po' d'acqua fredda" offrì il Capitano dell'Atlas.

"No no no no, neanche per scherzo! Mancano... Oh! Ma manca pochissimo a mezzanotte! E siamo ancora sobri!"

Nulla fermò Lance dal sparire e tornare, portando a tutti un bicchiere. "Pronti per il brindisi!"

Da un palco in fondo all'enorme sala si levava un altro tipo di baccano; qualcuno stava annunciando l'arrivo della mezzanotte e gridava i numeri del countdown mentre apparivano proiettati su una parete.

"Tutti insieme!" strepitò Lance, alzando le mani in aria al grido di Dieci! e continuando così per ogni numero, rischiando più volte di colpire gli altri quattro. Erano al TRE! quando gridò "Keithy non ti sento!" mettendo un braccio sulle spalle di quella che però era Krolia. "Più forte o dovrò cavarti le parole di bocca!" continuò al DUE!, e Keith ce le aveva un paio di parole da dire, ma a meno UNO! si pietrificò quando sentì il compagno dire "Però se stai zitto è più facile baciarti!"

Allo zero ci fu un'esplosione di urla e tappi di champagne. E un black out per l'ex paladino rosso quando vide Lance baciare sua madre.

"... cazzo" esalò Shiro di fianco a lui. Lance si staccò dal bacio per voltarsi verso il Capitano dell'Atlas.

"Sarebbe un buon modo di cominciare l’anno, Shiro!" esclamò per poi mettere a fuoco Keith e corrugare la fronte. "Ma come hai fatto a… stare lì?" domandò, ma un attimo dopo gli si accese una lampadina sobria in testa e si voltò, squadrando Krolia. "Ah. Oh" ingoiò il vuoto. "Ops."

"Lance, è stato un piacere conoscerti" sorrise Shiro, levando il suo bicchiere per un brindisi e scoppiando a ridere un attimo dopo al "Ti ammazzo!" di Keith, che per quanto lo urlò sovrastò il casino circostante.

Lance incespicò nei propri piedi, farfugliò un "Non era quello che volevo fare!", ma si diede alla fuga come se avesse avuto l'Imperatore Galra stesso alle calcagna.


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2019-03-06 05:08 pm

[Voltron] Gli amanti sconosciuti

 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Piangere senza riuscire a smettere

Numero parole: 6270

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith, Shiro/Keith/Lance, Allura & Pidge

Note: Modern!AU + Soulmate. Grazie alla socia per il titolo. Le statistiche sono buttate a casissimo e irragionevoli.




Keith non capiva che cosa si fosse rotto, quando tutto aveva sempre funzionato perfettamente. Pensava che le cose avrebbero seguito il loro corso naturale. Erano anime gemelle, era qualcosa di simile alla scienza, non poteva non funzionare - anche se Pidge aveva molto da ridire a riguardo quando se ne usciva con un paragone simile.
Eppure c’erano stati i primi cedimenti. Alla fine del primo anno, nonostante la sensazione fosse quella di esserci sempre stati l’uno per l’altro, come se l'incontro fosse stata solo una mera formalità a una vita passata ad aspettarsi sapendo che, ehi, sono proprio qui, mi incontrerai.
Keith non era un tipo romantico. Non con una vita in cui sua madre era sparita quando lui era piccolo e suo padre era morto salvando degli sconosciuti da un incendio. Keith aveva avuto un’infanzia costellata di casini, porte chiuse e gente che gli diceva cosa fosse giusto essere. Era sopravvissuto, ecco cosa aveva fatto. Era stata dura riuscire a uscire dal pantano in cui il mondo grigio che lo circondava lo aveva incastrato; a volte si chiedeva anche come ci fosse riuscito, chi avesse creduto in lui in qualche maniera, da sempre.
La risposta sembrava essere stata Shiro. Quando si erano poi conosciuti, per caso - per sbaglio, avrebbe detto il vecchio Keith, perché una persona meravigliosa come Shiro non la si poteva sperare di incontrare neanche in venti vite diverse... be', comunque, si erano trovati. Si erano sfiorati e in quel tocco ecco i colori. Ecco che il mondo grigio aveva iniziato a vivere, a fiorire come diceva Allura, quando le prendevano i momenti romantici.
Keith aveva passato due giorni col mal di testa per quei cambiamenti tutti insieme e così anche quello sconosciuto, Takashi Shirogane. Gli aveva chiesto di vedersi per un caffè. Per, be', conoscersi. Perché sì, succedeva tutti i giorni di incrociarsi con la propria anima gemella, ma di solito capitava agli altri. Eppure, quella volta, il protagonista del film era proprio Keith e non aveva idea di come, perché, se crederci davvero. Anche solo la vicinanza di Shiro lo faceva stare bene. Sfiorarsi, anche solo per salutarsi a quell'incontro dove il caffè si era raffreddato tra una chiacchiera e l’altra, aveva reso i colori ancora più vividi.
"Dicono che... ci voglia del tempo" aveva detto Shiro, che continuava a guardare di sottecchi Keith, sorridendo come se non riuscisse a farne a meno. "Per i colori, perché diventino stabili e appaiano tutti. La frequentazione aiuta. Se vuoi."
"Lo voglio" era stata la risposta di Keith, salvo poi accorgersi di averlo detto a bruciapelo senza pensarci, e suonando terribilmente come un altro tipo di lo voglio, che strappò una risata a quell'uomo che gli aveva chiesto di chiamarlo semplicemente Shiro.
Aveva avuto ragione. C'era voluto del tempo e vedersi, di frequente, perché il mondo intorno a loro potesse acquisire quella vitalità cromatica per cui poesie, canzoni, libri, film e anche libri di scienza - come sbuffava Pidge - descrivevano dalla notte dei tempi.
E Keith, così poco incline a condividere gli spazi, perché era sempre stato un lupo solitario, aveva trovato la frequentazione di Shiro fin troppo naturale. Non si era neanche accorto di come le cose funzionassero perché, per una volta, tutto seguiva un corso naturale. Shiro non gli metteva fretta - e si scusava anche di essere molto più grande - ma sembrava ogni giorno sempre più felice di vedere lui, Keith, e non solo i colori che li circondavano. Qualcosa che aveva rischiato di mandare in paranoia Keith, non abituato a essere il centro dell'attenzione di qualcuno che non fosse un assistente sociale.
Sei mesi a seguire, dopo la loro prima, travolgente volta insieme a letto - la prima in assoluto per Keith - Shiro gli aveva chiesto di andare a stare da lui e il ragazzo aveva detto prima ancora di rifletterci. Forse perché aveva aspettato questo per tutta la vita? Un posto proprio? O perché amava Shiro, anche se non lo avevano ancora detto ma tutto, tutto parlava per loro? Perché la mattina dopo il rosso, agli occhi di Keith, fu così brillante da lasciarlo ipnotizzato da una stupidissima tazza della colazione che Shiro gli aveva regalato come benvenuto, asserendo che quel colore gli donava.


Erano passati altri sei mesi e Keith sentiva di essere arrivato alle pagine finali di quella favola. Come se accettare l’invito a vivere sotto lo stesso tetto avesse avviato un meccanismo inverso, proporzionale alla loro felicità. Era tornato un fastidioso vuoto al petto, sotto lo sterno, a volte così opprimente da togliere il respiro. E poi le lacrime. Le Lacrime erano state uno dei due campanelli d’allarme che aveva assicurato a Keith che qualcosa non andava. Lacrime indesiderate, che potevano arrivare nel bel mezzo della notte come all’ora di pranzo. Semplicemente, piangeva. Senza alcun motivo apparente, per un qualche malessere fisico o reazione. E non riusciva a smettere, non c’era verso. Poteva solo armarsi di un pacchetto di fazzoletti e rintanarsi dove nessuno avrebbe potuto commentare. Il più grosso problema era allontanarsi da Shiro con qualche scusa, perché non si preoccupasse o, peggio, fraintendesse. Non che Shiro non potesse sostenere delle lacrime, anzi, era probabilmente l’unica persona al mondo con cui Keith si sarebbe messo a piangere apertamente. Ma andava bene avendo un motivo plausibile e non quello che sembrava un pessimo sgambetto del destino. Aveva trovato la propria anima gemella, cos’altro doveva volere di più? Tuttavia, come aveva capito presto, quella era stata solo la prima avvisaglia. Il secondo problema era un colore. Uno che aveva aspettato comparisse, ma dopo un anno, ancora niente.

Keith stava guardando fuori dalla finestra dell'appartamento, la sua tazza rossa stretta tra le mani, il tè preferito di Shiro che profumava la stanza, e lui che continuava a fissare con odio il cartellone pubblicitario affisso sul palazzo di fronte. La pubblicità di un profumo, nulla di eclatante, Gocce di Mare, con una modella in un abito... grigio. Un’immensa sfumatura grigia, più scura sul finire e che risaliva come spuma sul corpo rosato della donna. Il trucco differiva, era più sulle tonalità violacee. Quello lo vedeva. Ma il resto non andava. Non era possibile che quell’abito fosse grigio, quando sotto c'era scritto Blue Essence.
Keith aveva un enorme problema ed era sempre più difficile da tenere segreto.

Infastidito dall’ennesimo sfregio a quella sua mancanza, dette le spalle alla finestra, ma inevitabilmente fece una panoramica dell'open space che era la casa di Shiro e diversi oggetti gli balzarono all’occhio: qui e lì, tra tutti i colori presenti, spiccavano dei grigi innaturali. La copertina di un libro, l'etichetta di una bottiglia, un panno da cucina.
Era stato da un medico, senza dirlo a nessuno. O meglio, aveva finito per confidarlo a Pidge e Allura, sia perché le due erano in grado di fiutare le frottole a due isolati di distanza, sia perché, tra le conoscenze di Keith, erano le massime esponenti sia della teoria dei colori sia delle anime gemelle su i due fronti che da sempre si davano battaglia, la scienza e il romanticismo (o pre-destinazione anti libero arbitrio, come la gremlin amava sottolineare). A detta del medico, era tutto a posto. La vista di Keith non aveva nulla che non andasse, le analisi fatte per scrupolo erano perfette, inclusa la tac al cervello e tutti gli esami ai nervi degli occhi. Il responso sul fatto che Keith non riuscisse a vedere il blu non era un problema clinico. E questo non aveva per niente rassicurato il ragazzo, ma aumentato la paranoia.
Era un dato oggettivo che da qualche tempo le cose tra lui e Shiro si erano raffreddate, come quel colore blu che non riusciva a percepire o quelle lacrime instancabili e indesiderate. Quella mancanza che Keith aveva sempre avuto nella vita, che pensava di aver colmato con la presenza di Shiro, non era tornata solo come un’impressione passeggera, che di tanto in tanto gli faceva massaggiare lo sterno distrattamente. Era pressante, lì ad attenderlo in giorni che iniziavano anche tranquilli e lo fagocitava prima di sera, rendendolo intrattabile, neanche stesse combattendo contro un fantasma senza avere possibilità. Shiro in pochi mesi, a volte a ripensarci gli sembravano solo giorno, aveva colmato, se non abbondato, tutto quello che dalla vita Keith non aveva mai avuto: una famiglia, un posto da chiamare casa, l’amicizia, l’affetto… perché dopo un anno tutto quello dovesse sfumare senza nessun motivo logico, Keith non riusciva ad accettarlo.
Da quando avevano iniziato a vivere insieme la sua vita aveva iniziato finalmente a mettere radici, mentre i colori si erano stabilizzati. Keith non li conosceva, perché non era mai stato un gran sostenitore di quel cambiamento che ti completa la vita. Come tutti i bambini, aveva letto i libri sui colori quando era stato alle elementari. Libri che aiutavano a gettare delle basi per il grande giorno, spiegando che il pistillo delle margherite è giallo e la corolla bianca, l'erba dei prati è verde, le mele sono rosse, i gatti possono essere neri, le melanzane viola, la pelle rosa, il cielo azzurro e il mare blu.

Non aveva mai prestato troppa attenzione a qualcosa che alla fine poteva benissimo non accadere, quando nella sua vita succedevano fin troppi avvenimenti spiacevoli. Non era mai stata una sua priorità, ma ora cercare di capire perché il cielo continuasse a essere di un colore indistinto era di vitale importanza; aveva ragione di pensare che fosse alla base dei suoi problemi silenziosi con Shiro.

Perché era ormai ovvio che a Shiro quella situazione creasse del disagio, anche se non ne avevano mai parlato. Ogni volta che qualcosa che sarebbe dovuto essere blu gli capitava tra le mani, guardava Keith e lo riponeva, o perdeva il filo della conversazione. E Keith si sentiva in colpa. Sembrava come se quel blu maledetto avesse tracciato una linea di confine tra di loro, una sorta di fosso che non potevano travalicare. E non poteva continuare così. Non scoppiando poi a piangere senza nessun motivo, a coronare la tensione. E tutto per un fottuto colore.



"Uhm… ti sarebbe utile un fazzoletto?" esordì Pidge dopo che Keith si fu messo comodo sul divano vicino alla finestra, nel piccolo appartamento di Allura. Il ragazzo trasalì, tastandosi le guance e trovandole umide.

“Merda” si lasciò scappare. Con poca grazia e frettolosamente, con le dita cercò di asciugarsi il viso, ma il pianto continuò silenzioso come ogni volta, facendolo sentire impotente. Pidge gli allungò una scatola di kleenex con espressione comprensiva, anche se il suo sempiterno piccolo ghignetto sembrava voler fare capolino.

“Tranquillo, abbiamo la soluzione anche a questo. Abbiamo fatto un po’ di ricerche sulle anime gemelle.”

Lo suo sguardo sospettoso e arrossato di Keith passò da lei alla proprietaria di casa, che finì di servire il tè prima di sedersi vicino all’amica sul divano dirimpetto. “Tutto bene, Keith? Come ti senti?” domandò con un tono intenerito dalla scena.
"Sto bene” sbottò lui, praticamente ficcandosi due fazzoletti negli occhi e reclinando la testa, facendo appello a qualsiasi essere o cosa perché finisse. Ci volle qualche minuto perché finalmente Keith potesse tornare una persona normale senza lacrimazioni improvvise. Fissò le due amiche, accantonando quel siparietto perdi tempi. “Voi due avete fatto insieme delle ricerche sulle anime gemelle? Non vi siete scannate?" domandò il ragazzo, cercando segni di unghiate o capelli fuori posto. Pidge roteò gli occhi, sbuffando.
"Non siamo rozze come te. Abbiamo una divergenza di opinioni, ma le abbiamo appianate in favore tuo e di Shiro."
Allura sorrise, porgendogli una tazza accompagnata dal tintinnio dei braccialetti al polso. Keith notò la forma aristocratica della porcellata, modellata in curve che ricordavano un fiore. Peccato che i colori fossero un accostamento spaventoso di tonalità sbagliate, ma in fondo, né Allura né Pidge avevano ancora incontrato la loro anima gemella. Sarebbe stato divertente il giorno in cui Allura avesse scoperto il colore delle sue tazzine preferite - e forse non sarebbe stato neanche troppo lontano come avvenimento, visto come Pidge stesse lavorando a un prototipo rivoluzionario di occhiali in grado di bypassare quel problema di grigi.
"Vedrai che si sistemerà tutto" lo rassicurò Allura con un sorriso. "Shiro è teso per la situazione e si sente in colpa, ma questa cosa che abbiamo trovato io e Pidge potrebbe aiutarvi."
Keith la guardò senza capire. "Perché Shiro si sente in colpa? Cosa c'entra lui?”

Il disorientamento sui visi delle ragazze a quella domanda fu lampante. Pidge si prese il viso tra le mani, soffocandoci un'imprecazione.
"Lo sapevo! Uomini! Non sanno parlare tra di loro!"
"Oh mio dio, ma non te lo ha detto?" continuò Allura, imbarazzata ma scandalizzata quanto l’altra.
"Cosa non mi ha detto!?" incalzò Keith, iniziando a sentire sulla nuca un formicolio poco piacevole.
"Credi di essere l'unico a non vedere il blu, eh? Guarda che anche per Shiro è così. Non è un tuo problema, è un vostro problema!" spiegò Pidge, scuotendo la testa e consolandosi con uno dei biscotti nell’alzatina al centro del tavolo.
Keith si sentì molto stupido; improvvisamente la riottosità di Shiro aveva un senso, essendo la stessa sua. Fu il suo turno di passarsi una mano in faccia e prendersi qualche secondo, per poi imprecare.
"Esattamente, Keith. Anche se io direi che siete proprio due cogl-"
"Linguaggio!" borbottò Allura. "Avanti, diamogli le buone notizie."
Keith tornò attento, anche se aveva una mano chiusa a pugno e le unghie conficcate nel palmo.
"Io e Allura pensiamo che tu e Shiro rientriate in una piccolissima e rara percentuale di anime gemelle triplici" esplicò subito Pidge, sganciando la bomba; mise sotto al naso dell’amico dei fogli stampati da internet, mentre Allura appoggiò di fianco un piccolo libro, un'edizione ingiallita di inizio secolo. "Se ne parla poco, perché scientificamente ha ancora meno senso delle anime gemelle in sé-"
"Ma esistono svariate fonti e delle basi fin dall'antichità, se si sa cosa si sta cercando!" la interruppe Allura.
"Sì, ci sono stati diversi poeti e autori che ne hanno scritto, ma i casi accertati e classificati negli ultimi anni sono tipo... pochissimi. Ma positivi."

