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Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 1024

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lance, Lance/???, Lance & Veronica, Pidge, Coran

Note: primo tentativo (fallito) di Hanahaki Disease





Dopo quel mi dispiace, Lance iniziarono colpi di tosse sporadici, mascherati con qualche risolino a dissimulare, mentre la mano massaggiava il petto.

“Ti sei raffreddato?” era la domanda più frequente a cui il ragazzo aveva finito col rispondere sì, un malanno di stagione.

Erano all'inizio dell'autunno e poteva starci. Nessuno sapeva e i diretti interessati a malapena incrociavano gli sguardi, evitando quanto possibile di ritrovarsi invischiati in qualche momento di gruppo troppo invasivo. In fondo, l'universo era ancora nel suo pieno dopoguerra, i focolai Galra insorgevano e le Lame di Marmora insieme all'Atlas se ne occupavano. Lance aveva la sua nuova vita come insegnante diviso tra la Galaxy Garrison e Nuova Altea; tutti gli altri si stavano ricostruendo un avvenire, quindi non c'era da prestare troppa attenzione ai dettagli.



"Dovresti farti controllare questa tosse, dura da un po' troppo" aveva insistito Pidge durante una delle loro videochiamate. Il gesto vago di Lance stava per essere accompagnato da una delle sue battute per minimizzare, quando quella stessa tosse incriminata lo colse impreparato e più forte del solito. Dallo schermo, Pidge saltò in piedi, avvicinandosi alla webcam allarmata, ma Lance la sentiva a malapena mentre percepiva qualcosa ostruirgli la gola. Tossì così forte che credette di strozzarsi e poi avvertì qualcosa di umido nella mano.

"Lance... quello è sangue!? E quello è un pe-"

Lance interruppe la chiamata, terrorizzato. Nel palmo della mano, macchiato di vermiglio, c'erano anche dei petali blu.



I medici umani, da cui Veronica e Pidge lo portarono il giorno dopo, poterono solo riscontrare una crescita sospetta nei polmoni, ma la diagnosi finale fu di Coran.

"Lance... c'è qualcuno di cui sei innamorato che ti ha respinto?" fu molto serio nel chiederlo, e davvero molto preoccupato. L'ex paladino blu distolse l'attenzione, continuando a tenersi una mano al petto, stringendo la stoffa della maglietta col bisogno di aggrapparsi a qualcosa. La sorella gli appoggiò una mano sulla spalla per poi abbracciarlo quando lo sentì singhiozzare.

Coran spiegò che si trattava della Malattia dei Fiori. Qualcuno aveva rifiutato i sentimenti di Lance e ora questi stavano crescendo nei suoi polmoni, mettendo radici e soffocandolo poco a poco.

Anche di fronte a quella assurdità, Lance non proferì parola, ma tremò, ricominciando a tossire fino a trovarsi altri petali e un fiore completo nel palmo della mano, il sangue a sporcargli le labbra.

"È un Non ti scordar di me" riconobbe Veronica, spaventata e con le lacrime agli occhi. Prese tra le mani il volto del fratello, tentando di costringerlo a guardarla. "Lancey, hermanito, chi è questa persona? Che cosa è successo?"

Non ci fu verso di cavargli di bocca un nome. Per la prima volta, Lance era silenzioso, trincerato nel proprio dolore. L’unica cosa che disse, alla fine, fu che quella storia rimanesse tra loro; il solo pensiero che altri potessero sapere lo portò ad alzare la voce per far giurare ai tre di non dire niente, finendo col tossire di nuovo.

"Coran, qual è la cura?" chiese Pidge con gli occhi sbarrati nel vedere Lance piegato su se stesso, respirando a fatica. "Dobbiamo fare qualcosa, subito."

Allo stadio in cui si trovavano, l'unica soluzione era un'operazione di estirpazione, sperando che le radici dei fiori non avessero imbrigliato completamente i polmoni.

"Andrà tutto bene, numero tre" gli sorrise incoraggiante Coran. "Ti guariremo."

Quello che non disse a Lance, mentre lo sedavano e lo sistemavano su uno dei lettini dell'ospedale, lo spiegò alle due ragazze con gli occhi lucidi.

"Estirpando i fiori, porteremo via a Lance anche i sentimenti verso chiunque si sia confessato, insieme anche alla memoria di questa persona e... la possibilità di innamorarsi di nuovo. Mi dispiace."

"Intendi che dimenticherà completamente qualcuno?" sussurrò Pidge.

"Esatto. Come se non lo avesse mai conosciuto."

"... e non potrà più amare nessuno?" continuò Veronica in un sussurro.

"Mi dispiace."



L'operazione durò otto ore e fu impossibile che la voce non si spargesse; era pur sempre Lance, l'ex Paladino Blu di Voltron che aveva salvato l'universo e che ora era sotto i ferri, rischiando la vita e nessuno sapeva perché o per cosa.

Pidge e Veronica iniziarono a ricevere messaggi su messaggi, senza sapere cosa rispondere, troppo occupate a continuare a convincersi che tutto sarebbe andato bene.

"Veronica! Pidge! Cos'è successo!?" Shiro fu il primo ad arrivare, il giorno dopo. A lui seguì Hunk con Shay e Romelle, poi fu il turno di Matt e Keith. Tutti si erano mobilitati dai quattro angoli di galassia dov'erano, tutti con la stessa identica domanda, tutti con il terrore in viso. L'operazione era riuscita; nei polmoni dell'ex paladino blu non c'era più un singolo fiore di Non ti scordar di me e Lance riaprì gli occhi al rumore delle persone nella stanza.

Nonostante la debolezza, riuscì anche a sorridere, alzando un pollice. Parlare non sarebbe stato possibile prima di un po' di tempo, aveva spiegato Coran, così passarono a Lance un blocco e una penna.

Mi dispiace, vi ho fatto preoccupare e siete corsi tutti qui, ma ci vuole altro per ammazzarmi, scrisse, voltando il foglio verso gli astanti. Tutti risero rincuorati, per poi attende quando lo videro scrivere di nuovo, più concentrato. Questa volta, Lance non girò il blocco ma lo passò alla sorella.

Chi è quello con la tutina nera sexy e aderente?

Veronica capì all'istante.

"Lance deve riposare" annunciò, ignorando le proteste stesse del fratellino. Li fece uscire tutti e uscì anche lei.

Veronica si chiuse la porta alle spalle per poi cambiare completamente espressione. Strappò il foglio dal blocknotes, lo accartocciò e lo spinse contro il petto di Keith, fregandosene della reazione degli altri.

"Vattene da qui. Non ti azzardare più ad avvicinarti a mio fratello!" urlò feroce, tanto che Shiro e Matt dovettero mettersi in mezzo. "È colpa tua se ha rischiato la vita! È colpa tua se ora non potrà più amare nessuno! Sparisci dalla sua vita!"

Keith, senza ancora riuscire a comprendere cosa stesse succedendo, aprì il foglio accartocciato, rileggendo quelle parole scritte nella calligrafia di Lance e impallidì.

“È molto meglio se te ne vai” mormorò Pidge in tono piatto, nonostante il dolore e l’odio nello sguardo. “Per lui non sei più nessuno.”


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Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Piangere senza riuscire a smettere

Numero parole: 6270

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith, Shiro/Keith/Lance, Allura & Pidge

Note: Modern!AU + Soulmate. Grazie alla socia per il titolo. Le statistiche sono buttate a casissimo e irragionevoli.




Keith non capiva che cosa si fosse rotto, quando tutto aveva sempre funzionato perfettamente. Pensava che le cose avrebbero seguito il loro corso naturale. Erano anime gemelle, era qualcosa di simile alla scienza, non poteva non funzionare - anche se Pidge aveva molto da ridire a riguardo quando se ne usciva con un paragone simile.
Eppure c’erano stati i primi cedimenti. Alla fine del primo anno, nonostante la sensazione fosse quella di esserci sempre stati l’uno per l’altro, come se l'incontro fosse stata solo una mera formalità a una vita passata ad aspettarsi sapendo che, ehi, sono proprio qui, mi incontrerai.
Keith non era un tipo romantico. Non con una vita in cui sua madre era sparita quando lui era piccolo e suo padre era morto salvando degli sconosciuti da un incendio. Keith aveva avuto un’infanzia costellata di casini, porte chiuse e gente che gli diceva cosa fosse giusto essere. Era sopravvissuto, ecco cosa aveva fatto. Era stata dura riuscire a uscire dal pantano in cui il mondo grigio che lo circondava lo aveva incastrato; a volte si chiedeva anche come ci fosse riuscito, chi avesse creduto in lui in qualche maniera, da sempre.
La risposta sembrava essere stata Shiro. Quando si erano poi conosciuti, per caso - per sbaglio, avrebbe detto il vecchio Keith, perché una persona meravigliosa come Shiro non la si poteva sperare di incontrare neanche in venti vite diverse... be', comunque, si erano trovati. Si erano sfiorati e in quel tocco ecco i colori. Ecco che il mondo grigio aveva iniziato a vivere, a fiorire come diceva Allura, quando le prendevano i momenti romantici.
Keith aveva passato due giorni col mal di testa per quei cambiamenti tutti insieme e così anche quello sconosciuto, Takashi Shirogane. Gli aveva chiesto di vedersi per un caffè. Per, be', conoscersi. Perché sì, succedeva tutti i giorni di incrociarsi con la propria anima gemella, ma di solito capitava agli altri. Eppure, quella volta, il protagonista del film era proprio Keith e non aveva idea di come, perché, se crederci davvero. Anche solo la vicinanza di Shiro lo faceva stare bene. Sfiorarsi, anche solo per salutarsi a quell'incontro dove il caffè si era raffreddato tra una chiacchiera e l’altra, aveva reso i colori ancora più vividi.
"Dicono che... ci voglia del tempo" aveva detto Shiro, che continuava a guardare di sottecchi Keith, sorridendo come se non riuscisse a farne a meno. "Per i colori, perché diventino stabili e appaiano tutti. La frequentazione aiuta. Se vuoi."
"Lo voglio" era stata la risposta di Keith, salvo poi accorgersi di averlo detto a bruciapelo senza pensarci, e suonando terribilmente come un altro tipo di lo voglio, che strappò una risata a quell'uomo che gli aveva chiesto di chiamarlo semplicemente Shiro.
Aveva avuto ragione. C'era voluto del tempo e vedersi, di frequente, perché il mondo intorno a loro potesse acquisire quella vitalità cromatica per cui poesie, canzoni, libri, film e anche libri di scienza - come sbuffava Pidge - descrivevano dalla notte dei tempi.
E Keith, così poco incline a condividere gli spazi, perché era sempre stato un lupo solitario, aveva trovato la frequentazione di Shiro fin troppo naturale. Non si era neanche accorto di come le cose funzionassero perché, per una volta, tutto seguiva un corso naturale. Shiro non gli metteva fretta - e si scusava anche di essere molto più grande - ma sembrava ogni giorno sempre più felice di vedere lui, Keith, e non solo i colori che li circondavano. Qualcosa che aveva rischiato di mandare in paranoia Keith, non abituato a essere il centro dell'attenzione di qualcuno che non fosse un assistente sociale.
Sei mesi a seguire, dopo la loro prima, travolgente volta insieme a letto - la prima in assoluto per Keith - Shiro gli aveva chiesto di andare a stare da lui e il ragazzo aveva detto prima ancora di rifletterci. Forse perché aveva aspettato questo per tutta la vita? Un posto proprio? O perché amava Shiro, anche se non lo avevano ancora detto ma tutto, tutto parlava per loro? Perché la mattina dopo il rosso, agli occhi di Keith, fu così brillante da lasciarlo ipnotizzato da una stupidissima tazza della colazione che Shiro gli aveva regalato come benvenuto, asserendo che quel colore gli donava.


