sidralake: (Default)

COW-T 14, terza settimana, M2

Prompt: Risonanza

Numero parole: 3887

Rating: SAFE

Note/Warning: Potrebbe essere una sorta di prequel a “Let me be with you”, l’altra mia fic con Omega!Bakugou e Beta!Deku. Ma si legge da sola volendo. Mpreg. 







Hero Dynamight! Non ha nessuna dichiarazione da fare riguardo la notizia che sta tenendo incollati agli schermi milioni di fan?

Ma che cavolo volete!? Andate a farvi una vita, comparse! Smettetela di ficcare il naso nella mia vita! E-



La TV venne spenta prima che il servizio finisse e un ringhio accompagnò il gesto, riempiendo l'improvviso silenzio.

"Se non avete altro da fare che guardare queste cazzate potete pure sloggiare dal mio salotto."

Kirishima incassò la testa tra le spalle, lanciando un’occhiata alle proprie spalle. Shinsou al contrario non alzò gli occhi dal cellulare né diede adito di essere sorpreso, mentre Shouto continuò a sonnecchiare contro la sua spalla.

"Bakugou... pensavo stessi riposando. Dovresti-"

"Pensavi male, Testa a punta."

Katsuki si liberò del telecomando lanciandolo sul divano libero, per poi dirigersi verso la cucina pestando i piedi e sbattendo un paio di armadietti.

"Non puoi farti il caffè."

La voce di Shinsou si levò senza un tono in particolare, quasi più simile a un motivetto ripetuto di controvoglia, divenuto ormai privo di reale impatto. Un reminder che fece imprecare il Grande Dio dell'Uccisione Esplosiva.

"Fatti i cazzi tuoi, Occhiaie. E che cavolo ci fai tu qui?"

"Visto che ormai monopolizzi la presenza del mio ragazzo mi tocca passare il tempo con lui stando qua."

Todoroki non diede segni di essere toccato dalla conversazione. Il suo respiro profondo continuò senza interruzioni.

"Nessuno ha chiesto allo Scemo a metà di svernare sul mio divano."

"Midoriya mi è sembrato piuttosto chiaro nella richiesta di aiuto."

"Be', Deku spara una marea di stronzate."

"Cerchiamo di stare calmi..." Kirishima si alzò, supplicando con un'occhiata Hitoshi di finirla, per poi dirigersi anche lui verso la cucina a vista. "Perché non ti siedi, Bakugou? Ti preparo la tisana allo zenzero!"

"Non voglio quel brodo."

All'affermazione, Kirishima abbozzò un sorriso tirato e sembrò contare mentalmente fino a dieci, mentre Katsuki era distratto dal fissare male gli sportelli della propria cucina come se gli avessero fatto un torto.

"Ho preso un sacco di succhi di frutta, che gusto ti andrebbe?"

"Voglio un caffè."

"Non puoi berlo." 

Shinsou non ci pensò due volte a ribadirlo e mettere il dito nella piaga. Il sorrisetto sulle sue labbra sembrò visibile anche attraverso le sole parole.

"Be', magari quello decaffeinato..." tentò di mediare Eijirou.

"Fa schifo."

"Fa schifo."

Seguì una lunga manciata di secondi di silenzio dopo la risposta all'unisono di Katsuki e Hitoshi. Mentre il secondo se la rise, il primo cacciò una bestemmia.

"Sloggia da casa mia, Occhiaie!"

"Tra un'ora, quando tornerà Midoriya. Se riuscirà a tornare..."

Pestando i piedi e superando Kirishima - che si ritrasse per evitare la collisione - Bakugou fu dietro la spalliera del divano per troneggiare su Shinsou e su Todoroki come una vedetta armata pronta a sparare a vista.

"Che vorresti dire?"

"Che se guardi fuori dalla finestra dell'appartamento te ne renderai conto da solo."

"Io... io non credo sia una buona idea..." Il tentativo di Kirishima neanche arrivò alle orecchie del migliore amico. 

Cinque secondi scarsi e Katsuki scostò la tenda per guardare attraverso il vetro. Se si fossero trovati al secondo o terzo piano probabilmente sarebbero stati raggiunti anche dall'intenso brusio che doveva animare la folla sottostante; per loro fortuna, l'appartamento era al decimo piano e tutte le comparse apparivano per lo più come punti colorati.

"Che cazzo..."

Kirishima lo tirò indietro per le spalle, richiudendo la tenda.

"Bakugou, amico, non ci pensare, ok?"

"Chi diavolo è tutta quella gente?!"

"Eeh..." sbadigliò Shinsou, muovendosi piano per scostare Todoroki e appoggiarlo contro i cuscini del divano e girarsi poi verso gli altri due senza perdere l'espressione sorniona. "Perché non provi a indovinare? C'entra con quel piccolo dettaglio che ti porti appresso" e nel dirlo, indico l'addome di Bakugou coperto da una felpa di una taglia più grande che non sembrava più così larga. "È diventato difficile da nascondere."

Una mano di Katsuki si mosse istintiva per posarsi lì dove Hitoshi lo aveva puntato e dove la curva dello stomaco era nel pieno del quarto mese.

"Che vorresti dire?"

"Bakugou, lascia perdere..." di nuovo, Eijirou tentò di mettersi in mezzo. "Ho comprato qualche snack, tutta roba che può rientrare nella tua dieta! Non hai fame?"

Ma Katsuki lo spostò di lato, facendosi di nuovo avanti per guardare dall'alto in basso l'ospite che gli aveva invaso uno dei divani.

"Quell'intervista di ieri" e Shinsou indicò col pollice la TV spenta alle proprie spalle, "pensi che sia finita lì?"

"Non ho detto un cazzo di nulla."

"Ma non c'era bisogno di dire niente quando è il tuo stato interessante che parla per te. Sei sparito dalle scene e ora ti vedono così. Il due più due è quasi stupido da fare."

"Shinsou, per favore..." lo pregò Kirishima, mentre continuava a lanciare occhiate all'amico come avrebbe potuto tenere d'occhio un conto alla rovescia i cui numeri scorrevano troppo rapidamente.

"Sono affari miei e di Deku, stop. Già voi che ronzate qui dentro siete di troppo. Ora vado a dirgli di andarsene" sbottò Katsuki senza pensarci due volte.

La combo per bloccarlo fu istintiva. Kirishima e Shinsou non si scambiarono neanche uno sguardo d’intesa, ma lo afferrarono da entrambe le braccia impedendogli di proseguire anche solo di un passo.

“Mollatemi!”

"Non è una buona idea" disse piano Hitoshi, senza alcun senso di colpa, ma più come un consiglio.

"È una pessima idea!" ribadì invece Eijirou, scuotendo la testa.

"Ma che diavolo-"

"La tua sola intervista di ieri ha già avuto una risonanza mediatica sufficiente a oscurare i nuovi pettegolezzi su Endeavor e Hawks. O sullo scandalo della Pro Tech. O su Shouto e tutte le persone che immaginano si porti a letto. E potrei citarti altre mille questioni che il tuo pancino è riuscito a mettere in ombra."

Bakugou si scrollò dalla sua presa ringhiando e snudando i canini. 

"Ti faccio esplodere, Occhiaie! Tieniti queste stronzate per te! E quei giornalisti devono levare le tende da sotto casa mia!"

"Bakugou calmati... il dottore ha detto niente scatti di rabbia, ok? Per favore" lo supplicò Kirishima.

"Sto solo riportando dei fatti." Shinsou levò i palmi in alto a sottolineare la propria buona fede. "E la cosa migliore, al momento, è starsene buoni e pensare a una dichiarazione ufficiale che plachi le fantasie che la gente si starà sicuramente facendo."

"Che diavolo intendi?"

Hitoshi sembrò improvvisamente stanco alla sola domanda. Lanciò un'occhiata verso Shouto che dormiva tranquillo e poi tornò a guardare negli occhi l'ex compagno di scuola biondo.

"Fatti un giro online, non si parla di altro. Credi che riguardi te e Deku? Deku non lo stanno neanche prendendo in considerazione. Pensano che il danno lo abbia fatto lui" e indicò indolente il rampollo di casa Todoroki che ronfava, "per via della vostra storiella del liceo. E perché è più sensato che un Omega in dolce attesa stia con un Alpha e non un Beta. E anche perché stiamo facendo la spola tra casa nostra e casa tua a giorni alterni, ma io sono pressoché invisibile all'opinione pubblica."

Il sorriso con cui concluse il discorso sembrò cozzare del tutto col contenuto dell'affermazione, quasi come se trovasse divertente essere scartato dall'equazione nonostante il suo ragazzo fosse etichettato come padre del bambino.

"Sono solo una marea di puttanate."

"Non sono in disaccordo, ma allo stato attuale delle cose andare giù a sbraitare ai giornalisti rischierebbe solo di fare peggio. E non hai bisogno di sbalzi di pressione e di finire al pronto soccorso. Quindi... io accetterei quegli snack, Kirishima."

"Eh?" Eijirou cadde dalle nuvole, sentendosi nominare. "Oh, sì! Ne ho presi un sacco! Bakugou vuoi qualcosa?"

"Non cambiate discorso!"

"Fai anche la tisana allo zenzero. Anzi, ti do una mano" continuò Shinsou, sordo alle proteste di Bakugou. "Se Midoriya riuscirà a superare i giornalisti, forse dovremmo fargli trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Sarà una giornata lunga e il turno di notte non deve essere stato bello con tutto il trambusto delle notizie."

"Eh, Mina mi sta tenendo aggiornato..." sospirò Kirishima, sventolando il cellulare. "Dice che una bomba così non la sentiva da parecchio e che le foto di Bakugou sono davvero ovunque..."

Katsuki li fissò senza parole. 

"Ohi! Mi state ignorando!?"

Shinsou gli passò di fianco per raggiungere la cucina. 

"Sarebbe bello riuscirci, ma persino le previsioni meteo parlano di te e prevedo lo faranno ben oltre il parto. Spero solo che nasca coi capelli verdi, così lasceranno in pace Shouto."

"Io penso che sarà biondo! O bionda!” Kirishima non perse un secondo a seguire il nuovo filo della discussione. “Forse con gli occhi verdi, che dici?"

“Basta che abbia qualche tratto distintivo di Midoriya così anche i complottisti si metteranno l’anima in pace.” 

"... io vi ammazzo sul serio. Smettetela di parlare come se non ci fossi!"




Tre ore più tardi Deku si accasciò nell'ingresso dell'appartamento di Bakugou.

"Sono... sono tornato" biascicò come un moribondo, districandosi dai manici del borsone che ormai si portava ovunque con la tuta da Hero, un cambio pulito, almeno due da lavare che puntalmente si dimenticava e il necessario per dormire fuori casa, fosse in Agenzia o lì da Katsuki.

"Non ci speravo più di vederti. I giornalisti ti hanno placcato di sotto?"

Shinsou gli si accucciò davanti, guardandolo come avrebbe guardando un cucciolo abbandonato per strada.

Izuku si stropicciò gli occhi e tentò di mettere a fuori l'amico.

"Ho fatto il giro dell'isolato... e sono passato dai tetti..."

Mind Jack sollevò le sopracciglia, commentando dapprima con un mmh pensieroso.

"E ci hai messo due ore in più?"

Deku sospirò e scosse la testa, appoggiandosi al muro del corridoio.

"Hanno rapinato una banca mentre tornavo e i rapinatori hanno provocato un incedente all'incrocio dove stanno costruendo il nuovo palazzo e per via del traffico l'ambulanza stava tardando, quindi ho portato i feriti al pronto soccorso. Ho incrociato l'agente Sansa per la deposizione e... e poi mi ha chiamato la signora Bakugou."

"Oh..." Shinsou corrugò la fronte, indeciso su come interpretare il tono sfinito dell'amico. "Problemi con la futura suocera? Immagino abbia saputo anche lei che il mondo sa..."

"Non può uscire di casa per via dei giornalisti. E Kacchan non le risponde al telefono."

"Prevedibile..." Hitoshi si tirò in piedi, allungando poi la mano all'amico. "Kirishima è di là con lui, è un momento piuttosto no. È stato irritato tutta la mattina, ha vomitato e poi ha avuto un capogiro. In realtà niente di diverso dal solito."

Sul viso di Deku si rincorsero i sensi di colpa e l'inevitabile consapevolezza che la situazione sarebbe potuta anche peggiorare.

"Forse... forse è meglio se torno a casa mia" esitò, anche se afferrò la mano di Shinsou per aiutarsi a rimettersi in piedi.

"Lo vuoi un consiglio?"

"... sì?"

"Ormai è tardi, affronta la cosa. La frittata l'avete già fatta mesi fa e ora non ha senso rimandare l'inevitabile." Hitoshi fece spallucce. "Questa storia sarebbe venuta a galla prima o poi. Finora Bakugou ha nascosto la cosa e non è ancora cosi evidenti a conti fatti, ma tra un mese o due?"

Con le mani imitò la forma piena di un pancione immaginario, facendo poi una smorfia all'idea.

"È successo. Qualcuno si è fatto due conti, i siti di gossip hanno alimentato la cosa e ora manca solo che ufficializzate la cosa. E fatelo il prima possibile. Non è più divertente leggere i post delle fan del tuo ragazzo e del mio ragazzo che fantasticano su quirk esplosivi di ghiaccio, capelli metà biondi e metà rossi e combinazioni varie..."

Izuku incassò la testa tra le spalle.

"Mi dispiace."

Shinsou gli diede un colpetto col pugno chiuso.

"Ma smettila. Un giorno ci rideremo su. Adesso pensiamo al pranzo e a capire la prossima mossa, ok?"

Midoriya prese un profondo respiro e si staccò dal muro, annuendo.

"Grazie. Davvero. Non so come sdebitarmi."

"Oh, tranquillo. Mi farò venire in mente qualcosa."



"... che cazzo ci fate tutti qui?"

"Ehi, Bakugou! Alla buon'ora!" Mina fu la prima a salutarlo, occhiali sul naso, penna di un tablet in mano sventolata come la bacchetta di un professore d'altri tempi. "Qui stiamo lavorando per te, sarebbe carino che ci degnassi della tua presenza! Come stai?"

Ma Katsuki non la stava già più calcolando perché il suo sguardo aveva individuato la presenza al suo fianco, ossia Izuku, che aveva tentato di farsi piccolo piccolo, desiderando sparire nel divano.

"Abbiamo portato dei mochi, ti vanno?" continuò Ochako, alzando la confezione già abbondantemente attaccata, ma anche lei fu ignorata.

"Quando diavolo sei tornato."

Il fatto che Bakugou non pose la frase con l'inflessione di una domanda fece chiusere ancora più a riccio Deku.

"Ecco... poco prima di pranzo."

Gli altri si zittirono, lanciando occhiate l'uno all'altro, non nuovi a quegli scambi, tanto che Ashido tornò al tablet e ai suoi appunti, Uraraka sospirò riappoggiando la scatola di Mochi e Shinsou sbadigliò, continuando ad accarezzare i capelli di Todoroki ancora addormentato, ma con la testa sulle sue gambe.

"Sono le tre" fece presente Katsuki e con un tono che avrebbe potuto mietere la vita a qualcuno.

"... stavi riposando, non volevo disturbarti" si scusò Deku, senza guardarlo negli occhi. "Come ti senti?"

"Dov'è la tua roba?"

Più di uno sguardo incuriosito fissò l'Omega.

"N-Nel borsone. L'ho lasciato in ingre- Aspetta!" Deku balzò in piedi in un lampo quando vide l'altro marciare verso la borsa, chinarsi e tirarla su. "Faccio io! Non-"

Una piccola esplosione fece sobbalzare tutti in salotto - tranne il bell'addormentato.

"Ka-Kacchan..." Deku si era scostato appena in tempo dal beccare la deflagrazione in faccia. "Non d-dovresti usare i-il quirk..."

"Non metterti in mezzo! E non dirmi cosa fare!" sbraitò l'altro, facendo dietro fronte e puntando alla zona notte. "Vado a fare la lavatrice."

Arruffato e trafelato come chi è stato buttato giù dal letto, Kirishima apparve sull'ingresso delle camere e si appiattì contro lo stipite per far passare Bakugou.

"Che... che cos'era quel botto? Va tutto bene?"

"Alla grande" ringhiò Katsuki e sparì definitivamente in corridoio.