Keith era più confuso di quando era entrato. Continuò a passare gli occhi dall’una all’altra e poi ai risultati della loro ricerca.
"Cosa intendete con triplice?"
"Che non siete solo tu e Shiro. Vi manca una terza parte. Ed è anche il motivo del tuo iniziare a piangere senza riuscire a smettere."
Il mondo di Keith vacillò per un istante. "... che cosa significa?"
Pidge ghignò. "Mai sentito parlare dei ménage à trois?"
"Pidge! Sii seria!" la bacchettò Allura, ma l'altra rise e basta.
"Be', è quello che succederà, quando troveranno la loro parte mancante!"
"No, ferme” boccheggiò Keith, senza riuscire a mettere in ordine le parole che voleva dire. “Io e Shiro non vediamo il blu perché una terza persona... uno sconosciuto deve ancora entrare nelle nostre vite… ? Piango perché anche questa - gesticolò confuso - terza parte piange?"
"Esatto!" squittì contenta Allura, non riconoscendo il tono smarrito del ragazzo.
Pidge fu più pragmatica, sorseggiando il suo tè col mignolino alzato per prendere in giro l’amica. "Anche tu e Shiro eravate perfetti sconosciuti, quando vi siete incontrati. Nel novantadue percento dei casi funziona così, per le anime gemelle."
"Sì ma, ho sempre avuto la... ecco, la sensazione di conoscerlo" farfugliò Keith, perché a parte averlo confessato a Shiro una volta, non lo aveva mai detto a nessun altro, ma aveva troppa confusione in testa per tenere quel particolare per sé.
"E ora quella sensazione non ce l'hai più?" continuò Pidge, che sapeva esattamente quale fosse la risposta, ma Keith era restio ad ammatterlo. Incrociò le braccia, guardando da un’altra parte; per un pessimo scherzo del destino, anche lì fuori dalla finestra c'era la stessa pubblicità della Blue Essence. Avrebbe voluto lanciargli contro una di quelle tazzine troppo variopinte.
"Shiro è... è tutto per me" sussurrò, mentre dentro la sua testa si consumava una lotta.
Allura addolcì lo sguardo, allungando la mano per posargliela sul ginocchio con un sorriso comprensivo. "E tu sei ciò che Shiro ha sempre cercato da quando lo conosco" e se lo diceva Allura, che era stata la ex ragazza di Shiro, poteva darle il beneficio del dubbio.
Pidge lo guardò a sua volta, sospirando e grattandosi la testa.
"Senti, non ti abbiamo detto questa cosa per compromettere il vostro rapporto. Tu sai quanto reputo assurda tutta ‘sta predestinazione amorosa, ma c'è poco da fare: funziona. Almeno, nel novantotto percento dei casi le anime gemelle sono felici. E se tu e Shiro rientrate in questa rarità non sarà diverso. Sempre di anime gemelle si tratta ma... siete in tre” il momento serietà tuttavia sparì un attimo dopo, soppiantato dalla logica. “Sto ancora facendo ricerche, perché, insomma, tre parti davvero? Tre anime legate o un’anima in tre? Ma poi parliamone, nessuno è riuscito ancora a dare delle basi solide tramite metodo scientifico al concetto di anima, ecco. Rimango dell’idea che sia una questione di chimica.”
"Pidge" la richiamò Allura, paziente.
"Va bene, va bene. Ascolta Keith, questa terza persona non minerà la vostra relazione, tutto il contrario. Non vi dividerà, si... ecco, si aggiungerà” e la quattrocchi alzò indice e medio di una mano, per poi alzare anche l’anulare. “Secondo alcuni racconti medievali, questa eccezione delle anime gemelle triplici deriverebbe dal concetto di tre come numero perfetto. Sai, la santa trinità tipo, eh?” ma dal tono non sembrava prendersi seriamente neanche lei.
"Questa persona non si metterà tra voi, sarà parte di voi. Non dovrete scegliere con chi stare o avere delle preferenze. Sarà come è stato con Shiro" si aggiunse Allura, con il suo sorriso rincuorante, interrompendo lo sproloquio poco costruttivo. Si chinò in avanti e picchiettò sulla copertina del libro messo vicino ai fogli. Gli amanti sconosciuti, recitava il titolo. "L'autore di queste poesie era come voi, anche lui in una relazione di anime gemelle a tre. Sono riuscita a trovare solo questa vecchia edizione, ma ti assicuro che se hai bisogno di certezze ti sarà di aiuto."
Keith prese in mano il libro, anche se non riusciva davvero a dargli peso in quel momento. Voleva solo correre a casa da Shiro.




Leggere le poesie divise a metà Keith; le sentì penetrargli sotto pelle e lasciargli sentimenti contrastanti, come se avesse potuto sfiorare con mano quella mancanza che sentiva, stringerla e farla propria, ma tutto durava l’attimo in cui poi cadeva e tornava alla realtà, con le mani vuote. I pianti improvvisi e non richiesti continuarono e Keith non riuscì a non trattenere qualche imprecazione contro quella ancora sconosciuta terza anima gemella proprietaria delle lacrime. Continuava a chiedersi cosa avesse da piangere in continuazione e senza degli orari precisi, facendo fare a lui i salti mortali per spiegarsi con i colleghi di lavoro o quando si trovava in posti affollati.

Parlare con Shiro invece fu liberatorio e passarono la notte a chiedersi scusa e a fare il sesso più dolce e liberatorio che avessero mai provato, come se avessero potuto toccare davvero quell'anima che li legava, continuando a mormorarsi tutte le paure che per settimane si erano costruiti intorno alla mancanza di un colore. Capitò anche uno di quei pianti indesiderati mentre erano insieme, e Shiro impedì a Keith di scappare in bagno, tenendolo ferme mentre gli asciugava una per una le lacrime e gli lasciava piccoli baci sulle guance. Keith non capì come si sentì, in un subbuglio di emozioni per la tenerezza o per una vena di gelosia verso l’autore delle lacrime. Nel dubbio, rimase abbracciato a Shiro senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Affrontare la faccenda della terza anima gemella fu però un altro paio di maniche, soprattutto per l'ostinazione di Keith che in due funzioniamo alla grande, è una stronzata. La pazienza di Shiro fu miracolosa come al solito nel cercare di indorare la pillola. Se non erano completi, a suo dire, probabilmente c'era un perché. E se l'arrivo di quella terza persona poteva eliminare del tutto la sensazione di mancanza (e le lacrime) che ancora aleggiava tra di loro, che a volte si frapponeva tra di loro, allora cercarla poteva essere la scelta migliore. Keith però non riusciva ad accettarlo e lo fece solo perché era Shiro a chiederglielo.
"Eri restio anche quando mi hai incontrato la prima volta" scherzò quest’ultimo, quando tornarono sull'argomento anche quel giorno.

Era domenica ed erano al centro commerciale per fare spese. Essendo prossimo il Natale, era stata la scelta più sbagliata che potessero fare, ma Allura aveva insistito che andassero in luoghi affollati, dove era più probabile incappare nella propria anima gemella. Keith ancora sbuffava come un bollitore.
"Era diverso. Venivo da una situazione che non pensavo sarebbe mai cambiata e tu... tu hai riordinato la mia vita a occhi chiusi! Tu sei perfetto!"
"Vorrei che questa tua idea la rivedessi, ho i miei difetti anche io."
"Come ti pare" borbottò Keith, le mani affondate in tasca in maniera controproducente, visto che era il contatto quello che scatenava la percezione dei colori. Urtare per sbaglio qualcuno era la scena più classica in cui un’anima gemella si poteva trovare. Tuttavia, la folla nevrotica del centro commerciale ispirava in Keith zero fiducia. "Mettiamola così: non ti ho dovuto incontrare in questo inferno di persone! E' stato tutto più-- più naturale e poco invasivo!"
Shiro rise. "Keith… non sarà un intervento chirurgico dove rischiamo di perdere qualcosa o qualcosa ci sarà impiantato a forza."
Keith aprì bocca, ma all'ultimo non gli diede soddisfazione di rispondergli. Cambiò tattica. "Chi dice che questa terza parte sia nella nostra stessa città? E non sia, che ne so, in Messico! O in Eurupa!"
"Disse il ragazzo del Texas arrivato a New York per puro caso."
"Non è stato un caso-!" ma Keith imprecò, capendo di essere caduto nella trappola.
"Hai sentito Pidge, ed era più restia di te ad ammetterlo. Per loro natura, le anime gemelle tendono a spostarsi verso il luogo dove si trova l'altra..."
"Mi hanno sbattuto i servizi sociali qui a New York" fece presente Keith, incrociando le braccia.
"... nell'ottantasette percento dei casi" finì Shiro, che continuava a ridersela. Si chinò di fianco per baciarlo e, per un istante, anche se in mezzo a un tramestio che Keith davvero non sopportava, tutto sembrò essere perfetto lo stesso.
"Non sei neanche un po' curioso di sapere come sia il blu?" domandò Shiro, riprendendo a camminare e adocchiando le vetrine. Avevano unito l'utile al dilettevole, decidendo anche di fare i regali di Natale.
Keith tenne il broncio, appoggiandogli la testa contro la spalla. "E se con questa terza... anima gemella" faticò a dirlo. "Le cose non andassero davvero? Non posso essere così fortunato da trovare un altro te" sbuffò, rosso in faccia.
"Ci sarà un altro tipo di carattere con cui vai d'accordo, oltre al mio" Shiro era davvero troppo divertito da quelle confessioni e intenerito allo stesso tempo. "Con Pidge e Allura vai d'accordo."
"Sono amiche..." poi un pensiero lo rabbuiò e fermò Shiro dal proseguire. "Senti, se la terza parte fosse una.... una donna, io avrei dei problemi" confessò, guardandosi nervosamente intorno come se all'improvviso tutti fossero dei nemici. "Cose da anime gemelle o meno, io non... non mi sento a mio agio con-" e si bloccò, gesticolando con sguardo febbrile, ma Shiro lo fermò prima che tutto diventasse imbarazzante.
"Keith, respira. Io non credo sarà una donna" lo rassicurò, stringendogli le dita fredde e portandosele alle labbra per baciargliele.
"Cosa te lo fa dire?"
"Sensazione?"
"Ti prego Shiro, non è una risposta!"
L'uomo sospirò. "Non è qualcosa di cui vado fiero, ma quando stavo con Allura a volte cercavo di indagare lo stesso quella sensazione di mancanza che sentivo, tentando di capire che tipo di conforto avrebbe potuto darmi la mia anima gemella. E, non so come spiegarlo, ma quando ti ho incontrato, tu incarnavi perfettamente la forma di quella mancanza... ora che la sento di nuovo, come dire... le vibrazioni sono ancora quelle."
"Mi fido di te" sospirò Keith.
"Ho capito che per te non è facile, ma proviamo a fidarci entrambi. Facciamo dei tentativi, e se non vanno, penseremo a qualcos'altro."
Keith capitolò. "Va bene... ma non mi metterò a stringere la mano a sconosciuti o a urtarli per sbaglio... non sono ancora così disperato."

“Assolutamente d’accordo, non vorrei che venissi arrestato per molestie” ridacchiò Shiro, guadagnandosi uno spintone. “Che ne dici se ci concentriamo sui regali, per oggi?”
Keith sbuffò, annuendo, e si fece trascinare per negozi, continuando a detestare un po' tutto e tutti, ma se aveva Shiro al fianco poteva tenere duro.
Questo finché non entrarono in una profumeria e Keith si ritrovò davanti quella che era diventata la sua nemesi. Su un'intera parete del negozio troneggiava la pubblicità della Blue Essence.
"Questa è una persecuzione” sbottò, guardando malissimo la modella con quell’abito così grigio da dargli ormai il voltastomaco. “Neanche fosse bella” aggiunse con una smorfia.

“Sarai bello tu” replicò una voce a pochi passi da lui, distraendolo. “Devi essere sulla lista dei bambini cattivi di Babbo Natale per entrare e offendere così un povero cartello pubblicitario” continuò con una melodrammatica mano sul cuore quello che si rivelò essere un commesso.

“Cosa!?” Keith lo guardò con diffidenza, risistemandosi il berretto che gli stava scivolando sulla fronte. Il naso gli pizzicava un po’ per la miscellanea di odori del negozio e cercò si ritrovare Shiro spaziando l’ambiente. Ma fu distratto di nuovo.

“Fammi indovinare, sei uno di quei tipi che non ha mai creduto a Babbo Natale” continuò il commesso, mani sui fianchi e un angolo della bocca sollevato neanche avesse trovato qualcuno da torturare.

Keith era confuso, ma non sapeva se per l’atteggiamento arrogante o per il discorso. Lo guardò assottigliando lo sguardo.

“Non sono mai stato in nessuna lista di Babbo Natale” replicò imbronciato e con un’onestà disarmante anche per se stesso, avendo implicitamente ammesso di non aver mai passato dei gran natali. Lo aveva affermato con così tanta naturalità che neanche gli diede peso.
L’espressione del commesso di addolcì, almeno nello sguardo, che Keith notò essere grigio, ma di una tonalità diversa da quella di Shiro. Erano belli, anche se sembravano stonare nell’insieme dato dalla carnagione caffellatte e dal capelli castano scuro. Erano come privi di…

Keith sbuffò tra sé, passandosi una mano in faccia con rassegnazione.

“Ehi amico, se c’è qualche problema sono qui per aiutarti! È letteralmente il mio lavoro” ridacchiò il commesso, indicandogli con un ampio cenno il negozio. “Il cartello della Blue Essence non lo tirò giù neanche se mi preghi, ma abbiamo un reparto di profumi da uomo molto fornito.”

“Non mi interessa il profumo” borbottò Keith, cercando di nuovo Shiro in mezzo alle folle assiepate davanti agli espositori. “Sono… siamo qui per un regalo. Credo.”

“Oh, sei un bambino sperduto allora!”

Di nuovo, Keith lo guardò come se quel rivolgersi a lui in maniera così sfrontata fosse uno scherzo o se il ragazzo fosse serio. “Mi stai prendendo in giro?” il pensiero divenne parole e Keith avrebbe voluto strapparsi la lingua da solo. Tuttavia, il commesso non sembrò aspettarsi di nuovo quella sincerità e ridacchiò ma cercando di tenere serrate le labbra per limitare l’eccesso.

“Può darsi, ma diciamo di no, se ti lamenti in cassa di me poi mi tolgono punti! Quindi,” si schiarì la voce, “lascia che ti aiuti nella tua quest! Chi stiamo cercando?”

“Shiro.”

Il commesso annuì lentamente e con pazienza. “Ok, Shiro. Che sembra il nome di un cagnolino adorabile, ma presumo sia una persona, giusto?”

Keith lo guardò male di nuovo. “Shiro è la mia anima gemella” sbottò, per arrossire un attimo dopo dandosi dell’idiota per aver sottolineato il loro legame come una quindicenne sognatrice e innamorata.

Per la prima volta, qualcosa sul viso del commesso non sembrò così divertito, ma più simile a una tristezza rassegnata, anche se la dissimulò bene. “Ok. Shiro. Mi sai dare una descrizione così ti aiuto a cercarlo?”  

Fu come chiedere a Keith di descrivere il suo gusto di gelato preferito; il suo viso si colorò di entusiasmo, fu improvvisamente loquace e gesticolò senza rendersene conto.

“È più alto di me, così. Spalle larghe. Ha un cappotto grigio in lana, i capelli neri ma un ciuffo bianco e gli occhi grigi”

“Wow, per fortuna che alla tua anima gemella piacciono le tonalità grigie, non saprei come avrei fatto diversamente” asserì sarcastico il commesso. La potenziale figura di merda colpì Keith in pieno, facendogli bruciare le guance dall’imbarazzo.

“Posso cercarlo da me” aggiunse Keith alla svelta.

“Ma no, no. Non mi sono offeso. Tanto prima o poi l’anima gemella si incontra, no? Secondo la mia abuelita io non sono fatto per vedere il mondo grigio per sempre.”

“Abue.. lita?”

“Mia nonna, la mia nonnina, in spagnolo. Sono di Cuba” spiegò il commesso, mentre si guardava intorno alla ricerca del fantomatico Shiro. “Sono venuto qui per studiare e, be’, credo anche per trovare la mia anima gemella, visto che ho questa fissa per New York da tipo sempre” ridacchiò tra sé, poi guardò Keith con un nuovo brillio negli occhi, stavolta di curiosità. “Non mi sembra che tu abbia un accento di qui, ma neanche particolarmente marcato. Di dove sei?”

Keith soppesò la domanda per un po’, ma alla fine non ci trovò nulla di male a rispondere.

“Texas” ma non aggiunse particolari che comprendessero orfano, affidamento o servizi sociali, anche se ebbe uno strano impulso a dirlo.

“Un ragazzo del Texas nella Grande Mela per la sua anima gemella, sembra la didascalia di un film!”

Keith rise senza pensarci. “Vale anche per te” la confidenza fu strana ma lasciò correre.

Il commesso gli puntò addosso due dita-pistola, facendogli l’occhiolino.

“Si intitolerebbe Just a boy from Cuba! Potresti starmi simpatico, anche se l’ho visto che hai un mullet lì dietro! Gli anni ‘80 sono finiti, ti hanno informato?”

Keith sbuffò, ma senza prendersela. Quel tipo sarebbe andato d’accordo con Pidge.

“Oh, se il tuo Shiro è un manzo da un metro e novanta con l’eyeliner perfetto credo di averlo trovato.”

“Cosa? Dov’è?”

“Qui” e indicò a pochi passi da loro, alle loro spalle, appena fuori dal raggio d’azione delle loro chiacchiere. “Ehi, Shiro!”

Confuso dalla voce, Shiro si guardò intorno, per individuare poi la mano sventolante del commesso che gli indicò Keith. Si avvicinò, scambiando prima un’occhiata intima con il compagno per poi squadrare il commesso con l’aria colpevole di chi pensa di non ricordarsi qualcuno.

“Piacere, Shiro! Il tuo ragazzo non ti trovava e si è affidato al mio eccellente occhio da cecchino per scovarti! Quando passate in cassa lasciate una buona parola per il vostro amichevole commesso di profumeria!” ridacchiò, facendo un passo indietro come di commiato, anche se non si allontanò davvero. “Se poi vi serve una mano per scegliere qualche regalo, rimango a disposizione.”