Erano passati altri sei mesi e Keith sentiva di essere arrivato alle pagine finali di quella favola. Come se accettare l’invito a vivere sotto lo stesso tetto avesse avviato un meccanismo inverso, proporzionale alla loro felicità. Era tornato un fastidioso vuoto al petto, sotto lo sterno, a volte così opprimente da togliere il respiro. E poi le lacrime. Le Lacrime erano state uno dei due campanelli d’allarme che aveva assicurato a Keith che qualcosa non andava. Lacrime indesiderate, che potevano arrivare nel bel mezzo della notte come all’ora di pranzo. Semplicemente, piangeva. Senza alcun motivo apparente, per un qualche malessere fisico o reazione. E non riusciva a smettere, non c’era verso. Poteva solo armarsi di un pacchetto di fazzoletti e rintanarsi dove nessuno avrebbe potuto commentare. Il più grosso problema era allontanarsi da Shiro con qualche scusa, perché non si preoccupasse o, peggio, fraintendesse. Non che Shiro non potesse sostenere delle lacrime, anzi, era probabilmente l’unica persona al mondo con cui Keith si sarebbe messo a piangere apertamente. Ma andava bene avendo un motivo plausibile e non quello che sembrava un pessimo sgambetto del destino. Aveva trovato la propria anima gemella, cos’altro doveva volere di più? Tuttavia, come aveva capito presto, quella era stata solo la prima avvisaglia. Il secondo problema era un colore. Uno che aveva aspettato comparisse, ma dopo un anno, ancora niente.

Keith stava guardando fuori dalla finestra dell'appartamento, la sua tazza rossa stretta tra le mani, il tè preferito di Shiro che profumava la stanza, e lui che continuava a fissare con odio il cartellone pubblicitario affisso sul palazzo di fronte. La pubblicità di un profumo, nulla di eclatante, Gocce di Mare, con una modella in un abito... grigio. Un’immensa sfumatura grigia, più scura sul finire e che risaliva come spuma sul corpo rosato della donna. Il trucco differiva, era più sulle tonalità violacee. Quello lo vedeva. Ma il resto non andava. Non era possibile che quell’abito fosse grigio, quando sotto c'era scritto Blue Essence.
Keith aveva un enorme problema ed era sempre più difficile da tenere segreto.

Infastidito dall’ennesimo sfregio a quella sua mancanza, dette le spalle alla finestra, ma inevitabilmente fece una panoramica dell'open space che era la casa di Shiro e diversi oggetti gli balzarono all’occhio: qui e lì, tra tutti i colori presenti, spiccavano dei grigi innaturali. La copertina di un libro, l'etichetta di una bottiglia, un panno da cucina.
Era stato da un medico, senza dirlo a nessuno. O meglio, aveva finito per confidarlo a Pidge e Allura, sia perché le due erano in grado di fiutare le frottole a due isolati di distanza, sia perché, tra le conoscenze di Keith, erano le massime esponenti sia della teoria dei colori sia delle anime gemelle su i due fronti che da sempre si davano battaglia, la scienza e il romanticismo (o pre-destinazione anti libero arbitrio, come la gremlin amava sottolineare). A detta del medico, era tutto a posto. La vista di Keith non aveva nulla che non andasse, le analisi fatte per scrupolo erano perfette, inclusa la tac al cervello e tutti gli esami ai nervi degli occhi. Il responso sul fatto che Keith non riuscisse a vedere il blu non era un problema clinico. E questo non aveva per niente rassicurato il ragazzo, ma aumentato la paranoia.
Era un dato oggettivo che da qualche tempo le cose tra lui e Shiro si erano raffreddate, come quel colore blu che non riusciva a percepire o quelle lacrime instancabili e indesiderate. Quella mancanza che Keith aveva sempre avuto nella vita, che pensava di aver colmato con la presenza di Shiro, non era tornata solo come un’impressione passeggera, che di tanto in tanto gli faceva massaggiare lo sterno distrattamente. Era pressante, lì ad attenderlo in giorni che iniziavano anche tranquilli e lo fagocitava prima di sera, rendendolo intrattabile, neanche stesse combattendo contro un fantasma senza avere possibilità. Shiro in pochi mesi, a volte a ripensarci gli sembravano solo giorno, aveva colmato, se non abbondato, tutto quello che dalla vita Keith non aveva mai avuto: una famiglia, un posto da chiamare casa, l’amicizia, l’affetto… perché dopo un anno tutto quello dovesse sfumare senza nessun motivo logico, Keith non riusciva ad accettarlo.
Da quando avevano iniziato a vivere insieme la sua vita aveva iniziato finalmente a mettere radici, mentre i colori si erano stabilizzati. Keith non li conosceva, perché non era mai stato un gran sostenitore di quel cambiamento che ti completa la vita. Come tutti i bambini, aveva letto i libri sui colori quando era stato alle elementari. Libri che aiutavano a gettare delle basi per il grande giorno, spiegando che il pistillo delle margherite è giallo e la corolla bianca, l'erba dei prati è verde, le mele sono rosse, i gatti possono essere neri, le melanzane viola, la pelle rosa, il cielo azzurro e il mare blu.

Non aveva mai prestato troppa attenzione a qualcosa che alla fine poteva benissimo non accadere, quando nella sua vita succedevano fin troppi avvenimenti spiacevoli. Non era mai stata una sua priorità, ma ora cercare di capire perché il cielo continuasse a essere di un colore indistinto era di vitale importanza; aveva ragione di pensare che fosse alla base dei suoi problemi silenziosi con Shiro.

Perché era ormai ovvio che a Shiro quella situazione creasse del disagio, anche se non ne avevano mai parlato. Ogni volta che qualcosa che sarebbe dovuto essere blu gli capitava tra le mani, guardava Keith e lo riponeva, o perdeva il filo della conversazione. E Keith si sentiva in colpa. Sembrava come se quel blu maledetto avesse tracciato una linea di confine tra di loro, una sorta di fosso che non potevano travalicare. E non poteva continuare così. Non scoppiando poi a piangere senza nessun motivo, a coronare la tensione. E tutto per un fottuto colore.



"Uhm… ti sarebbe utile un fazzoletto?" esordì Pidge dopo che Keith si fu messo comodo sul divano vicino alla finestra, nel piccolo appartamento di Allura. Il ragazzo trasalì, tastandosi le guance e trovandole umide.

“Merda” si lasciò scappare. Con poca grazia e frettolosamente, con le dita cercò di asciugarsi il viso, ma il pianto continuò silenzioso come ogni volta, facendolo sentire impotente. Pidge gli allungò una scatola di kleenex con espressione comprensiva, anche se il suo sempiterno piccolo ghignetto sembrava voler fare capolino.

“Tranquillo, abbiamo la soluzione anche a questo. Abbiamo fatto un po’ di ricerche sulle anime gemelle.”

Lo suo sguardo sospettoso e arrossato di Keith passò da lei alla proprietaria di casa, che finì di servire il tè prima di sedersi vicino all’amica sul divano dirimpetto. “Tutto bene, Keith? Come ti senti?” domandò con un tono intenerito dalla scena.
"Sto bene” sbottò lui, praticamente ficcandosi due fazzoletti negli occhi e reclinando la testa, facendo appello a qualsiasi essere o cosa perché finisse. Ci volle qualche minuto perché finalmente Keith potesse tornare una persona normale senza lacrimazioni improvvise. Fissò le due amiche, accantonando quel siparietto perdi tempi. “Voi due avete fatto insieme delle ricerche sulle anime gemelle? Non vi siete scannate?" domandò il ragazzo, cercando segni di unghiate o capelli fuori posto. Pidge roteò gli occhi, sbuffando.
"Non siamo rozze come te. Abbiamo una divergenza di opinioni, ma le abbiamo appianate in favore tuo e di Shiro."
Allura sorrise, porgendogli una tazza accompagnata dal tintinnio dei braccialetti al polso. Keith notò la forma aristocratica della porcellata, modellata in curve che ricordavano un fiore. Peccato che i colori fossero un accostamento spaventoso di tonalità sbagliate, ma in fondo, né Allura né Pidge avevano ancora incontrato la loro anima gemella. Sarebbe stato divertente il giorno in cui Allura avesse scoperto il colore delle sue tazzine preferite - e forse non sarebbe stato neanche troppo lontano come avvenimento, visto come Pidge stesse lavorando a un prototipo rivoluzionario di occhiali in grado di bypassare quel problema di grigi.
"Vedrai che si sistemerà tutto" lo rassicurò Allura con un sorriso. "Shiro è teso per la situazione e si sente in colpa, ma questa cosa che abbiamo trovato io e Pidge potrebbe aiutarvi."
Keith la guardò senza capire. "Perché Shiro si sente in colpa? Cosa c'entra lui?”