"Ben svegliato, amore" cinguettò Mina, sporgendosi dal divano. "A casa non ci torni, ma col tuo migliore amico ci dormi, eh? Oh, ho fatto la rima!"

"Oh... come mai sei qui?" chiese Eijirou avvicinandosi, anche se incespicò nei piedi nel tentativo di sbirciare Katsuki. Ashido lo afferrò per le guance stampandogli un bacio sulle labbra.

"Sono qui a risolvere i casini della nostra coppietta gossip del momento."

"Uhm?"

"Deku e Bakugou dovrebbero rilasciare un annuncio ufficiale su... ecco, sullo stato delle cose?" tentò Ochako, mentre si spostava per fare spazio a Izuku che tornò a sedersi con loro sui divani.

"Per mandare via i giornalisti di sotto?" Anche Kirishima prese posto.

"Bastasse questo" sbadigliò Shinsou. "Tutte le volte che Shouto smentisce di avere una relazione con questo hero o con quella heroine mica se li toglie dai piedi."

"Ma perché la gente lo ha capito che Todoroki sta con qualcuno!" lo rimbeccò Mina, spingendosi gli occhiali sul naso. "Il pubblico non è scemo, soprattutto quando si tratta dei propri idoli! E da quando state insieme sorride molto di più!"

Hitoshi abbassò gli occhi sul proprio ragazzo e sul suo viso rilassato e dormiente, che andò ad accarezzare con le dita. Le palpebre di Shouto fremettero appena; Todoroki spinse la guancia contro il palmo di Shinsou, accennando proprio a uno di quei sorrisi citati da Ashido e che fecesso arrossire leggermente Mind Jack. 

"Aaawww!" e seguì l'inquivocabile click di una macchina fotografica. "Questa me la rivenderò quando finalmente vi deciderete a far sapere al resto del mondo quanto siete carini."

"Quando mi sarò abituato all'idea di avere Endeavor come suocero" bornottò Shinsou, tornando ad appoggiarsi allo schienale e massaggiandosi le guance ancora rosate. "Torniamo alla vera questione" e nel dirlo puntò lo sguardo su Midoriya.

Midoriya che si abbandonato sul divano come un martire in attesa della lapidazione. Quattro paia d'occhi lo fissarono per poi fissarsi tra loro.

"Deku... non è così tragica, ok?" tentò Ochako, dandogli una gomitata affettuosa per smuoverlo. "Tanta pazienza con Bakugou e tanti sorrisi con i giornalisti, ok? È una bella notizia in fondo!"

"Uraraka ha ragione! E non siete i primi Hero a diventare genitori!"

"E qui ti sbagli, amore" lo riprese Mina, alzando l'indice e muovendolo in aria a segnalare un chiaro no. "Midoriya e Bakugou non sono mica come gli altri! Stiamo parlando dei due pupilli di All Might! Del Simbolo della Pace e dell'Omega che sta puntando a diventare il numero uno! La loro prole sarà la più chiacchierata di sempre!"

"Oddio..." Deku si premette i palmi sul viso, inspirando forte. "Non stiamo neanche insieme..."

Gli altri quattro si scambiarono uno sguardo esasperato, roteando gli occhi al soffitto.

"Questione opinabile, ma ce ne occuperemo un'altra volta" concluse Shinsou. "L'importante ora è capire come dire al mondo che il padre del bambino sei tu, giusto?"

Mina sorrise come se le avessero chiesto di parlare della sua cosa preferita.

"A questo proposito ho buttato giù qualche piano d'azione!" Nel dirlo, recuperò dal tavolino tra di loro il proprio tablet, ruotandolo in orizzontale e mostrandolo agli altri. Ochako si premurò di togliere le mani di Izuku dalla sua stessa faccia e fare in modo che seguisse.

"Piano A!" annunciò Ashido, facendo scorrere la slide. "Detto anche il piano "è tutto nuovo per noi e vorremmo viverci serenamente l'evento. Per favore, sosteneteci"! La cosa migliore sarebbe che a parlare fosse solo Midoriya con la sua espressione più innocente ed emozionata! Poi ogni tanto postare qualche foto contentino così che il pubblico abbia qualcosa da consumare nei prossimi cinque mesi!"

"... lo trucchiamo per togliergli le occhiaie prima, sì?" si interessò Shinsou, fissando l'amico che sembrava a un passo dal prendere appuntamento col becchino.

"Piano B!" continuò Mina, passando alla slide successiva. "Ossia "è una situazione delicata, vi chiediamo di avere pazienza e fare il tifo per noi in silenzio". Personalmente non mi piace perché fa leva sul senso di colpa dei fan, ma forse per Bakugou potrebbe essere una buona alternativa. Se fosse Midoriya a spiegarlo dovrebbe far trasparire la serietà della situazione, ma girando intorno ai dettagli."

"Detto così mi da l'idea che qualcosa debba andare male..." mormorò Ochako poco convinta e Izuku, al suo fianco, contrasse l'espressione con il chiaro pensiero figurato di qualcosa che andava effettivamente male.

"... altre opzioni?" chiese e Ashido fece subito scorrere il dito sul display.

"Piano C! Una dichiarazione con entrambi! Anche tramite video o foto sui social per evitare domande, ma dove vi mostrate contenti e magari con il lettino del bimbo già montato e la cameretta pronta! Insomma, un modo per far vedere che anche se non era programmato è tutto pronto, siete pronti, state solo aspettando il lieto evento!"

Mina si era infervorata al punto da essere saltata sul divano e Kirishima si premurò di tenerla stabile.

"Il punto a sfavore è che riceverete davvero una valanga di commenti, domande, sparate gratuite e cosacce del genere" concluse, risedendosi, ma in braccio al proprio ragazzo. "È davvero una noia, ma se volete posso gestire un po' i vostri social!"

Alle sue spalle, Kirishima sudò freddo e fece cenno di no con la testa. Non che Midoriya stesse davvero prendendo in considerazione la cosa o diede segno di aver capito anche solo una sillaba del discorso. Stava fissando il vuoto e Shinsou si scambiò un'occhiata di intesa con Ochako.

"Ehm... Deku? Tutto ok? Vuoi fare una pausa?" domandò la ragazza, posandogli la mano sul ginocchio.

"Io..." Izuku deglutì. "Noi... ecco... non ho idea di cosa fare. Non so proprio come... io e Kacchan... non doveva su-"

"Midoriya, stop."

Deku alzò lo sguardo sgranato su Shinsou come tutti gli altri. Anche se non aveva realmente usato Lavaggio del cervello l'effetto sembrò lo stesso.

"Sei stanco e sono sicuro che non pensi ad altro tutto il giorno, vero?"

Izuku annuì mortificato. Ochako gli strinse con affetto la mano, sorridendogli in un modo che dicesse va tutto bene.

"Il discorso adesso sarebbe lungo e richiederebbe che tu avessi almeno sette ore piene di sonno addosso, quindi andrò con la versione abbreviata: non stai dando abbastanza fiducia a te, a Bakugou e al vostro rapporto."

A Kirishima vennero gli occhi lucidi e annuì con vigore insieme ad Ashido e Uraraka. Deku trattenne il fiato.

"Lo so che hai paura e vedremo come affrontare questa cosa, ok? Siamo tutti qui per aiutarvi."

Come a confermare il proprio sostegno, Todoroki scelse quel momento per russare più forte, cogliendo tutti di sorpresa e stemperando l'atmosfera. Midoriya aveva gli occhi lucidi e Mina passò a lui e a Kirishima un paio di fazzoletti, ridacchiando.

"Avete finito di fare i piagnucoloni e i piantagrane?"

"Kacchan!" Deku saltò a molla, voltandosi verso la porta della zona notte. Bakugou era appoggiato allo stipide, braccia incrociate e l'aria di qualcuno deciso a prendere in mano la situazione. Non aveva più la felpa della mattina, ma una maglietta molto più semplice e che delineava la curva del ventre. C'era, era innegabile, ma era ancora piccola.

"Ma tu ti svegli mai dal lato giusto del letto?" buttò lì Shinsou, ricevendo in risposta un dito medio mentre Katsuki faceva il giro del divano dalla parte di Deku.

"In piedi" ordino, ma Midoriya sembrò troppo stordito per dargli retta, così l'altro lo afferrò per il braccio e lo tirò su.

"Ba... Bakugou!?" Ochako e Kirishima si allarmatoro all'unisono quando videro il padrone di casa trascinare via l'amico. Mina e Shinsou seguirono in silenzio, finché tutti si sporsero dai divani quando Katsuki puntò al terrazzo.

"Che succede...?" Anche se Shouto si svegliò in quel momento non ci fu il tempo di dargli retta.

La porta finestra fu aperta di malagrazia, ma neanche si sentì il rumore del vetro che vibrò, non quando Bakugou diede voce ai polmoni. 

"Ohi, comparse!"

"Ka-Kacchan che vuoi fare!?"

Anche se i giornalisti accampati al piano della strada iniziarono ad agitarsi e parlare, da dove si trovavano i due Hero non si sentì quasi nulla, ma gli obiettivi di telecamere e macchine fotografiche furono tutti puntati verso l'alto.

"Flash news! Aprite le orecchie perché non mi ripeterò: volete sapere che succede, eh? Succede che questo deficiente ha fatto centro!"

"Ka... Kacchan" esalò Deku, tentando di coprirsi il viso in fiamme con le mani, ma Katsuki lo strattonò per un braccio per tenerselo al fianco.

"Sì, è un Beta ed è il padre dello sgorbietto che mi porto appresso, contenti?"

Qualcuno da sotto provò a urlare delle domande, ma non si capì nulla e Bakugou andò avanti.

"Ora che sapete come stanno le cose smammate o darò la colpa agli ormoni per-"

"Kacchan va bene così! Hanno capito!" intervenne Izuku, tirandolo indietro.

"Deku lasciami parlare! Questa gente non capisce se non la minacci!"

"Kacchan! Basta!"

Intanto, dentro il salotto, Shinsou continuò a osservare la scena come fosse stato al cinema e sembrò l'unico davvero rilassato.

"... dovremmo fermarli?" domandò Kirishima e Ochako scosse la testa, alzando le mani. 

"Perché Bakugou sta urlando?" domandò Todoroki sbadigliando.

"Te lo spiego dopo." Hitoshi stirò un sorriso divertito. "Ehi, Ashido... questo era il piano D?"

"Ah, cavoli loro ora" borbottò la ragazza, incrociando le braccia.

"I loro problemi diventano sempre i nostri, ricordate? I casini sono appena iniziati."

sidralake: (Default)
 

COW-T 13, sesta settimana, M4
Prompt: Omegaverse
Numero parole: 2660
Rating: Safe
Warning: Omegaverse. Mpreg. Beta Deku e Omega Bakugou in dolce attesa.



Tell me now, how do I do this heavyweight that I can't pull?
Tell me now, do I look stupid?
Chasing dreams that are far to reach
Tell me now from your point of view
That you're still here and you'll always be
You'll always be

[Always Be 2.0 - Caleb Hearn]



“Kacchan! Che stai facendo!?

“Giardinaggio” fu la risposta sarcastica, con un lieve rimbombo.

Deku lasciò andare il borsone dove aveva ammassato la tuta da Hero insieme ad almeno due cambi che si riprometteva di lavare da giorni. Coprì la distanza che lo separava da Katsuki con un paio di falcate, abbassandosi di volata per infilare la testa nell’armadietto spalancato.

“Kacchan!” ripeté allarmato, ricevendo uno sbuffo. “Che cavolo stai-”

“C’è una perdita, idiota! Cosa credi che stia facendo qua sotto!?”

Nonostante lo spazio angusto e la torcia che proiettava la luce quasi unicamente sul sifone, i due incrociarono brevemente lo sguardo.

Quello di Katsuki diceva chiaramente Non ci provare, stai zitto, non dire-

“Kacchan sei al sesto mese! Perché non hai chiamato un idraulico!?”

La pinza a pappagallo che aveva in mano Bakugou fu pericolosamente vicina a incontrare la testa di Deku.

“Perché non c’è bisogno di pagare un fottio di soldi per una cavolata del genere! Va solo stretto il tubo.”

Sarebbe dovuto essere un lavoretto da cinque, dieci minuti massimo. Katsuki era lì da più di mezz’ora solo perché, come Deku aveva amato sottolineare, aveva un impedimento formato palla da spiaggia che lo rallentava in ogni - fottuto - aspetto del quotidiano. Aveva dovuto fare pure una prova anche solo per essere sicuro di riuscire a rialzarsi da solo - tenendo tuttavia il cellulare a portata di mano per chiamare Kirishima, l’unico con cui avrebbe potuto condividere quella vergogna, neanche con sua madre o suo padre. 

Nelle sue intenzioni, l’ideale sarebbe stato concludere il tutto prima che il responsabile della sua attuale situazione psico-fisica, aka Deku, rientrasse. Proprio per evitarsi quella manfrina dal sapore ansioso, come se lui non fosse già abbastanza sulle spine all’idea di fare qualche cazzata che nuocesse alla Sgorbia.

Inginocchiato, ma ancora curvo sotto il lavello, Izuku congiunse le mani davanti la faccia, respirandoci dentro profondamente.

Tutta la pazienza che hai, Deku, ok? Finché la bambina non sarà nata, dovrai fare appello a tutta la tua pazienza. Conta fino a dieci, se necessario.

Il consiglio di Uraraka suonava più come un Rassegnati, ok?

Stavano parlando del Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva in dolce attesa. Era come armare una bomba di un timer difettoso, poteva esplodere come poteva non esplodere. Deku si complimentò tra sé per il paragone azzeccato, tornando quindi a concentrarsi sul compagno.

“Lo so cosa stai pensando, bastardo!” ringhiò Bakugou, lasciando perdere i suoi intenti da idraulico e piazziandogli un dito medio in faccia.

“Allora esci da lì! Ci guardo io!”

“Oh, non iniziare! È il mio lavandino! Lo riparo io!”

“Sei davvero impossibile.” Non che sottolinearlo a voce servisse a qualcosa. Deku non rammentava un Kacchan così testardo neanche all’età di cinque anni.

“Cazzi tuoi.” Come volevasi dimostrare. Ma era già tanto che la pinza a pappagallo non gli fosse stata conficcata in testa per quel commento.

La gravidanza stava trasformando Bakugou Katsuki sotto diversi aspetti e quello fisico era solo il punto che si coglieva per primo per ovvie ragioni - e Deku avrebbe voluto poter esprimere a parole quanto fosse divino col pancione, ma a detta dei più stava sperimentando quella combo micidiale di “sei cieco di amore” unita a “stai per diventare padre” per cui la sua voce in capitolo non contava.

Escluso quello, la sfera emozionale dell’omega biondo continuava a eseguire le più complicate evoluzioni in aria dal trampolino più alto, per poi tuffarsi in una piscina di frustrazioni, ansie e, talvolta, ma raramente, previsioni catastrofiche sul futuro che finivano col trascinare dentro anche Deku.

A conti fatti, loro due si stavano frequentando come coppia da poco meno di tre mesi quando Katsuki si era ritrovato a fare un test di gravidanza. Era stato solo del sesso fine a se stesso fino a quel momento, qualche parola un po’ più intima buttata qui e lì a fronte di una conoscenza che durava da tutta la vita, ok, ma non con il pensiero Ehi, che ne dici di un figlio? Proprio no. 

Izuku aveva sperimentato il significato dell’espressione essere al settimo cielo quando Katsuki lo aveva sfiorato per la prima volta privo della solita irruenza e si era preso un bacio senza preamboli. Da lì erano iniziate le montagne russe, incluse quelle due linee che avevano stravolto il loro quotidiano. Ma perfino arrivati al sesto mese non erano ancora in grado di determinare cosa fossero.

Una coppia?

Una coppia di amanti barra futuri genitori per sbaglio?

Una coppia di futuri genitori che per caso si frequentavano? (Aveva anche solo senso dirla al contrario?)

Deku a volte si chiedeva se ancora si frequentassero, tra l’altro. Se l’intento iniziale - che era solo del sesso!? O c’era stato altro ed erano successe talmente tante cose che se ne era dimenticato? - fosse ancora presente.