Nonostante a Shiro mancasse qualche tassello in quel riassunto veloce, accettò l’offerta.

“Volevo un parere sul profumo Gocce di Mare per un regalo.”

“Che!? No!” Keith intervenne di istinto, facendo voltare gli altri due, ma lui guardò in faccia solo Shiro. “A chi vuoi regalarlo!? Non compreremo quel-- quel-” non trovò le parole per esprimere il concetto di odio ingiustificato che aveva verso quel prodotto.

“So che ad Allura interessa” spiegò il compagno, suonando un po’ come una scusa un po’ no, perché non capiva il comportamento di Keith.

Anche il commesso lo guardò scettico. “Amico, cosa ti ha fatto di male la Blue Essence? Giuro che la loro linea di prodotti rispetta l’ambiente e non fanno test sugli animali.”

“È blu” bofonchiò Keith, incronciando le braccia.

“È blu” ripetè Shiro, in un sospiro, capendo cosa intendesse.

“Ehi, ma che problemi avete voi due col blu?” intervenne il commesso in atteggiamento di ramanzina con le mani sui fianchi. “Ok, capisco che iniziare a vedere i colori può essere un trauma, ma ora non ditemi che il blu è brutto perché mi sentirò personalmente offeso!”

“Non ti riguarda” borbottò Keith di nuovo a disagio per creare situazioni imbarazzanti e risultare poi scontroso. Doveva mettere una croce sopra i centri commerciali e auto bannarsi.

“Ok, d’accordo” concesse il commesso, ricordandosi del proprio ruolo. “Ma qui sono il responsabile delle vendite della Blue Essence, visto come i miei colleghi trovano divertente che sia l’unico colore che io riesca a vedere, quindi piano con le offese. E poi, come stavo dicendo, i prodotti di questa linea sono davvero buoni, lasciano la pelle-”

“Cosa hai detto?” lo interruppe Shiro.

“Stavo dicendo che sono prodotti di un’ottima qualità! Oltre al profumo c’è-”

“No, aspetto. Prima, che cosa hai detto? Riguardo al blu.”

“... che è l’unico colore che vedo. Sentite, mi state simpatici, davvero, e non lo dico perché poi possiate lasciare una bella recensione - cioè, anche - ma fuori di qui vi sarete scordati di me, quindi facciamo che adesso io rientro nel ruolo di commesso che prova a vendervi qualcosa e voi tornate a essere clienti in cerca di regali di Natale, ok? … Shiro, perdona la franchezza, ma il tuo sguardo mi sta mettendo in soggezione.”

Shiro lo stava esattamente guardando come fosse il proprio regalo di Natale.

“Puoi vedere solo il blu? Come? E perché?” brontolò Keith, ancora perso nei propri sentimenti negativi verso quel colore per realizzare. Shiro gli diede una gomitata e un’occhiata eloquente, ma il compagno farfugliò solo un “Ahia!” massaggiandosi la parte lesa.

Nella confusione di chiacchiere e scalpiccii affrettati, Shiro allungò una mano verso il ragazza sconosciuto che aveva davanti, dimentico di tutto il resto.

“Possiamo presentarci di nuovo? Mi chiamo Takashi, ma Shiro va benissimo” offrì.

L’espressione del commesso non era delle più convinte; era certo che da un momento all’altro sarebbero scappate fuori telecamere nascoste e quello fosse tutto uno scherzo per incastrarlo sul fatto che perdesse tempo al lavoro, nonostante fosse tra quelli con il numero di vendite più alto proprio in virtù del suo essere tanto amichevole. Tuttavia, quello Shiro aveva una presenza a cui non si riusciva a dire no, quindi gli strinse la mano.

“Sono Lance”

Accadde. Per tutti era uno spettacolo che succedeva una sola volta nella vita, se si era fortunati. Per Shiro non fu nuova, ma bellissima lo stesso; avvertì la stessa sensazione, lo stesso brivido della prima volta, quando un anno prima aveva conosciuto Keith.

“Piacere, Lance. Hai degli occhi blu veramente molto belli” disse e c’era solo una sconfinata dolcezza nel suo tono, un po’ come sentire qualcuno dire bentornato a casa.

Lance, al contrario, aveva perso l’uso della parola. Continuava a fissare la mano che stringeva la sua, e nessuna delle due era più grigia. O almeno, non del tutto. Due toni diversi, un rosa chiarissimo e uno più tendente al cioccolato. Era così perso in quella contemplazione che neanche udì Keith commentare offeso e Shiro replicare con una risata roca, liberatoria. No, lo guardo di Lance, ancora basso, fu attirato da altri piccoli dettagli, come gli adesivi sul pavimento del negozio, colorati a indicare il percorso per i reparti, o un elastico giallo caduto a qualcuno, e ancora la pila di volantini con le promozioni del periodo.

Shiro gli strinse la mano, stretta alla sua, per farlo tornare in sé. Lance lo guardò in faccia.  

“Certo che tu non cambi davvero molto” rise nervoso, riferendosi ai suoi capelli bianchi e neri e gli occhi grigi. Poi, fu colto da un pensiero che gli procurò un filo di panico, mentre adocchiava Keith, senza mai lasciare andare le dita di Shiro. “Non è possibile” disse, troppo frastornato per elaborare. “Voi due siete già… perché io riesco a…”

“È una storia che stiamo ancora cercando di capire” risposte Shiro, anche se in quel momento era l’ultima cosa che gli interessava.

“Ehi” intervenne di nuovo Keith, che stava guardando malissimo le loro mani. “Che cazzo sta succedendo?” e sembrava davvero offeso.

Lance ritrasse la sua, a disagio, ma allo stesso tempo senza riuscire a distogliere l’attenzione da Keith, confuso nel vedere affiorare pochi colori su di lui, ma rimanendo rapito dalla tonalità violacea dei suoi occhi, che letteralmente lo lasciarono in apnea per qualche secondo.

“Io…”

“Keith” lo richiamò Shiro. “Penso che compreremo quel profumo ad Allura. E che pagherai tu.”

“Cosa!? Non esiste.”

Ma Shiro rise, scuotendo la testa e tornando a rivolgersi a Lance. “Ti dispiace prendere una confezione e darla a lui?” e gli fece l’occhiolino.

Lance obbedì come sotto incantesimo - il fascino di Shiro stava rapidamente acquistando una prospettiva diversa - e afferrò una delle scatole di Gocce di Mare, ficcandola in mano a Keith frettolosamente.

Era successo appena cinque minuti prima, ma Lance avvertì di nuovo la stessa sensazione avuta con Shiro. Quel grigio che vedeva nel cappotto di Keith mutò e divenne una fiamma nel buio, colorandosi di rosso intenso per una frazione di secondo. Poi Lance sentì una fitta alla tempia e si ritrasse.

“Piano” Shiro gli appoggiò una mano sulla schiena per sostenerlo. “Avrai un po’ di mal di testa all’inizio. Domani andrà meglio.”

“Mi viene da piangere” bofonchiò Lance. Aveva così tante emozioni dentro ad agitarsi che iniziava a fargli male anche il petto. E due lacrime lasciarono davvero i suoi occhi.

“Per tutto questo tempo è stata colpa tua” la voce di Keith lo raggiunse tremante.

Quando alzò il viso, Lance lo vide con le guance rigate e un’espressione omicida. Stringeva la confezione del profumo così tanto da averla rovinata, mentre la guardava come se lo avesse offeso nel profondo. Poi Keith spostò la propria attenzione al cartellone pubblicitario della Blue Essence, completamente diverso, completamente blu come quel mare in gocce che pubblicizzava.

“Lance” chiamò, tornando con un’occhiata verso di lui e verso i suoi occhi, molto più belli e in armonia col resto di lui. “Prendiamo questo profumo. E anche te. Voglio andare a casa.”


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2019-03-04 10:00 pm
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[Voltron] A Lance piacciono le donne e i mullet

 

Cow-T, quarta settimana, M1

Prompt: Rivelazione

Numero parole: 2019

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Keith/Lance, il resto dei paladini

Note: Modern!AU, sono tutti maggiorenni.



Di lì a mezz'ora si sarebbero dovuti incontrare con gli altri per il loro venerdì sera di bagordi, ma erano già in ritardo. Keith si era offerto per passare a prendere Lance alla scuola dove faceva lezioni di nuoto. La sessione per i bambini doveva essersi conclusa già da un po', ma quando entrò trovò la segretaria della piscina a scuotere la testa e indicargli con un cenno il corridoio.
Arrivando davanti al vetro che dava sulla grande vasca, insieme agli altri genitori, Keith constatò che tutti i bambini erano ancora dentro l'acqua e non solo loro. Lance era immerso fino alla vita, vestito con i pantaloncini e la polo che usava nei giorni in cui, in teoria, non sarebbe dovuto entrare in acqua. Ma era inutile farglielo presente.
Nonostante il ritardo, la maggior parte dei parenti lì sembravano divertiti dalla scenetta. I ragazzini erano divisi in due squadre e stavano giocando a una variante di ruba bandiera, ma con stili diversi di nuoto.
"Finché non finiranno non riavremo le nostre pesti" sospirò divertita una nonna, salutando con un cenno quello che doveva essere il nipote. "Qual è il suo?" domandò verso Keith.
"Quello vestito" sospirò Keith, facendola ridacchiare nel capire che si trattasse dell'istruttore.
Venti minuti dopo, i bambini uscirono correndo dallo spogliatoio, vociando e saltellando, mentre Keith se ne teneva a distanza standosene appoggiato contro il muro, il casco saldo a un braccio.
"Prossima settimana rivincita del team papere!" promise Lance, uscendo per ultimo e ricevendo un assordante "Siiiii!" all'unisono da tutti i ragazzini.
"Hai ancora i capelli fradici" brontolò Keith, lì di fianco. Lance sussultò per non averlo notato.  
"Devo dire a Giselle che dei phon a muro ne è rimasto solo uno funzionante. Ho dovuto asciugare velocemente i capelli di tutti col mio" sospirò il ragazzo. Aveva un asciugamano arrotolato al collo e lo usò per riprendere a frizionarsi la testa mentre si incamminava verso la sala staff.

Keith gli rimase dietro e suo malgrado l’occhio gli cadde sulla sua figura, come troppo spesso ormai accadeva. Quando Lance usciva dalla piscina profumava nonostante l'odore di cloro di fondo. La pelle poi sembrava sempre perfetta e morbida. Portava i pantaloncini corti a lasciare le gambe scoperte, lunghe e lisce, un invito per lo sguardo.
"... dov'è?"
Keith tornò in sé, ma senza cogliere il soggetto. "Cosa?"
"Terra chiama Keith? Pronto? Il locale! Dove andiamo stasera? Allura non ci voleva tornare nell'ultimo dove siamo stati. I cocktail erano dosati malissimo. Dios, ancora non mi ricordo un accidenti di quella sera."
Keith la ricordava molto bene invece e forse non era il caso di ripensarci, o si sarebbe dovuto chiudere in bagno prima di poter salire sulla moto.
"Ho l'indirizzo, non mi ricordo il nome" fu la rapida risposta. "Siamo già in ritardo però. Datti una mossa."
"Yes, sir" sbuffò Lance, entrando nella zona staff. Keith in automatico lo seguì e Lance lo fissò con la coda dell'occhio, mentre andava al proprio armadietto. "Sai, non penso di aver bisogno del bodyguard per cambiarmi. O di un mullet petulante che mi rovini il buon umore dicendomi sbrigati Lance! Faremo tardi!" scimmiottò con voce volutamente stridula e una posa da donzella d’altri tempi.
Keith incrociò le braccia, la giacca di pelle che scricchiolò tendendosi sulle braccia e le spalle.
"Bene!" sbottò, annoverando l'ennesimo motivo perché sono un idiota a farmi piacere questo cretino nella sua colonna di punteggi mentali. Uscì, sbattendo anche la porta. "Se fra cinque minuti non sei fuori ti porto via di peso e in mutande!"
Da dentro la stanza, Lance non fu da meno. "Dovrà esserci un'invasione aliena prima che tu possa bearti della possibilità di portarmi in braccio da qualche parte!"
Un quarto d'ora dopo erano finalmente fuori dalla piscina, con i cellulari di entrambi che avevano iniziato a trillare di notifiche nella chat comune.
"Siamo in ritardo per colpa tua" sottolineò di nuovo Keith, passando il casco a Lance.
"Siamo in ritardo per colpa tua" gli fece il verso l'altro con una smorfia, salendo a cavalcioni sulla moto dietro di lui. "Non posso presentarmi all'aperitivo che puzzo di cloro e ho i pantaloncini, dammi tregua. Non sono come te che ti infili il primo sacco di juta ed esci."
Keith stava per accendere la moto ma si fermò, girandosi di scatto e mancando per un soffio il casco dell'altro.
"Non mi vesto male!"
"No, infatti hai un armadio dal titolo cinquanta sfumature di nero. Mai pensato di fare il becchino?"
Keith lasciò perdere, accendendo la moto e partendo. L'unica soddisfazione che ebbe da lì al locale fu ascoltare Lance urlare "Rallenta!" ogni due minuti e sentirlo stringerglisi contro quasi a togliergli il respiro.
"Tu sei pazzo!" sbottò Lance quando parcheggiarono, togliendosi il casco senza badare ai capelli sparati in ogni direzione - che di solito era la sua prima preoccupazione su tutto. "Se ti vuoi ammazzare vedi di non farlo quando ci sono anche io a bordo!"
"Rilassati Lance" ghignò Keith, ancora a cavalcioni sulla sua kitty. "La prossima volta non fare tardi, così non dovrò correre."
Entrarono al Makai con Lance che ancora stava imprecando in spagnolo e Keith che si massaggiava sovrappensiero il petto, lì dove Lance aveva affondato le dita per reggersi.
Il locale era ancora piuttosto vuoto, così individuarono subito gli altri, tutti con un sorrisone sulle guance.
"Non pensate che sia bellissimo questo posto?" esordì Allura. Aveva un finto ibiscus nei capelli, enorme e di un colore sgargiante. Oltre a quello, intorno al collo aveva anche una collana di fiori, come pure tutti gli altri. Hunk e Pidge ne misero una a Lance e Keith prima che potessero dire ma.
"È un posto in stile hawaiiano, quindi" concluse Lance, guardandosi intorno, per poi tornare su Allura e sfoderare un sorriso identico al suo. "Mi piace! Dove posso prendere anche io un fiore come il tuo?"
E i due si dileguarono verso il bancone a importunare il barista per altri accessori.
"Tutto bene?" chiese quindi Shiro, quello più tranquillo e che sembrava si stesse godendo il divanetto che avevano prenotato. Si era messo più che comodo, occupando quasi due posti, ma avevano scelto uno dei tavoli migliori per la serata proprio per rilassarsi. Aveva ancora i vestiti del lavoro, anche se erano rimasta solo la camicia e i pantaloni eleganti, mentre la cravatta e la giacca dovevano essere al guardaroba. Come gli altri, anche lui sfoggiava una collana floreale e un bicchiere di Piña Colada.
Keith alzò un sopracciglio, osservando proprio il drink, mentre gli si sedeva di fianco. "Hai già iniziato a bere?"
"Non chiederglielo" intervenne Pidge, facendo un gesto con la mano come scacciasse qualcosa di rompiscatole. "Ha avuto una pessima giornata e vuole tornare a casa senza ricordarsi come si chiama."
Keith fece tanto d'occhi. "Che è successo?" giusto perché per lui il non chiedere con Shiro non aveva valenza.
"È passato il procuratore in centrale a farmi la ramanzina sulle prove dell'ultimo caso."
"Tradotto" riprese Pidge, con un ghigno. "Da Lunedì Shiro si farà una settimana di scartoffie perché ha agito di testa sua."
"Ma hai chiuso il caso prima che finisse male!" esclamò allibito Keith.
"Ma non ha seguito la procedura" insistette la ragazza, che sembrava trovare tutto molto divertente.
Shiro scosse la testa, finendo di scolarsi in due sorsi il cocktail. "Va bene così. Ho preso lo stronzo che ha ferito Matt. Una settimana alla scrivania non sarà niente."
"Ecco, a proposito, come sta tuo fratello?" chiese Hunk, spizzicando gli antipastini.
"Si lamenta e fa il filo alle infermiere. Sta fin troppo bene. Lo spediranno a casa tra qualche giorno. Vi saluta."
Lance e Allura tornarono in quel momento, raggianti come se avessero incontrato Babbo Natale.
"Taaa-daaaan!" esordirono, allungando una scatola decorata con un buffo pattern di ananas con gli occhiali. "Guardate qui!"
L'interno traboccava di oggetti per la festa, tutti a tema Hawaii. C'erano altre collane, i più svariati fermagli, delle camicie con coloratissime fantasie assurde e anche le tipiche gonnelline da danzatrici.
"Alla fine di questa serata tirerete fuori il peggio di voi, lo sapete, sì?" e Pidge indovinò il pronostico anche quella volta.


Mentre lei e Keith erano i guidatori designati, gli altri quattro del gruppo non ci pensarono due volte a sfondarsi di alcool fino a diventare l'anima della festa. Erano quasi le due di notte e al centro della pista da ballo Shiro, Lance e Allura dominavano la scena, tutti e tre con i finti gonnellini, collane hawaiiane al collo, girate ai polsi e Shiro anche in testa, mentre Allura e Lance avevano gli ibiscus finti. Hunk invece era al bancone a chiacchierare amabilmente con una delle bariste, Shay, sulle specialità del posto.