Il disorientamento sui visi delle ragazze a quella domanda fu lampante. Pidge si prese il viso tra le mani, soffocandoci un'imprecazione.
"Lo sapevo! Uomini! Non sanno parlare tra di loro!"
"Oh mio dio, ma non te lo ha detto?" continuò Allura, imbarazzata ma scandalizzata quanto l’altra.
"Cosa non mi ha detto!?" incalzò Keith, iniziando a sentire sulla nuca un formicolio poco piacevole.
"Credi di essere l'unico a non vedere il blu, eh? Guarda che anche per Shiro è così. Non è un tuo problema, è un vostro problema!" spiegò Pidge, scuotendo la testa e consolandosi con uno dei biscotti nell’alzatina al centro del tavolo.
Keith si sentì molto stupido; improvvisamente la riottosità di Shiro aveva un senso, essendo la stessa sua. Fu il suo turno di passarsi una mano in faccia e prendersi qualche secondo, per poi imprecare.
"Esattamente, Keith. Anche se io direi che siete proprio due cogl-"
"Linguaggio!" borbottò Allura. "Avanti, diamogli le buone notizie."
Keith tornò attento, anche se aveva una mano chiusa a pugno e le unghie conficcate nel palmo.
"Io e Allura pensiamo che tu e Shiro rientriate in una piccolissima e rara percentuale di anime gemelle triplici" esplicò subito Pidge, sganciando la bomba; mise sotto al naso dell’amico dei fogli stampati da internet, mentre Allura appoggiò di fianco un piccolo libro, un'edizione ingiallita di inizio secolo. "Se ne parla poco, perché scientificamente ha ancora meno senso delle anime gemelle in sé-"
"Ma esistono svariate fonti e delle basi fin dall'antichità, se si sa cosa si sta cercando!" la interruppe Allura.
"Sì, ci sono stati diversi poeti e autori che ne hanno scritto, ma i casi accertati e classificati negli ultimi anni sono tipo... pochissimi. Ma positivi."

Keith era più confuso di quando era entrato. Continuò a passare gli occhi dall’una all’altra e poi ai risultati della loro ricerca.
"Cosa intendete con triplice?"
"Che non siete solo tu e Shiro. Vi manca una terza parte. Ed è anche il motivo del tuo iniziare a piangere senza riuscire a smettere."
Il mondo di Keith vacillò per un istante. "... che cosa significa?"
Pidge ghignò. "Mai sentito parlare dei ménage à trois?"
"Pidge! Sii seria!" la bacchettò Allura, ma l'altra rise e basta.
"Be', è quello che succederà, quando troveranno la loro parte mancante!"
"No, ferme” boccheggiò Keith, senza riuscire a mettere in ordine le parole che voleva dire. “Io e Shiro non vediamo il blu perché una terza persona... uno sconosciuto deve ancora entrare nelle nostre vite… ? Piango perché anche questa - gesticolò confuso - terza parte piange?"
"Esatto!" squittì contenta Allura, non riconoscendo il tono smarrito del ragazzo.
Pidge fu più pragmatica, sorseggiando il suo tè col mignolino alzato per prendere in giro l’amica. "Anche tu e Shiro eravate perfetti sconosciuti, quando vi siete incontrati. Nel novantadue percento dei casi funziona così, per le anime gemelle."
"Sì ma, ho sempre avuto la... ecco, la sensazione di conoscerlo" farfugliò Keith, perché a parte averlo confessato a Shiro una volta, non lo aveva mai detto a nessun altro, ma aveva troppa confusione in testa per tenere quel particolare per sé.
"E ora quella sensazione non ce l'hai più?" continuò Pidge, che sapeva esattamente quale fosse la risposta, ma Keith era restio ad ammatterlo. Incrociò le braccia, guardando da un’altra parte; per un pessimo scherzo del destino, anche lì fuori dalla finestra c'era la stessa pubblicità della Blue Essence. Avrebbe voluto lanciargli contro una di quelle tazzine troppo variopinte.
"Shiro è... è tutto per me" sussurrò, mentre dentro la sua testa si consumava una lotta.
Allura addolcì lo sguardo, allungando la mano per posargliela sul ginocchio con un sorriso comprensivo. "E tu sei ciò che Shiro ha sempre cercato da quando lo conosco" e se lo diceva Allura, che era stata la ex ragazza di Shiro, poteva darle il beneficio del dubbio.
Pidge lo guardò a sua volta, sospirando e grattandosi la testa.
"Senti, non ti abbiamo detto questa cosa per compromettere il vostro rapporto. Tu sai quanto reputo assurda tutta ‘sta predestinazione amorosa, ma c'è poco da fare: funziona. Almeno, nel novantotto percento dei casi le anime gemelle sono felici. E se tu e Shiro rientrate in questa rarità non sarà diverso. Sempre di anime gemelle si tratta ma... siete in tre” il momento serietà tuttavia sparì un attimo dopo, soppiantato dalla logica. “Sto ancora facendo ricerche, perché, insomma, tre parti davvero? Tre anime legate o un’anima in tre? Ma poi parliamone, nessuno è riuscito ancora a dare delle basi solide tramite metodo scientifico al concetto di anima, ecco. Rimango dell’idea che sia una questione di chimica.”
"Pidge" la richiamò Allura, paziente.
"Va bene, va bene. Ascolta Keith, questa terza persona non minerà la vostra relazione, tutto il contrario. Non vi dividerà, si... ecco, si aggiungerà” e la quattrocchi alzò indice e medio di una mano, per poi alzare anche l’anulare. “Secondo alcuni racconti medievali, questa eccezione delle anime gemelle triplici deriverebbe dal concetto di tre come numero perfetto. Sai, la santa trinità tipo, eh?” ma dal tono non sembrava prendersi seriamente neanche lei.
"Questa persona non si metterà tra voi, sarà parte di voi. Non dovrete scegliere con chi stare o avere delle preferenze. Sarà come è stato con Shiro" si aggiunse Allura, con il suo sorriso rincuorante, interrompendo lo sproloquio poco costruttivo. Si chinò in avanti e picchiettò sulla copertina del libro messo vicino ai fogli. Gli amanti sconosciuti, recitava il titolo. "L'autore di queste poesie era come voi, anche lui in una relazione di anime gemelle a tre. Sono riuscita a trovare solo questa vecchia edizione, ma ti assicuro che se hai bisogno di certezze ti sarà di aiuto."
Keith prese in mano il libro, anche se non riusciva davvero a dargli peso in quel momento. Voleva solo correre a casa da Shiro.




Leggere le poesie divise a metà Keith; le sentì penetrargli sotto pelle e lasciargli sentimenti contrastanti, come se avesse potuto sfiorare con mano quella mancanza che sentiva, stringerla e farla propria, ma tutto durava l’attimo in cui poi cadeva e tornava alla realtà, con le mani vuote. I pianti improvvisi e non richiesti continuarono e Keith non riuscì a non trattenere qualche imprecazione contro quella ancora sconosciuta terza anima gemella proprietaria delle lacrime. Continuava a chiedersi cosa avesse da piangere in continuazione e senza degli orari precisi, facendo fare a lui i salti mortali per spiegarsi con i colleghi di lavoro o quando si trovava in posti affollati.

Parlare con Shiro invece fu liberatorio e passarono la notte a chiedersi scusa e a fare il sesso più dolce e liberatorio che avessero mai provato, come se avessero potuto toccare davvero quell'anima che li legava, continuando a mormorarsi tutte le paure che per settimane si erano costruiti intorno alla mancanza di un colore. Capitò anche uno di quei pianti indesiderati mentre erano insieme, e Shiro impedì a Keith di scappare in bagno, tenendolo ferme mentre gli asciugava una per una le lacrime e gli lasciava piccoli baci sulle guance. Keith non capì come si sentì, in un subbuglio di emozioni per la tenerezza o per una vena di gelosia verso l’autore delle lacrime. Nel dubbio, rimase abbracciato a Shiro senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Affrontare la faccenda della terza anima gemella fu però un altro paio di maniche, soprattutto per l'ostinazione di Keith che in due funzioniamo alla grande, è una stronzata. La pazienza di Shiro fu miracolosa come al solito nel cercare di indorare la pillola. Se non erano completi, a suo dire, probabilmente c'era un perché. E se l'arrivo di quella terza persona poteva eliminare del tutto la sensazione di mancanza (e le lacrime) che ancora aleggiava tra di loro, che a volte si frapponeva tra di loro, allora cercarla poteva essere la scelta migliore. Keith però non riusciva ad accettarlo e lo fece solo perché era Shiro a chiederglielo.
"Eri restio anche quando mi hai incontrato la prima volta" scherzò quest’ultimo, quando tornarono sull'argomento anche quel giorno.