Erano quasi cinque mesi che dormiva sul divano dell’appartamento di Katsuki perché era stato bandito dalla sua camera da letto - il che era ok, come gli aveva spiegato Uraraka, visto che gli omega tendevano a essere estremamente territoriali nei riguardi nei loro nidi. A questo si aggiungeva il fatto che non avessero un legame - anche perché Deku era un Beta e non un Alpha - e nelle condizioni in cui si trovava Bakugou, non era poi così scontato che, nonostante tutto, Katsuki non lo volesse nella propria safe zone. Deku era capace di accettarlo, anche se l’amaro in bocca glielo lasciava lo stesso. Non poteva pretendere, e meno che mai voleva farlo. Non c’erano promesse tra di loro. Se Bakugou avesse voluto farsi una vita per conto suo… 

Ma chi voleva prendere in giro. 

Lui era conscio di volerci essere. Conscio che Kacchan fosse il suo punto di inizio da che avesse memoria e che sarebbe stato la sua fine, in qualsiasi senso il fato volesse interpretarlo.

Quella bambina - la Sgorbia, come Katsuki stesso l’aveva rinominata - per lui era un dono che non aveva osato chiedere, ma che era già prezioso quanto il legame che aveva con Kacchan. Era letteralmente la forma tangibile di ciò che li legava. Non aveva dubbi sul fatto che ci sarebbe stato per lei in ogni modo possibile.

Avrebbe voluto esserci anche per Katsuki, ma quella era una decisione che non spettava a lui. 

Si era perso nei propri pensieri, ma la smorfia che fece schioccare la lingua a Bakugou lo riportò alla realtà. Per avvicinarsi si acquattò di più all’interno nel mobiletto, mosso dalla preoccupazione.

“Che hai?”

Bakugou gli piantò il palmo contro il mento, spingendolo indietro.

“Levati! La Sgorbia mi sta prendendo a calci!” e seguì un’altra smorfia per cui si morse il labbro, soffocandoci un’imprecazione.

Deku recepì solo la parte del messaggio che, come ogni volta, gli ricordava con una schicchera mentale Stai per diventare papà! Sì! Proprio tu! Con niente meno che Kacchan…!

Gli si aprì un sorrisetto idiota sulle labbra e Katsuki fu diviso tra il volergli infilare le dita negli occhi o tirarselo addosso per baciarlo. Odiava gli ormoni.

“Cazzo.”

Izuku guardò verso il pancione, l’espressione da beota nel vederlo tremare.

“Ci sa fare, eh? Sarà lo Shoot Styl-”

Bakugou si agitò, cercando di uscire da sotto il lavello.

“Piantala di sparare stronzate e aiutarmi ad alzarmi! Devo andare in bagno!

Fine della magia. Midoriya ricollegò i neuroni e realizzò che fosse un momento da Colpo basso - quelli alla vescica, insomma - e quindi sinonimo di emergenza. Ma tra l’epifania, l’urgenza e il corpo che si mosse in autonomia, il piccolo particolare dello spazio angusto fu ignorato, così il retro della sua testa ebbe un incontro ravvicinato col sifone. Lo stung fu abbastanza sonoro. Le gocce d’acqua che caddero una conseguenza evitabile.

Deeeekuuuu!” ululò Katsuki. “Sei un defi-”

La Sgorbia ebbe da dire la sua con un altro calcetto ben piazzato.

LEVATI!"

Riuscirono a coordinarsi decentemente. Midoriya saltò in piedi e tirò su Bakugou come se non pesasse quasi sette chili in più. Detestando il mondo ed esprimendolo a suon di imprecazioni, Katsuki sparì in bagno.



“Non farlo di nuovo” borbottò Bakugou a mezza voce, fissandosi la pancia. Non ci furono responsi. Niente nuovi calcetti, non finché non passò la mano sulla curva prominente un paio di volte e avvertì una leggera pressione.

“Vedi di stare buona…”

Non ricordava il momento preciso in cui aveva iniziato a parlare con la Sgorbia. Ricordava invece vivido l’attimo in cui il fagiolino, come lo aveva chiamato Eijirou per mesi, era diventato una lei e qualcosa di più concreto.

Sarà una bambina!

Lo avevano ripetuto tutti. Con emozione, con commozione, con parole di festa. A Katsuki era sembrato che urlassero perché lui non riusciva ad accettarlo.

Era complicato. Era tutto fottutamente complicato.

Ci aveva messo degli anni a rigirare i suoi sentimenti per Izuku e trovare il verso giusto. Trovare quel lato che continuava a nascondere o soffocare, dicendosi che non fosse possibile.

Amore. Gli veniva l’urticaria solo a pensarci, eppure aveva avuto tutto il tempo del mondo per sperimentare il resto e scartarlo miseramente: l’invidia, la rabbia, persino l’odio. Nessuno di questi aveva resistito. Dei cartelloni pubblicitari che si erano sciolti con la prima pioggia, non importava quanti strati applicasse. 

Alla fine, ciò che c’era sotto era venuto a galla, ma aveva dovuto sfiorare i ventitre anni per capirlo e accettarlo. Per dare una chance a quel sentimento che era cresciuto di pari passo con lui, che si era alimentato in segreto di ogni attimo passato con Deku, che aveva avuto pazienza, facendo capolino solo di tanto in tanto per farlo esitare, ma il momento non era mai stato davvero maturo.

E non lo era stato neanche quando Katsuki si era davvero deciso a fare sul serio.

Tre fottuti mesi.

Avevano iniziato dal sesso perché Bakugou non sarebbe stato capace di mettere a parole qualcosa di diverso da un insulto nei confronti di Deku. Ed era andata alla grande. Superati i primi impacci, l’intesa era stata devastante, quasi superiore al piacere stesso.

Katsuki avrebbe preferito almeno un anno di quel sesso vorace e solo dalla parvenza occasionale, prima di muovere un altro passo ed essere più concreto. Invece no. No. Il fottuto destino aveva deciso che un qualche preservativo si sarebbe dovuto bucare, o un birth control non mantenere la promessa dell’effetto per cui era stato inventato.

Sentite anche voi questo odore dolce? Sembra… latte?

Ricordava ancora le parole del Bastardo a metà negli spogliatoi dell’Agenzia di Endeavor. Lui e il suo maledetto olfatto da Alpha che avevano fiutato la gravidanza prima ancora che il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva potesse anche solo ipotizzare che fosse il motivo dei suoi malesseri recenti.

E ora eccolo lì, cinque mesi dopo, con il baricentro andato a puttane e un quantitativo di sentimenti che facevano giornalmente a botte con gli ormoni. Una tortura senza fine e preferiva pensarla tale, perché l’alternativa era guardare il calendario e accettare che di lì a tre mesi avrebbe tenuto tra le braccia il risultato di tre giorni di sesso no stop con il suo amico di infazia barra rivale barra amante barra… padre di sua figlia.

Dio, cosa aveva fatto di sbagliato nella vita?



Quando tornò in cucina rimase impalato sulla porta, la mano ancora appoggiata sul ventre, ma i pensieri completamente spariti.

Non c’era niente di imprevedibile in quello che stava guardando, eppure gli consegnò le ennesime emozioni contrastanti. O meglio, emozioni che avrebbe dovuto mettere in fila insieme alle altre, ma il processo di accettazione andava così a rilento dentro di lui che stava solo stipando a manciate cose che chiunque altro nella sua situazione probabilmente avrebbe elaborato in un lampo con… gioia? Gli venne la nausea e per una volta non fu colpa della Sgorbia.

Non ce l’aveva con Izuku.

Non riusciva a metterlo a parole, ma non lo riteneva responsabile, colpevole o qualsiasi altra sfumatura simile. Quella situazione l’avevano creata in due - e, neanche sotto toturlo lo avrebbe ammesso, non vedeva l’ora di replicare quei tre giorni di puro e semplice piacere insieme. Non era il tipo da incolpare seriamente il partner o cazzate del genere.

Era complicato. E odiava ripetersi, ma venire a patti con se stessi era un percorso tortuoso e pieno di buche o di mine.

Vuoi essere felice con Deku?

Cristo, quante volte gli era stata fatta quella domanda negli ultimi mesi?

E perché dire era tanto difficile?

Lui lo aveva spinto nel fango Izuku, letteralmente e metaforicamente, più di una volta.

Izuku era tornato da lui ogni volta. Con quel suo sguardo che sembrava in grado di fagocitare ogni cosa nell’essere preoccupato per il prossimo, con quella sua mano tesa pronta ad aiutare.

Kacchan stai bene? Riesci a rialzarti?

Anche nel presente che stavano vivendo Katsuki era ancora restio ad accettare quelle dita, più per abitudine che per reale ritrosia, ma questo non cambiava quello che per anni aveva fatto.

Quindi come poteva ammettere di desiderare qualcosa di bello con la persona che per tutta la vita aveva antagonizzato?

Come faceva Izuku a trovare la felicità con lui?

Perché Testa a punta, Ghiacciolo caldo e Guance tonde avevano tutti più volte sottolineato quanto Deku fosse al settimo cielo. Era semplicemente assurdo.

Il tempo passava e il recipiente dove Bakugou stava ammucchiando tutti i pensieri, le sensazioni e i respiri stava diventando un torchio e prima poi avrebbe dovuto decidere cosa distillare. Aveva sulle spalle i battiti di cuore di tre persone. Il proprio, quello di Izuku e quello della Sgorbia. Come si faceva ad avere in carico il cuore di altri due esseri viventi oltre al proprio? Proprio a lui doveva capitare una situazione del genere? Lui che con le mani faceva esplodere le cose?

Forse più che destino quello era il fottuto karma e Deku sarebbe continuato a essere la sua croce e la sua redenzione per tutta la vita.

Si mosse, lasciando la cornice della porta ed entrando in cucina. Era stanco di pensare, di mettersi le mani al collo da solo e soffocarsi. Voleva uscirne e voleva pensare ad altro.

Fissò ancora una volta Izuku, ma cambiò prospettiva, soffermandosi sul lato puramente sensoriale. Aveva addosso l’ennesima tuta - un’abitudine che aveva preso da qualche mese al posto di vestiti più decenti perché, a detta sua, erano più comodi, poteva dormirci, correrci in giro se necessario. Non gli rendevano per niente giustizia.

Tuttavia, la solita maglietta stupida era leggermente tirata su, lasciandogli scoperti gli addominali. Katsuki li fissò e li fissò ancora, prima di sfilare un piede dalla ciabatta e piantarglielo sullo stomaco.

Kacchan!” sussultò Deku, finendo col dare una gomitata al mobiletto per la sorpresa.

Mpfh. Hai finito? Quanto ti ci vuole? Mi serve il lavandino per fare la cena.”

Deku tentò di tirarsi meglio su, ma Bakugou insistette con fermezza a tenerlo dov’era, stirando un risolino vagamente di sfida.

“Ehm… togli il piede?” tentò Izuku.

“Perché dovrei? Non mi pare tu abbia finito e ti servono le mani lì sotto, mica i tuoi stupidi addominali.”

Il beta sospirò, lanciandogli un’occhiata incerta, ma tornò a sdraiarsi, pinza alla mano.

“Potremmo ordinare qualcosa stasera? Non hai voglia di, non so… pizza?”

Che era il modo scontato di Izuku per chiedergli di non affaticarsi. Katsuki roteò gli occhi esasperato, ma non ribatté.

Sì, aveva voglia di fin troppe cose, ma non si sarebbe ingozzato solo perché la Sgorbia giocava con il suo appetito e gli faceva venire voglie assurde in orari altrettanto assurdi.

Fu però pensando proprio a quello di cui avrebbe potuto avere voglia che Bakugou si distrasse e il piede gli scivolò più in basso, incontrando qualcosa di, be’, duro. Izuku si irrigidì di botto e allo stesso tempo scattò. Un nuovo stung risuonò brevemente nell’aria, insieme a un Kacchan! esalato.

Kacchan non se lo fece ripetere due volte e tastò con più consapevolezza.

Gli si aprì un ghigno perfido sul volto.

“Non mi dire che stai pensando al mio Katsudon, Deku.”


sidralake: (Default)
 

COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 2607

Rating: Verde

Note: Omegavers. Omega!Deku, Alpha!Bakugou. Past mpreg. 


L’asse in legno del pavimento scricchiolò sotto il piede di Izuku. 

L’occhiataccia di Katsuki lo raggiunse in tempo zero, ma il lieve mugugno infastidito dell’angioletto dormiente fece contrarre le spalle a entrambi. Nessuno si mosse o fiatò. Per lunghi, infiniti istanti, l’aria nella stanza non fu respirata. 

Un secondo sguardo di Bakugou avvertì Deku molto chiaramente. 

Se ti muovi e fai un altro rumore ti ammazzo. 

L’espressione interdetta dell’omega fu già da sola una replica, ma la sua bocca tradusse mimando le parole che avrebbe voluto dire. 

E cosa dovrei fare!?

C’era da aggiungere che aveva freddo - fuori stava nevicando - e che voleva solo infilarsi nel suo nido di cuscini e coperte, insieme a Kacchan e Hane, e non uscirne più fino all’ora di colazione. O del pranzo. 

Bakugou fece un gesto secco con la mano. Dal basso verso l’alto. Deku non capì. Katsuki lo ripeté con più frenesia e un’occhiata che stava urlando o di muoversi o vendetta, o forse entrambe. 

«Oh!» si lasciò sfuggire Izuku quando capì, ma tappandosi la bocca un attimo dopo, fissando il suo adorabile angioletto contrarre appena le palpebre calate. 

Abbandonando l’asse di legno fedifraga, Deku usò Galleggiamento per sollevarsi a qualche centimetro da terra. Raggiunse il letto nel più completo silenzio e, con più dolcezza di quanto avrebbe fatto in condizioni normali, scivolò tra le coperte annullando gradualmente il quirk. Un sorriso, anche troppo allegro e contento, gli si allargò in viso, mentre Katsuki roteava gli occhi al soffitto. 

Anche se Izuku ci mise un po’ a sistemarsi di fianco all’alpha, Hane non sembrò disturbata, non con l’odore rassicurante dell’omega a circondarla. La bimba allungò anche una manina, nel sonno, nella sua direzione. Gli occhi di Deku si addolcirono mentre le sue dita le andavano incontro. 

Hane aveva quasi un anno e Izuku aveva riempito il cuore di ogni minuto passato con lei. Anche in quei giorni che si stavano rivelando più stancanti e stressanti per tutti, l’omega sapeva che ne avrebbe conservato il sapore con nostalgia. 

Sentendo che il solo contatto della mano non gli bastava, Deku si chinò su di lei, depositando un bacio sopra le guanciotte tonde, lì dove era ancora arrossata dai pianti di tutto il pomeriggio. 

Katsuki non tardò a rifilargli una schicchera e un lievissimo ringhio gutturale. 

«Se la svegli ti butto fuori a calci nella neve. In mutande» sibilò così sottile che fu necessario leggergli le labbra per capire. 

Izuku non riuscì a trattenersi dal ridacchiare, massaggiandosi la parte offesa della fronte. Questo non intaccò la sua espressione intenerita, ma rese anzi il suo odore più avvolgente e tranquillizzante.

Hane si rilassò visibilmente, facendosi scivolare il ciuccio di bocca, ma Katsuki prontamente - e con una delicatezza nuova, che nemmeno lui aveva sospettato di avere fino a qualche tempo prima - lo rimise al posto, aspettando un attimo che la piccola lo riprendesse a succhiare, immersa nei sogni. 

Riversando la testa indietro sul cuscino, l’alpha sospirò piano, esausto.

Hane si era addormentata dopo ore di pianti, lacrime, bava e nuovi livelli di acuti. Era la prima volta che si trovavano in quella situazione spiacevole con lei. Nulla di ingestibile. La gavetta fatta con Hina li aveva preparati, anche se la magagna che stavano tentando di affrontare era tutt’altra faccenda. 

A pochi giorni dal compiere un anno, Hane si rifiutava di imparare a camminare.

Nessun momento di trepidazione e commozione com’era stato per la sorella - o per Tenko, ma lì al primo passo aveva assistito fortuitamente solo Deku - perché il piccolo angioletto aveva imparato prima a volare che a gattonare. Quindi camminare era un altro step che, nella sua logica di cucciolo di umano dotato però di ali, non sussisteva. 

Cosa vi aspettavate!? Sta soltanto assecondando un istinto naturale!, era stato il commento divertito - e di parte - di Hawks una sera a cena, prontamente fulminato da metà famiglia. Ma come un’infinità di altre cose, l’Hero aveva fatto finta di nulla, per poi raccontare che anche per lui era stato complicato accettare di non poter sempre e solo vivere a mezz’aria. 