Quando fu ora di andar via iniziò la parte comica, in cui Keith e Pidge si trovarono a sorreggere in qualche maniera Shiro e a portarlo alla macchina, riacchiappare Allura che si mise a ballare anche nel parcheggio, e staccare Hunk da Shay, lasciandole il numero al posto suo perché era troppo ubriaco per azzeccare la sequenza delle cifre.
"Ce la fai con Lance in moto?" chiese Pidge scettica, osservando Lance che ancora se la ballava da solo all'uscita del locale, senza essersi tolto né gonnellino né ibiscus, regalati dal proprietario. Keith assentì, dandole la buona notte e osservando l'auto andarsene, con Allura e Shiro che lo salutavano come due ragazzini dal parabrezza posteriore.
"Keeeeeeef" urlò Lance, buttandoglisi di peso addosso e rendendolo sordo da un orecchio. "Balliiiiiamooo."
Ma più che ballare, Keith si ritrovò a districarsi dalle braccia di Lance come fossero tentacoli.
"Cerca di calmarti, ti porto a bere qualcosa di caldo per la sbronza" sospirò il moretto, arrendendosi a farsi abbracciare e non trovando in realtà molto da dire, visto che, in fondo, Lance gli piaceva. Peccato il piccolo particolare che fosse etero.
"Ma io voglio ballare con te" ridacchiò Lance, staccandosi e ondeggiando sul posto come sentisse ancora la musica. Afferrò le mani di Keith e lo trascinò di forza, rischiando di farlo inciampare.
"Lance! Sei ubriaco, smettila! Lo sai che non ballo."
"Sono un uccello e questa sarà la mia danza per l'accoppiamento allora!" sbottò Lance, facendo una giravolta che quasi lo fece cadere, ma senza fermarlo. E Keith era troppo sbigottito da quell'ultima frase per reagire.
"Che diavolo stai dicendo?"
"Se tu non ti vuoi fare avanti, allora ti conquisterò con la mia danza, mullet selvatico!"
E fu di parola perché continuò a scatenarsi intorno a Keith, in movimenti imbarazzanti del bacino, baci lanciati tra una giravolta e l'altra e strusciamenti equivoci. L'ultima mossa fu un casquette e Keith dovette prendere al volo Lance che ancora rideva divertito.
"Ti ho conquistato, mullet?" chiese ansante, il viso accaldato e sudato.
"Mi stai prendendo in giro" replicò Keith, che davvero non sapeva più che cosa pensare o se pensare.
"Quanto fai il difficile! Allora serve un bacio!" e il cubano non perse tempo ad afferrare Keith per la testa e fare quanto detto. Le labbra di Lance erano dolciastre e alcoliche, ma quando Keith sentì la lingua insinuarsi nella sua bocca si riprese, staccandosi.
"Fermo!" strepitò, avvertendo le guance in fiamme, e doveva avere due occhi spalancati neanche avesse visto un fantasma. "Che diavolo significa!?"
Lance, incespicando sui piedi, una mano sul fianco e una a mimare una pistola, gli fece l'occhiolino. "Fai di me ciò che vuoi, baby" ridacchiò.
"Lance, a te… a te piacciono le donne" disse Keith neanche fosse una spiegazione inconfutabile, nonostante il tono smarrito. Una spiegazione che il battere rumoroso nel suo petto non pareva d’accordo a sostenere.
Lance, di nuovo, sbuffò una risata, muovendo le mani in gesti scoordinati.
"Mmpfhh... quello! Quello era prima! A Lance piacevano le donne!" affermò, ma si bloccò l’attimo dopo, pensieroso. "No, aspetta. A Lance piacciono ancora le donne. Però gli piace anche-" e gesticolò verso Keith, a indicarlo tutto. Poi spalancò gli occhi, colto da un un’altra idea. "Por Dios, credo di essere bi. Perché tu sei un mullet, ma sei anche un ragazzo!" ridacchiò ancora, le mani sul petto. "Lance e Keith, la coppia che nessuno si aspettava! Come suona?"
Suonava che Keith, quella rivelazione, la stava ancora processando.


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2019-03-01 03:30 pm

[Voltron] Voltron Cafè Squad

 

Cow-T, terza settimana, M1

Prompt: Gen/Fluff/AU

Numero parole: 1760

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: un po’ tutti (i buoni)

Note: Coffeeshop!AU



Il disastro fu evitato per un soffio dai riflessi di Keith.

Non solo afferrò Lance per il polso, facendogli capire con un "Non farla cadere!" abbaiato cosa dovesse fare di lì a zero virgola due secondi, ma riuscì anche a evitare che la cioccolata calda e i pancakes grondanti sciroppo d'acero si infrangessero sul pavimento - chi li avrebbe più puliti poi?
Ma cos'era successo? Dal resoconto che Keith fece pochi minuti dopo nella sala dipendenti, raccontò di aver solo scorto con la coda dell'occhio qualcosa che non andava in Pidge, un inclinarsi innaturale su un lato. Vedendo come i piatti che aveva in mano le stessero scivolando, scattare era stato un attimo. Lui aveva afferrato l'ordinazione, e nel mentre aveva letteralmente lanciato Lance a prendere Pidge al volo prima che cadesse a terra. Un gioco di squadra improvvisato, ma che aveva evitato una tragedia.
Il tutto era avvenuto dietro al bancone del Voltron Cafè come uno spettacolo improvvisato a cui gli avventori del mattino, con occhiate curiose, e sporgendosi dai propri posti, avevano assistito. Dopo un lungo silenzio di immobilità generale, in cui Keith aveva continuato a fissare la cioccolata con panna ondeggiare ancora pericolosamente nel bicchiere con un'occhiata perentoria che sembrava dire non ti azzardare a strabordare, e in cui Lance ancora cercava di capire come fosse finito dal banco ciambelle a tenere una Pidge svenuta tra le braccia, Allura riparò alla situazione con uno squillante "Assaggio di zabaione gratis per tutti! Sedetevi comodi ai tavoli e ve lo serviremo tra pochissimo!"
Nel mentre che Romelle si destreggiava tra i tavoli con i suoi pattini a portare le monoporzioni promesse dalla titolare, e Shay teneva d’occhio il bancone col suo sorriso a cui non si poteva fare uno sgarbo neanche col pensiero, il resto del personale del Voltron Café si spostò nel retro.
Lance appoggiò adagio Pidge sul divano, tastandole la fronte e la nuca con la sicurezza maturata dall’abitudine di tre nipoti facili ad ammalarsi. Scottava.
"Ok, ha la febbre" constatò.
"Oh no!" dissero all'unisono Hunk e Allura.
"E nessuno se ne è accorto quando è arrivata stamattina?" brontolò invece Keith a braccia incrociate. "Dobbiamo chiamare Matt?"
"Ha due esami oggi, fino a stasera avrà il cellulare spento" spiegò Shiro, scuotendo la testa.
"Qualcuno può portarla a casa" suggerì Hunk.
"Ok, ma poi rimarrebbe da sola? Oggi abbiamo il pienone, non possiamo assentarci" ribatté Keith.
"Sto bene" farfugliò in quel momento Pidge, cercando di tirarsi su a sedere, ma ricadendo sul divano un attimo dopo con un verso frustrato.
"Sì, stai una favola" fu il commento sarcastico di Lance. "Qualcuno va a prendere il cuscino e le coperte nel ripostiglio? E abbiamo rifornito il kit medico o…?"
Qualche minuto dopo, Pidge era infagottata sul divano come un piccolo burrito, con una pezza d'acqua fredda sulla fronte, ma nessuna medicina pronta da prendere. Il resto della crew era in piedi a cerchio poco distante per capire come agire.
"Ok, questo è l’obiettivo: sono solo le nove del mattino e dobbiamo resistere con una persona in meno fino a stasera."
"Mmpff princess, con chi credi di parlare? Potrei gestire quella sala di là anche da solo o con una mano legata dietro la schiena" sparò Lance, elogiandosi da solo e passandosi le unghie di una mano sulla divisa con un sogghigno. Tutti lo guardarono per niente convinti e lui rincarò. "Non mi credete? I clienti mi adorano, non come con Keith."
"Ehi! Sono veloce, non come te che flirti con tutti e perdi tempo!"
"Sì, ma di chi sono tutte le belle foto instagram che i clienti fanno e in cui ci taggano, accrescendo la nostra popolarità?"
"E intanto fai ritardare gli ordini in cucina."
"Ok, basta voi due" intervenne Shiro, scuotendo la testa. "Non è il momento. Suggerisco di ridividerci i compiti e coprire il ruolo di Pidge a turno. Esclusi Hunk e Shay che hanno già il loro gran da fare in cucina."
Ma Allura lo ascoltò solo di striscio; stava ancora occhieggiando Keith e Lance con un sorrisetto poco rassicurante in viso. "Oh, in effetti, chi di voi due potrebbe essere il migliore oggi a gestire la sala senza Pidge?"
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo di sfida per poi scattare con la testa verso la titolare. "SARÒ IO IL MIGLIORE!" esclamarono insieme. Shiro e Hunk si sbatterono entrambi un palmo in faccia.
Dalla porta che dava sul retro si affacciò Romelle, trafelata e con un po’ il fiatone.
"Hello, ragazzi? Avete finito? Qui ho bisogno di una mano!"
"Arriviamo!" e Allura di nuovo si rivolse alla sua squadra. "Keith e Lance si occuperanno degli ordini in sala. Romelle starà al bancone per le bevande calde, Shiro a quelle fredde e io in cassa, con la possibilità di aiutare entrambi se servisse" dispose, guardando ognuno di loro. "Tutto chiaro? Perfetto. Hunk, tra te e Shay devo chiedervi in caso di portarci le ordinazioni al volo se non rispondiamo subito, ok? Dovreste fare un po' avanti e indietro da soli."
"Nessun problema, princess!"
"Bene squadra, andiamo!"



Fu una giornata lunghissima. Per quanto Lance avesse fatto lo sbruffone sul fatto di cavarsela da solo, già all'ora di pranzo avrebbe supplicato per buttarsi a sedere cinque minuti, ma vedere come Keith perseverava, lanciandogli ogni tanto qualche piccolo ghignetto, soprattutto quando due belle ragazze gli chiesero di fare una foto insieme, lo spronarono a continuare a denti serrati.
Nel frattempo, nonostante il pienone che sembrava solo aumentare - il martedì era sempre un giorno infernale - tutti riuscirono a turno ad andare a controllare Pidge, sfruttando i pochi minuti di pausa che avevano.
La ragazza passava da un semi stato di incoscienza a un altro in cui proprio non riusciva a dormire, ma solo rabbrividire per i sintomi; era in quei momenti di parziale lucidità che si trovava di solito qualcuno di fianco con un sorriso, a dirle qualcosa di carino e a tirarla su.
Shiro fu il primo, portandole un bicchiere d'acqua e un paio di pasticche che Allura aveva fatto arrivare dalla farmacia in fondo alla strada in cambio di un caffè a portar via per tutti i farmacisti. L’amico la aiutò a mandarle giù, massaggiandole la schiena.
"Voglio andare a casa e rintanarmi a letto con la playstation" mugugnò la ragazza contro la spalla Shiro. Lui la strinse con un sorrisetto divertito e paziente.
"Tu e Matt su questo siete proprio diversi" rise appena. "Quando lui sta male sembra una specie di polipo che non ti lascia andare e non ha la forza di fare niente se non lamentarsi."
"Matt è una piaga" brontolò lei, per poi ripetere di voler andare via.
"Resisti fino a stasera. Stare a casa da sola con questo febbrone non è il massimo."
Lei si lamentò ancora, ma si arrese.
Un tempo indefinito dopo, riprese i sensi quando sentì Keith e Lance battibeccare.
"Ora non te la tirare perché due clienti carine ti hanno chiesto la foto e lasciato il numero. Ho una rubrica piena di queste cose, tsé. E poi sei gay, manco fosse stato un tipo carino..."
"Oggi però ancora nessuno ti ha filato" rincarò Keith sghignazzando ed esibendo un dito medio.
"Oh mio dio, sto così male che Keith è diventato etero e Lance è... Lance" mugugnò Pidge.
L'entusiasmo dei ragazzi nel vederla riprendersi scemò all'istante.
"Bell'amica" sbottò Lance, incrociando le braccia.
"Ti abbiamo salvata!" esclamò Keith disorientato. "Abbiamo fatto gioco di squadra!"
"Ti ho tenuto tra le braccia. Abbiamo avuto un bonding moment" scimmiottò Lance, facendo le virgolette con le mani e beccandosi un'occhiataccia cocente dal collega.
Pidge li guardò entrambi con una sufficienza che si perdeva però nel viso rosso, e a sua volta alzò le mani per virgolettare e fare un’imitazione di Lance con un "Non ricordo, non è successo."
"Perché sto sprecando la mia pausa qui con voi?" sbottò Keith, girando per andarsene, ma Lance lo fermò per il braccio, scuotendo la testa.
"Non possiamo dargliela vinta, ricordi?"
Entrambi si voltarono verso Pidge, che arretrò finché poté contro la spalliera del divano. "Che diavolo avete in mente?"
Prima che potesse pensare a qualsiasi cosa, entrambi i ragazzi le furono a fianco e - anche se Keith era molto titubante, ma si attenne al piano - la abbracciarono.
"Ti perdoniamo Pidge, per essere un gremlin sarcastico e acido. Sappiamo che è un momento difficile, ma siamo qui per te! Non sentirti in debito" dichiarò Lance, pieno di pathos e cercando di non ridere. Keith si stava mordendo il labbro per non fare altrettanto e borbottò solo un "Prego, per stamattina" molto al limite.
Pidge nascose il viso tra le mani. "Spero vi prenda la peste a voi due idioti."
E i due scemi corsero via prima che lei potesse lanciargli contro il cuscino.
La terza visita, quando la febbre si stava abbassando finalmente e si avvicinava l'ora in cui Matt avrebbe riacceso il cellulare, fu di Allura e Hunk.
"Sicura che non ti possa cucinare qualcosa?" insistette Hunk con una faccia da cucciolo bastonato, ma Pidge scosse la testa.
"Mangio a casa, e se devo vomitare lo faccio lì. Così Matt impara a essere irraggiungibile."
Gli altri due sorrisero ridendo. Allura si sedette di fianco a Pidge, abbracciandola e lei cercò di ritrarsi.
"Rischi di ammalarti. Già per colpa mia oggi e domani dovrete coprirmi, ma se ti sentissi male anche tu sarebbe la fine!" protestò.
"Siamo una squadra!" insistette Allura. "Se qualcuno di noi non ce la fa, lo copriamo. Sono cose che succedono."
Pidge scosse la testa, mogia. "Non voglio essere un peso."
Sia Allura sia Hunk sembrarono esprimersi in un aawww in contemporanea pieno di cuori figurati, e anche Hunk la abbracciò.
"Sei un gremlin così carino" commentò il pasticcere e Pidge sbuffò, ma non si sottrasse alle coccole.
"Per favore, tenetemi lontani Keith e Lance" supplicò.
Entrambi risero.




Pidge tornò al Voltron cafè due giorni dopo, per trovare un cartello con scritto "Chiuso per malattia".


Voltron Cafè Supersweet Squad group chat:

Pidgeon:
- Gente, siete seri?

Cream Blue:
- ... tu quoque, untrice...

Fire Shot:
- sapevo che abracciarti era una pessima idea
- è tutta colpa di lance

White Captain:
- riusciamo a nn litigare in chat?
- mi scoppia la stesta

Yellow Bon-Bon:
- vi odio
- non riesco a mangiare neanche un biscotto senz-

Sweet Rock:
- Hunk è corso in bagno, si scusa

Sailor Rom:
- siamo proprio una squadra!

- in salute e malattia!

Princess Milkshake:
- Giuro che vi-


Coran Coran:

- La signorina Allura vi porge auguri di pronta guarigione.
- Immediata, se possibile.


sidralake: (Default)
2019-02-28 12:38 am
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[Voltron] Quasi affogare nella libertà

 

Cow-T, terza settimana, M2

Prompt: Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare. (Alessandro Baricco, Oceano mare)

Numero parole: 914

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Keith & Lance & Shiro

Note: AU con Pirata!Keith e Pirata!Lance (anche se io direi più mozzi) che si ribellano al Capitano Sendak e salvano il suo prigioniero, Tritone!Shiro. E poi que será, será.

(aka una cosa a random)




Keith e Lance trascinarono Shiro sulla battigia per pochi metri fuori dall’acqua, per poi svenire ai due lati di fianco a lui.

Avevano arrancato fino a quel momento con le ultime energie che avevano, ma alla fine avevano vinto la stanchezza e le ferite. Il mare, dietro di loro, lambiva loro i piedi, mentre di fronte, con un'ultima occhiata e il sole a picco, Lance vide soltanto sabbia e ancora sabbia.
"Cazzo" e perse i sensi.