Era domenica ed erano al centro commerciale per fare spese. Essendo prossimo il Natale, era stata la scelta più sbagliata che potessero fare, ma Allura aveva insistito che andassero in luoghi affollati, dove era più probabile incappare nella propria anima gemella. Keith ancora sbuffava come un bollitore.
"Era diverso. Venivo da una situazione che non pensavo sarebbe mai cambiata e tu... tu hai riordinato la mia vita a occhi chiusi! Tu sei perfetto!"
"Vorrei che questa tua idea la rivedessi, ho i miei difetti anche io."
"Come ti pare" borbottò Keith, le mani affondate in tasca in maniera controproducente, visto che era il contatto quello che scatenava la percezione dei colori. Urtare per sbaglio qualcuno era la scena più classica in cui un’anima gemella si poteva trovare. Tuttavia, la folla nevrotica del centro commerciale ispirava in Keith zero fiducia. "Mettiamola così: non ti ho dovuto incontrare in questo inferno di persone! E' stato tutto più-- più naturale e poco invasivo!"
Shiro rise. "Keith… non sarà un intervento chirurgico dove rischiamo di perdere qualcosa o qualcosa ci sarà impiantato a forza."
Keith aprì bocca, ma all'ultimo non gli diede soddisfazione di rispondergli. Cambiò tattica. "Chi dice che questa terza parte sia nella nostra stessa città? E non sia, che ne so, in Messico! O in Eurupa!"
"Disse il ragazzo del Texas arrivato a New York per puro caso."
"Non è stato un caso-!" ma Keith imprecò, capendo di essere caduto nella trappola.
"Hai sentito Pidge, ed era più restia di te ad ammetterlo. Per loro natura, le anime gemelle tendono a spostarsi verso il luogo dove si trova l'altra..."
"Mi hanno sbattuto i servizi sociali qui a New York" fece presente Keith, incrociando le braccia.
"... nell'ottantasette percento dei casi" finì Shiro, che continuava a ridersela. Si chinò di fianco per baciarlo e, per un istante, anche se in mezzo a un tramestio che Keith davvero non sopportava, tutto sembrò essere perfetto lo stesso.
"Non sei neanche un po' curioso di sapere come sia il blu?" domandò Shiro, riprendendo a camminare e adocchiando le vetrine. Avevano unito l'utile al dilettevole, decidendo anche di fare i regali di Natale.
Keith tenne il broncio, appoggiandogli la testa contro la spalla. "E se con questa terza... anima gemella" faticò a dirlo. "Le cose non andassero davvero? Non posso essere così fortunato da trovare un altro te" sbuffò, rosso in faccia.
"Ci sarà un altro tipo di carattere con cui vai d'accordo, oltre al mio" Shiro era davvero troppo divertito da quelle confessioni e intenerito allo stesso tempo. "Con Pidge e Allura vai d'accordo."
"Sono amiche..." poi un pensiero lo rabbuiò e fermò Shiro dal proseguire. "Senti, se la terza parte fosse una.... una donna, io avrei dei problemi" confessò, guardandosi nervosamente intorno come se all'improvviso tutti fossero dei nemici. "Cose da anime gemelle o meno, io non... non mi sento a mio agio con-" e si bloccò, gesticolando con sguardo febbrile, ma Shiro lo fermò prima che tutto diventasse imbarazzante.
"Keith, respira. Io non credo sarà una donna" lo rassicurò, stringendogli le dita fredde e portandosele alle labbra per baciargliele.
"Cosa te lo fa dire?"
"Sensazione?"
"Ti prego Shiro, non è una risposta!"
L'uomo sospirò. "Non è qualcosa di cui vado fiero, ma quando stavo con Allura a volte cercavo di indagare lo stesso quella sensazione di mancanza che sentivo, tentando di capire che tipo di conforto avrebbe potuto darmi la mia anima gemella. E, non so come spiegarlo, ma quando ti ho incontrato, tu incarnavi perfettamente la forma di quella mancanza... ora che la sento di nuovo, come dire... le vibrazioni sono ancora quelle."
"Mi fido di te" sospirò Keith.
"Ho capito che per te non è facile, ma proviamo a fidarci entrambi. Facciamo dei tentativi, e se non vanno, penseremo a qualcos'altro."
Keith capitolò. "Va bene... ma non mi metterò a stringere la mano a sconosciuti o a urtarli per sbaglio... non sono ancora così disperato."

“Assolutamente d’accordo, non vorrei che venissi arrestato per molestie” ridacchiò Shiro, guadagnandosi uno spintone. “Che ne dici se ci concentriamo sui regali, per oggi?”
Keith sbuffò, annuendo, e si fece trascinare per negozi, continuando a detestare un po' tutto e tutti, ma se aveva Shiro al fianco poteva tenere duro.
Questo finché non entrarono in una profumeria e Keith si ritrovò davanti quella che era diventata la sua nemesi. Su un'intera parete del negozio troneggiava la pubblicità della Blue Essence.
"Questa è una persecuzione” sbottò, guardando malissimo la modella con quell’abito così grigio da dargli ormai il voltastomaco. “Neanche fosse bella” aggiunse con una smorfia.

“Sarai bello tu” replicò una voce a pochi passi da lui, distraendolo. “Devi essere sulla lista dei bambini cattivi di Babbo Natale per entrare e offendere così un povero cartello pubblicitario” continuò con una melodrammatica mano sul cuore quello che si rivelò essere un commesso.

“Cosa!?” Keith lo guardò con diffidenza, risistemandosi il berretto che gli stava scivolando sulla fronte. Il naso gli pizzicava un po’ per la miscellanea di odori del negozio e cercò si ritrovare Shiro spaziando l’ambiente. Ma fu distratto di nuovo.

“Fammi indovinare, sei uno di quei tipi che non ha mai creduto a Babbo Natale” continuò il commesso, mani sui fianchi e un angolo della bocca sollevato neanche avesse trovato qualcuno da torturare.

Keith era confuso, ma non sapeva se per l’atteggiamento arrogante o per il discorso. Lo guardò assottigliando lo sguardo.

“Non sono mai stato in nessuna lista di Babbo Natale” replicò imbronciato e con un’onestà disarmante anche per se stesso, avendo implicitamente ammesso di non aver mai passato dei gran natali. Lo aveva affermato con così tanta naturalità che neanche gli diede peso.
L’espressione del commesso di addolcì, almeno nello sguardo, che Keith notò essere grigio, ma di una tonalità diversa da quella di Shiro. Erano belli, anche se sembravano stonare nell’insieme dato dalla carnagione caffellatte e dal capelli castano scuro. Erano come privi di…

Keith sbuffò tra sé, passandosi una mano in faccia con rassegnazione.

“Ehi amico, se c’è qualche problema sono qui per aiutarti! È letteralmente il mio lavoro” ridacchiò il commesso, indicandogli con un ampio cenno il negozio. “Il cartello della Blue Essence non lo tirò giù neanche se mi preghi, ma abbiamo un reparto di profumi da uomo molto fornito.”

“Non mi interessa il profumo” borbottò Keith, cercando di nuovo Shiro in mezzo alle folle assiepate davanti agli espositori. “Sono… siamo qui per un regalo. Credo.”

“Oh, sei un bambino sperduto allora!”

Di nuovo, Keith lo guardò come se quel rivolgersi a lui in maniera così sfrontata fosse uno scherzo o se il ragazzo fosse serio. “Mi stai prendendo in giro?” il pensiero divenne parole e Keith avrebbe voluto strapparsi la lingua da solo. Tuttavia, il commesso non sembrò aspettarsi di nuovo quella sincerità e ridacchiò ma cercando di tenere serrate le labbra per limitare l’eccesso.

“Può darsi, ma diciamo di no, se ti lamenti in cassa di me poi mi tolgono punti! Quindi,” si schiarì la voce, “lascia che ti aiuti nella tua quest! Chi stiamo cercando?”

“Shiro.”

Il commesso annuì lentamente e con pazienza. “Ok, Shiro. Che sembra il nome di un cagnolino adorabile, ma presumo sia una persona, giusto?”

Keith lo guardò male di nuovo. “Shiro è la mia anima gemella” sbottò, per arrossire un attimo dopo dandosi dell’idiota per aver sottolineato il loro legame come una quindicenne sognatrice e innamorata.

Per la prima volta, qualcosa sul viso del commesso non sembrò così divertito, ma più simile a una tristezza rassegnata, anche se la dissimulò bene. “Ok. Shiro. Mi sai dare una descrizione così ti aiuto a cercarlo?”  

Fu come chiedere a Keith di descrivere il suo gusto di gelato preferito; il suo viso si colorò di entusiasmo, fu improvvisamente loquace e gesticolò senza rendersene conto.

“È più alto di me, così. Spalle larghe. Ha un cappotto grigio in lana, i capelli neri ma un ciuffo bianco e gli occhi grigi”

“Wow, per fortuna che alla tua anima gemella piacciono le tonalità grigie, non saprei come avrei fatto diversamente” asserì sarcastico il commesso. La potenziale figura di merda colpì Keith in pieno, facendogli bruciare le guance dall’imbarazzo.

“Posso cercarlo da me” aggiunse Keith alla svelta.

“Ma no, no. Non mi sono offeso. Tanto prima o poi l’anima gemella si incontra, no? Secondo la mia abuelita io non sono fatto per vedere il mondo grigio per sempre.”

“Abue.. lita?”

“Mia nonna, la mia nonnina, in spagnolo. Sono di Cuba” spiegò il commesso, mentre si guardava intorno alla ricerca del fantomatico Shiro. “Sono venuto qui per studiare e, be’, credo anche per trovare la mia anima gemella, visto che ho questa fissa per New York da tipo sempre” ridacchiò tra sé, poi guardò Keith con un nuovo brillio negli occhi, stavolta di curiosità. “Non mi sembra che tu abbia un accento di qui, ma neanche particolarmente marcato. Di dove sei?”

Keith soppesò la domanda per un po’, ma alla fine non ci trovò nulla di male a rispondere.

“Texas” ma non aggiunse particolari che comprendessero orfano, affidamento o servizi sociali, anche se ebbe uno strano impulso a dirlo.