Sotto consiglio del pediatra, erano quindi iniziate le lezioni Impariamo a camminare! con risultati molto scarsi e rifiuti contornati da pianti. 

Quel ricordo portò Bakugou a sospirare di nuovo, rammentando all’ultimo di farlo piano, visto che la piccoletta si era addormentata a pancia in giù su di lui e muoverla significava rischiare un’altra sessione di lacrime. 

Tuttavia, non tutta l’aria abbandonò i suoi polmoni, non quando sulle sue labbra un’altra bocca gliela portò via. Schiudendo gli occhi, Katsuki si ritrovò a specchiarsi nello sguardo fin troppo sveglio e felice di Izuku. 

«Tu vuoi che io ti ammazzi sul serio.»

Che Deku fosse un incosciente non era una novità. Ignorando l’avvertimento, l’omega si chinò verso il collo dell’alpha, strusciandosi lì alla base dove era più sensibile e mischiando i loro odori, mentre un rumore sommesso, delle fusa, iniziarono a riempire l’atmosfera.

Katsuki non si mosse. Chiuse di nuovo gli occhi e si inclinò leggermente per lasciare più spazio ai baci che il compagno gli stava regalando. Nonostante non si sentisse in vena, finì ad arrendersi e con le dita andò a solleticargli la nuca per ricambiare. 

«Sei davvero stanco» sussurrò Izuku tirandosi su, non prima di aver dato un bacio anche alla sua bambina addormentata. Al contrario di Bakugou, timoroso - ma senza ammetterlo mai - di muoversi per non disturbarla, Deku sembrava totalmente a proprio agio ora che era lì con loro. 

L’omega continuava a rilasciare quell’odore così rilassante, dolce e ricco di positività che l’istinto da alpha di Katsuki sembrò sul punto di abbandonarsi alle fusa, per quanto sarebbero risultate ben più rudi e forse un po’ minacciose - perché impacciate non lo avrebbe mai usato come termine

Izuku trasmetteva l’idea che niente di brutto potesse capitare finché erano lì, insieme, nel suo nido confortevole. Non era che un letto invaso da una montagna di cuscini, lenzuola e coperte morbide, ma perfino l’alpha fu pervaso da quella sensazione di luogo sicuro. 

«Non è stata una giornata… facile» confessò. 

Non era l’aggettivo giusto. Non era neanche la frase migliore per svicolare dalla domanda sottintesa da Deku.

Come ti senti? 

Sarebbe stato più semplice descrivere un qualche tragico evento del passato. La guerra contro All For One era stata devastante. Ci avevano rimesso tutti, fisicamente, emotivamente e psicologicamente. Tuttavia, Bakugou aveva scoperto con la paternità che il pianto della propria bambina, un pianto anche solo frustrato, poteva lasciare il segno molto più a fondo e con riverberi difficili da ignorare.

Se in battaglia perdevi un arto prima o poi te ne facevi una ragione e continuavi a convivere con i pezzi rimasti. Ma se Hane si disperava perché lui, cedendo alla stanchezza, alzava il tono di voce, la mortificazione che ne seguiva sembrava dover rimanere in maniera indelebile come un fallimento insanabile nella sua mente. 

Grugnì frustrato, tendendo le spalle, ma sapendo di non potersi muovere. Non era una punizione, doveva metterselo in testa, ma non gli riusciva di essere disinvolto alla maniera di Deku. Era come se a lui fosse stato consegnato il manuale di istruzioni per prole scontenta e altre situazioni spiacevoli, mentre l’alpha doveva subire sulla pelle, tentennare e mangiarsi il fegato per i sensi di colpa.

Izuku tornò a dedicarsi al suo collo, smorzando il sentore leggero di stress che si stava lasciando sfuggire e che fece appena arricciare la boccuccia all’angioletto dormiente.  

«Non sei un cattivo papà» sussurrò Izuku con dolcezza e appena una punta di divertimento nel chiamarlo in quel modo, mentre il suo petto moltiplicava le fusa. 

Katsuki deviò lo sguardo altrove. Se arrossì appena lo avrebbe negato strozzando Deku.

Non si era ancora abituato. Anche se era già stato un papà per Hina, era solo da un anno che quel titolo era suo di diritto. E tutto per la testardaggine di Izuku. Per il desiderio di Izuku. Per amore di Izuku. 

Un Bakugou Katsuki di quattordici anni non avrebbe mai accettato di sentirsi raccontare un finale del genere per lui e per il buono a nulla quirkless che era stato Deku. 

Invece eccoli lì, a dieci anni e poco più di distanza, stretti in un abbraccio di calore e coperte, mentre il risultato di una delle loro litigate più feroci e passionali dormiva pacificamente avvolta dal loro odore e dal loro affetto. 

L’alpha tornò con le dita a massaggiare il collo dell’omega, per poi scendere lungo la schiena fino a un fianco e tirarselo vicino. Lo strinse forse con troppa forza, perché Deku si lasciò sfuggire un ooff soffocato e le sue fusa saltarono il ritmo per un attimo. Bakugou gli solleticò la pelle sotto la maglietta, sentendola calda, avvertendo contro i polpastrelli la differenza tra le cicatrici e le delicate smagliature date dalle due gravidanze. 

Con un risolino leggero, Izuku incastrò la testa nell’incavo del suo collo e prese a giocherellare con i capelli della piccola. Ora che si erano allungati non erano più ispidi come i primi tempi, diventando ciocche morbide e mosse, più simili ai suoi. Chiunque vedesse Hane per la prima volta capiva subito che fosse figlia di Katsuki, ma c’erano quei piccoli dettagli meno evidenti che erano di Izuku e che lui amava trovare in lei. 

«Domani riproviamo» disse piano, senza aggiungere nulla di più, perché non ce ne era bisogno. «Andrà meglio» continuò, cercando la mano di Kacchan e intrecciando le loro dita. «Piangerà ancora e non vorrà farlo, ma andrà meglio.»

«Lo so.»

A Bakugou non piacque il proprio tono. Mise a nudo la sua parte vulnerabile, quella che odiava e che detestava lasciar trapelare. Appena due sillabe, ma uscirono zuppe di tutta la stanchezza e delusione verso se stesso.

Izuku gli fece percepire la propria presenza, si premette contro di lui con più insistenza, con più amore

«Non ti odia.»

Lo so, avrebbe voluto ripetere Katsuki, ma le parole gli si incastrarono in gola. La voglia di imprecare contro se stesso fu forte. Era un idiota che non riusciva ad avere pazienza neanche verso la propria figlia. Ecco il problema. Lui era un-

Deku si districò dalla sua stretta senza preavviso. Non fu delicato, tanto che Hane mugugnò nel sonno, ma l’omega la baciò sulla tempia, circondandola ancora una volta dalla propria essenza confortevole, prima di tornare a fissare il papà pieno di incertezze. Rimase sospeso sopra di lui, puntellato su un braccio per non gravare sopra ciò che di più prezioso avevano messo al mondo. 

«Non ti odia» ripeté con fermezza, ma insieme a un affetto che Bakugou a volte non credeva ancora di meritare e che Izuku gli buttava addosso in quantità ingestibili. Proseguì, abbassando lo sguardo su Hane, sorridendo. «Se ha preso qualcosa da me di certo è l’ammirarti troppo.» 

Katsuki sospirò. 

«Ma piantala.»

«Anche se oggi hai alzato la voce, non si è più voluta staccare da te.» Tornò a guardarlo, accennando un ghignetto. «Non ti ricorda qualcuno?» 

Bakugou alzò di nuovo la mano e Deku si preparò a ricevere una seconda schicchera. Riaprì gli occhi quando sentì un palmo caldo contro la guancia. 

«Ehi» mormorò l’omega, andando incontro a quel tepore, senza interrompere il contatto visivo. «Va tutto bene.»

Katsuki aveva gli occhi lucidi. Izuku lo vide reclinare la testa per ricacciare indietro le lacrime, mordendosi le labbra per non imprecare. Lo aspettò, gli diede spazio e tempo, accontentandosi di quella mano che non si staccò da lui. 

Ciò che mise un punto ai dubbi dell’alpha fu però un nuovo rumorio che si aggiunse a quello di Deku.

Entrambi i genitori guardarono all’angioletto ancora addormentato, ma i cui piccoli pugni ora stringevano la felpa di Bakugou, mentre l’espressione si era fatta caparbia. 

All’odore intimo del nido e di Izuku se ne mescolò un terzo più infantile, ancora incerto sull’aroma principale, con un retrogusto di latte e miele. 

«Ooh-» sfuggì a Deku, mentre i suoi occhi si allargavano per la realizzazione. Fissò Katsuki, incredulo quanto lui. «Lei sta-! Sta cercando di-»

Si zittirono e ascoltarono. Il rumorio continuò a essere molto basso, variabile, con alcuni picchi in cui la bambina si muoveva ogni tanto, tirando la stoffa tra le ditine, o ciucciando più forte, ma non si interruppe mai. Hane stava tentando di confortare, come a incoraggiarlo, Bakugou. 

Izuku si tirò su, sedendosi con una mano sulla bocca, completamente rapito dalla meraviglia. Anche se era già successo con Hina, era uno di quei momenti diversi per tutti, come sarebbe stata la prima parola o il primo giorno di scuola. 

«Ho bisogno di fare una foto.»

«… che?»

Deku non sentì Bakugou neanche di striscio. Si allungò oltre il letto e recuperò dal comodino il cellulare spento. Qualche secondo, lanciando occhiate di continuo ad Hane, neanche fosse dovuta sparire all’improvviso, e si mise a inquadrare padre e figlia. 

«Cerca di essere naturale» borbottò, sistemando alcune impostazioni per avere il risultato migliore. 

Katsuki odiò essere inchiodato al materasso in quella maniera.

«Non dirmi cosa fare! Ma che ti prende!? Scatta e basta!» sibilò più piano che riuscì, quasi a denti serrati. 

«Voglio imprimere questo momento.»

«Non puoi fotografare un rumore. Sarà una cavolo di foto come un’altra, sta solo dormendo!»

Izuku si morse il labbro, ma alla fine inquadrò e scattò. 

La riaprì subito e, al contempo, si rimise sdraiato di fianco all’alpha, riprendendo contento con le fusa, tentando di armonizzarsi con quelle della piccola. 

«Non importa se sembrerà una foto come un’altra» mormorò Deku, facendola vedere anche a Bakugou, per poi abbassare il telefono e fissare la testolina bionda dormiente. «Mi sto imprimendo questo preciso momento nella testa… quando la riguarderò, sono certo che mi ritornerà in mente ogni dettaglio.» 

Katsuki non concordò a parole, ma lo fece lasciandosi avvolgere da quello stesso momento di cui Izuku stava tessendo il ricordo. Era stanco, ma si sentì anche più leggero.

Gli odori si mescolarono in una delle fragranze più rilassanti e buone - e sue - che avesse mai inspirato. Il vago vibrare del corpicino di Hane sul proprio sciolse il resto della sua tensione, facendogli desiderare di addormentarsi così e finalmente riposare. 

«Ascoltala! Senti quanto è… lieve?» si intromise Deku. Quando Bakugou riaprì gli occhi, fissando la sua espressione più concentrata, mentre Izuku si tirava il labbro inferiore con le dita, l’alpha capì l’andazzo. «Forse aveva iniziato anche prima e non ce ne siamo accorti? E se non fosse la prima volta?»

«De-»

«Però è così dolce! E… e anche intenso, in un certo senso! È come se volesse dire papà non ti preoccupare! Non sembra anche a te?»

Bakugou emise un verso confuso, infastidito ma non davvero, in parte imbarazzato - papà davvero non gli entrava in testa - e sfinito. 

«Forse è l’odore a trasmettere questa sensazione. Ha qualcosa di tuo sotto sotto, come quello di Hina ricorda vagamente Shouto… e ok che è un meccanismo della natura per far accettare agli alpha i propri cuccioli, però potrebbe essere-»

«Izuku

Gli tappò la bocca con una mano, occhieggiandolo non minaccioso come avrebbe voluto perché sentiva i muscoli ridotti alla consistenza di budini - e voleva godersi quella sensazione di dolcezza, pace e sicurezza del nido - ma abbastanza da farsi ascoltare.

«Stai sovranalizzando tutto come al solito tuo, Nerd. Piantala di blaterare o la sveglierai. Vieni qui.» 

Anche se fu un ordine, fu Katsuki stesso a eseguirlo, spingendolo di nuovo ad aderire completamente al suo fianco.

«Ti concedo di continuare con le fusa. Ma, per il resto, taci e dormi

Ricevette solo un pruu particolarmente intenso in risposta.

sidralake: (Default)
 

COW-T 12, settima settimana, M2
Prompt: Matrimonio
Numero parole: 2400
Rating: Verde
Warning: omegaverse implied ma non c’è mezza menzione di niente, solo che Dazai e Chuuya e Odasaku sono una bellissima OT3 con due bellissimi figli, Michiko e Makoto.
Note: Dedicata a Europa91 e al suo amore per Verlaine e Rimbaud. 



Arthur rimase accostato alla colonna con discrezione. In quel silenzio che la gente avrebbe definito sacrale, osservò la figura di Paul come fosse parte integrante dell’immensità che li accoglieva.

Notre-Dame era splendida come la ricordava e come sperava di rivederla un giorno, ma ciò per cui riusciva ad avere occhi era soltanto la malinconia indelebile che ormai caratterizzava lo sguardo del compagno. 

C’era una cosa che la morte, l’amnesia e il tradimento avevano insegnato ad Arthur in una partita tre a uno che aveva miseramente perso diversi anni prima: non c’era niente di equiparabile ai gesti, minuscoli o plateali che fossero.

Così, invece di chiamare il suo nome - per cui avrebbe riempito l’aria, o pagine di quaderni e ogni orecchio disposto ad accoglierne il suono - Rimbaud accorciò la distanza tra di loro, senza nascondere il proprio passo, e fece scivolare la mano in quella dell’ex spia, della Guivre che il mondo delle abilità tanto aveva temuto.

Ma se c’era qualcosa da venerare tra quelle mura trasudanti divino, era l’uomo che Arthur ora - e per sempre - aveva al fianco.

“Ci stai ripensando?” chiese piano, certo che qualsiasi risposta avrebbe ottenuto, non avrebbe lasciato andare - di nuovo, mai - la sua mano.

Lo sguardo perso di Verlaine riacquistò lucidità, come se la gravità stessa fosse tornata presente nella sua mente, riportandolo con i piedi per terra.

“Non riesco a ricordare” iniziò, sottovoce, un bisbiglio che avrebbe potuto accendere candele invece di spegnerle, curiose anche loro di sapere cosa gli si agitasse dentro. Non rispose alla domanda, non parve neanche averla ascoltata, ma ad Arthur non interessò, restando a guardarne il profilo fasciato nel completo elegante.

“Non riesco a ricordare dove eravamo, o quando” riprese il biondo, umettandosi le labbra. “E non ricordo neanche le parole precise, o chi le abbia pronunciate…” corrugò la fronte e alzò gli occhi sulle volte sopra di loro, sui ballatoi laterali, su quelle mura di quasi mille anni.

Si dice che le grandi cattedrali furono costruite in modo che anche il più scettico degli uomini, entrando, avrebbe potuto credere alla potenza di Dio.”

Per un istante, l’espressione trasognante tornò a velarne il viso e il bagliore delle candele a incorniciarne il profilo, rendendo oro i suoi capelli ordinatamente acconciati. Arthur aveva capito che ci fosse un’unica cosa al mondo in grado di sorprenderlo tanto da togliergli il fiato ed era lì, con lui.

Gli strinse le dita e, con un pensiero blasfemo, si disse che non avrebbe avuto altro Dio all’infuori di quello al proprio fianco - che ricambiò complice la stretta - e a cui avrebbe consacrato la vita in un giuramento da lì a breve.

“Forse lo disse una guida turistica e io lo sentii per caso, anni fa, quando venivamo qui insieme” celiò Verlaine, dedicando il proprio sguardo all’uomo di fianco a sé, appoggiando la guancia sulla sua spalla. “Ho sognato quei momenti, alcune volte, nei miei sette anni di solitudine. Essere qui adesso con te ha reso quei sogni reali” aggiunse in un sussurro morbido, per confidare qualcosa che non faceva più male perché appartenente al passato, un passato che era letteralmente un’altra vita.