Fu Keith a scrollarlo e chiamarlo per svegliarsi. La prima sensazione fu di freddo, seguita da uno starnuto poco promettente.
"Lance, avanti! Lance!"
"Ci sono, ci sono, piantala" protestò l’ex pirata, con la testa che vorticava come una trottola. "Mi viene da vomitare" aggiunse, sentendo il sapore della sabbia in bocca. Poi aprì finalmente gli occhi e al primo sguardo di fianco a sé, ricordò.
"Cazzo" ripeté, come qualche ora prima. Tentò di tirarsi su, ma ogni muscolo del corpo gli doleva al minimo movimento, anche respirare. Era anche probabile che avesse un paio di costole incrinate. Cercò tuttavia di alzare lo sguardo per riuscire a vedere quello di Keith, che non era messo meglio di lui. Sulla guancia aveva ancora i segni dell’ultima rissa con i loro ex-compagni, una ferita che sarebbe di certo diventata una cicatrice. Aveva anche lo zigomo tumefatto e il respiro lento e profondo, come se non fosse riuscito a riposare tutte quelle ore come lui.
"Dobbiamo fare qualcosa" disse e lo sguardo indicò chi stava tra di loro.
"Shiro" chiamò Lance, tentando di dargli una leggeva spallata. Ma nulla. Il tritone era ancora privo di sensi. O almeno così sembrava.  
"Siamo sicuri che sia vivo, sì?" sussurrò Lance. I suoi occhi scattarono un paio di volte tra quelli di Keith e il viso di Shiro, così pallido. All'unisono, i due compagni fecero forza sulle proprie braccia e si mossero con la medesimo intenzione, che si concluse con un cozzare doloroso di teste sopra la creatura marina.
"Ahi! Ma sei un deficiente, che ti viene in mente!"
"Genio, la tua stessa idea!"
Si massaggiarono le fronti, guardandosi male.
"Non vorrei dirtelo, ma il cuore sta a destra, dove sono io" insistette Lance. Keith roteò gli occhi al cielo, anche se il solo movimento gli fece male, ma con un gesto scocciato a mo' di prego, incoraggiò l'altro a procedere.
Appoggiato l'orecchio sul torace di Shiro, Lance attese, trepidante. Era così teso da sentire il proprio di sangue, rombare nelle orecchie, e null’altro.
"Allora!?" incalzò Keith, vicinissimo.
Dopo averlo zittito, finalmente Lance lo sentì. Debole, ma c'era. Un tu-tum che quasi lo commosse. Annuì in maniera disordinata e frettolosa, senza spostare l'orecchio dal petto del tritone.
"Batte! E' vivo!"
Keith ricadde sul fianco con un enorme sospiro di sollievo.
Erano stati degli incoscienti e si erano marchiati a morte da soli, ma entrambi lo avrebbero rifatto a occhi chiusi. Non solo si erano ammutinati (se si poteva parlare di ammutinamento, visto com'erano trattati da schiavi a bordo della Predator), ma avevano portato via al Capitano Sendak forse la cosa più preziosa che avesse: Shiro, un tritone come non se ne vedevano da anni in mare.

Non erano riusciti a rimanersene con le mani in mano, dopo aver assistito impotentemente alle sevizie subite da Shiro, costretto a combattere contro gli squali incattiviti di Sendak per il divertimento delle folle, o dopo che il Capitano stesso si era messo a blaterare di leggende riguardo la carne di sirena in grado di donare l'immortalità. Keith e Lance avevano agito anche sapendo che sarebbero potuti morire.

Poco ci era in effetti mancato, tra il riuscire a liberare Shiro, rubare una piccola nave dal porto e poi buttarsi allo sbaraglio verso l'orizzonte. Ma la prima ventata aveva portato con sé un sapore che da tempo nessuno dei due assaporava: la libertà.
Peccato fosse durato tutto troppo poco. Non solo erano riusciti a rintracciarli, ma erano stati colti da una tempesta che li aveva affondati.

Shiro aveva cercato di aiutarli, ma ancora debole per le ferite e i soprusi, era stato in grado solo di indirizzarli alla terra più vicina. Lance e Keith, rifiutandosi di cedere, e trascinando la creatura svenuta, avevano nuotato fino alla costa sfruttando fino all’ultimo briciolo di energia rimasta loro.

Il resto, era una breve storia per cui avrebbero dovuto ingegnarsi a trovare un seguito alla svelta per non finire con un epilogo nero.
"Siamo liberi e siamo fottuti" disse Lance con sarcasmo.
"Siamo liberi" rimarcò Keith, tirandosi di nuovo su per vedere il compagno. "Qualcosa faremo."
"Hai visto sì?" indicò lance, puntando il dito sopra la sua testa, senza neanche guardare davvero la direzione. Gli era bastato lo sguardo prima di svenire "C'è solo sabbia. Sabbia ovunque a perdita d'occhio.”
Keith seguì la direzione indicata, ma rimase in silenzio, prima di smentirlo. "Io vedo anche delle colline."
"Cosa!?" e Lance, scattando in ginocchio, dovette ricredersi.

In lontananza, col sole che stava iniziando a tramontare alle loro spalle, e non più allo zenit, si intravedeva una linea più scura a sormontare quella specie di piccolo deserto.
"Sta calando la notte... dobbiamo inventarci qualcosa" continuò Keith stancamente, poggiando una mano sulla spalla di Shiro.
"Sì, tipo una macchina del tempo per tornare indietro ed evitare questo disastro."
"Lance!"
"Ok ok. Ci pensa Capitan Lance, non preoccuparti. Mio padre mi ha insegnato a sopravvivere a situazioni come queste. Possiamo cavarcela! Ed essere finalmente liberi."
Nonostante tutto, forse per colpa della stanchezza in primo luogo, Keith gli sorrise, fidandosi.
sidralake: (Default)
2019-02-20 11:55 pm

[Voltron] Serenità

 

Cow-T, seconda settimana, M2

Prompt: Pioggia

Numero parole: 6611

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith/Lance, Lotor & Generalesse, vaghi hint Lotor/Lance e Lotor/Shklance onesided (che roba complicata)

Note: mpreg ma lieve lieve lieve, come neve ~ omegaverse (Alpha!Shiro, Omega!Keith, Omega!Lance)


Alla socia,
è tutta sua.




Altea e Daibaazal erano stati due pianeti prosperi e amici per migliaia di anni. Le circostanze in cui si erano conosciuti come popoli affondavano la verità nella leggenda, ma  erano storie che da ambo le parti venivano raccontate sempre con piacere, per arrivare a come le prime alleanze tra i due erano state sancite e da lì rinnovate di generazione in generazione, con un ardore e una volontà sempre nuove.

Re Alfor e l’Imperatore Zarkon non erano stati da meno sin dai loro primi anni. Amici di infanzia e compagni in battaglia, erano per l’opinione pubblica forse i più grandi rappresentati da sempre di quell’amicizia che vigeva tra i due pianeti.

Questo finché l’Ombra non era calata su di loro.

Le circostanze dell'incidente che aveva portato quell’alleanza millenaria a sfaldarsi erano ancora oscure, ma tutte le testimonianze concordavano che fosse iniziata con la caduta di una cometa. Tuttavia, da quel momento, erano solo state voci, che si erano trasformate poi in grida di guerra, in maledizioni, im omicidi a corte e quell’Ombra, costante, che sembrava insinuarsi costantemente in ogni spiraglio, in ogni tentativo di fermare la lotta e riportare la pace. Una terza fazione invisibile che, dopo decine di anni di morte, sembrava aver subito un duro colpo grazie a una nuova, rinnovata alleanza tra gli eredi di Nuova Altea e Ultima Dalbaazal. Un matrimonio politico, deciso a un tavolino di pochi, non tutti conosciuti, contendenti in quella guerra. Un accordo che alla luce del sole prometteva solo di realizzare quei tanti agognati desideri di pace, ma che in tutto ciò che non era stato scritto su carta celava segreti ben più neri di quell’Ombra che tentavano di annientare.



Su Fara pioveva senza sosta da giorni.

La stagione fredda era alle porte e quel cielo temporalesco si stava dimostrando un’anteprima di quello che nei phoeb successivi li avrebbe attesi, fino allo sbocciare della primavera.

Era stato Lance a scegliere quel pianeta come sede della nuova alleanza galattica tra Galra e Alean. A suo dire, lui non aveva avuto molta voce in capitolo nell’accordo, salvo quella di proporsi come sacrificio sull’altare della pace. Per questo aveva preteso che Fara diventasse il nuovo centro di potere. Aveva avanzato motivazioni storiche, quasi leggendarie, dato che Fara era citato come il pianeta in cui per la prima volta Altean e Galra avevano collaborato per far nascere millenni di prosperità tra le due razze. Ma chi conosceva Lance, sapeva che voleva risiedere lì perché gli ricordava tanto la Terra e la sua metà umana di figlio bastardo. A distanza di anni, ancora non era chiaro come il figlio di una relazione clandestina che tutti, tutti conoscevano, potesse essere diventato un Principe così ben voluto da poter essere una pedina fondamentale in quel gioco di potere.

Sarebbe dovuta essere sua cugina Allura, erede legittima di Re Alfor, a prendere quella corona. Ma, per sua stessa decisione, velata o meno da risentimento verso l’erede Galra, non era stato così. Lei aveva scelto di rimanere libera da quell’imposizione, da quella rete di ragno in cui credeva Lance si fosse infilato, preferendo poter rimanere attiva e in gioco sul campo di battaglia. Aveva dei trascorsi con il Principe Galra, Lotor, in un impeto di gioventù che aveva portato entrambi quasi ad annientarsi a vicenda, schiavi dei propri retaggi famigliari. Per quanto non scorresse buon sangue tra loro, Allura aveva alla fine acconsentito di dare la propria benedizione a quella farsa che avrebbe dovuto portare una facciata di pace. Come aveva detto Lance, una sorta di Cavallo di Troia con cui fregare i loro avversari.

A tre mesi da un matrimonio volutamente sfarzoso, così che in ogni angolo della galassia se ne parlasse, e all’annuncio che di lì a meno di un anno la neonata alleanza avrebbe già visto l’arrivo di un erede, su Fara, sotto la pioggia incessante, quel patto tanto voluto stava portando a galla parte dei propri infausti segreti.



«Non entrerai in quella stanza in queste condizioni» Lotor lo disse fermo, senza fronzoli nella voce che fossero rabbia o il disgusto latente per la situazione.
Era in piedi, statuario, al centro dell’anticamera, e fissava Shiro che, a pochi passi da lui, bloccato dalle armi delle guardie di corte, ringhiò minaccioso, rimbombando sulle pareti e coprendo lo stesso rumore della pioggia.

Era quel tipo di ringhio che Lotor aveva imparato a conoscere dalla loro frequentazione. Non era un retaggio Galra, perché in fondo Shiro non aveva una goccia di quel sangue, ma solo anni di schiavitù e cultura marchiate nelle cicatrici del suo corpo. Tuttavia, non era davvero neanche un verso umano. O almeno, Lotor non aveva mai compreso come gli esseri umani, creature geneticamente deboli, potessero imporsi con un'inflessione tale; ma quella stessa razza portava continuamente sorprese, come quello di un secondo genere.

Shiro stava usando il suo tono di Alpha, denominato così nelle ricerche sui terrestri. Era il tono di un leader per alcuni, ma di una bestia per lui. Eppure, Shiro veniva riconosciuto proprio come un generale da seguire.

Prima il Campione delle arene infernali, poi un soldato, e infine il Capo principale dei ribelli. Lotor stesso aveva dovuto ammettere quelle sue doti, non soltanto in battaglia, ma anche durante i concili, quando gli animi si scaldavano e lui era capace non solo di fare da mediatore, ma anche di trovare la soluzione, la strada da percorrere, mettendo insieme le opinioni, i moti rivoluzionari di impavidi e i dubbi di chi quella guerra voleva solo che finisse.
Tuttavia, quel tono da Alpha Shiro non lo usava mai in quei frangenti. Non una volta Lotor lo aveva sentito indirizzato ai suoi uomini, o con quelli della Lama di Marmora, con i capi degli altri gruppi ribelli. Lo conosceva per altri ambiti. Quelli che lo disgustavano, quelli che da sempre aveva considerato "da animali".
Shiro usava il tono da Alpha con i suoi due Omega, con Keith e con Lance. Ma non come le storie terrestri millantavano, non per sottometterli alla sua volontà e dominarli. No, si trattava di un tono con cui Shiro rimarcava la loro relazione, con cui era capace di accendere in loro il desiderio, di tenerli stretti a sé e tacitamente ricordare la fiducia che in tre si erano scambiati. Non era sottomissione, non era asservire la loro volontà. Era qualcosa che Lotor ancora non era riuscito a comprendere. Una mutua promessa, ma non fatta di parole che dovessero ripetersi di volta in volta. Un legame invisibile il cui unico sigillo era la lieve cicatrice di morsi che portavano ai lati del collo - o, nel caso di Lance, nell'interno coscia.

Bestie. Non c'era altro termine con cui il Principe dei Galra potesse riconoscerli. Soprattutto da quando quel tono era riuscito a procurare brividi indesiderati anche a lui, ma di lasciarsi soggiogare a un richiamo di carne e piacere, e neanche un invito rivolto a lui... non era quello che avrebbe fatto.
Come in quel caso, non si sarebbe piegato a farlo passare.
«Principe Lotor... quest’uomo… è il capo dei ribelli...» sottolineò una delle guardie, che premeva con la lancia per tenere sul posto Shiro, ma senza volerlo far retrocedere, avendone riconosciuta l'autorità.

La maggior parte dei soldati di Fara, in special modo quelli dei quartieri privati dei Principi, erano stati scelti o tra i ribelli o tra le Lame di Marmora per poter essere sicuri della loro lealtà. Ma quella notte, con la pioggia battente oltre le immense finestre che toccavano terra, quella lealtà stava per essere messa alla prova.

Nessuno sapeva realmente perché Shiro fosse lì. Perché, fradicio e senza aver avvertito di quella visita, senza essere passato dai canali segreti, desiderasse così ardentemente varcare la soglia delle stanze dei novelli sposi, il Principe Lotor e il Principe Lance.

Lotor era tra i pochi al corrente della verità e, probabilmente, il solo che, con una parola, avrebbe potuto far crollare quel castello di carte e farli uccidere tutti.

Si contava sulla punta delle dite chi fosse a conoscenza della trama che giaceva sotto la commedia di quell’unione e, per l’incolumità degli stessi popoli che aveva appoggiato il matrimonio, quella trama sarebbe dovuto rimanere nascosta, dimenticata, se fosse stato possibile.

Fu quella notte che Lotor capì la gravità della decisione che avevano preso, l'impulsività della sciocchezza a cui mai, mai avrebbero potuto porre rimedio, o di cui mai avrebbero potuto rivelare la verità. Come potevano credere di ricostruire la pace, se questa si basava su una menzogna?
Ma i giochi erano fatti. Nessuno poteva tornare indietro e tutti avrebbero dovuto adeguarsi. Shiro per primo.
«Non lasciatelo avanzare di un passo. È un ordine» di nuovo, la voce di Lotor fu irremovibile di fronte ai ringhi del Campione. Lo guardò dall'alto in basso, assottigliando gli occhi di fronte al suo opporre resistenza. Tuttavia, la mano non strinse mai l'elsa della spada al suo fianco. Questo Lotor non lo avrebbe fatto. Avrebbe usato altri mezzi, ma mai versato il sangue di Shiro.
«Cerca di riprenderti» disse invece, moderando il tono in qualcosa di nuovo anche per lui. Non lo aveva addolcito, non si sarebbe piegato a capire il suo istinto. Però non voleva neanche che Shiro lo vedesse per un nemico. Non lo erano mai stati e non avrebbero iniziato quella notte per un futile motivo. «Questo non è il Campione a capo dei ribelli, Shiro. Non sei una bestia» continuò, facendo un passo avanti per fare in modo di essere l'unica presenza nel suo campo visivo.
Le guardie faticarono a trattenerlo, ma non demorsero dallo sforzo, anche quando Shiro usò di nuovo quella sua voce da Alpha, capace di provocare timore persino in un Galra con la giusta dose di potenza e inflessione. E quella notte, Shiro pareva intenzionare a rimarcare appieno chi fosse e cosa volesse.
«Lasciatemi passare» ruggì, riuscendo a fare anche lui quasi un intero passo in avanti. «È mio. Mio. Lo rivoglio.»
Alle tenui luci dell’anticamera, i soldati presenti erano sconvolti e non capirono. Lotor, al contrario, comprendeva fin troppo a fondo.
«Lo hai lasciato scegliere» gli ricordò, ancora una volta senza caricare la voce di emozioni. «E lo abbiamo accettato tutti. Tu hai accettato, io ho accettato.»
Non parevano le parole giuste da usare. Non quando Shiro sembrava a tanto così dal dilaniare la gola di qualcuno di loro con il solo uso dei suoi denti umani, e delle mani, che anche se strette intorno alle lance che lo costringevano ad arretrare, Lotor sapeva che potevano scattare da un momento all'altro e fare seriamente male, fino a uccidere, chiunque lì dentro. E questo non andava bene.
Come se fosse stato chiamato da quel pensiero, dalla stessa porta da cui era entrato Shiro giunse trafelato anche Keith e Lotor non sembrò particolarmente felice di vederlo. Era un'altra mina vagante come Shiro, un’altra bestiola. Difficilmente lo avrebbe avuto dalla sua parte. Con il mezzo Galra, però, sopraggiunsero anche Acxa, Ezor e Zethrid.
«Tenetelo fermo. Non permettetegli di passare.» ordinò Lotor, guardando le tre generali. Sapeva che di loro si sarebbe potuto fidare ciecamente. Anche se erano tutti dalla stessa parte in quella stanza, la loro passata fiducia verso di lui ancora contava qualcosa.
Le guardie si fecero da parte e poterono tirare il fiato. Shiro non rese quella sostituzione facile, lottando per conquistare terreno verso la porta che tanto agognava raggiungere.