“Un ragazzo del Texas nella Grande Mela per la sua anima gemella, sembra la didascalia di un film!”

Keith rise senza pensarci. “Vale anche per te” la confidenza fu strana ma lasciò correre.

Il commesso gli puntò addosso due dita-pistola, facendogli l’occhiolino.

“Si intitolerebbe Just a boy from Cuba! Potresti starmi simpatico, anche se l’ho visto che hai un mullet lì dietro! Gli anni ‘80 sono finiti, ti hanno informato?”

Keith sbuffò, ma senza prendersela. Quel tipo sarebbe andato d’accordo con Pidge.

“Oh, se il tuo Shiro è un manzo da un metro e novanta con l’eyeliner perfetto credo di averlo trovato.”

“Cosa? Dov’è?”

“Qui” e indicò a pochi passi da loro, alle loro spalle, appena fuori dal raggio d’azione delle loro chiacchiere. “Ehi, Shiro!”

Confuso dalla voce, Shiro si guardò intorno, per individuare poi la mano sventolante del commesso che gli indicò Keith. Si avvicinò, scambiando prima un’occhiata intima con il compagno per poi squadrare il commesso con l’aria colpevole di chi pensa di non ricordarsi qualcuno.

“Piacere, Shiro! Il tuo ragazzo non ti trovava e si è affidato al mio eccellente occhio da cecchino per scovarti! Quando passate in cassa lasciate una buona parola per il vostro amichevole commesso di profumeria!” ridacchiò, facendo un passo indietro come di commiato, anche se non si allontanò davvero. “Se poi vi serve una mano per scegliere qualche regalo, rimango a disposizione.”

Nonostante a Shiro mancasse qualche tassello in quel riassunto veloce, accettò l’offerta.

“Volevo un parere sul profumo Gocce di Mare per un regalo.”

“Che!? No!” Keith intervenne di istinto, facendo voltare gli altri due, ma lui guardò in faccia solo Shiro. “A chi vuoi regalarlo!? Non compreremo quel-- quel-” non trovò le parole per esprimere il concetto di odio ingiustificato che aveva verso quel prodotto.

“So che ad Allura interessa” spiegò il compagno, suonando un po’ come una scusa un po’ no, perché non capiva il comportamento di Keith.

Anche il commesso lo guardò scettico. “Amico, cosa ti ha fatto di male la Blue Essence? Giuro che la loro linea di prodotti rispetta l’ambiente e non fanno test sugli animali.”

“È blu” bofonchiò Keith, incronciando le braccia.

“È blu” ripetè Shiro, in un sospiro, capendo cosa intendesse.

“Ehi, ma che problemi avete voi due col blu?” intervenne il commesso in atteggiamento di ramanzina con le mani sui fianchi. “Ok, capisco che iniziare a vedere i colori può essere un trauma, ma ora non ditemi che il blu è brutto perché mi sentirò personalmente offeso!”

“Non ti riguarda” borbottò Keith di nuovo a disagio per creare situazioni imbarazzanti e risultare poi scontroso. Doveva mettere una croce sopra i centri commerciali e auto bannarsi.

“Ok, d’accordo” concesse il commesso, ricordandosi del proprio ruolo. “Ma qui sono il responsabile delle vendite della Blue Essence, visto come i miei colleghi trovano divertente che sia l’unico colore che io riesca a vedere, quindi piano con le offese. E poi, come stavo dicendo, i prodotti di questa linea sono davvero buoni, lasciano la pelle-”

“Cosa hai detto?” lo interruppe Shiro.

“Stavo dicendo che sono prodotti di un’ottima qualità! Oltre al profumo c’è-”

“No, aspetto. Prima, che cosa hai detto? Riguardo al blu.”

“... che è l’unico colore che vedo. Sentite, mi state simpatici, davvero, e non lo dico perché poi possiate lasciare una bella recensione - cioè, anche - ma fuori di qui vi sarete scordati di me, quindi facciamo che adesso io rientro nel ruolo di commesso che prova a vendervi qualcosa e voi tornate a essere clienti in cerca di regali di Natale, ok? … Shiro, perdona la franchezza, ma il tuo sguardo mi sta mettendo in soggezione.”

Shiro lo stava esattamente guardando come fosse il proprio regalo di Natale.

“Puoi vedere solo il blu? Come? E perché?” brontolò Keith, ancora perso nei propri sentimenti negativi verso quel colore per realizzare. Shiro gli diede una gomitata e un’occhiata eloquente, ma il compagno farfugliò solo un “Ahia!” massaggiandosi la parte lesa.

Nella confusione di chiacchiere e scalpiccii affrettati, Shiro allungò una mano verso il ragazza sconosciuto che aveva davanti, dimentico di tutto il resto.

“Possiamo presentarci di nuovo? Mi chiamo Takashi, ma Shiro va benissimo” offrì.

L’espressione del commesso non era delle più convinte; era certo che da un momento all’altro sarebbero scappate fuori telecamere nascoste e quello fosse tutto uno scherzo per incastrarlo sul fatto che perdesse tempo al lavoro, nonostante fosse tra quelli con il numero di vendite più alto proprio in virtù del suo essere tanto amichevole. Tuttavia, quello Shiro aveva una presenza a cui non si riusciva a dire no, quindi gli strinse la mano.

“Sono Lance”

Accadde. Per tutti era uno spettacolo che succedeva una sola volta nella vita, se si era fortunati. Per Shiro non fu nuova, ma bellissima lo stesso; avvertì la stessa sensazione, lo stesso brivido della prima volta, quando un anno prima aveva conosciuto Keith.

“Piacere, Lance. Hai degli occhi blu veramente molto belli” disse e c’era solo una sconfinata dolcezza nel suo tono, un po’ come sentire qualcuno dire bentornato a casa.

Lance, al contrario, aveva perso l’uso della parola. Continuava a fissare la mano che stringeva la sua, e nessuna delle due era più grigia. O almeno, non del tutto. Due toni diversi, un rosa chiarissimo e uno più tendente al cioccolato. Era così perso in quella contemplazione che neanche udì Keith commentare offeso e Shiro replicare con una risata roca, liberatoria. No, lo guardo di Lance, ancora basso, fu attirato da altri piccoli dettagli, come gli adesivi sul pavimento del negozio, colorati a indicare il percorso per i reparti, o un elastico giallo caduto a qualcuno, e ancora la pila di volantini con le promozioni del periodo.

Shiro gli strinse la mano, stretta alla sua, per farlo tornare in sé. Lance lo guardò in faccia.  

“Certo che tu non cambi davvero molto” rise nervoso, riferendosi ai suoi capelli bianchi e neri e gli occhi grigi. Poi, fu colto da un pensiero che gli procurò un filo di panico, mentre adocchiava Keith, senza mai lasciare andare le dita di Shiro. “Non è possibile” disse, troppo frastornato per elaborare. “Voi due siete già… perché io riesco a…”

“È una storia che stiamo ancora cercando di capire” risposte Shiro, anche se in quel momento era l’ultima cosa che gli interessava.

“Ehi” intervenne di nuovo Keith, che stava guardando malissimo le loro mani. “Che cazzo sta succedendo?” e sembrava davvero offeso.

Lance ritrasse la sua, a disagio, ma allo stesso tempo senza riuscire a distogliere l’attenzione da Keith, confuso nel vedere affiorare pochi colori su di lui, ma rimanendo rapito dalla tonalità violacea dei suoi occhi, che letteralmente lo lasciarono in apnea per qualche secondo.

“Io…”

“Keith” lo richiamò Shiro. “Penso che compreremo quel profumo ad Allura. E che pagherai tu.”

“Cosa!? Non esiste.”

Ma Shiro rise, scuotendo la testa e tornando a rivolgersi a Lance. “Ti dispiace prendere una confezione e darla a lui?” e gli fece l’occhiolino.

Lance obbedì come sotto incantesimo - il fascino di Shiro stava rapidamente acquistando una prospettiva diversa - e afferrò una delle scatole di Gocce di Mare, ficcandola in mano a Keith frettolosamente.

Era successo appena cinque minuti prima, ma Lance avvertì di nuovo la stessa sensazione avuta con Shiro. Quel grigio che vedeva nel cappotto di Keith mutò e divenne una fiamma nel buio, colorandosi di rosso intenso per una frazione di secondo. Poi Lance sentì una fitta alla tempia e si ritrasse.

“Piano” Shiro gli appoggiò una mano sulla schiena per sostenerlo. “Avrai un po’ di mal di testa all’inizio. Domani andrà meglio.”

“Mi viene da piangere” bofonchiò Lance. Aveva così tante emozioni dentro ad agitarsi che iniziava a fargli male anche il petto. E due lacrime lasciarono davvero i suoi occhi.

“Per tutto questo tempo è stata colpa tua” la voce di Keith lo raggiunse tremante.

Quando alzò il viso, Lance lo vide con le guance rigate e un’espressione omicida. Stringeva la confezione del profumo così tanto da averla rovinata, mentre la guardava come se lo avesse offeso nel profondo. Poi Keith spostò la propria attenzione al cartellone pubblicitario della Blue Essence, completamente diverso, completamente blu come quel mare in gocce che pubblicizzava.

“Lance” chiamò, tornando con un’occhiata verso di lui e verso i suoi occhi, molto più belli e in armonia col resto di lui. “Prendiamo questo profumo. E anche te. Voglio andare a casa.”