Entrambi erano morti, in un certo senso; entrambi erano rinati, in un altro. Le leggi della fisica, della biologia, della realtà, si erano piegate e loro ci avevano camminato sopra per ritrovarsi. I dettagli erano trascurabili perché, superata una certa soglia, persino l’imponenza di una delle più grandi opere dell’uomo, come quella cattedrale, si inchinava e li accoglieva riconoscendone l’immortalità.

“Ehi, piccioncini.”

Una voce li richiamò, incurante di spezzare il silenzio denso che permeava la solitudine della chiesa. Un altro Dio che sfidava ciò che era umano e divino, la fede e la pazienza.

Verlaine e Rimabud si voltarono insieme, senza mai districare le dita intrecciate, fissando Chuuya come un disturbatore molesto. Lui ricambiò con una smorfia.

“Guardate che non abbiamo tutta la notte per ‘sta farsa. Iniziamo tra cinque minuti, avrete tempo dopo per le smancerie” e la sua bocca si deformò di nuovo al pensiero, dando a intendere che la sua mente avesse formulato pensieri che si sarebbe evitato volentieri. “Voglio andare a ubriacarmi, quindi facciamo una cosa veloce.”

E come era arrivato se ne andò, le mani piantate nelle tasche del completo elegante che indossava, qualche borbottio incomprensibile a cadenzarne il passo.

“Non ha minimamente la tua grazia” constatò Arthur in un pensiero serio che fece ridacchiare Verlaine. “Ma immagino abbia ragione sul doverci sbrigare…”

“Prima che l’intera polizia di Parigi e l’interpol piombino qui perché un’organizzazione mafiosa straniera ha preso in ostaggio la cattedrale più famosa del mondo? Sì, credo che il mio fratellino abbia proprio ragione.”



“Non potevamo trovare un prete che parlasse anche giapponese?”

Chuuya zittì Dazai con uno Shh concentrato, ma non bastò a placarne le lamentele.

“È quasi l’una di notte, non ho voglia di tradurre cosa sta blaterando… e poi, davvero, un matrimonio vecchio stile?”

Il rosso gli piantò gli occhi addosso come due carboni ardenti.

“Devi stare buono dieci minuti, Sgombro. Dieci cazzo di minuti, non morirai per questo.”

“E chi lo dice che non sono già morto e questo non sia il mio fantasma a parlare?”

La Lumaca lo avrebbe preso a schiaffi con il libro dei cantici abbandonato da qualcuno sulla panca dove erano seduti, ma riuscì a trattenersi. Non però a piantare le dita nella coscia del partner e a tappargli la bocca con un palmo prima che esclamasse un sonoro Ahia!

“Ora stai zitto e buono finché non hanno finito, chiaro?” lo minacciò tra i denti, sempre sottovoce. “Cristo, tua figlia sta più buona di te e ha quattro anni!”

Qualcuno, seduto dietro di loro, si schiarì la voce e Chuuya si irrigidì, tornando seduto dritto.

“La piccola Miko-chan è davvero encomiabile, a differenza di voi due” mormorò Mori composto, le gambe accavallate e le mani intrecciate su un ginocchio, mentre seguiva la funzione improvvisata con interesse.

Al suo fianco, Kouyou sospirò con esasperazione.

“Non pensavo che sarebbe stato necessario dividervi come i bambini, ma se fate ancora casino non ve lo perdonerò” minacciò languida, chinandosi e puntando alle schiene dei due quelli che entrambi percepirono come punte di pugnali. “Evitiamo sacrifici umani per questa unione, che dite? E per la miseria, una volta tanto state buoni e godetevi qualcosa di bello!” aggiunse snervata, tornando a sedere in maniera decorosa e distendendo alcune grinze dell’elegante abito occidentale che si era concessa.

Il Boss della Port Mafia ridacchiò, ma si interruppe a un’occhiataccia della donna, tornando a fissare l’altare.

“Ero convinto che l’amore fosse qualcosa di velenoso e condannabile per te, mia cara” aggiunse, non riuscendo a trattenersi. Una lama sottile lo pungolò al fianco, nonostante dalla posa della Dirigente non si intuisse davvero che lo stesse minacciando.

“Vale anche per te” sibilò, per poi sospirare e placarsi. “Anche io so riconoscere qualcosa di…” lasciò la frase in sospeso, fissando i due sposi che continuavano a tenersi per mano. Un sorriso le nacque al posto delle parole e a Mori bastò come risposta.

Nel mentre, chi era davvero totalmente rapita dalla cerimonia per pochissimi intimi che si stava svolgendo, era proprio Michiko, la figlia di Dazai e Chuuya, seduta in prima fila. Era sporta in avanti e fissava a occhi sgranati la scena, mentre al suo fianco giaceva un cuscinetto ricamato con sopra due anelli.

“Ehi, fragolina” bisbigliò il rosso, chinandosi verso di lei e ricevendo appena un’occhiata di striscio. Gli venne quasi da ridere a vederla così presa, neanche fosse stata messa davanti alla tv con i suoi cartoni animati preferiti. “Vuoi che ti traduca quello che sta dicendo il prete?”

Shhh” lo zittì lei, scuotendo poi la testa. “Papa tais-toi, j’écoute le discours!

Dazai non si trattenne dal ridacchiare e dallo scimmiottare sottovoce quel Papà sta zitto, sto seguendo! di fronte alla faccia sbigottita del partner, ma avvertì di nuovo una pressione spiacevole alla schiena, anche se la identificò come un tacco e non come uno stiletto, forse anche peggio.

“… Il Signore onnipotente e misericordioso confermi il consenso che avete manifestato davanti alla Chiesa e vi ricolmi della sua benedizione. L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce” continuò nel mentre il prete, sovrastando il teatrino e riportando l’ordine, nonostante fosse visibilmente teso e continuasse a occhieggiare in direzione di Mori, che gli sorrise amabile e gli fece un gesto per invitarlo a proseguire e stringere col cerimoniale.

Il prete si schiarì la gola.

D-Dunque, fratelli e sorelle… Il Signore benedica questi anelli che vi donate scambievolmente in segno di amore e di fedeltà.

Nel silenzio generale si sentì solo un Fragolina, tocca a te sommesso e Michiko, agghindata in un vestitino che la faceva somigliare a un pasticcino francese, saltò giù dalla panca, afferrò il cuscino con le fedi e si diresse spedita verso l’altare.

Arthur prese distrattamente uno degli anelli, avendo occhi soltanto per il compagno, mentre Paul regalò un sorriso alla nipote e una leggera carezza sulla testa boccolosa.

“… maledizione” imprecò a mezze labbra Kouyou, guardando in alto per ricacciare una lacrima di commozione di fronte alla scena.

Mori rise a bocca cucita.

“Sembra che Parigi faccia davvero miracoli.”

“Oh, non osare, Ougai.”

“Non aggiungerò altro, mia cara.”

Nel mentre, Chuuya era caduto nella trappola di immortalare il momento con almeno una decina di scatti del cellulare uno di seguito all’altro.

“Mandane una a Odasaku” borbottò Dazai, ormai semi sdraiato sulla panca per la noia. “Così impara a prendersi l’influenza prima di partire.”

“Potevi rimanere a casa con lui se ti faceva tanto schifo venire.”

“Scherzi? Perdermi un viaggio a Parigi tutto pagato dalla Port Mafia, introdurmi illegalmente a Notre-Dame in piena notte e rapire un prete per far sposare due ex spie pluriomicide? È solo la parte del rito che è davvero una barba colossale” sbuffò, massaggiandosi le palpebre. Tornò a fissare la scena, appoggiandosi alla spalla del compagno e concedendosi un breve sorriso.

“Però Miko-chan è davvero carina, anche se l’hai conciata come una bambolina.”

“Se avessi aspettato te ti saresti ridotto a ritagliare una federa e infilargliela spacciandola per un vestito all’avanguardia.”

Dazai aggrottò la fronte.

“… sai che però è un’idea? Ci sono un sacco di federe carine e l’altezza è ancora quella giusta per fargliele andare bene.”

“Appunto.”

“Volete davvero uscire da questa chiesa senza la possibilità di avere altri figli?” sibilò Kouyou dietro di loro. Neanche fossero tornati ad avere quindici anni, il Duo Neo incassò la testa nelle spalle e si zittì di nuovo.

“… con lo scambio delle promesse e con il potere conferitomi da Dio e dalla Chiesa, Paul-Marie Verlaine e Jean Nicolas Arthur Rimbaud io vi unisco come coniugi nel sacro vincolo del matrimonio. Potete ora scambiarvi un-”

Il prete non fece in tempo a finire che Arthur attirò a sé Paul in quel bacio puramente simbolico, ma che realizzava qualcosa che solo fino a quel momento avevano potuto sognare. Verlaine non fu da meno nel trasporto con cui lo ricambiò, stringendosi a lui.

“Ho come l’impressione che Miko-chan non parlerà di altro per i prossimi mesi” rise Dazai, unitosi ai pochi applausi che lui, Chuuya, Mori e Kouyou regalarono al lieto evento, mentre la bambina saltellava e non tratteneva più l’entusiasmo, correndo poi dai suoi genitori e avvalorando l’ipotesi dello Sgombro fin da subito.

Papà li hai visti quanto sono belli? Lo zio è bellissimo! È felicissimo! Si è commosso! Voglio sposarmi anche io!” trillò con l’iperattività di un criceto sulla ruota e in un francese che lasciò sbalordito Chuuya.

“Ne riparliamo quando avrai trent’anni, amore” disse Chuuya, scioccato solo all’idea.

“Hai un papà molto saggio” intervenne Kouyou, ridacchiando e dando una pacca sulla spalla al suo ex pupillo.

Questo non fermò Michiko dal continuare a parlare di quanto tutto fosse bellissimo, anche quando si udì sopraggiungere il distinto suono delle sirene della polizia.

“Bene, credo sia ora di andare” decretò Mori, alzandosi nel suo elegante completo, recuperando il cappotto e sistemandosi la sciarpa simbolo della sua posizione. “Per quando torneremo in albergo avremo pronto lo champagne per il brindisi e un rinfresco leggero, vista l’ora. Il banchetto vero e proprio è prenotato per domani.” 

Nel porgere il braccio a Kouyou, che rise di quelle maniere teatrali e di come, alla fine, stessero fuggendo dal luogo del reato con eleganza, si rivolse al rosso senza perdere il buon umore per quel matrimonio mordi e fuggi.

“Chuuya-kun, ti dispiace andare a pagare il prete per il disturbo e ribadirgli cortesemente di non scendere nei particolari con la polizia? È tanto che non mi concedo una vacanza in santa pace.” Poi i suoi occhi si soffermarono su Verlaine e Rimbaud, ancora fermi ai piedi dell’altare, apparentemente in un mondo tutto loro dove non sembravano udire per niente il tramestio delle auto della polizia.

“Ti occuperesti anche degli sposi?” aggiunse quindi, sospirando divertito.

“Sì, ci penso io, Boss” annuì, prendendo in braccio la figlia e passandola a Dazai, baciandoli entrambi. “Ci vediamo in albergo.”

“Nasconderò tutto il vino prima del tuo arrivo” ricambiò lo Sgombro, facendo ridere la loro bambina, ma non il partner.

“Vedi, io e te non potremmo mai sposarci. Il finché morte non vi separi durerebbe dall’altare all’uscita.”

Dazai si piazzò una mano sul petto, fintamente amareggiato.

“Come riusciresti a vivere senza di me?”

“Non vorresti conoscere la risposta” e gli stampò un secondo bacio sulle labbra, come se non fossero nel pieno dell’ennesimo bisticcio. “Andate, non voglio fare danni perché ci sparano addosso. E chiama Odasaku mentre tornate, senti come sta. E come sta Ango, se Makoto non l’ha già mandato al manicomio.”

“Che Lumaca premurosa che sei, proprio non ti merito” ironizzò Dazai, anche se i suoi occhi sembrarono affermare altro di più intimo. Si risistemò la figlia in braccio - ancora su di giri - e seguì Mori e Kouyou sul retro della cattedrale.

Da fuori, nel mentre, si iniziarono a sentire gli agenti della polizia usare i megafoni per lanciare avvertimenti e alcuni fari illuminarono i rosoni dall’esterno, spezzando la magia dell’atmosfera data dalle candele.

Padre, mi segua senza fare casino. Lo stesso vale per voi due, sposi rintronati. Come ho detto prima, a dopo le smancerie. Ora di sloggiare” ordinò Chuuya secco, in francese, prendendo le redini della situazione.

Fu una notte indimenticabile per Parigi. 


sidralake: (Default)
 

COW-T 12, settima settimana, M3
Prompt: 007. “Sono incinta. Ma il padre non sei tu.” (declinato al maschile)
Numero parole: 900
Rating: Verde
Warning: Omegaverse implied. Omega!Dazai. OT3 Odasaku/Dazai/Chuuya.
Note: //



Avere a che fare con Dazai era sempre disastroso e logorante per i nervi.
Avere a che fare con Dazai in dolce attesa, per la seconda volta, sfidava ogni pensiero umanamente concepito sulla pazienza.


“Sono incinto. Ma il padre non sei tu.”

Chuuya smise di masticare, scoccando un'occhiata al partner e aggrottando la fronte. Ingoiò con calma, senza smettere di fissarlo.

"Ma sei scemo? No, non rispondere" e tornò ad affondare il cucchiaio nella tazza dei cereali. "Lo so benissimo, cretino."

Dazai ridacchiò, per poi chinarsi in avanti, chiudere gli occhi e aprire la bocca, in attesa.
Chuuya sbuffò, ma non gli negò una cucchiaiata.

"Comincia a fare colazione come si deve, visto che aspetti. Non fare come l'ultima volta."

Dazai appoggiò la tempia sulla sua spalla.

"Miko-chan è venuta fuori bene lo stesso" mugugnò, facendo di nuovo 'aaah' con la bocca per un secondo giro. Chuuya sollevò gli occhi al soffitto, cacciandogli in bocca un nuovo cucchiaio carico per poi afferrare la scatola dei cereali e rovesciarne una manciata nel latte avanzato.

“Non ti fa male comportarti come una persona normale una volta tanto, soprattutto nelle tue condizioni.”

“Con normale intendi non farmi coinvolgere in eventi più grandi di noi, non ritrovarmi catturato da qualche organizzazione nemica a cui in passato ho dato fastidio e, in generale, starmene buono per i prossimi sei mesi?”

Chuuya masticò rumorosamente, annuendo a ognuna di quelle possibilità.

“Sì, qualcosa del genere” aggiunse, pescando di nuovo un cucchiaio per Dazai. Fece una smorfia. “Voglio evitare di ritrovarti in qualche buco dimenticato da Dio perché hai fatto incazzare qualcuno.”

“Noioso” biascicò Dazai, leccandosi le labbra. “L’ultima volta che ho fatto incazzare te e aspettavo mi hai chiuso in una suite della Port Mafia per tre giorni. Mi sono annoiato a morte.”

“Eri al sicuro” specificò la Lumaca con la bocca piena. “Fosse per me anche adesso ti terrei chiuso in quella suite fino alla fine, ma non ho voce in capitolo.”

Dazai ridacchiò malizioso, premendogli il dito nella guancia.

“Stavolta non sei tu il padre!”

Chuuya roteò di nuovo gli occhi al soffitto, esasperato.

“Ma la smetti? Cosa ci sarebbe di divertente nel ripeterlo!? Lo so benissimo che non è mio! Hai chiesto esplicitamente che fosse di Odasaku stavolta!”

“Voglio darti fastidio!”

Chuuya lo imbruttì, avvicinandosi alla sua faccia.

“Guarda che ho la pazienza di aspettare che sgravi per dartele tutte insieme” ringhiò.

Dazai ridacchiò di nuovo, per poi sporgersi a dargli un bacio sulla fronte.

“Sarà divertente vedere quanto ti tratterrai nel mentre. E poi non renderesti mai orfana la nostra Miko-chan, anche se si tratta di me.”

Il rosso emise solo un verso di gola, masticando un’imprecazione e appoggiando rumorosamente la tazza sul tavolo della cucina. 

Ogni volta che Dazai giocava la carta la nostra Miko-chan Chuuya si trovava di fronte all’inevitabile consapevolezza che lui e Dazai avessero sul serio combinato qualcosa del genere. Qualcosa di buono. Anche dopo più di due anni, il mafioso non riusciva davvero a realizzare del tutto che insieme avessero dato vita, letteralmente, a ciò che di più importante Chuuya avesse da amare e proteggere.