Ma a Zethrid bastò imporgli le mani sulle spalle e forzarlo a stare fermo, mentre Ezor gli prese il braccio meccanico, chiudendolo con le manette insieme all'altro braccio; Acxa lo tenne sotto tiro del blaster, impostato sulla funzione stordente.
«Guardie, andate» ordinò Lotor. Ci furono dei tentennamenti; qualcuno sembrò mettere sulla bilancia la scena e soppesare le fazioni. Nell’anticamera stavano per rimanere solo i mezzi Galra da soli con il Comandante Shiro, l’unico umano tra loro. Lotor intuì. «Al Campione non verrà torto un capello. Avete la mia parola» promise, guardando il più alto in grado, che alla fine spinse fuori i compagni e chiuse le porte dietro di sé. Oltre alla pioggia, ora c'era anche il rumoreggiare dei tuoni.
«Shiro...»
Fino a quel momento, Keith era rimasto in disparte, impietrito di fronte alla scena, e non era da lui. Qualcosa lo stava frenando più del vedere Shiro costretto in quella maniera. Lotor lo osservò con attenzione; le narici del giovane mezzo Galra fremevano e le sue mani erano chiuse a pugno, come cercasse di trattenersi. Un leggero rossore gli sfumava le gote, ma piuttosto tenue.
«Keith» lo chiamò, piano, ma suonando alla stessa maniera di un altro ordine. Una sorta di scrollata. «Prendi Shiro e portalo via di qui prima che faccia qualcosa di stupido.»
La voce di Lotor sembrò in grado di farlo tornare in sé e spostare il centro dell'attenzione dall’Alpha. Lo vide respirare di nuovo, ma trattenere il fiato quando Shiro emise un nuovo verso totalmente di gola, furioso ma non battagliero.
«Che cosa succede?» chiese Keith, ma non sembrò rivolgersi a qualcuno in particolare per avere quelle informazioni. Tentò ancora di tenere lo sguardo lontano da Shiro e si rivolse a Lotor, ricomponendo la propria figura, nonostante il tono di Shiro e l'odore che emanava lo stessero scuotendo nel profondo.
«Vuole entrare nelle mie stanze» spiegò lentamente Lotor, sapendo di dire solo la metà di quella verità.
«È mio» ripeté di nuovo Shiro, forzando i polsi fino a crearsi delle abrasioni su quello umano. Ezor guardò prima Zethrid, poi Lotor, in parte inquietata, in parte curiosa.
«Non entrerai nella stanza in queste condizioni» per la prima volta, il tono di Lotor fu venato finalmente da qualcosa che non fosse la sua rigida compostezza. Non fu intenzionale, ma quella situazione iniziava a minare la sua pazienza e non aveva idea di come risolverla. Quindi optò di abbassarsi al livello delle bestie, e non solo metaforicamente. Si chinò in avanti, per essere a pochi centimetri da Shiro.
Non percepì alcun odore rilevante, a differenza di Keith che ne sembrava frastornato. Per lui era solo pelle sudata, tesa e bagnata di pioggia. Ciò che lo trattenne fu il viso di Shiro, sconvolto come mai lo aveva visto. Aveva avuto modo di osservare quel volto ricoperto di sangue, di ferite, di collera, odio, di stanchezza, di amarezza, di amore. Ma mai sfigurato così. E gli fece rabbia. Perché sapeva per chi fosse quello struggimento, a chi fosse rivolto quel desiderio di possessione. E il solo pensarlo, incrinò in modo sleale il suo autocontrollo.
«Hai Keith. Prendilo e scopatelo lontano da qui.»
Shiro tentò sul serio di morderlo in uno scatto che riuscì a cogliere alla sprovvista Zethrid, sfuggendole dalla presa. Lotor fu veloce a tirarsi indietro ed evitare di essere preso o urtato. I capelli gli ricaddero disordinati sulle spalle e solo per un istante provò paura e... fascino.
«Non sparare» Lotor ammonì Acxa quando sentì il primo scatto che caricava l'arma. Lei non parve convinta della decisione, ma non si mosse.
Quel tafferuglio servì a Keith per sbloccarsi e frapporsi tra Lotor e Shiro, azione che sembrò distrarre per qualche attimo il Campione.
«Shiro...» provò il ragazzo, ma sembrava incapace di toccarlo. «Va tutto bene. Siamo tutti al sicuro» continuò. Lotor aggrottò la fronte, cercando di stare al passo con quel discorso, mentre Shiro ringhiava di nuovo di gola, ma in maniera quasi più sottomessa, guardando alternativamente l’Omega e poi la porta che voleva raggiungere con disperazione.
«Lance sta bene» insistette ancora Keith.
Anche le ragazze, ora, mostrarono il loro stupore.
«Cosa sta succedendo qua, esattamente?» chiese Ezor, con quel suo tono un po' da gossip persino in una situazione di tensione.

«Capo?» anche Zethrid si aggiunse, dubbiosa, essendosi probabilmente immaginata una qualche rivolta in atto.
Keith si volse verso Lotor, quando questi non rispose subito, e il Principe lo squadrò, in attesa. Il giovane pupillo di Kolivan era nella sua versione Galra, con le orecchie feline che spuntavano dai capelli corvini, gli occhi sui toni del giallo e la pelle violacea come la sua. Assegnato come guardia del Principe Lance, lì a palazzo Keith doveva sembrare un componente della Lama di Marmora a tutti gli effetti, e non un mezzo umano mezzo Galra capace di mutare natura a piacimento. Un’altra scomoda verità in quella pantomima.

Tuttavia, nel trambusto sollevato da Shiro e dal suo umore, Keith aveva le orecchie basse, appiattite, e dava l’idea di essere stato appena ritrovato fuori sotto la pioggia.
«Vuole vedere Lance» disse infine, con un tono desolato e così poco da lui, ma che nel quadro della situazione affondava le radici nel problema che avevano creato con le loro stesse mani.
Lotor non rise sprezzante soltanto perché non era il momento e quell’alterigia gli si sarebbe ritorta contro. Inoltre, anche se in quello stato, nutriva ancora rispetto per Shiro.
«Non entrerà nelle mie stanze così» ripeté, e si maledisse un po' per continuare a sottolineare quella possessività. Ma il punto rimaneva quello, e lo sottolineò indicando la figura di Shiro, ma in maniera più specifica dalla cintola in giù.
Keith se ne accorse soltanto in quel momento, arrossendo. Oltre a essere così furioso - e stressato, dall'odore che emanata - Shiro era anche eccitato in maniera evidente.
Prima che l'imbarazzo, o qualche battutina da parte delle ragazze riempisse la stanza, Lotor parlò di nuovo.
«Non lo lascerò andare dal Principe in queste condizioni. Non mi importa che sia un qualcuno dei vostri rituali da bestie Alpha e Omega.»
«Shiro non farebbe mai del male a Lance o-» ribatté Keith, ma Lotor lo interruppe subito, con lo sguardo ancora più tagliente di prima.
«Il Principe porta in grembo l'erede su cui abbiamo intenzione di costruire questa pace. Lo avete affidato a me e io vi ho dato delle condizioni per tenere segreto tutto questo. Se il Campione deve comportarsi come un Alpha in grado di ragionare solo con l'istinto, non vi permetterò di mettere più piede in questo castello fino al termine della gravidanza.»
Non fu silenzio totale soltanto per colpa della pioggia, ma Lotor era consapevole di aver ceduto e di essersi lasciato sfuggire non soltanto il disgusto, ma anche quel sentimento che tanto cercava di reprimere; si augurò che nessuno, in special modo Shiro e Keith, lo cogliessero. Lui non era parte di quella loro relazione. Non poteva e non voleva. Ma Lance era un'altra questione, e lo era prima ancora di quel patto voluto per cambiare le cose.
Si creò una nuova situazione di stallo. Shiro riprese a ringhiare e ribellarsi, e Keith, diviso tra i due, sembrava cercare le parole per sistemare quella situazione. Iniziò da Shiro stesso, abbracciandolo e guidando il suo volto contro il proprio collo.
«Shiro, va tutto bene. Lance è al sicuro. Il bambino è al sicuro. Lotor li vuole soltanto proteggere.»
«Keith...» mormorò Shiro, strusciando il naso e il viso contro l’incavo e la zona sensibile dove anni prima lo aveva morso, per sigillare il loro legame. Ne aspirò l'odore lenitivo come un naufrago tratto in salvo.

Zethrid sentì il Campione rilassarsi tra le proprie mani, ma non si fidò ad allentare la presa, nonostante anche le braccia e i polsi smisero di tirare le manette. Per un attimo, Shiro sembrò sul punto di crollare addosso a Keith, ma lui non si mosse e lo sorresse nell'abbraccio.
«Va tutto bene. Stiamo bene.»
«Keith... ho bisogno... ho bisogno di vederli...» mormorò Shiro spezzato, col viso completamente nascosto nell'incavo del collo del suo Omega.
«Lo so...»
Servì qualche altro minuto perché Zethrid non sentisse più la necessità di stringere in una morsa le spalle al Campione. Shiro stesso tornò padrone di sé, staccandosi da Keith e rimettendosi in piedi, nonostante le manette. Tenne gli occhi chiusi ancora per un po', concentrato su inspirare ed espirare l’aria per tornare ad avere il controllo totale. Quando li riaprì, guardò dritto davanti a sé il Principe dei Galra, ancora fermo e all'apparenza irremovibile di fronte la porta delle sue stanze.
«Perdona il mio comportamento, Lotor» disse Shiro, in un tono totalmente umano e stabile. Era tornato a essere il Capitano che guidava le armate ribelli in quella guerra, mentre il tono da Alpha ora era solo un fastidioso ronzio nelle orecchie di Lotor. «Ti ringrazio per non avermi fatto passare» continuò, abbassando lo sguardo per terra, vergognandosi di sé. Keith gli strinse il braccio e Shiro si sentì incoraggiato a continuare. «Non farei mai del male a Lance o al bambino. Mai. Quello che hai visto di me poco fa...» chiuse gli occhi di nuovo e sul suo volto sembrarono combattersi varie emozioni. «Non giustifica quello che sto per dire, ma non vedo Lance da quando siete qui a Fara. La sua mancanza e questa nuova condizione… hanno preso il sopravvento» e lo ammise senza vergogna, ma così sincero che Ezor e Zethrid fecero un passo indietro, mentre Axca abbassava il blaster. Era chiaro che la situazione di emergenza fosse rientrata. Tutti guardarono verso Lotor, per l’ultima parola. E Lotor odiò dover dire la cosa giusta. Odiò quella situazione, l'essersi fatto incastrare in quel patto. Odiò se stesso per non poter ammettere quello che avrebbe voluto. Lotor odiò doverlo dire.
«Puoi entrare» disse soltanto. Fece un cenno a Ezor perché rimuovesse le manette. «Ma se sento che stai facendo qualcosa a Lance...» e per la prima volta poggiò la mano sull'elsa della spada, nonostante sapesse fosse una minaccia vuota prima di tutto per lui.
Shiro attese che gli altri se ne andassero. Vide Lotor lasciare l'anticamera a sguardo alto, seguito dalle tre ragazze - Ezor prima di sparire, sghignazzò qualcosa di sconcio, per cui si meritò uno scappellotto da parte di Acxa.
Poi, lui e Keith entrarono nella camera di Lance e Lotor.

Si richiusero piano la porta alle spalle. La stanza era completamente immersa nell'oscurità, con appena i bagliori delle luci di cortesia a colorare di azzurrognolo la penombra. Le tende erano tirate, ma anche lì si sentiva l'infuriare della pioggia contro i vetri. Una pioggia che non avrebbe lavato via quello che avevano fatto, ma che nel silenzio sembrava loro complice.
Shiro e Keith non avevano bisogno di accendere alcuna luce per sapere dove muoversi. Keith conosceva quella stanza, passandoci quasi tutto il proprio tempo, mentre a Shiro bastava seguire l'odore di Lance. Era dolce come il giorno in cui gli aveva annunciato di aspettare un bambino. Molto più intenso di allora, o probabilmente era il suo olfatto, che non sentendolo da più di due mesi, glielo faceva percepire così vivo.
Il letto a bandacchino era più sontuoso di quanto Shiro si fosse immaginato. Era enorme, alto, e con diverse tende leggere a velarlo. Non poteva notare i dettagli con quella fioca luce, ma era certo che Lance avesse scelto l'arredamento (e che Lotor avesse smorzato il troppo kitsch).

Attraverso i tendaggi, al centro del letto, con le coperte, le lenzuola e i cuscini a circondarlo, Lance dormiva su un fianco, le ginocchia piegate, e una mano sulla curva del ventre che sporgeva dalla camicia da notte.

Shiro trattenne il respiro e Keith lo sentì tendersi di fianco a sé. Nel silenzio ovattato dal temporale, l’Omega fece scivolare la mano in quella dell’Alpha, stringendogliela.
«Stanno bene» sussurrò, guardando Shiro di sottecchi, il cuore che batteva forte nel petto a vedere la commozione nei suoi occhi. «Sto con lui tutto il tempo che posso. Gli manchi tantissimo. Ha anche cercato di svignarsela e venire da te... ma Lotor ha ragione» ammise, stringendo le dita della mano libera a pugno, sentendo una vena di odio per se stesso per essere stato anche lui artefice di quella messinscena. «Questo bambino è troppo importante per la pace.»
Shiro chiuse gli occhi e trasse un respiro per calmare sé e il senso di colpa. Erano stati degli sciocchi e degli ingenui. Avevano sacrificato l'esistenza di un bambino, del loro bambino, a una bestia che ancora non erano sicuri di poter domare.
«Qualche volta penso che sarebbe così facile far sparire Lance, portarlo lontano da qui e mettere entrambi al sicuro» disse Keith, come se avesse potuto leggere e dare voce al pensiero successivo di Shiro, che guardò di sottecchi, per poi abbassare lo sguardo e continuare. «Ho studiato tutte le difese, i punti ciechi e i punti forti di questo castello. Potrei portarlo via sia in pieno giorno sia di notte, senza che nessuno scopra cosa sia successo» respirò a fondo. «Potrei portarlo su Tranmar, oppure su Silonia. Li conosci? Forse il primo no, era un posto su cui mi portò da piccolo mio padre. Non è praticamente in nessuna mappa perché si trova nel confine esterno, però è un pianeta che non conosce la guerra e ha tanto, tanto blu. A Lance piacerebbe» sorrise tra sé, con un'ironia triste, perché sapeva che una cosa del genere non sarebbe mai successa. «Lance sente la tua mancanza e parla sempre di come tutto questo sfarzo non faccia per lui. Ma poi lo vedo come si aggira per i corridoi, per le sale, come parla con la nobiltà o anche con chi chiede udienza. Lance è nato in mezzo a tutto questo. Lance potrebbe davvero riuscire a portare la pace in questa guerra» sospirò, in parte sconsolato. «Non è come noi. Lui si adatterebbe alla nostra vita… finché sa di poter avere noi, sarà felice. Però abbiamo scelto, tutti. Lui sapeva cosa avrebbe significato sposare Lotor portando in grembo tuo figlio. Ma sapeva anche che era l'unica soluzione possibile per ottenere questa pace comandata. E noi siamo stati i boia che lo hanno accompagnato al patibolo.»
«Keith...»
«Non riuscirò a non farmene una colpa, mai. Dannazione... cosa abbiamo fatto, Shiro? Quel bambino crescerà chiamando Lotor padre!»
Shiro gli strinse la mano. Gliela strinse forte, perché stringeva forte anche quel che restava del proprio cuore, sperando non cadesse in pezzi come era già successo poco prima che arrivasse lì. Perché aveva realizzato tutto quello in ritardo, quando di Lance era rimasto un flebile sentore. Perché tre mesi senza di lui erano stati tre mesi senza aria. E se contava pure il bambino... questo aveva scatenato gli istinti da Alpha, portandolo a irrompere nel castello nel pieno della notte e sfidare apertamente Lotor. E tutto per una decisione per cui aveva dato il proprio consenso.
«Scusami. L'ho capito quando ti ho visto che... che dovevamo aver avuto lo stesso pensiero. Il tuo odore... la tua voce... non ti ho mai sentito così. Mi hai spaventato» si scusò il mezzo Galra, poggiando la fronte contro la sua spalla.
«Mi dispiace… Ero fuori di me, non volevo-»
«Mi hai spaventato perché ti ho visto distrutto...» gli parlò sopra l’altro. «Ho sentito tutto, tutto il dolore che stavi provando per non poter avere Lance con te.»
Shiro si passò la mano libera sul viso, senza smettere per un attimo di guardare Lance che continuava a dormire, ignorando la loro presenza. Era così bello, era così suo eppure quei pochi tendaggi parevano le mura del castello stesso, frapponendosi tra loro.
Ispirò profondamente per poter sentire di nuovo il suo odore, pienamente. Così famigliare e avvolgente, riusciva a stemperare il dolore che aveva dentro, riusciva a tenere insieme quei pezzi che aveva sentito scomporsi e non reggere la sofferenza. Sentì anche l'odore di Keith, e non solo perché gli stava di fianco, ma lo avvertiva provenire dal nido che Lance aveva costruito. E sentì anche... l'odore di Lotor.

Quella era anche la stanza di Lotor. Era la stanza di Lance e Lotor. Se lo aspettava. Si era ripetuto più volte che, quando sarebbe andato a trovarlo, lo avrebbe sentito lì. Era anche vero che l'odore proveniva dalla camera in sé e non dal letto, e questo placò in parte il suo istinto di Alpha. Tuttavia, ciò che lo sorprese, fu che non lo trovò invasivo. Sì, il suo essere era in parte disturbato dall’avvertirne la presenza, ma qualcos'altro lo trovò giusto. Non solo razionalmente, perché Lotor era parte di quell'accordo. Ma percepiva in quel sentore qualcosa di diverso, non l'odore del Lotor che conosceva dal campo di battaglia, e neanche quello del Lotor che lo aveva fermato dal piombare in questa stanza e spaventare Lance (si ripeté ancora una volta che non avrebbe mai fatto del male a Lance, ma sapeva anche che, se prima fosse riuscito a passare, avrebbe dato il peggio di sé in fatto di gelosia).