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Cow-T, terza settimana, M2

Prompt: Per evitare di essere scoperta ho scelto la latitanza. (Jeanette Winterson, Powerbook)

Numero parole: 512

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lance & Pidge

Note: College!AU




Quando Lance entrò nella propria stanza trovò la luce accesa e un fastidioso tac tac di fondo provenire dal suo letto. Con un'occhiata inquadrò subito Pidge, rannicchiata sul suo letto, pc sulle gambe e un plaid buttato in testa.
"Ok. Che cos'è successo, perché sei qui?"
"Ho rubato l'ultimo budino di Hunk e non ci metterà molto a scoprire che sono stata io. Ho perso il fermaglio di Allura in biblioteca - ma è colpa sua che ha insistito a farmelo mettere - e fino a domani non posso passare all'ufficio oggetti smarriti per sapere se lo hanno ritrovato. Ho sparato a Matt che ho un ragazzo per zittirlo sui suoi drammi continui e ora non mi lascia in pace. È stata una pessima giornata."
Lance si chiuse la porta della camera alle spalle ma rimase lì fermo a fissarla.
"Hai davvero il ragazzo?"
Pidge roteò gli occhi.
"Secondo te?"
"Secondo me non te lo sei ancora costruito, quindi no" assentì Lance, sicuro, e finalmente avvicinandosi al letto dove stava l'amica. "Mi stai dicendo che sei tipo latitante, allora?" ridacchiò, gesticolando perché le facesse spazio. Si sistemò di fianco a lei, buttando un occhio allo schermo del computer ma trovandoci i soliti codici noiosi.
"Non lo siamo un po' tutti?" replicò lei, senza smettere di digitare, a metà tra un tic nervoso e uno sfogo.
Lance la guardò come se si fosse appena trasformata in un'aliena. "Questa uscita filosofica da dove arriva? Credevo che le uniche citazioni che conoscessi comprendessero numeri o lettere in formula."
"Studio anche io, Lance. E purtroppo il professore di analisi insiste molto che guardiamo anche l'aspetto filosofico ed etico della matematica."
"Wow" riuscì solo a dire Lance, sinceramente stupito. "Quindi quando un giorno avvierai la tua dittatura mondiale conquistandoci con i tuoi robot, in fondo potremmo appellarci al tuo lato "etico"? Sempre se prenderai la sufficienza all'esame."
"Sapevo che dovevo andare a nascondermi da Keith, almeno lui sta zitto."
"Oh, non provare a paragonarmi a quel mullet musone! Volevo tenerti compagnia in quel che ti resta da vivere prima che Hunk scopra che sei la ruba-budini!"
"Stavo morendo di fame..." si giustificò lei lamentosa.
"E sei pronta a sostenere ad Allura che ti dirà "oh, dai Pidge, non importa per il fermaglio, non era importante..." quando in realtà magari era l'ultimo ricordo di sua madre?"
"Lance... ho un'improvvisa voglia di strozzarti..."
"Poi sei stata poco furba con Matt. Ora lo dirà a Shiro, che lo dirà a Keith, che lo andrà a dire a Hunk visto come sono diventati amiconi ultimamente, e Hunk lo dirà a me e io mi sentirò in dovere di scriverlo su ogni social del college perché il mondo deve sapere..."
Pidge smise di scrivere e chiuse il computer, molto lentamente. Si tolse il plaid dalla testa e si voltò verso Lance.
"Hai un ultimo desiderio?"
Lance la guardò senza capire. "Cosa?"
"Be', sai, tra il rintanarmi qui per non farmi beccare da Hunk, Allura o Matt, improvvisamente penso che darmi alla latitanza per il tuo omicidio gioverà meglio ai miei rapporti sociali."


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Cow-T, terza settimana, M1

Prompt: Gen/Fluff/AU

Numero parole: 1760

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: un po’ tutti (i buoni)

Note: Coffeeshop!AU



Il disastro fu evitato per un soffio dai riflessi di Keith.

Non solo afferrò Lance per il polso, facendogli capire con un "Non farla cadere!" abbaiato cosa dovesse fare di lì a zero virgola due secondi, ma riuscì anche a evitare che la cioccolata calda e i pancakes grondanti sciroppo d'acero si infrangessero sul pavimento - chi li avrebbe più puliti poi?
Ma cos'era successo? Dal resoconto che Keith fece pochi minuti dopo nella sala dipendenti, raccontò di aver solo scorto con la coda dell'occhio qualcosa che non andava in Pidge, un inclinarsi innaturale su un lato. Vedendo come i piatti che aveva in mano le stessero scivolando, scattare era stato un attimo. Lui aveva afferrato l'ordinazione, e nel mentre aveva letteralmente lanciato Lance a prendere Pidge al volo prima che cadesse a terra. Un gioco di squadra improvvisato, ma che aveva evitato una tragedia.
Il tutto era avvenuto dietro al bancone del Voltron Cafè come uno spettacolo improvvisato a cui gli avventori del mattino, con occhiate curiose, e sporgendosi dai propri posti, avevano assistito. Dopo un lungo silenzio di immobilità generale, in cui Keith aveva continuato a fissare la cioccolata con panna ondeggiare ancora pericolosamente nel bicchiere con un'occhiata perentoria che sembrava dire non ti azzardare a strabordare, e in cui Lance ancora cercava di capire come fosse finito dal banco ciambelle a tenere una Pidge svenuta tra le braccia, Allura riparò alla situazione con uno squillante "Assaggio di zabaione gratis per tutti! Sedetevi comodi ai tavoli e ve lo serviremo tra pochissimo!"
Nel mentre che Romelle si destreggiava tra i tavoli con i suoi pattini a portare le monoporzioni promesse dalla titolare, e Shay teneva d’occhio il bancone col suo sorriso a cui non si poteva fare uno sgarbo neanche col pensiero, il resto del personale del Voltron Café si spostò nel retro.
Lance appoggiò adagio Pidge sul divano, tastandole la fronte e la nuca con la sicurezza maturata dall’abitudine di tre nipoti facili ad ammalarsi. Scottava.
"Ok, ha la febbre" constatò.
"Oh no!" dissero all'unisono Hunk e Allura.
"E nessuno se ne è accorto quando è arrivata stamattina?" brontolò invece Keith a braccia incrociate. "Dobbiamo chiamare Matt?"
"Ha due esami oggi, fino a stasera avrà il cellulare spento" spiegò Shiro, scuotendo la testa.
"Qualcuno può portarla a casa" suggerì Hunk.
"Ok, ma poi rimarrebbe da sola? Oggi abbiamo il pienone, non possiamo assentarci" ribatté Keith.
"Sto bene" farfugliò in quel momento Pidge, cercando di tirarsi su a sedere, ma ricadendo sul divano un attimo dopo con un verso frustrato.
"Sì, stai una favola" fu il commento sarcastico di Lance. "Qualcuno va a prendere il cuscino e le coperte nel ripostiglio? E abbiamo rifornito il kit medico o…?"
Qualche minuto dopo, Pidge era infagottata sul divano come un piccolo burrito, con una pezza d'acqua fredda sulla fronte, ma nessuna medicina pronta da prendere. Il resto della crew era in piedi a cerchio poco distante per capire come agire.
"Ok, questo è l’obiettivo: sono solo le nove del mattino e dobbiamo resistere con una persona in meno fino a stasera."
"Mmpff princess, con chi credi di parlare? Potrei gestire quella sala di là anche da solo o con una mano legata dietro la schiena" sparò Lance, elogiandosi da solo e passandosi le unghie di una mano sulla divisa con un sogghigno. Tutti lo guardarono per niente convinti e lui rincarò. "Non mi credete? I clienti mi adorano, non come con Keith."
"Ehi! Sono veloce, non come te che flirti con tutti e perdi tempo!"
"Sì, ma di chi sono tutte le belle foto instagram che i clienti fanno e in cui ci taggano, accrescendo la nostra popolarità?"
"E intanto fai ritardare gli ordini in cucina."
"Ok, basta voi due" intervenne Shiro, scuotendo la testa. "Non è il momento. Suggerisco di ridividerci i compiti e coprire il ruolo di Pidge a turno. Esclusi Hunk e Shay che hanno già il loro gran da fare in cucina."
Ma Allura lo ascoltò solo di striscio; stava ancora occhieggiando Keith e Lance con un sorrisetto poco rassicurante in viso. "Oh, in effetti, chi di voi due potrebbe essere il migliore oggi a gestire la sala senza Pidge?"
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo di sfida per poi scattare con la testa verso la titolare. "SARÒ IO IL MIGLIORE!" esclamarono insieme. Shiro e Hunk si sbatterono entrambi un palmo in faccia.
Dalla porta che dava sul retro si affacciò Romelle, trafelata e con un po’ il fiatone.
"Hello, ragazzi? Avete finito? Qui ho bisogno di una mano!"
"Arriviamo!" e Allura di nuovo si rivolse alla sua squadra. "Keith e Lance si occuperanno degli ordini in sala. Romelle starà al bancone per le bevande calde, Shiro a quelle fredde e io in cassa, con la possibilità di aiutare entrambi se servisse" dispose, guardando ognuno di loro. "Tutto chiaro? Perfetto. Hunk, tra te e Shay devo chiedervi in caso di portarci le ordinazioni al volo se non rispondiamo subito, ok? Dovreste fare un po' avanti e indietro da soli."
"Nessun problema, princess!"
"Bene squadra, andiamo!"