Tou-san!”

Il rosso rizzò la testa verso il corridoio delle camere a sentire quel gorgoglio che gli faceva battere il cuore come poche cose nella vita.

“Guarda come ti illumini ancora tutto appena la vedi” cinguettò lo Sgombro dietro di lui.

“Dazai” lo riprese Odasaku, avvicinandosi con Michiko in braccio. “Smettila di infastidirlo.”

“Uffa! Perché dovete limitare uno dei miei passatempi preferiti?”

“Prendermi per il culo sarebbe uno dei tuoi passatempi preferiti!?” abbaiò Chuuya, mentre si faceva passare la figlia e le scoccava un bacio sulla guancia.

‘uuulo!”

“Certo, da sempre. Lo capisci solo-mpppffhh

Odasaku cacciò in bocca a Dazai un paio di pillole di integratori, tappandogliela con un palmo.

“Lascialo perdere” sospirò l’ex tuttofare, scuotendo la testa.

“Non si può fare colazione in santa pace se c’è lo Sgombro in giro” borbottò Chuuya, alzandosi a sistemare la ciotola nel lavandino mentre si teneva la bambina in braccio, vestita per uscire.

Dazai, nel mentre, si era appeso al braccio di Odasaku, ma la presa sulla sua bocca era irremovibile e poté solo continuare a mugugnare parole senza senso.

“La vai a riprendere sempre tu all’asilo, dopo?” chiese l’ex assassino, osservando il mafioso recuperare le ultime cose prima di andare.

“Sì, ho da sbrigare un paio di cazzate giù al porto, ma poi sarò libero. Godetevi la mattinata” disse sovrappensiero, prima di voltarsi a guardare male Dazai. “Almeno con te non fa tanto lo stronzo.”

Odasaku sospirò senza riuscire a dargli torto. Chuuya si riavvicinò per un bacio di saluto al più alto, per poi fissare il partner e scuotere la testa, ricambiando il bacio sulla fronte ricevuto prima e uscire.

Una volta soli, Odasaku si decise a lasciare andare Dazai, che finse di prendere un’enorme boccata d’aria e mise il broncio.

“Dovresti trattarmi con più delicatezza!” lagnò, per fare poi pat-pat sulla propria pancia ancora relativamente piatta. “Ho il tuo erede in ostaggio!”

L’ex tuttofare gli regalò un’occhiata penetrante, prima di chinarsi e prendersi le sue labbra per sé, in un bacio che gli tolse il fiato sul serio, costringendo il detective a cingergli il collo con le braccia per restare in equilibrio e staccarsi dopo un po’.

“Tu sei più pericoloso di Chuuya a minacce…”

Odasaku riprese a baciarlo senza lasciarlo scappare.


sidralake: (Default)
 

COW-T 12, seconda settimana, M2
Prompt: La Tigre e l’Acrobata
Numero parole: 1162
Rating: Verde
Warning: il contesto è l’omegaverse, con Omega!Dazai in dolce attesa. 




“Tio Sushi! Tio Sushi! Quetto sei tu!”

Michiko agitò il foglio con la manina come fosse stata una bandiera, piena di orgoglio e di entusiasmo. Al contrario, lo zio Atsushi fu preso in contropiede e continuò a fissare il disegno muoversi, ma senza coglierne l’essenza. Dazai, dalla sua posizione irremovibile sul divano del salotto, in una dolce attesa che stava per superare la linea degli otto mesi, rise della scena.

“Atsushi-kun sembri proprio un gatto che segue una di quelle cannette con piuma giocattolo!”

Il Ragazzo Tigre sbuffò, guardando il mentore con la fronte corrucciata. Michiko non gradì essere ignorata.

“Guadaaa! Sei tu! Sei tu!” insistette, tentando di arrampicarsi sul ragazzo con la sola mano libera - e rischiando invece di lasciarlo in mutande.

“M-Miko-chan aspetta!” balbettò Atsushi, riuscendo a placare la bambina e abbassandosi alla sua altezza per ovviare alla situazione. Finì col mettersi direttamente seduto sul pavimento, in mezzo ai vari giocattoli e peluche. “Avanti, mostrami il disegno!” disse con un rinnovato sorriso, accarezzando i morbidi e buffi boccoli rossi della piccola.

“Qui! Quetto sei tu!” trillò orgogliosa la piccola, con una manata sulla propria opera d’arte, rischiando di strapparla. L’Atsushi del quadro era una macchia grigio chiara con la forma astratta di un gatto ornato di righe nere. Un’ideale di tigre.

“Oh… sì, sono io” commentò e constatò insieme il ragazzo un po’ scettico, fissando la bambina e poi di nuovo il disegno, mentre la sua mente viaggiava a mille per cercare di ricordarsi quando Michiko avesse potuto vederlo nella sua versione mannara. La sua attenzione si spostò quindi sull’altra macchia di colore, corredata di quelli che sembravano arti e quindi più umanoide. Era tutto nero, salvo per la faccia che spiccava rosa, ma era inconfondibile dall’espressione accigliata.

Ad Atsushi scappò un mezzo risolino.

“Questo è zio Ryuu?”

“Acobata!”

“Eh?” il Ragazzo Trigre cercò lo sguardo di Dazai, sentendone la risata.

“Perché non racconti la favola della Tigre e l’Acrobata a zio Atsushi, tesoro?”

Dallo scoppio di entusiasmo di Michiko, corredato di urletto spacca timpani, sembrò la cosa più bella richiesta alla bambina quel giorno.

“La Tigheee è cappata dal cicco!” iniziò la piccola, facendo grandi gesti e finendo sempre con l’indicare la versione disegnata di Atsushi sul proprio disegno. “E l’Acobata l’ha colpita mette fugge!”

Nel dirlo, Michiko recuperò un altro disegno da sotto alcuni giocattoli, cacciandolo tra le mani di Atsushi, il quale lo fissò a occhi sgranati riconoscendo chiarissima la scena. Era qualcosa accaduto diversi anni prima che non avrebbe mai potuto dimenticare.

Nel disegno, c’era lui, sempre versione Tigre Mannara, ma tagliato a metà da qualcosa di nero che partiva dall’Acrobata. Nonostante gli occhi a x disegnati sulla faccia del felino, Atsushi si sentì rincuorato che il foglio non fosse cosparso di scarabocchi rosso sangue. Questi erano invece di un particolare verde brillante, che doveva evidentemente richiamare il potere di Tanizaki, Sasame Yuki.

Atsushi non poté esimersi dal fissare il proprio mentore con esasperazione, sottolineando il tutto con un sospiro di chi la sa lunga.

“Dazai-san, cosa hai raccontato a Michiko?”

“Tighe e Acobata!”

“L’hai sentita” scherzò Dazai, per incorniciarsi il mento con indice e pollice in un’espressione furba. “La storia di come la Tigre e l’Acrobata si sono conosciuti. C’è del romanticismo di fondo, se ci pensi.”

Atsushi guardò di nuovo il disegno dove era stato tagliato a metà. Il concetto di romanticismo non sembrava insito da nessuna parte.

“Akutagawa aveva tentato di ucci-”

Il ragazzo si morse la lingua, lanciando un’occhiata alla bambina, che però aveva appena agguantato due peluche e li stava facendo interagire tra loro continuando a esclamare “tighe” e “acobata” e suoni vari inarticolati.

“Akutagawa ha tentato di fare tu-sai-cosa la prima volta!”

Dazai scoppiò a ridere, per poi massaggiarsi un fianco per un calcetto.

“Chuuya passa le serate a insegnarle le parolacce, puoi parlare normalmente. Non dirai mai nulla di sconveniente che Chuuya non le abbia già detto.”

Atsushi sospirò così forte che sembrò un singhiozzo.

“Non è questo il punto! Perché racconti certe cose a Miko-chan?! Non credo siano… educative.”

Un tentativo vano di fare l’adulto responsabile, ma ripensando al fatto che il rosso Dirigente della Port Mafia stesse insegnando alla figlia gli insulti più coloriti, lo dipinse come un proposito da tempo sprecato.

“Come no!” scherzò Dazai con un ghigno. “La favola di come i suoi zii preferiti hanno cominciato la loro lunga e travagliata storia d’amore! Squartamenti, incomprensioni, gelosie e, alla fine, grazie al mio inestimabile contributo, la collaborazione!” si entusiasmò l’ex mafioso, interpretando con un’espressione diversa, e altamente teatrale, ogni parola pronunciata.

“In effetti una favola è limitante, quasi banale, servirebbe un film d’azione e d’amore, un blockbuster. Dovrei scrivere un copione e venderne i diritti, che ne pensi? Oppure preferisci uno spettacolo teatrale? Certe emozioni le sa trasmettere solo il palcoscenico…”

“Dazai-san…” sospirò di nuovo Atsushi, arrendendosi. Però su una cosa ancora intendeva avere una spiegazione e corrugò la fronte. “Perché hai intitolato la favola La Tigre e l’Acrobata?”

L’uomo fece spallucce e aggiunse anche un gesto minimizzante della questione.

“Come definiresti Akutagawa, con tutte quelle appendici serpentesche che usa per volteggiare in aria nei combattimenti, alle orecchie di una bambina di quasi tre anni? Aggiungi una tigre bianca, un po’ di effetti scenici che creano l’illusione per gentile concessione di Tanizaki, et voilà! Un circo!”

“Ci siamo quasi ammazz-” Atsushi si rimorse la lingua. Qualcuno, in quella famiglia, doveva fingere che gli importasse del linguaggio che Michiko avrebbe sfoggiato a lungo andare. “Non è una storia adatta ai bambini! Sai quanto male mi ha fatto Akutagawa quella volta!?”

La recriminazione di Atsushi restò senza replica, ma attirò l’attenzione di Miko.

“Tio Sushi, Acobata ti fa la bua?”

Il ragazzo le passò di nuovo le mani nei boccoli, trovandoli troppo morbidi per non scompigliarli, e li usò per placarsi, lasciando andare i rimproveri con cui avrebbe potuto ricoprire Dazai. Come sempre, aveva ragione. Anche se in parte ed era dura da ammettere. La loro era proprio una storia che non poteva non essere raccontata.

“Una volta mi faceva la bua” disse soltanto e furono poche parole cariche di ricordi, ma senza più dolore. Era come sfogliare vecchi giornali dalle pagine ingiallite. C’erano cose del passato che erano state archiviate, etichettate per quello che erano, un lungo e tortuoso percorso per arrivare a qualcosa di talmente importante e bello da far dimenticare la sofferenza.

“Ora è diverso” aggiunse con un bel sorriso. “Zio Ryuu mi vuole bene.”

Michiko emise un verso di gioia agitando le braccia, per poi prendere un pennarello rosso e ricominciare a scarabocchiare sul proprio disegno.

“Acobata vuole bene a Tighe” disse orgogliosa, regalando ad Atsushi la sua nuova opera d’arte: una tigre da una parte e un acrobata imbronciato dall’altra, con tanti cuori tutti intorno.

Quella sera, Atsushi avrebbe convinto Akutagawa a incorniciarlo e ad appenderlo nella loro camera.


sidralake: (Default)
 

Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato

Numero Parole: 778

Rating: SAFE



Lio si stava stropicciando un occhio, riprendendo i contatti con la realtà e con ciò che aveva intorno. Non era più in ospedale, nella stanzetta in cui aveva passato gli ultimi tre giorni, ma sul divano di casa, avvolto in una coperta in pile. Ogni fibra del suo corpo era ancora tesa e dolorante, ma il sonno, la prima vera dormita serena che aveva da diverse ore, gli aveva restituito un po' di energie. Anche se l'idea di rimettersi giù e dormire un altro po' non era così malvagia, ma quando si stiracchiò, i suoi piedi urtarono contro qualcosa di diverso dal bracciolo del divano. 

Tirandosi su, Lio si accorse di Galo. 

Galo che dormiva con la testa reclinata all'indietro, semidraiato sulla penisola e con i loro due gemelli in braccio, anche loro addormentati. Neanche una tazza di caffè avrebbe potuto svegliare di più Lio dell'ammirare quella composizione papà-bimbi. 

Scostando la coperta, e facendo piano per non svegliare di soprassalto Galo, l'ex burnish gattonò verso il trio, fermandosi in ginocchio a scrutarli come bestie rare e ammalianti. 

Se tre anni prima, quando era ancora latitante e additato dal mondo intero come "terrorista Mad Burnish", qualcuno gli avesse detto "incontrerai un pompiere e con lui non solo salverai il mondo e tutti i burnish, ma metterai anche su famiglia", probabilmente Lio gli avrebbe dato fuoco solo per aver insinuato che qualcuno - un pompiere poi - potesse approfittare della sua natura di omega e costringerlo a sfornare un figlio. Per uno sempre in fuga come lui e abituato alla sfiducia nel genere umano, non esisteva il pensiero di “potersi innamorare”. 

Ma di lì a tre anni scarsi, Lio non solo aveva perso la capacità di bruciare e aveva passato un periodo a lottare contro una forma di stress post traumatico, ma aveva anche ricominciato ad avere cicli di calore regolari e non più soppressi con un abuso di inibitori per rimanere sempre vigile. Questo, unito all’aver trovato in Galo un amico e un compagno, oltre a un alpha molto atipico, possessivo quanto un bambino con il giocattolo preferito, gli aveva inizialmente fatto rivalutare la possibilità di mettere radici stabili, cosa che in realtà era successa quasi fin da subito, e l'idea che, chissà, forse, un figlio in futuro ci sarebbe potuto essere. Perché allora non due, aveva proposto suddetto futuro nove mesi prima? 

Ed eccoli lì i gemelli. Con così poche ore di vita che a malapena si parlava di giorni, in braccio a Galo dove sembravano ancora più minuscoli di quanto non fossero. 

Non avevano ancora deciso i nomi definitivi, per quanto nove mesi fossero sembrati un'eternità per farlo, avevano solo liste variegate e per la maggior parte depennate o bocciate in tronco da amici e parenti. 

"Sono i figli dei due eroi che hanno salvato il mondo! Dovete scegliere qualcosa di decente!" era più o meno la tiritera che si sorbivano da Remi e Aina a giorni alterni. Il resto della squadra annuiva dalle retrovie, preferendo non mettere bocca, se non quando Galo se ne usciva con proposte imbarazzanti come Galolio perché era la fusione dei loro nomi; ma primo, era orribile e cacofonico - e Lio stesso lo aveva bocciato seduta stante, nonostante l'idea romantica di fondo - e secondo, erano in attesa di due gemelli, un solo nome non era d'aiuto. Per il momento, in cima alla lista rimanevano Lime e Blue che, neanche a farlo a posta, sembravano coordinarsi perfettamente con i colori dei capelli.

"Lime" pronunciò Lio sovrappensiero, nel silenzio rilassato del salotto, con un sorrisino che sentiva stupido. "E Blue" continuò, spostando l'attenzione sul secondo fagottino. Il piccoletto che, dai pochi capelli che spuntavano dalla cuffietta, aveva ereditato il colore di Galo, si agitò leggermente come a confermare che lo avesse sentito. Il cuore di Lio sperimentò un nuovo modo di battere e farlo sciogliere. Pensava che dopo Galo non si sarebbe potuto innamorare di nuovo. 

Anche se aveva avuto tutto il tempo della gravidanza per abituarsi all'idea di “essere madre” - e c'era riuscito, o almeno, c'erano stati momenti in cui avrebbe voluto stringerli adesso e subito tra le braccia - avere i gemelli lì con loro, reali e tangibili, così piccoli e perfetti, così concreti nell'essere il frutto di quel sentimento insperato che Galo gli aveva fatto crescere dentro, poteva quasi minare il suo controllo e farlo commuovere. 

Nel dubbio, volendo continuare a riempirsi occhi e petto di quella sensazione bellissima che era ammirare la propria famiglia, Lio si allungò a recuperare la coperta e si accoccolò addosso all'alpha. Era la sua isola felice. 

"Lio, Galo, Lime e Blue" mormorò a nessuno in particolare, ma sentiva che fosse tutto perfetto. 


sidralake: (Default)
 

Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato

Numero Parole: 649

Rating: SAFE



Koushi stava contemplando la culla dei gemelli con l'amore negli occhi. La tazza di tisana che si era preparato era sul bordo del tavolo e le spire di vapore stavano profumando la stanzetta con un odore rilassante e delicato. Dei biscotti al cioccolato ne erano già spariti tre, masticati di gusto da Daichi, che sembrava, per l'ennesima volta, intento a scaricare una non meglio specificata tensione nel cibo. Questo lo aveva portato ad ammorbidire i fianchi, dettaglio che Sugawara non aveva mancato di sottolineare già da due mesi - "Cos'è, lo fai per distogliere l'attenzione dal mio essere balena? Vuoi sperimentare anche tu cosa si provi?