No, l'odore arrivava a lui lì dentro era qualcosa di protettivo e se ne sorprese. Sapeva che Lance e Lotor si conoscevano dall'infanzia. In fondo, era stato Lance a giudicare la fiducia di Lotor, a fare da tramite con lui quando i sospetti non pendevano a suo favore. Però era anche vero che Lance stesso aveva faticato a riconoscere il Lotor che si era presentato a loro con una proposta di alleanza, dopo che per diverso tempo avevano solo sentito voci contrastanti sul suo conto. Tuttavia, ora, quell'odore stava rassicurando stranamente Shiro, e gli comunicava anche qualcos'altro. Qualcosa che non riuscì a identificare, ma che andava bene. Non era ostile e lui era semplicemente stanco.
«Lotor... si sta comportando bene» e non era una domanda quella di Shiro. Keith lo guardò scettico e imbronciato, diviso tra i propri sentimenti e il dover dargli ragione.
«Sì, Lotor... sta rispettando la sua parte di accordo» disse, in una sorta di via di mezzo.
Per la prima volta, quella notte, Shiro riuscì a sorridere un po' e a sentirsi a casa, senza bisogno di pareti fisiche, ma soltanto perché era con le persone che amava.
«Sarò una brutta persona, ma ho intenzione di svegliarlo.»
Keith parve sorpreso.
«Avevi intenzione di farlo dormire dopo che hai smosso mari e monti lì fuori? Ti assicuro che si riposa fin troppo. Non fa assolutamente nulla duranta la giornata, mi dà solo il tormento ogni istante.»
Shiro ridacchiò ancora, piano, perché voleva svegliare Lance a modo suo. Fece un passo indietro e si liberò delle parti superiori dell'armatura, ancora lucide di pioggia. Si ravviò anche il ciuffo, appiccicato alla fronte, e si tolse tutto quello che poteva essere fastidioso per abbracciare Lance. Poi si spostò sul lato del baldacchino, senza togliere gli occhi di dosso dalla figura dell'Omega addormentato un solo istante. Sarebbe potuto sembrare un predatore, ma Keith vide amore e nient’altro nel suo sguardo.
Shiro scostò le tende del baldacchino e poggiò un ginocchio sul materasso. Era così largo che la pressione non arrivò neanche a infastidire il nido di Lance. Poggiò piano le braccia in avanti e poi aspettò.
Lance arricciò il naso una prima volta, emettendo un leggero mugolio. Poi il suo naso si contrasse una seconda volta e l’Omega cercò la fonte dell'odore che stava sentendo, girandosi inconsciamente nel sonno. Le lenzuola frusciarono, la stoffa della camicia da notte si tese sul ventre.
Ancora lentamente, Shiro si fece più avanti e, piano, chinò la testa per arrivare a sfiorare il collo dell'Omega e riempirsi a pieno i polmoni di quell'odore che stava ristorando il suo animo. Non si mosse da dov'era, ma portò le labbra a lasciare un bacio sotto il suo orecchio; poi, pianissimo, sussurrò per destarlo.
«Ehi, bell’addormentato...»
Keith doveva ammettere che Lance incarnava proprio una delle principesse delle favole che amava raccontare ai bambini di corte, quelle che venivano svegliate dal bacio del vero amore. Lance mugugnò di nuovo e stavolta aprì gli occhi. Mise a fuoco il viso di Shiro e una felicità piena di serenità gli colorò le gote. Alzò una mano e la portò alla guancia del Campione, lasciandosi quasi sfuggire un singhiozzo nel toccarlo.
«Sei reale...» sussurrò, come ad accertarsi di non stare sognando.
Shiro annuì e Lance, accostando anche l'altra mano al suo volto, lo avvicinò a sé per baciarlo.
«Stavo immaginando esattamente questo» sussurrò quasi ridendo, quando si separarono. «Eravamo in un bosco e io ero vittima di un incantesimo in una bara di cristallo, ma tu arrivavi da me e mi svegliavi proprio così.»
Keith sbuffò, roteando gli occhi al soffitto e palesando, involontariamente, la propria presenza. Lance trasalì appena ad accorgersi di lui e Shiro lo strinse a sé in un moto inconscio.
«Uh. Nel mio sogno c'eri anche tu» borbottò Lance, con un buffo broncio assonnato. «Eri un nano rompiscatole che faceva la guardia alla mia bara, continuando a borbottare di non essere un babysitter.»
Keith sollevò un sopracciglio, per nulla impressionato.
«Non sono poi così fantasiosi i tuoi sogni.»
Lance si strinse di proposito a Shiro, facendo la linguaccia a Keith. «Digli qualcosa, mi rovina l'umore, costantemente! Sta sempre a lamentarsi e a ripetermi che non posso fare questo o quello.»
«Scusa!? Lance, non puoi uscirtene chiedendo di prendere una hoverbike e “farti un giro”!» protestò Keith, levandosi i tendaggi da davanti, ancora stanziato ai piedi del letto. Brontolò come non fossero le tre di notte di una notte piovosa che li aveva stravolti e messi in bilico, ma un giorno qualsiasi della loro nuova vita di pace apparente. «Aspetti un bambino e sei al quarto mese. E anche non fossi in questo stato, non mi fiderei a lasciarti su una hoverbike da solo.»

«Oh, scusa mamma, se ti do tante preoccupazioni.»

Le dita di Keith artigliarono l’aria davanti a sé, desiderando ardentemente di stringersi intorno al collo dell’altro Omega. «Giuro, ancora cinque mesi e poi ti- ti-»

«Mi fai questo, mi fai quello, gne gne» lo scimmiottò Lance non solo a parole, ma anche con una mano che si apriva e chiudeva a becco. Nel mentre che Keith malediceva il giorno in cui si erano incontrati, il Principe Alteano si tirò un po’ più a sedere, invitando Shiro dentro il nido di coperte per averlo più vicino.

«Ehi, sei bagnato» constatò Lance solo in quel momento, tastandogli il capelli. «Non dirmi che Lotor ha fatto storie per farti entrare» scherzò, ma sia Shiro sia Keith si irrigidirono appena, dissimulando un attimo dopo.

«Ho dovuto lasciare lo starfighter lontano dal castello per non farmi vedere. Ho-» Shiro ci pensò al volo, a mentire, per non farlo preoccupare. Un altro giorno sarebbe stato sincero, ma in quel momento aveva solo bisogno che Lance fosse tranquillo. «Ci sono stati un po’ di problemi di comunicazione per via della pioggia. Non sono riuscito ad avvisare del mio arrivo.»

Keith osservò Lance stropicciarsi un occhio, mentre sembrava soppesare quelle parole. Le sue labbra si incresparono, facendolo sembrare un bambino.

«Sei stressato» constatò, prendendogli di nuovo il volto tra le dita per guardarlo meglio. «È successo qualcosa?»

Nonostante tutto, Shiro in quel momento era solo felice e sorrise sincero. Le proprie mani si poggiarono su quelle del compagno, e ne scostò una per baciare il palmo e il polso, strusciandoci poi contro la guancia.

«Ora va tutto bene. Mi sei mancato.»

Con Lance bastavano poche parole per vederlo accendersi di felicità. I marchi sulle sue guance brillarono soffusi, come quelli sul suo corpo, i cui bagliori si intravedevano attraverso la stoffa della camicia da notte.

«Anche tu ci sei mancato.»

Nonostante il plurale, Keith sapeva che Lance non si stesse riferendo a lui. A differenza del Principe Alteano, lui poteva fare avanti e indietro tra Fara e la base segreta dei ribelli e vedere Shiro con molta più frequenza. Ma non si sentì escluso, anche quando osservò Lance scostare una mano per prendere quella di Shiro e guidarla sul proprio grembo. I suoi due compagni insieme e felici erano semplicemente ciò di cui aveva bisogno per continuare a lottare.

«Ulaz dice che va tutto a gonfie vele. Non proprio con questi termini perché non credo abbia mai visto una barca in vita sua, ma l’idea è questa» ridacchiò Lance, intrecciando le dita con quelle di Shiro. «Il bambino sta bene, io sto in perfetta forma, Keith si assicura di soffiare a chiunque mi si avvicini, compreso Lotor… insomma, sta funzionando.»

Shiro lo ascoltò a metà, mentre abbassava il viso e lo nascondeva di nuovo nell’incavo del suo collo, inspirandone l’odore con una necessità che sperava non trasparisse del tutto. Lance non era però così infantile da non accorgersi di alcuni, chiari segnali sulla stanchezza del suo Alpha, ma mantenne il sorriso, scambiando furtivamente un’occhiata con l’altro Omega. Keith sospirò a assentì piano, ma accennando anche lui un piccolo, incoraggiante sorriso.

«Vi lascio soli.»

«Keith.»

Qualsiasi pensiero di andarsene fu spazzato via dalla voce di Shiro. Di nuovo quel tono, quel timbro inconfondibile da Alpha che poteva richiamare l’attenzione dei due Omega anche in mezzo al caos di una battaglia.

Sia Keith sia Lance, di riflesso, avvertirono un brivido piacevole lungo la schiena.

«Vorrei che rimanessi» continuò Shiro. Se Keith non avesse assistito al crollo psicologico del Campione pochi minuti prima, avrebbe trovato la scena alquanto strana. Shiro non sembrava rendersi conto che stava usando la sua voce da Alpha. Ancora immerso nel collo di Lance, neanche fosse una maschera per l’ossigeno, il resto del suo corpo sembrava completamente rilassato all’interno del nido, a un passo dall’addormentarsi.

«Rimango» assentì Keith, liberandosi degli stivani e della parte superiore della sua suit viola.

«Prenderesti degli asciugamani prima?» sussurrò Lance, indicando con un cenno verso la porta del bagno.

Pochi minuti dopo - e altri “prenderesti quello? E anche quello!” da parte di Lance - tutti e tre erano sul grande letto matrimoniale. Lance aveva riarrangiato il nido con le cose chieste a Keith, rendendolo più confortevole; poi entrambi avevano fatto scivolare Shiro al centro, facendolo sdraiare più comodo. Lance, seduto contro una montagna di cuscini e la testiera, gli aveva fatto poggiare la testa sulle proprie gambe, mentre con un asciugamano gli frizionava i capelli e la pelle. Nel frattempo, Keith aveva anche recuperato dei pigiami con cui cambiare entrambi e liberarsi delle tute da combattimento con cui ormai vivevano.

«Ora va proprio meglio!» esclamò Lance contento, quando Shiro fu asciutto e drappeggiato in un tessuto confortevole, e circondato dall’odore suo e di Keith, che i tendaggi del baldacchino aiutavano a concentrare intorno a loro. I due Omega si stesero contro i fianchi dell’Alpha. Lance gli poggiò la testa sulla spalla e si fece circondare dal braccio umano, intrecciando di nuovo le dita con le sue sul proprio ventre; dall’altra parte, Keith si stese a pancia in giù, posando la testa sulle braccia incrociate e lasciando che la propria coda Galra stringesse pigramente entrambi i compagni.

«Mi fai il solletico» mugugnò Lance con un’occhiataccia all’altro Omega, la guancia schiacciata contro la pelle tiepida di Shiro.

«Wow, mi sembrava strano che non ti stessi lamentando di qualcosa negli ultimi cinque minuti.»

«Rovini sempre l’atmosfera!»

«Hai aperto tu la bocca per primo.»

«Sshh» soffiò piano Shiro, provocando di nuovo brividi in entrambi. Aveva le palpebre calate e i lineamenti rilassati da una tranquillità e una familiarità che non provava da tanto tempo e i due Omega capitolarono a vederlo così, rimandando qualsiasi altro battibecco alla mattina successiva.

Shiro era conscio del fatto che innamorarsi in tempo di guerra non era un affare, ma era successo, e quel breve momento sarebbe entrato a far parte di tutti i ricordi belli che conservava insieme agli altri due. Le due persone per cui la mattina si alzava e continuava a resistere, giorno dopo giorno, tornando a casa anche quando il nemico gli strappava dei pezzi. Le due persone che avevano superato il suo corpo malridotto e avevano trovato la strada per quello che era rimasto della sua anima, unendola alle proprie. Ci sarebbero stati mille modi per descrivere quanto Keith e Lance gli avessero donato e quanto di lui avessero preso da trasformare in meglio, ma tutto quello di cui in quel momento aveva bisogno era solo una notta come quella, per ricaricare le batterie, al caldo, col tepore della pelle e il pensiero che suo figlio stesse bene.

Quando quella guerra sarebbe finita, quando loro sarebbero potuti essere liberi da qualsiasi ombra, tutto sarebbe stato identico a quel preciso istante di pace.  



sidralake: (Default)
2019-02-15 12:45 pm

[Voltron] Taglio netto

 

Cow-T, prima settimana, Missione Speciale

Prompt: Capelli

Numero parole: 2064

Rating: Safe



Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Allura & Paladins, Kuron!Shiro.

Note: un what if post S3/S4? Ispirata a » questo edit «
Doveva esserci della Lotura, ma Lotor non è pervenuto, sigh.






Non c’era stato tempo per fermarsi. L’attacco degli androidi sentinella li aveva colti alla sprovvista quando pensavano di aver vinto. Armati non solo di blaster, ma anche di lame, uno di questi era quasi riuscito a decapitare Allura, mancandole il collo per un soffio.  

Nonostante lo shock sul suo viso nel vedere ciocche dei propri capelli finire in terra, la stessa principessa aveva gridato al resto della squadra di muoversi e correre ai Leoni.

Grazie alle cariche di esplosivo piazzate, avevano potuto distruggere una delle basi Galra più problematiche e bollare la missione come un successo.

Tuttavia, il team non sentì l’emozione per la vittoria, non con i singhiozzi malamente trattenuti di Allura negli auricolari dei caschi, prima che Pidge decidesse di interrompere le comunicazioni tra tutti finché non fossero tornati alla base.




Inconsapevole dell’accaduto, Keith fece rientro al Castello dei Leoni poche ore prima dell’alba preimpostata dal sistema di bordo. Terminata una ricognizione con la Lama di Marmora, aveva avuto il via libera da Kolivan per tornare e ragguagliare in prima persona i paladini sulla situazione.

Quello che non si aspettava di trovare era Allura nella sala allenamenti, circondata di bot di livello avanzato a metterla alle strette. Fu sul punto di intervenire, per istinto, quando il bayard blu si illuminò cambiando forma.

Tra le dita di Allura comparve una grossa spada alta quasi quanto lei. Aveva un’impugnatura lunga in cuoio blu, che la principessa afferrò saldamente con entrambe le mani; dalla guardia rettangolare e stretta partiva una lama piatta, larga quasi quanto il suo avambraccio, color tempesta.

I sensori dei bot raggiunsero il livello critico di pericolo e attacco, ma non ebbero scampo dalla furia negli occhi di Allura, che caricò l’attacco con un urlo rabbioso e falciò a metà tutti e cinque gli androidi.

Il protocollo di allenamento si spense, dichiarando la vittoria per l’avatar simpatico e sorridente di Allura, che in nulla, in quel momento, assomigliava alla proprietaria. Prima che la spada si piantasse sul pavimento si illuminò di nuovo, tornando alla forma di partenza del bayard.

Fu quando la squadrò con attenzione che Keith realizzò, o in parte intuì.

«Cos’è successo?» Allura trasalì alla domanda, non essendosi accorta della sua presenza. Ciuffi di capelli disordinati e irregolari le sfuggirono dal fermaglio con cui li aveva fissati in maniera frettolosa, finendole davanti gli occhi. L’ex paladino rosso insistette prima ancora di rendersene conto. «I tuoi capelli...»

Nonostante pensasse di essersi sfogata con quell’allenamento fuori orario, la principessa avvertì gli angoli degli occhi pizzicarle di nuovo. Anche stringere i pugni e imporsi di non piangere non servì.

Il conforto venne da un impacciato Keith, che la abbracciò posandole le mani sulla schiena e guidandola contro di sé. Cercò qualche parola per tirarla su, mentre lo sguardo inevitabilmente osservava le ciocche recise che scappavano dall’acconciatura improvvisata.

Alla fine non riuscì a dire niente, ma Allura sembrò apprezzare lo stesso e calmarsi.

Ore più tardi, il resto dei paladini, sbadiglianti e in pigiama, scorsero Allura e Keith seduti vicini a parlare, in una delle sale ristoro con lo sfondo delle stelle oltre la vetrata a incorniciarli. Di cosa stessero chiacchierando non lo intuirono, anche se doveva essere qualcosa di leggero e spensierato.

Shiro tappò la bocca a Lance prima che potesse palesare la loro presenza e spezzare quel piccolo tiepido momento in cui la principessa pareva tranquilla, nonostante la stanchezza sul suo viso.

«Andiamo a fare colazione» ordinò in un sussurro il paladino nero, facendo un cenno anche a Pidge e Hunk.




Quando Lance bussò alla porta della camera della principessa non si aspettò di trovarci anche Shiro e Pidge.

«Oh, ehi ragazzi, ehm… interrompo qualcosa?»

Erano tutti e tre seduti in fondo al letto, e come quella mattina con Keith, sembravano intenti a parlare di argomenti che stavano strappando un piccolo sorriso ad Allura.

Si scambiarono un’occhiata tra loro e fu la stessa principessa a parlare.

«Sto cercando di affrontare… questo» e si indicò i capelli, ora sciolti, che le ricadevano senza alcuna simmetria o ordine sulle spalle. Arrossì appena, abbassando lo sguardo, ma sembrò imporsi di non cedere di nuovo. «Pidge mi stava raccontando di quando si è tagliata i capelli per fingersi un ragazzo nella vostra accademia.»

Lance levò un sopracciglio, fissando la giovane Holt con ancora quello che dava tutta l’idea di risentimento per quella storia. Pidge stessa sbuffò, ma ghignò.

«Ce l’hai ancora legata al dito perché il tuo radar per ragazze ha fallito?»

«Tu che ti autodefinisci “ragazza” è questionabile. E sì, mi fidavo di te! Ti ho conf-» ma si bloccò, arrossendo furiosamente al ricordo di alcuni particolari che la sua memoria aveva secretato.

«Tutto bene, Lance?» si interessò Shiro con espressione curiosa.