Fu una giornata lunghissima. Per quanto Lance avesse fatto lo sbruffone sul fatto di cavarsela da solo, già all'ora di pranzo avrebbe supplicato per buttarsi a sedere cinque minuti, ma vedere come Keith perseverava, lanciandogli ogni tanto qualche piccolo ghignetto, soprattutto quando due belle ragazze gli chiesero di fare una foto insieme, lo spronarono a continuare a denti serrati.
Nel frattempo, nonostante il pienone che sembrava solo aumentare - il martedì era sempre un giorno infernale - tutti riuscirono a turno ad andare a controllare Pidge, sfruttando i pochi minuti di pausa che avevano.
La ragazza passava da un semi stato di incoscienza a un altro in cui proprio non riusciva a dormire, ma solo rabbrividire per i sintomi; era in quei momenti di parziale lucidità che si trovava di solito qualcuno di fianco con un sorriso, a dirle qualcosa di carino e a tirarla su.
Shiro fu il primo, portandole un bicchiere d'acqua e un paio di pasticche che Allura aveva fatto arrivare dalla farmacia in fondo alla strada in cambio di un caffè a portar via per tutti i farmacisti. L’amico la aiutò a mandarle giù, massaggiandole la schiena.
"Voglio andare a casa e rintanarmi a letto con la playstation" mugugnò la ragazza contro la spalla Shiro. Lui la strinse con un sorrisetto divertito e paziente.
"Tu e Matt su questo siete proprio diversi" rise appena. "Quando lui sta male sembra una specie di polipo che non ti lascia andare e non ha la forza di fare niente se non lamentarsi."
"Matt è una piaga" brontolò lei, per poi ripetere di voler andare via.
"Resisti fino a stasera. Stare a casa da sola con questo febbrone non è il massimo."
Lei si lamentò ancora, ma si arrese.
Un tempo indefinito dopo, riprese i sensi quando sentì Keith e Lance battibeccare.
"Ora non te la tirare perché due clienti carine ti hanno chiesto la foto e lasciato il numero. Ho una rubrica piena di queste cose, tsé. E poi sei gay, manco fosse stato un tipo carino..."
"Oggi però ancora nessuno ti ha filato" rincarò Keith sghignazzando ed esibendo un dito medio.
"Oh mio dio, sto così male che Keith è diventato etero e Lance è... Lance" mugugnò Pidge.
L'entusiasmo dei ragazzi nel vederla riprendersi scemò all'istante.
"Bell'amica" sbottò Lance, incrociando le braccia.
"Ti abbiamo salvata!" esclamò Keith disorientato. "Abbiamo fatto gioco di squadra!"
"Ti ho tenuto tra le braccia. Abbiamo avuto un bonding moment" scimmiottò Lance, facendo le virgolette con le mani e beccandosi un'occhiataccia cocente dal collega.
Pidge li guardò entrambi con una sufficienza che si perdeva però nel viso rosso, e a sua volta alzò le mani per virgolettare e fare un’imitazione di Lance con un "Non ricordo, non è successo."
"Perché sto sprecando la mia pausa qui con voi?" sbottò Keith, girando per andarsene, ma Lance lo fermò per il braccio, scuotendo la testa.
"Non possiamo dargliela vinta, ricordi?"
Entrambi si voltarono verso Pidge, che arretrò finché poté contro la spalliera del divano. "Che diavolo avete in mente?"
Prima che potesse pensare a qualsiasi cosa, entrambi i ragazzi le furono a fianco e - anche se Keith era molto titubante, ma si attenne al piano - la abbracciarono.
"Ti perdoniamo Pidge, per essere un gremlin sarcastico e acido. Sappiamo che è un momento difficile, ma siamo qui per te! Non sentirti in debito" dichiarò Lance, pieno di pathos e cercando di non ridere. Keith si stava mordendo il labbro per non fare altrettanto e borbottò solo un "Prego, per stamattina" molto al limite.
Pidge nascose il viso tra le mani. "Spero vi prenda la peste a voi due idioti."
E i due scemi corsero via prima che lei potesse lanciargli contro il cuscino.
La terza visita, quando la febbre si stava abbassando finalmente e si avvicinava l'ora in cui Matt avrebbe riacceso il cellulare, fu di Allura e Hunk.
"Sicura che non ti possa cucinare qualcosa?" insistette Hunk con una faccia da cucciolo bastonato, ma Pidge scosse la testa.
"Mangio a casa, e se devo vomitare lo faccio lì. Così Matt impara a essere irraggiungibile."
Gli altri due sorrisero ridendo. Allura si sedette di fianco a Pidge, abbracciandola e lei cercò di ritrarsi.
"Rischi di ammalarti. Già per colpa mia oggi e domani dovrete coprirmi, ma se ti sentissi male anche tu sarebbe la fine!" protestò.
"Siamo una squadra!" insistette Allura. "Se qualcuno di noi non ce la fa, lo copriamo. Sono cose che succedono."
Pidge scosse la testa, mogia. "Non voglio essere un peso."
Sia Allura sia Hunk sembrarono esprimersi in un aawww in contemporanea pieno di cuori figurati, e anche Hunk la abbracciò.
"Sei un gremlin così carino" commentò il pasticcere e Pidge sbuffò, ma non si sottrasse alle coccole.
"Per favore, tenetemi lontani Keith e Lance" supplicò.
Entrambi risero.




Pidge tornò al Voltron cafè due giorni dopo, per trovare un cartello con scritto "Chiuso per malattia".


Voltron Cafè Supersweet Squad group chat:

Pidgeon:
- Gente, siete seri?

Cream Blue:
- ... tu quoque, untrice...

Fire Shot:
- sapevo che abracciarti era una pessima idea
- è tutta colpa di lance

White Captain:
- riusciamo a nn litigare in chat?
- mi scoppia la stesta

Yellow Bon-Bon:
- vi odio
- non riesco a mangiare neanche un biscotto senz-

Sweet Rock:
- Hunk è corso in bagno, si scusa

Sailor Rom:
- siamo proprio una squadra!

- in salute e malattia!

Princess Milkshake:
- Giuro che vi-


Coran Coran:

- La signorina Allura vi porge auguri di pronta guarigione.
- Immediata, se possibile.


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Cow-T, prima settimana, Missione Speciale

Prompt: Capelli

Numero parole: 2064

Rating: Safe



Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Allura & Paladins, Kuron!Shiro.

Note: un what if post S3/S4? Ispirata a » questo edit «
Doveva esserci della Lotura, ma Lotor non è pervenuto, sigh.






Non c’era stato tempo per fermarsi. L’attacco degli androidi sentinella li aveva colti alla sprovvista quando pensavano di aver vinto. Armati non solo di blaster, ma anche di lame, uno di questi era quasi riuscito a decapitare Allura, mancandole il collo per un soffio.  

Nonostante lo shock sul suo viso nel vedere ciocche dei propri capelli finire in terra, la stessa principessa aveva gridato al resto della squadra di muoversi e correre ai Leoni.

Grazie alle cariche di esplosivo piazzate, avevano potuto distruggere una delle basi Galra più problematiche e bollare la missione come un successo.

Tuttavia, il team non sentì l’emozione per la vittoria, non con i singhiozzi malamente trattenuti di Allura negli auricolari dei caschi, prima che Pidge decidesse di interrompere le comunicazioni tra tutti finché non fossero tornati alla base.




Inconsapevole dell’accaduto, Keith fece rientro al Castello dei Leoni poche ore prima dell’alba preimpostata dal sistema di bordo. Terminata una ricognizione con la Lama di Marmora, aveva avuto il via libera da Kolivan per tornare e ragguagliare in prima persona i paladini sulla situazione.

Quello che non si aspettava di trovare era Allura nella sala allenamenti, circondata di bot di livello avanzato a metterla alle strette. Fu sul punto di intervenire, per istinto, quando il bayard blu si illuminò cambiando forma.

Tra le dita di Allura comparve una grossa spada alta quasi quanto lei. Aveva un’impugnatura lunga in cuoio blu, che la principessa afferrò saldamente con entrambe le mani; dalla guardia rettangolare e stretta partiva una lama piatta, larga quasi quanto il suo avambraccio, color tempesta.

I sensori dei bot raggiunsero il livello critico di pericolo e attacco, ma non ebbero scampo dalla furia negli occhi di Allura, che caricò l’attacco con un urlo rabbioso e falciò a metà tutti e cinque gli androidi.

Il protocollo di allenamento si spense, dichiarando la vittoria per l’avatar simpatico e sorridente di Allura, che in nulla, in quel momento, assomigliava alla proprietaria. Prima che la spada si piantasse sul pavimento si illuminò di nuovo, tornando alla forma di partenza del bayard.

Fu quando la squadrò con attenzione che Keith realizzò, o in parte intuì.

«Cos’è successo?» Allura trasalì alla domanda, non essendosi accorta della sua presenza. Ciuffi di capelli disordinati e irregolari le sfuggirono dal fermaglio con cui li aveva fissati in maniera frettolosa, finendole davanti gli occhi. L’ex paladino rosso insistette prima ancora di rendersene conto. «I tuoi capelli...»

Nonostante pensasse di essersi sfogata con quell’allenamento fuori orario, la principessa avvertì gli angoli degli occhi pizzicarle di nuovo. Anche stringere i pugni e imporsi di non piangere non servì.

Il conforto venne da un impacciato Keith, che la abbracciò posandole le mani sulla schiena e guidandola contro di sé. Cercò qualche parola per tirarla su, mentre lo sguardo inevitabilmente osservava le ciocche recise che scappavano dall’acconciatura improvvisata.

Alla fine non riuscì a dire niente, ma Allura sembrò apprezzare lo stesso e calmarsi.

Ore più tardi, il resto dei paladini, sbadiglianti e in pigiama, scorsero Allura e Keith seduti vicini a parlare, in una delle sale ristoro con lo sfondo delle stelle oltre la vetrata a incorniciarli. Di cosa stessero chiacchierando non lo intuirono, anche se doveva essere qualcosa di leggero e spensierato.

Shiro tappò la bocca a Lance prima che potesse palesare la loro presenza e spezzare quel piccolo tiepido momento in cui la principessa pareva tranquilla, nonostante la stanchezza sul suo viso.

«Andiamo a fare colazione» ordinò in un sussurro il paladino nero, facendo un cenno anche a Pidge e Hunk.




Quando Lance bussò alla porta della camera della principessa non si aspettò di trovarci anche Shiro e Pidge.

«Oh, ehi ragazzi, ehm… interrompo qualcosa?»

Erano tutti e tre seduti in fondo al letto, e come quella mattina con Keith, sembravano intenti a parlare di argomenti che stavano strappando un piccolo sorriso ad Allura.