Erano stati i nove mesi più importanti della loro vita. Forse prima Koushi avrebbe detto, senza ombra di dubbio, i più difficili: le complicazioni c'erano state, i momenti di panico, le corse in ospedale, l'attesa degli esami, i dolori, le nausee, il dover rinunciare a tante cose, il non trovare un momento per stare un attimo sereni. Poi era migliorata. Più il pancione si faceva evidente, più ci credevano, più le cose sarebbero state diverse. Koushi e Daichi avevano ripreso confidenza e forza, avevano smesso di dire no per paura e avevano anzi cominciato a scegliere i nomi, a chiedere ad amici, a riprendere a uscire e fare festa. Avevano anche imbastito un falso matrimonio, una specie di prova generale di qualcosa che ora aveva anche una data, sebbene lontana, ma era un altro pensiero. 

Adesso, da poco più di una settimana, avevano altro a cui pensare, a due visetti a cuore identici che reclamavano a ogni ora la loro attenzione, e se anche poi gli lasciavano il tempo di dormire, né Daichi né Koushi sembravano in grado di staccarsi dalla culla. 

Come in quel momento. Una domenica pomeriggio dove erano solo loro e la prospettiva del riposo. Ma eccoli lì, intenti a dedicare ogni secondo alla loro creazione più bella. 

I gemelli non erano poi le pesti che tutti avevano previsto sarebbero stati. A sentire i rispettivi genitori - più un quantitativo imbarazzante tra zii e cugini, ufficiali e acquisiti, aggiunti ai nonni - per Daichi e Koushi, una così giovane coppia Alpha e Omega alle prese da subito con due gemelli, sembrava dovesse accadere l'apocalisse, il rovesciamento delle stagioni, fuoco e fiamme dagli occhi. Sì, due bambini al primo colpo erano doppiamente - se non il triplo - più impegnativi di un solo bambino. C'erano stati piantarelli e piccoli lamenti, ma per il resto i neo genitori non si erano trovati ad affrontare il campo minato tanto chiacchierato. Ogni ora c'era da controllarli e ogni due da sfamarli - e Koushi era esausto, ma era anche terribilmente felice. 

"Ti si sta raffreddando la tisana" disse Daichi, dando un bacio alla nuca di Koushi. 

"Mi hai lasciato due biscotti?" ribatté l'omega senza distogliere gli occhi dalle sue creaturine. Doveva esserci un qualche elemento magnetico nella nascita dei bambini di cui nessuno parlava mai. "Ho già detto a Noya che deve portarti a correre o quelle maniglie dell'amore rimarranno lì per sempre."

"Ehi!" se la prese Daichi, arrossendo, ma lo sguardo gli cadde lo stesso sul piattino. C'era rimasto un solo biscotto e si sentì un colpa per ragioni diverse. Ma Koushi sapeva come distrarlo, e come distrarsi. 

Prese quell'unico superstite ricoperto di cioccolato e ne staccò un morso prima di avvicinarsi al compagno, prendergli il volto con le mani e baciarlo. Furono un po' impacciati, più per la sorpresa di Daichi perché Sugawara non era nuovo a certe trovate, ma finirono con lo scambiarsi un lungo e intenso bacio. Quando si staccarono entrambi erano senza fiato e rossi, neanche fossero tornati ad avere diciassette anni scarsi e provare a scambiarsi i primi gesti affettuosi. 

"Ti si addice fare il papà, Sawamura" scherzò Koushi, mangiandosi il pezzo di biscotto rimanente. 

Daichi preferì controbattere togliendogli il fiato di nuovo con un altro lungo bacio.


sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 752

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Lance/Lotor

Note: What If Post S8, omegaverse (Alpha!Shiro, Alpha!Lotor, Omega!Lance)




Lotor stava sorridendo. Quando lo faceva, Shiro era certo che sarebbe successo qualcosa di lì a breve e spesso significava sparare a qualcuno o correre a perdifiato per salvarsi la vita.

Il Principe Galra era ancora bersaglio di sovvertitori della nuova pace e cacciatori di taglie ingaggiati per portare la sua testa a chi ancora era fedele al defunto Zarkon. Nonostante ormai tutti sapessero che l’intero universo (e tutte le realtà) erano salve grazie a lui e Allura, per i Galra rimaneva un traditore. Per questo Shiro voleva avercelo sempre vicino quando erano in missione diplomatica; per questo motivo e per il fatto che da qualche mese quella stessa vicinanza avesse portato a far sbocciare qualcosa. Però quando sorrideva in quel modo era perché aveva riconosciuto guai in vista (guai di solito gestibili, se ghignava).

Shiro si fermò dal proseguire e si voltò verso Lotor, guardandolo con un eloquente cipiglio a dire che cosa succede? Erano nel nuovo palazzo congressi di Olkarion e diverse delegazioni erano in arrivo; di lì a un’ora ci sarebbe stato un dibattito, ma nel mentre tutti erano ai controlli della sicurezza, ma non sarebbe stata la prima volta che qualcuno riusciva a introdursi e fare danni.

Lotor ricambiò Shiro portandosi un dito alle labbra e facendogli cenno di seguirlo. Tornarono sui propri passi - il Capitano dell’Atlas sulle spine e pronto a scattare - e svoltarono in un corridoio deserto, con una porta che dava sullo sgabuzzino degli inservienti e altre dedicate ai bagni. Fu a una di queste porte che puntò Lotor, senza smettere il proprio risolino.

Scostando l’uscio, Shiro iniziò a capire, sentendo il naso pizzicargli.

“Qualcuno è in calore e si è dimenticato gli inibitori” svelò serafico Lotor.

Seduto per terra a ridosso del mobile dove erano incassati i lavandini, Lance, madido di sudore, fece una smorfia, alzando verso Lotor un dito medio. L’odore dell’Omega saturava l’aria del piccolo bagno nella sua interezza e Shiro ebbe un leggero fremito, ma scosse la testa per non lasciarsi sopraffare.

“Come ti senti?” domandò, accovacciandosi vicino al compagno ma senza toccarlo; la sola vicinanza bastava a fargli sentire il bisogno di dimenticare il resto e concentrarsi unicamente su di lui.

Lance emise un verso simile a un guaito, che se si era un Alpha come Shiro o come Lotor era un segnale più che chiaro dei bisogni dell’Omega. Ma mentre Shiro si sforzava di mascherare e sopprimere l’istinto, anche solo di rispondere a quel verso, Lotor non si fece problemi ad aizzarlo, con quel suo sorrisino compiaciuto. Shiro lo guardò male.

"Non sei d'aiuto" brontolò.

Lance, nel frattempo, si era nascosto il viso tra le mani. "Ho una voglia schifosa di essere scopato fino a perdere i sensi" confessò, facendo capolino dalle dita con i suoi occhi blu ora ottenebrati dal desiderio. La chiazza umida all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni sottolineava il tutto.

Lotor rise di nuovo, lo sguardo affilato e predatore, e Shiro dovette stringere le dita sui pantaloni per tenerle occupate.

"Abbiamo una riunione tra un'ora" sibilò, come a volerli rimproverare. Perché con quei due succedeva così troppo spesso.

"Scusa daddy, ho fatto male i conti e pensavo di avere ancora una settimana prima del calore" spiegò ironico Lance, il cui sguardo puntava sotto la cintura di Shiro senza alcun pudore.

"Io non sono così indispensabile a questa riunione" annunciò invece Lotor e il paladino blu gli rivolse la propria attenzione insieme a un mormorio di gola molto soddisfatto.

"Voi due siete impossibili" si arrese Shiro. "Ce la fai a camminare per tornare in stanza?"

Lance assentì, allungano una mano ciascuno per farsi aiutare a rimettersi in piedi. "Ma se qualcuno invece mi portasse in braccio?" pigolò, cercando di fare una faccia da cucciolo. "Poi quello stesso qualcuno potrebbe buttarmi di peso sul letto ed essere il primo..." continuò, perdendo completamente il fattore innocenza.

Shiro e Lotor si mossero insieme per istinto a quella proposta e si ritrovarono a far cozzare le mani tra di loro. Lance ridacchiò - anche se sembrò farsi scappare un gemito - ma perse l'equilibrio; il Principe Galra colse l'occasione al volo.

"Mi sa che abbiamo un vincitore... senza rancore, daddy" bisbigliò il paladino blu, stringendo le braccia intorno al collo di Lotor, completamente assuefatto dalle proprie sensazioni.

Shiro roteò gli occhi, ma si diede un contegno. "Se avete finito, qui il tempo passa e abbiamo meno di ora adesso..."

"Assolutamente, andiamo!" annuì Lance. "Sia mai che non riesca a mandarti alla riunione senza un paio di orgasmi prima."


sidralake: (Default)
 

Cow-T, seconda settimana, M2

Prompt: Pioggia

Numero parole: 6611

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith/Lance, Lotor & Generalesse, vaghi hint Lotor/Lance e Lotor/Shklance onesided (che roba complicata)

Note: mpreg ma lieve lieve lieve, come neve ~ omegaverse (Alpha!Shiro, Omega!Keith, Omega!Lance)


Alla socia,
è tutta sua.




Altea e Daibaazal erano stati due pianeti prosperi e amici per migliaia di anni. Le circostanze in cui si erano conosciuti come popoli affondavano la verità nella leggenda, ma  erano storie che da ambo le parti venivano raccontate sempre con piacere, per arrivare a come le prime alleanze tra i due erano state sancite e da lì rinnovate di generazione in generazione, con un ardore e una volontà sempre nuove.

Re Alfor e l’Imperatore Zarkon non erano stati da meno sin dai loro primi anni. Amici di infanzia e compagni in battaglia, erano per l’opinione pubblica forse i più grandi rappresentati da sempre di quell’amicizia che vigeva tra i due pianeti.

Questo finché l’Ombra non era calata su di loro.

Le circostanze dell'incidente che aveva portato quell’alleanza millenaria a sfaldarsi erano ancora oscure, ma tutte le testimonianze concordavano che fosse iniziata con la caduta di una cometa. Tuttavia, da quel momento, erano solo state voci, che si erano trasformate poi in grida di guerra, in maledizioni, im omicidi a corte e quell’Ombra, costante, che sembrava insinuarsi costantemente in ogni spiraglio, in ogni tentativo di fermare la lotta e riportare la pace. Una terza fazione invisibile che, dopo decine di anni di morte, sembrava aver subito un duro colpo grazie a una nuova, rinnovata alleanza tra gli eredi di Nuova Altea e Ultima Dalbaazal. Un matrimonio politico, deciso a un tavolino di pochi, non tutti conosciuti, contendenti in quella guerra. Un accordo che alla luce del sole prometteva solo di realizzare quei tanti agognati desideri di pace, ma che in tutto ciò che non era stato scritto su carta celava segreti ben più neri di quell’Ombra che tentavano di annientare.



Su Fara pioveva senza sosta da giorni.

La stagione fredda era alle porte e quel cielo temporalesco si stava dimostrando un’anteprima di quello che nei phoeb successivi li avrebbe attesi, fino allo sbocciare della primavera.

Era stato Lance a scegliere quel pianeta come sede della nuova alleanza galattica tra Galra e Alean. A suo dire, lui non aveva avuto molta voce in capitolo nell’accordo, salvo quella di proporsi come sacrificio sull’altare della pace. Per questo aveva preteso che Fara diventasse il nuovo centro di potere. Aveva avanzato motivazioni storiche, quasi leggendarie, dato che Fara era citato come il pianeta in cui per la prima volta Altean e Galra avevano collaborato per far nascere millenni di prosperità tra le due razze. Ma chi conosceva Lance, sapeva che voleva risiedere lì perché gli ricordava tanto la Terra e la sua metà umana di figlio bastardo. A distanza di anni, ancora non era chiaro come il figlio di una relazione clandestina che tutti, tutti conoscevano, potesse essere diventato un Principe così ben voluto da poter essere una pedina fondamentale in quel gioco di potere.

Sarebbe dovuta essere sua cugina Allura, erede legittima di Re Alfor, a prendere quella corona. Ma, per sua stessa decisione, velata o meno da risentimento verso l’erede Galra, non era stato così. Lei aveva scelto di rimanere libera da quell’imposizione, da quella rete di ragno in cui credeva Lance si fosse infilato, preferendo poter rimanere attiva e in gioco sul campo di battaglia. Aveva dei trascorsi con il Principe Galra, Lotor, in un impeto di gioventù che aveva portato entrambi quasi ad annientarsi a vicenda, schiavi dei propri retaggi famigliari. Per quanto non scorresse buon sangue tra loro, Allura aveva alla fine acconsentito di dare la propria benedizione a quella farsa che avrebbe dovuto portare una facciata di pace. Come aveva detto Lance, una sorta di Cavallo di Troia con cui fregare i loro avversari.

A tre mesi da un matrimonio volutamente sfarzoso, così che in ogni angolo della galassia se ne parlasse, e all’annuncio che di lì a meno di un anno la neonata alleanza avrebbe già visto l’arrivo di un erede, su Fara, sotto la pioggia incessante, quel patto tanto voluto stava portando a galla parte dei propri infausti segreti.



«Non entrerai in quella stanza in queste condizioni» Lotor lo disse fermo, senza fronzoli nella voce che fossero rabbia o il disgusto latente per la situazione.
Era in piedi, statuario, al centro dell’anticamera, e fissava Shiro che, a pochi passi da lui, bloccato dalle armi delle guardie di corte, ringhiò minaccioso, rimbombando sulle pareti e coprendo lo stesso rumore della pioggia.

Era quel tipo di ringhio che Lotor aveva imparato a conoscere dalla loro frequentazione. Non era un retaggio Galra, perché in fondo Shiro non aveva una goccia di quel sangue, ma solo anni di schiavitù e cultura marchiate nelle cicatrici del suo corpo. Tuttavia, non era davvero neanche un verso umano. O almeno, Lotor non aveva mai compreso come gli esseri umani, creature geneticamente deboli, potessero imporsi con un'inflessione tale; ma quella stessa razza portava continuamente sorprese, come quello di un secondo genere.

Shiro stava usando il suo tono di Alpha, denominato così nelle ricerche sui terrestri. Era il tono di un leader per alcuni, ma di una bestia per lui. Eppure, Shiro veniva riconosciuto proprio come un generale da seguire.

Prima il Campione delle arene infernali, poi un soldato, e infine il Capo principale dei ribelli. Lotor stesso aveva dovuto ammettere quelle sue doti, non soltanto in battaglia, ma anche durante i concili, quando gli animi si scaldavano e lui era capace non solo di fare da mediatore, ma anche di trovare la soluzione, la strada da percorrere, mettendo insieme le opinioni, i moti rivoluzionari di impavidi e i dubbi di chi quella guerra voleva solo che finisse.
Tuttavia, quel tono da Alpha Shiro non lo usava mai in quei frangenti. Non una volta Lotor lo aveva sentito indirizzato ai suoi uomini, o con quelli della Lama di Marmora, con i capi degli altri gruppi ribelli. Lo conosceva per altri ambiti. Quelli che lo disgustavano, quelli che da sempre aveva considerato "da animali".
Shiro usava il tono da Alpha con i suoi due Omega, con Keith e con Lance. Ma non come le storie terrestri millantavano, non per sottometterli alla sua volontà e dominarli. No, si trattava di un tono con cui Shiro rimarcava la loro relazione, con cui era capace di accendere in loro il desiderio, di tenerli stretti a sé e tacitamente ricordare la fiducia che in tre si erano scambiati. Non era sottomissione, non era asservire la loro volontà. Era qualcosa che Lotor ancora non era riuscito a comprendere. Una mutua promessa, ma non fatta di parole che dovessero ripetersi di volta in volta. Un legame invisibile il cui unico sigillo era la lieve cicatrice di morsi che portavano ai lati del collo - o, nel caso di Lance, nell'interno coscia.