Pidge, che a sua volta ricollegò perché anche lei aveva rimosso, rise con perfidia e un’espressione diabolica. «Oh, sta benissimo. Si è solo ricordato di una nostra conversazione sulle… bipartizioni.»

Né Shiro né Allura sembrarono cogliere.

«Io e te facciamo i conti più tardi!» brontolò Lance, facendo il gesto del “ti tengo d’occhio” con due dita verso Pidge, senza che la sfumatura accesa che gli andava da gota a gota sparisse. «Comunque, non prenderei a esempio il taglio di capelli del gremlin. Non c’è un ciuffo che segua una logica.»

«Che cosa!? Scusa tanto, non è che stessi lì con precisione a sistemarli, avevo altre priorità per la mente!» grugnì la Holt, incrociando le braccia. «Poi non vedo che differenza faccia, come se voi vi curaste particolarmente il taglio.»

«Alt, alt, alt! Non siamo mica tutti come Mullet-Selvaggio-Keith quI! O come-» e si girò a indicare con entrambe le mani la testa di Shiro, ma senza aggiungere niente di intelligibile.

«Che c’entro io adesso?»

Facendosi forza con un respiro profondo, Lance non ebbe pietà nel commentarlo.  

«Amico, è da quando hai cambiato look che te lo volevo dire: quel ciuffo va rivisto.»

L’espressione del paladino nero si sgretolò di fronte alla scomoda verità, ma in compenso qualcuno rise, ed era Allura.

La principessa tentò di soffocare e tossicchiare la risata, ma, quando gli altri tre si voltarono verso di lei, non ce la fece a trattenersi e si nascose il viso tra le mani per l’imbarazzo. Vederla finalmente più distesa contagiò anche gli altri.

«Ora che l’atmosfera è un po’ più rilassata...» iniziò Lance, cincischiando e dondolandosi sul posto.

«Che avevi in mente quando sei venuto a bussare?» Pidge non ci provò nemmeno a fermarsi e incalzare con tono serafico. «Volevi consolare la principessa tutto da solo?»

«… sei impossibile» brontolò l’altro, non senza che stavolta anche le orecchie arrossissero. «Volevo offrire i miei servigi come parrucchiere!»

Seguirono una manciata di silenziosi quanto dubbiosi secondi.

«… parrucchiere?» ripeté Shiro per sicurezza.

Lance rizzò la schiena, levò il mento e allargò le braccia in un ta-dan!

«Ho lavorato per tre anni, tutte le estati, al salone di bellezza di mia cugina Camila. “Al Beauty Paradise vi sentirete in paradiso!”»

«Facevi lo sguattero di bottega?»

«Non immagini neanche che splendida manicure potrei farti. Non avrai più voglia di smontare un robot perché ti rovineresti smalto e gel» asserì senza scalare di una virgola il proprio orgoglio. «Ma ho anche affinato le mie skill in materia di taglio» e per marcare meglio il concetto, indice e medio delle sue mani tagliuzzarono l’aria.

«Quindi… cosa vorresti fare di preciso?» indagò scettica Pidge.

Lance non aveva concluso con la teatralità; per rispondere alla domanda, si inginocchiò di fronte ad Allura, come un cavaliere della tavola rotonda, e, mano destra sul cuore, la guardò con tutta l’intensità del momento - che solo lui avvertiva.

«Principessa… mi lasci essere il suo umile parrucchiere e tornerò a farla sorridere! A splendere!»

Shiro dovette allungare il braccio per afferrare Pidge e impedirle di ribaltarsi dal letto per le risate sguaiate. Nel frattempo, Allura stava guardando incerta la serietà cavalleresca del paladino blu.

«Lance...» iniziò, pronunciando la a arrotondata. «Sono lusingata… ma che cos’è un parrocchiere? E una sala di bellezza?»

«Oh» la carica del ragazzo si afflosciò. «Ehm… un parrucchiere è qualcuno specializzato nella cura dei capelli. Li, ecco… sistema tagliandoli e acconciandoli e questo lo fa in un negozio dove puoi anche, uhm - si fissò le dita, prima di alzarle di fronte a sé - colorati le unghie? Non hai mai messo dello smalto?» e nel suo tono c’era una nota stridula, come se uno dei suoi massimi sistemi fosse stato messo in discussione.

Allura era ancora più dubbiosa di lui sull’ultima parte e scosse la testa, ma sembrò anche molto interessata. «Credo che il vostro parrucchiere sia simile ai nostri shairlyn! Parlo di avventurieri che esploravano l’universo e apprendevano molto dalle culture di tutta la galassia grazie all’uso della mimetizzazione. Ricordo che quando tornavano ad Altea avevano sempre acconciature diverse e trucchi particolari dei posti che avevano visitato! Organizzavano poi degli spettacoli e...» si interruppe quando a Lance sembrò prendere un tic nervoso all’occhio. «Non è la stessa cosa immagino...»

«Ok, senza offesa principessa» iniziò Lance, rialzandosi. «Ma non capisco come si faccia a essere una società civilizzata senza parrucchiere» e rabbrividì tra sé, borbottando qualcosa riguardo a uomini che uscivano dalle caverne. «La prima cosa che faremo quando ti porteremo sulla Terra sarà andare in un salone di bellezza e richiedere il servizio completo. Per entrambi» aggiunse, indicando Shiro con il pollice, che aggrottò la fronte, fissandosi in modo buffo il ciuffo di capelli con la faccia di uno che non ci trovava nulla di sbagliato. «Comunque…» Lance tornò serio, abbandonando l’aria goliardica per un sorriso che voleva infondere ottimismo. «Non scherzavo sull’offerta di sistemarti i capelli. Mi… mi dispiace per quello che è successo alla base Galra...» abbassò lo sguardo, torturandosi le mani. «Ero io quello che doveva coprirvi le spalle e avrei dovuto assicurarmi che le sentinelle fossero state tutte abbattute...»

«Sei stato colto alla sprovvista come tutti» replicò Pidge con forza, come a voler scacciare quel tono di scuse dal compagno. «I prototipi di androidi che ci hanno attaccati avevano un sistema di difesa in grado di far rimbalzare il segnale del mio radar. Per questo non li abbiamo visti arrivare. Ma più tardi smonterò fino all’ultima vite quello che abbiamo riportato» e la sua era una tacita promessa a dire che una cosa del genere non sarebbe più successa di nuovo sotto i suoi occhi.

«Nessuno di voi deve farsene una colpa» intervenì Shiro, guardandoli entrambi con uno sguardo inorgoglito dai loro discorsi. «Non possiamo prevedere tutto, ma possiamo continuare a essere un team unito.»

«Così mi emoziono» piagnucolò Lance.

«Gandalf-Shiro ha parlato» sancì prosaica Pidge, guadagnandosi un’occhiataccia dai ragazzi. «Che c’è? Sono arrugginita col Signore degli Anelli. Preferite Star Wars?» e cacciò fuori la sua linguaccia ironica, facendo ridere tutti, persino la principessa che non stava cogliendo le citazioni.

«Grazie, paladini» mormorò commossa Allura, molto più serena di prima. Prese un respiro profondo, scacciando i tentennamenti e rivolgendosi a Lance. «Accetto la tua proposta.»




Pidge si rimangiò le proprie battute e si profuse in diversi wow, quando Lance finì con Allura. Non solo aveva dato un senso alle ciocche asimmetriche, ma le aveva anche acconciato i capelli in maniera vivace, con un taglio che sembrava uscito da una rivista di moda. Non aveva scherzato sull’affermare che Allura sarebbe tornata a splendere.

La stessa principessa era così emozionata da non riuscire a smettere di rimirarsi da tutte le angolazioni, continuando a mormorare diversi complimenti, sempre più sentimentali.

«Hai fatto davvero un… gran bel lavoro» affermò Shiro meravigliato, a corto di parole.

Pidge gli diede una leggera gomitata, muovendo le sopracciglia in maniera eloquente. «Forse anche tu dovresti accettare la proposta per quel ciuffo e dare una spuntata alla colom-»

«Katie» sussurrò Shiro incisivo, poggiandole le dita sulla bocca con un sorriso tiratissimo. Arrivare a usare il suo nome di battesimo era un monito in sé sufficiente, ma volle essere più chiaro. «Ho promesso a tuo fratello che mi sarei fatto carico della tua incolumità. Non farmi pentire, o peggio, ritrattare, ok?»

Pidge ghignò contro la sua mano, ma gli fece un gesto di ok con le dita.  

«Però sai Shiro...» Lance si inserì nella conversazione col tono di un uomo vissuto e temprato dall’esperienza, ma che ancora giocherellava con le forbici che aveva in mano, aprendole e chiudendole con aria meditabonda. «Do ragione al gremlin a questo giro. Quel ciuffo mi ricorda proprio una colomba. E poi è così bianco… potremmo tingerlo, che dici?»


sidralake: (Default)
2019-02-12 02:37 pm

[Voltron] Galeotta fu la treccia

 

Cow-T, prima settimana, Missione Speciale

Prompt: Capelli

Numero parole: 690

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Ship: Keith/Lance

Note: post S8 -- SPOILER?? -- ispirata a » questa fanart «




Era quell’ozioso orario tra il pomeriggio e la sera, quando il lavoro era concluso ma non era ancora ora di cena.

Si erano presi un tè, spizzicato qualche biscotto mandato da Hunk, parlato di questo e quell’altro che succedeva in giro per la galassia, ma ora Lance sentiva la noia salire mentre se ne stavano sbracati sul letto. Avvertiva addosso la sensazione dell’attesa, ma non avevano nulla in programma se non il relax - e solo Keith sembrava aver preso alla lettera quell’intento.

Dando le spalle al compagno, il mezzo galra era rannicchiato scompostamente su un fianco, del tutto rilassato, mentre con una mano scorreva il display del cellulare.

Lance produsse qualche sbuffo, qualche verso gutturale e diede sfogo a vari tic nervosi, ma nessuno sembrò funzionare nell’attrarre l’attenzione di Keith. Provò a raccontare qualcosa, a inventarsi delle storielle, perché aveva la testa così vuota da sentire l’eco, ma di nuovo, dall’altro, non ottenne nulla se non qualche assenso sovrappensiero.

«Non ignorarmiii» si lamentò, girandosi a sua volta su un fianco per squadrare il profilo dell’altro. L’attenzione fu catalizzata subito dai capelli.

Il mullet era ormai un ricordo, sostituito da una chioma che Keith stava lasciando crescere senza attenzione e per cui Lance si era auto-assegnato il compito di sistemargli almeno le doppie punte, perché non riusciva a convincerlo a tagliarli. Li fissò intensamente, seguendo le curve delle ciocche acconciate in una lunga treccia.

«Chi te li ha pettinati?» domandò curioso e un po’ invidioso. Era vero che blaterava ogni volta contro quella “cascata di pigrizia”, ma era anche per poterne parlare (e fissare) senza ammettere quanto fossero belli.

«Ezor» biascicò Keith, il viso illuminato da colori diversi mentre guardava un video. Aggrottò la fronte al ricordo di un pensiero fugace, che comunicò senza però voltarsi o ragionarci davvero. «Ha detto che saresti stato geloso.»

«Cosa?!»

«Ha detto qualcosa sul fatto che non sei capace di ammettere che ti piacciono i miei capelli.»

Lance rimase a bocca spalancata senza emettere un suono, ma arrossendo. Tuttavia Keith era voltato e non sembrava neanche prestare attenzione a quello che stava dicendo. In un altro tipo di discussione, faccia a faccia, Lance dubitava si sarebbe fatto sfuggire un pettegolezzo del genere, più perché Keith reggeva malissimo l’imbarazzo.

A Lance venne l’idea di tastare il terreno.

«Perché dovrei ammettere che mi piace questo disordine che hai in testa? La mattina a colazione sembri andartene in giro con un nido per uccelli» buttò lì, afferrando la parte finale della treccia per giocherellarci.

«Ha detto qualcosa sul fatto che ricoprirmi di insulti sui capelli è il tuo modo per dire che ti piaccio.»

Ok. Colpito e affondato. L’idea di interrogare Keith quando era così perso a fare altro non era stata poi così geniale come aveva creduto, non quando gli si era appena ritorta contro.

L’assenza di repliche sagaci, oltre al sentirsi tirare i capelli, fece breccia nella concentrazione di Keith.

«Ohi?» borbottò l’ex paladino rosso, voltando la testa per trovare un Lance che teneva stretta in pugno la sua treccia, mentre nascondeva il viso paonazzo nell’altra mano. «Che ti prende?»

«Sei un idiota con un mullet troppo cresciuto» lo accusò stridulo Lance, con un occhio che fece capolino tra due dita per comunicargli qualcosa tipo “disonore su di te”. I marchi azzurri alteani sulle sue guance brillavano in contrasto col rossore.

Keith non fece mancare il suo broncio incompreso, ma che, tuttavia, durò il tempo di ricordare cosa si fosse appena fatto sfuggire e ricollegare l’espressione di Lance al tutto.

Fu il suo turno di spalancare la bocca, farsi scappare un suono strizzato e incomprensibile, e poi lasciare cadere il cellulare sul letto per tuffare il viso nelle proprie mani.

«Sei un cretino di proporzioni cosmiche!» puntualizzò Lance, ancora con un’ottava di troppo nel tono.

«Smettila di tirarmi i capelli! Fai male!»

«E tu non ignorarmi proprio ora che hai capito!»

«Vorrei seppellirmi, ma mi stai facendo venire voglia di ucciderti.»

«Oh oh, Raperonzolo qui ha problemi a gestire i propri sentimenti!»

Quella bislacca dichiarazione proseguì in una lotta a cuscinate e insulti sul pavimento, mentre le gradazioni di rosso sulle loro guance andavano incendiandosi.


sidralake: (fangirl)
2017-03-10 11:54 pm
Entry tags:

(Voltron) Disfatta

Cow-t, sesta settimana, M3.
Prompt: Tema Libero
Parole: 300


Blue ha colpito Red con una fiancata - gli ha salvato la vita - e il grido di Lance risuona frammezzato di ordini a Pidge e Hunk.

Keith lo sente nel casco, spaventato ma risoluto, e l’udito è l’unico senso che sembra ancora rispondergli. Avverte la pensantezza del corpo, eppure non riesce ad aprire gli occhi. Allura ripete il suo nome, la voce rotta, ma lui ha la bocca impastata e sente il sangue bagnargli le labbra e scendergli in gola.

Non doveva andare così, ed è troppo tardi per pensarci. Non c’è più rabbia in lui, c’è solo il rimorso per averli trascinati tutti verso una disfatta.

Vorrebbe ordinare loro di fuggire, non pensare a lui, salvarsi.

Red gli solletica la coscienza con un ringhio. Se fosse fisico, probabilmente lo avrebbe spaventato, perché è arrabbiata anche lei, è a terra e vuole rialzarsi, combattere, vendicarsi. Ma Keith non ha energie. Si è buttato nell’impresa convinto di ritrovare Shiro, e ha fallito. Per una volta, preferisce l’oblio.


Quando riapre gli occhi è ancora vivo. Il dolore lo ha intorpidito, ma gli ha lasciato una nota di sollievo da sopravvissuto; mette a fuoco le pareti - il Castello - e poi vede i volti che lo scrutano. Anche lì c’è una sorta di consolazione. Sono in quattro. Hunk, Pidge, Allura e Coran.

Lo stomaco gli si attorciglia.

“Dov’è... Lance?” mormora, la bocca secca. Solo Coran non ha gli occhi vitrei di lacrime, ma è così spento che fa quasi più male. Sembra l’unico in grado di rispondere.

“Mi dispiace Keith” e il paladino rosso vorrebbe dirgli di non continuare, ma è un desiderio irrealizzabile che non cambierebbe le cose. “Il Principe Lotor ha preso sia lui che il Leone Blue. Non abbiamo notizie”

Keith sa solo che è tutta colpa sua.
sidralake: (fangirl)
2017-03-10 11:20 pm
Entry tags:

(Voltron) Bestie

Cow-t, sesta settimana, M3
Prompt: Tema Libero
Parole: 300



Keith rabbrividisce al contatto delle dita metalliche con la pelle, quando queste gli alzano la maglietta. Vagano come avrebbero fatto - come hanno già fatto - le dita vere, ma la sensazione rimane diversa e nuova. Riesce a mascherare tutto nel gemito che gli sfugge dalle labbra mentre la bocca di Shiro è su di lui, il suo nome mormorato con un desiderio che trascende l’atto e sa talmente di nostalgia che il cuore di Keith si perde in battiti scoordinati. Le dita artificiali lo sollevano sulla scrivania della cabina e, ancora, il moretto sobbalza dentro. Ha bisogno di socchiudere appena gli occhi e vederlo e darsi dell’idiota, perché è Shiro, è tornato, è vivo, sono di nuovo insieme.

Cerca di cacciare il groppo che ha in gola più in basso che può, il più lontano possibile dal petto dove il sollievo e il desiderio tengono il ritmo di quello che sta succedendo.

Keith chiude di nuovo gli occhi e non vede le cicatrici. L’attaccatura dell’arto robotico. Il ciuffo bianco.

Vuole solo sentire Shiro. Anche se le sue dita delineano muscoli nuovi e i gesti sono più decisi, più rudi, più possessivi e smaniosi.

Non se ne lamenta; c’è un che di selvaggio e conturbante che si sposa con una parte di sé che Keith sa di non voler indagare, che più resta nascosta e lontana più le cose manterranno un barlume di normalità.

Anche se Shiro non è più lo stesso di quando è partito e l’incertezza è una nuova costante; ma neanche Keith è sicuro di qualcosa, a cominciare proprio dalle sensazioni nuove che si sono risvegliate in lui da quando è nello spazio.

C’è un’essenza che gli scorre nelle vene, sottopelle, e preme per uscire. La percepisce, la sente quando affonda la lama

E ne ha paura.