Si scambiarono un’occhiata tra loro e fu la stessa principessa a parlare.

«Sto cercando di affrontare… questo» e si indicò i capelli, ora sciolti, che le ricadevano senza alcuna simmetria o ordine sulle spalle. Arrossì appena, abbassando lo sguardo, ma sembrò imporsi di non cedere di nuovo. «Pidge mi stava raccontando di quando si è tagliata i capelli per fingersi un ragazzo nella vostra accademia.»

Lance levò un sopracciglio, fissando la giovane Holt con ancora quello che dava tutta l’idea di risentimento per quella storia. Pidge stessa sbuffò, ma ghignò.

«Ce l’hai ancora legata al dito perché il tuo radar per ragazze ha fallito?»

«Tu che ti autodefinisci “ragazza” è questionabile. E sì, mi fidavo di te! Ti ho conf-» ma si bloccò, arrossendo furiosamente al ricordo di alcuni particolari che la sua memoria aveva secretato.

«Tutto bene, Lance?» si interessò Shiro con espressione curiosa.

Pidge, che a sua volta ricollegò perché anche lei aveva rimosso, rise con perfidia e un’espressione diabolica. «Oh, sta benissimo. Si è solo ricordato di una nostra conversazione sulle… bipartizioni.»

Né Shiro né Allura sembrarono cogliere.

«Io e te facciamo i conti più tardi!» brontolò Lance, facendo il gesto del “ti tengo d’occhio” con due dita verso Pidge, senza che la sfumatura accesa che gli andava da gota a gota sparisse. «Comunque, non prenderei a esempio il taglio di capelli del gremlin. Non c’è un ciuffo che segua una logica.»

«Che cosa!? Scusa tanto, non è che stessi lì con precisione a sistemarli, avevo altre priorità per la mente!» grugnì la Holt, incrociando le braccia. «Poi non vedo che differenza faccia, come se voi vi curaste particolarmente il taglio.»

«Alt, alt, alt! Non siamo mica tutti come Mullet-Selvaggio-Keith quI! O come-» e si girò a indicare con entrambe le mani la testa di Shiro, ma senza aggiungere niente di intelligibile.

«Che c’entro io adesso?»

Facendosi forza con un respiro profondo, Lance non ebbe pietà nel commentarlo.  

«Amico, è da quando hai cambiato look che te lo volevo dire: quel ciuffo va rivisto.»

L’espressione del paladino nero si sgretolò di fronte alla scomoda verità, ma in compenso qualcuno rise, ed era Allura.

La principessa tentò di soffocare e tossicchiare la risata, ma, quando gli altri tre si voltarono verso di lei, non ce la fece a trattenersi e si nascose il viso tra le mani per l’imbarazzo. Vederla finalmente più distesa contagiò anche gli altri.

«Ora che l’atmosfera è un po’ più rilassata...» iniziò Lance, cincischiando e dondolandosi sul posto.

«Che avevi in mente quando sei venuto a bussare?» Pidge non ci provò nemmeno a fermarsi e incalzare con tono serafico. «Volevi consolare la principessa tutto da solo?»

«… sei impossibile» brontolò l’altro, non senza che stavolta anche le orecchie arrossissero. «Volevo offrire i miei servigi come parrucchiere!»

Seguirono una manciata di silenziosi quanto dubbiosi secondi.

«… parrucchiere?» ripeté Shiro per sicurezza.

Lance rizzò la schiena, levò il mento e allargò le braccia in un ta-dan!

«Ho lavorato per tre anni, tutte le estati, al salone di bellezza di mia cugina Camila. “Al Beauty Paradise vi sentirete in paradiso!”»

«Facevi lo sguattero di bottega?»

«Non immagini neanche che splendida manicure potrei farti. Non avrai più voglia di smontare un robot perché ti rovineresti smalto e gel» asserì senza scalare di una virgola il proprio orgoglio. «Ma ho anche affinato le mie skill in materia di taglio» e per marcare meglio il concetto, indice e medio delle sue mani tagliuzzarono l’aria.

«Quindi… cosa vorresti fare di preciso?» indagò scettica Pidge.

Lance non aveva concluso con la teatralità; per rispondere alla domanda, si inginocchiò di fronte ad Allura, come un cavaliere della tavola rotonda, e, mano destra sul cuore, la guardò con tutta l’intensità del momento - che solo lui avvertiva.

«Principessa… mi lasci essere il suo umile parrucchiere e tornerò a farla sorridere! A splendere!»

Shiro dovette allungare il braccio per afferrare Pidge e impedirle di ribaltarsi dal letto per le risate sguaiate. Nel frattempo, Allura stava guardando incerta la serietà cavalleresca del paladino blu.

«Lance...» iniziò, pronunciando la a arrotondata. «Sono lusingata… ma che cos’è un parrocchiere? E una sala di bellezza?»

«Oh» la carica del ragazzo si afflosciò. «Ehm… un parrucchiere è qualcuno specializzato nella cura dei capelli. Li, ecco… sistema tagliandoli e acconciandoli e questo lo fa in un negozio dove puoi anche, uhm - si fissò le dita, prima di alzarle di fronte a sé - colorati le unghie? Non hai mai messo dello smalto?» e nel suo tono c’era una nota stridula, come se uno dei suoi massimi sistemi fosse stato messo in discussione.

Allura era ancora più dubbiosa di lui sull’ultima parte e scosse la testa, ma sembrò anche molto interessata. «Credo che il vostro parrucchiere sia simile ai nostri shairlyn! Parlo di avventurieri che esploravano l’universo e apprendevano molto dalle culture di tutta la galassia grazie all’uso della mimetizzazione. Ricordo che quando tornavano ad Altea avevano sempre acconciature diverse e trucchi particolari dei posti che avevano visitato! Organizzavano poi degli spettacoli e...» si interruppe quando a Lance sembrò prendere un tic nervoso all’occhio. «Non è la stessa cosa immagino...»

«Ok, senza offesa principessa» iniziò Lance, rialzandosi. «Ma non capisco come si faccia a essere una società civilizzata senza parrucchiere» e rabbrividì tra sé, borbottando qualcosa riguardo a uomini che uscivano dalle caverne. «La prima cosa che faremo quando ti porteremo sulla Terra sarà andare in un salone di bellezza e richiedere il servizio completo. Per entrambi» aggiunse, indicando Shiro con il pollice, che aggrottò la fronte, fissandosi in modo buffo il ciuffo di capelli con la faccia di uno che non ci trovava nulla di sbagliato. «Comunque…» Lance tornò serio, abbandonando l’aria goliardica per un sorriso che voleva infondere ottimismo. «Non scherzavo sull’offerta di sistemarti i capelli. Mi… mi dispiace per quello che è successo alla base Galra...» abbassò lo sguardo, torturandosi le mani. «Ero io quello che doveva coprirvi le spalle e avrei dovuto assicurarmi che le sentinelle fossero state tutte abbattute...»

«Sei stato colto alla sprovvista come tutti» replicò Pidge con forza, come a voler scacciare quel tono di scuse dal compagno. «I prototipi di androidi che ci hanno attaccati avevano un sistema di difesa in grado di far rimbalzare il segnale del mio radar. Per questo non li abbiamo visti arrivare. Ma più tardi smonterò fino all’ultima vite quello che abbiamo riportato» e la sua era una tacita promessa a dire che una cosa del genere non sarebbe più successa di nuovo sotto i suoi occhi.

«Nessuno di voi deve farsene una colpa» intervenì Shiro, guardandoli entrambi con uno sguardo inorgoglito dai loro discorsi. «Non possiamo prevedere tutto, ma possiamo continuare a essere un team unito.»

«Così mi emoziono» piagnucolò Lance.

«Gandalf-Shiro ha parlato» sancì prosaica Pidge, guadagnandosi un’occhiataccia dai ragazzi. «Che c’è? Sono arrugginita col Signore degli Anelli. Preferite Star Wars?» e cacciò fuori la sua linguaccia ironica, facendo ridere tutti, persino la principessa che non stava cogliendo le citazioni.

«Grazie, paladini» mormorò commossa Allura, molto più serena di prima. Prese un respiro profondo, scacciando i tentennamenti e rivolgendosi a Lance. «Accetto la tua proposta.»




Pidge si rimangiò le proprie battute e si profuse in diversi wow, quando Lance finì con Allura. Non solo aveva dato un senso alle ciocche asimmetriche, ma le aveva anche acconciato i capelli in maniera vivace, con un taglio che sembrava uscito da una rivista di moda. Non aveva scherzato sull’affermare che Allura sarebbe tornata a splendere.

La stessa principessa era così emozionata da non riuscire a smettere di rimirarsi da tutte le angolazioni, continuando a mormorare diversi complimenti, sempre più sentimentali.

«Hai fatto davvero un… gran bel lavoro» affermò Shiro meravigliato, a corto di parole.

Pidge gli diede una leggera gomitata, muovendo le sopracciglia in maniera eloquente. «Forse anche tu dovresti accettare la proposta per quel ciuffo e dare una spuntata alla colom-»

«Katie» sussurrò Shiro incisivo, poggiandole le dita sulla bocca con un sorriso tiratissimo. Arrivare a usare il suo nome di battesimo era un monito in sé sufficiente, ma volle essere più chiaro. «Ho promesso a tuo fratello che mi sarei fatto carico della tua incolumità. Non farmi pentire, o peggio, ritrattare, ok?»

Pidge ghignò contro la sua mano, ma gli fece un gesto di ok con le dita.  

«Però sai Shiro...» Lance si inserì nella conversazione col tono di un uomo vissuto e temprato dall’esperienza, ma che ancora giocherellava con le forbici che aveva in mano, aprendole e chiudendole con aria meditabonda. «Do ragione al gremlin a questo giro. Quel ciuffo mi ricorda proprio una colomba. E poi è così bianco… potremmo tingerlo, che dici?»


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