Bestie. Non c'era altro termine con cui il Principe dei Galra potesse riconoscerli. Soprattutto da quando quel tono era riuscito a procurare brividi indesiderati anche a lui, ma di lasciarsi soggiogare a un richiamo di carne e piacere, e neanche un invito rivolto a lui... non era quello che avrebbe fatto.
Come in quel caso, non si sarebbe piegato a farlo passare.
«Principe Lotor... quest’uomo… è il capo dei ribelli...» sottolineò una delle guardie, che premeva con la lancia per tenere sul posto Shiro, ma senza volerlo far retrocedere, avendone riconosciuta l'autorità.

La maggior parte dei soldati di Fara, in special modo quelli dei quartieri privati dei Principi, erano stati scelti o tra i ribelli o tra le Lame di Marmora per poter essere sicuri della loro lealtà. Ma quella notte, con la pioggia battente oltre le immense finestre che toccavano terra, quella lealtà stava per essere messa alla prova.

Nessuno sapeva realmente perché Shiro fosse lì. Perché, fradicio e senza aver avvertito di quella visita, senza essere passato dai canali segreti, desiderasse così ardentemente varcare la soglia delle stanze dei novelli sposi, il Principe Lotor e il Principe Lance.

Lotor era tra i pochi al corrente della verità e, probabilmente, il solo che, con una parola, avrebbe potuto far crollare quel castello di carte e farli uccidere tutti.

Si contava sulla punta delle dite chi fosse a conoscenza della trama che giaceva sotto la commedia di quell’unione e, per l’incolumità degli stessi popoli che aveva appoggiato il matrimonio, quella trama sarebbe dovuto rimanere nascosta, dimenticata, se fosse stato possibile.

Fu quella notte che Lotor capì la gravità della decisione che avevano preso, l'impulsività della sciocchezza a cui mai, mai avrebbero potuto porre rimedio, o di cui mai avrebbero potuto rivelare la verità. Come potevano credere di ricostruire la pace, se questa si basava su una menzogna?
Ma i giochi erano fatti. Nessuno poteva tornare indietro e tutti avrebbero dovuto adeguarsi. Shiro per primo.
«Non lasciatelo avanzare di un passo. È un ordine» di nuovo, la voce di Lotor fu irremovibile di fronte ai ringhi del Campione. Lo guardò dall'alto in basso, assottigliando gli occhi di fronte al suo opporre resistenza. Tuttavia, la mano non strinse mai l'elsa della spada al suo fianco. Questo Lotor non lo avrebbe fatto. Avrebbe usato altri mezzi, ma mai versato il sangue di Shiro.
«Cerca di riprenderti» disse invece, moderando il tono in qualcosa di nuovo anche per lui. Non lo aveva addolcito, non si sarebbe piegato a capire il suo istinto. Però non voleva neanche che Shiro lo vedesse per un nemico. Non lo erano mai stati e non avrebbero iniziato quella notte per un futile motivo. «Questo non è il Campione a capo dei ribelli, Shiro. Non sei una bestia» continuò, facendo un passo avanti per fare in modo di essere l'unica presenza nel suo campo visivo.
Le guardie faticarono a trattenerlo, ma non demorsero dallo sforzo, anche quando Shiro usò di nuovo quella sua voce da Alpha, capace di provocare timore persino in un Galra con la giusta dose di potenza e inflessione. E quella notte, Shiro pareva intenzionare a rimarcare appieno chi fosse e cosa volesse.
«Lasciatemi passare» ruggì, riuscendo a fare anche lui quasi un intero passo in avanti. «È mio. Mio. Lo rivoglio.»
Alle tenui luci dell’anticamera, i soldati presenti erano sconvolti e non capirono. Lotor, al contrario, comprendeva fin troppo a fondo.
«Lo hai lasciato scegliere» gli ricordò, ancora una volta senza caricare la voce di emozioni. «E lo abbiamo accettato tutti. Tu hai accettato, io ho accettato.»
Non parevano le parole giuste da usare. Non quando Shiro sembrava a tanto così dal dilaniare la gola di qualcuno di loro con il solo uso dei suoi denti umani, e delle mani, che anche se strette intorno alle lance che lo costringevano ad arretrare, Lotor sapeva che potevano scattare da un momento all'altro e fare seriamente male, fino a uccidere, chiunque lì dentro. E questo non andava bene.
Come se fosse stato chiamato da quel pensiero, dalla stessa porta da cui era entrato Shiro giunse trafelato anche Keith e Lotor non sembrò particolarmente felice di vederlo. Era un'altra mina vagante come Shiro, un’altra bestiola. Difficilmente lo avrebbe avuto dalla sua parte. Con il mezzo Galra, però, sopraggiunsero anche Acxa, Ezor e Zethrid.
«Tenetelo fermo. Non permettetegli di passare.» ordinò Lotor, guardando le tre generali. Sapeva che di loro si sarebbe potuto fidare ciecamente. Anche se erano tutti dalla stessa parte in quella stanza, la loro passata fiducia verso di lui ancora contava qualcosa.
Le guardie si fecero da parte e poterono tirare il fiato. Shiro non rese quella sostituzione facile, lottando per conquistare terreno verso la porta che tanto agognava raggiungere.

Ma a Zethrid bastò imporgli le mani sulle spalle e forzarlo a stare fermo, mentre Ezor gli prese il braccio meccanico, chiudendolo con le manette insieme all'altro braccio; Acxa lo tenne sotto tiro del blaster, impostato sulla funzione stordente.
«Guardie, andate» ordinò Lotor. Ci furono dei tentennamenti; qualcuno sembrò mettere sulla bilancia la scena e soppesare le fazioni. Nell’anticamera stavano per rimanere solo i mezzi Galra da soli con il Comandante Shiro, l’unico umano tra loro. Lotor intuì. «Al Campione non verrà torto un capello. Avete la mia parola» promise, guardando il più alto in grado, che alla fine spinse fuori i compagni e chiuse le porte dietro di sé. Oltre alla pioggia, ora c'era anche il rumoreggiare dei tuoni.
«Shiro...»
Fino a quel momento, Keith era rimasto in disparte, impietrito di fronte alla scena, e non era da lui. Qualcosa lo stava frenando più del vedere Shiro costretto in quella maniera. Lotor lo osservò con attenzione; le narici del giovane mezzo Galra fremevano e le sue mani erano chiuse a pugno, come cercasse di trattenersi. Un leggero rossore gli sfumava le gote, ma piuttosto tenue.
«Keith» lo chiamò, piano, ma suonando alla stessa maniera di un altro ordine. Una sorta di scrollata. «Prendi Shiro e portalo via di qui prima che faccia qualcosa di stupido.»
La voce di Lotor sembrò in grado di farlo tornare in sé e spostare il centro dell'attenzione dall’Alpha. Lo vide respirare di nuovo, ma trattenere il fiato quando Shiro emise un nuovo verso totalmente di gola, furioso ma non battagliero.
«Che cosa succede?» chiese Keith, ma non sembrò rivolgersi a qualcuno in particolare per avere quelle informazioni. Tentò ancora di tenere lo sguardo lontano da Shiro e si rivolse a Lotor, ricomponendo la propria figura, nonostante il tono di Shiro e l'odore che emanava lo stessero scuotendo nel profondo.
«Vuole entrare nelle mie stanze» spiegò lentamente Lotor, sapendo di dire solo la metà di quella verità.
«È mio» ripeté di nuovo Shiro, forzando i polsi fino a crearsi delle abrasioni su quello umano. Ezor guardò prima Zethrid, poi Lotor, in parte inquietata, in parte curiosa.
«Non entrerai nella stanza in queste condizioni» per la prima volta, il tono di Lotor fu venato finalmente da qualcosa che non fosse la sua rigida compostezza. Non fu intenzionale, ma quella situazione iniziava a minare la sua pazienza e non aveva idea di come risolverla. Quindi optò di abbassarsi al livello delle bestie, e non solo metaforicamente. Si chinò in avanti, per essere a pochi centimetri da Shiro.
Non percepì alcun odore rilevante, a differenza di Keith che ne sembrava frastornato. Per lui era solo pelle sudata, tesa e bagnata di pioggia. Ciò che lo trattenne fu il viso di Shiro, sconvolto come mai lo aveva visto. Aveva avuto modo di osservare quel volto ricoperto di sangue, di ferite, di collera, odio, di stanchezza, di amarezza, di amore. Ma mai sfigurato così. E gli fece rabbia. Perché sapeva per chi fosse quello struggimento, a chi fosse rivolto quel desiderio di possessione. E il solo pensarlo, incrinò in modo sleale il suo autocontrollo.
«Hai Keith. Prendilo e scopatelo lontano da qui.»
Shiro tentò sul serio di morderlo in uno scatto che riuscì a cogliere alla sprovvista Zethrid, sfuggendole dalla presa. Lotor fu veloce a tirarsi indietro ed evitare di essere preso o urtato. I capelli gli ricaddero disordinati sulle spalle e solo per un istante provò paura e... fascino.
«Non sparare» Lotor ammonì Acxa quando sentì il primo scatto che caricava l'arma. Lei non parve convinta della decisione, ma non si mosse.
Quel tafferuglio servì a Keith per sbloccarsi e frapporsi tra Lotor e Shiro, azione che sembrò distrarre per qualche attimo il Campione.
«Shiro...» provò il ragazzo, ma sembrava incapace di toccarlo. «Va tutto bene. Siamo tutti al sicuro» continuò. Lotor aggrottò la fronte, cercando di stare al passo con quel discorso, mentre Shiro ringhiava di nuovo di gola, ma in maniera quasi più sottomessa, guardando alternativamente l’Omega e poi la porta che voleva raggiungere con disperazione.
«Lance sta bene» insistette ancora Keith.
Anche le ragazze, ora, mostrarono il loro stupore.
«Cosa sta succedendo qua, esattamente?» chiese Ezor, con quel suo tono un po' da gossip persino in una situazione di tensione.

«Capo?» anche Zethrid si aggiunse, dubbiosa, essendosi probabilmente immaginata una qualche rivolta in atto.
Keith si volse verso Lotor, quando questi non rispose subito, e il Principe lo squadrò, in attesa. Il giovane pupillo di Kolivan era nella sua versione Galra, con le orecchie feline che spuntavano dai capelli corvini, gli occhi sui toni del giallo e la pelle violacea come la sua. Assegnato come guardia del Principe Lance, lì a palazzo Keith doveva sembrare un componente della Lama di Marmora a tutti gli effetti, e non un mezzo umano mezzo Galra capace di mutare natura a piacimento. Un’altra scomoda verità in quella pantomima.

Tuttavia, nel trambusto sollevato da Shiro e dal suo umore, Keith aveva le orecchie basse, appiattite, e dava l’idea di essere stato appena ritrovato fuori sotto la pioggia.
«Vuole vedere Lance» disse infine, con un tono desolato e così poco da lui, ma che nel quadro della situazione affondava le radici nel problema che avevano creato con le loro stesse mani.
Lotor non rise sprezzante soltanto perché non era il momento e quell’alterigia gli si sarebbe ritorta contro. Inoltre, anche se in quello stato, nutriva ancora rispetto per Shiro.
«Non entrerà nelle mie stanze così» ripeté, e si maledisse un po' per continuare a sottolineare quella possessività. Ma il punto rimaneva quello, e lo sottolineò indicando la figura di Shiro, ma in maniera più specifica dalla cintola in giù.
Keith se ne accorse soltanto in quel momento, arrossendo. Oltre a essere così furioso - e stressato, dall'odore che emanata - Shiro era anche eccitato in maniera evidente.
Prima che l'imbarazzo, o qualche battutina da parte delle ragazze riempisse la stanza, Lotor parlò di nuovo.
«Non lo lascerò andare dal Principe in queste condizioni. Non mi importa che sia un qualcuno dei vostri rituali da bestie Alpha e Omega.»
«Shiro non farebbe mai del male a Lance o-» ribatté Keith, ma Lotor lo interruppe subito, con lo sguardo ancora più tagliente di prima.
«Il Principe porta in grembo l'erede su cui abbiamo intenzione di costruire questa pace. Lo avete affidato a me e io vi ho dato delle condizioni per tenere segreto tutto questo. Se il Campione deve comportarsi come un Alpha in grado di ragionare solo con l'istinto, non vi permetterò di mettere più piede in questo castello fino al termine della gravidanza.»
Non fu silenzio totale soltanto per colpa della pioggia, ma Lotor era consapevole di aver ceduto e di essersi lasciato sfuggire non soltanto il disgusto, ma anche quel sentimento che tanto cercava di reprimere; si augurò che nessuno, in special modo Shiro e Keith, lo cogliessero. Lui non era parte di quella loro relazione. Non poteva e non voleva. Ma Lance era un'altra questione, e lo era prima ancora di quel patto voluto per cambiare le cose.
Si creò una nuova situazione di stallo. Shiro riprese a ringhiare e ribellarsi, e Keith, diviso tra i due, sembrava cercare le parole per sistemare quella situazione. Iniziò da Shiro stesso, abbracciandolo e guidando il suo volto contro il proprio collo.
«Shiro, va tutto bene. Lance è al sicuro. Il bambino è al sicuro. Lotor li vuole soltanto proteggere.»
«Keith...» mormorò Shiro, strusciando il naso e il viso contro l’incavo e la zona sensibile dove anni prima lo aveva morso, per sigillare il loro legame. Ne aspirò l'odore lenitivo come un naufrago tratto in salvo.

Zethrid sentì il Campione rilassarsi tra le proprie mani, ma non si fidò ad allentare la presa, nonostante anche le braccia e i polsi smisero di tirare le manette. Per un attimo, Shiro sembrò sul punto di crollare addosso a Keith, ma lui non si mosse e lo sorresse nell'abbraccio.
«Va tutto bene. Stiamo bene.»
«Keith... ho bisogno... ho bisogno di vederli...» mormorò Shiro spezzato, col viso completamente nascosto nell'incavo del collo del suo Omega.
«Lo so...»
Servì qualche altro minuto perché Zethrid non sentisse più la necessità di stringere in una morsa le spalle al Campione. Shiro stesso tornò padrone di sé, staccandosi da Keith e rimettendosi in piedi, nonostante le manette. Tenne gli occhi chiusi ancora per un po', concentrato su inspirare ed espirare l’aria per tornare ad avere il controllo totale. Quando li riaprì, guardò dritto davanti a sé il Principe dei Galra, ancora fermo e all'apparenza irremovibile di fronte la porta delle sue stanze.
«Perdona il mio comportamento, Lotor» disse Shiro, in un tono totalmente umano e stabile. Era tornato a essere il Capitano che guidava le armate ribelli in quella guerra, mentre il tono da Alpha ora era solo un fastidioso ronzio nelle orecchie di Lotor. «Ti ringrazio per non avermi fatto passare» continuò, abbassando lo sguardo per terra, vergognandosi di sé. Keith gli strinse il braccio e Shiro si sentì incoraggiato a continuare. «Non farei mai del male a Lance o al bambino. Mai. Quello che hai visto di me poco fa...» chiuse gli occhi di nuovo e sul suo volto sembrarono combattersi varie emozioni. «Non giustifica quello che sto per dire, ma non vedo Lance da quando siete qui a Fara. La sua mancanza e questa nuova condizione… hanno preso il sopravvento» e lo ammise senza vergogna, ma così sincero che Ezor e Zethrid fecero un passo indietro, mentre Axca abbassava il blaster. Era chiaro che la situazione di emergenza fosse rientrata. Tutti guardarono verso Lotor, per l’ultima parola. E Lotor odiò dover dire la cosa giusta. Odiò quella situazione, l'essersi fatto incastrare in quel patto. Odiò se stesso per non poter ammettere quello che avrebbe voluto. Lotor odiò doverlo dire.
«Puoi entrare» disse soltanto. Fece un cenno a Ezor perché rimuovesse le manette. «Ma se sento che stai facendo qualcosa a Lance...» e per la prima volta poggiò la mano sull'elsa della spada, nonostante sapesse fosse una minaccia vuota prima di tutto per lui.
Shiro attese che gli altri se ne andassero. Vide Lotor lasciare l'anticamera a sguardo alto, seguito dalle tre ragazze - Ezor prima di sparire, sghignazzò qualcosa di sconcio, per cui si meritò uno scappellotto da parte di Acxa.
Poi, lui e Keith entrarono nella camera di Lance e Lotor.

Si richiusero piano la porta alle spalle. La stanza era completamente immersa nell'oscurità, con appena i bagliori delle luci di cortesia a colorare di azzurrognolo la penombra. Le tende erano tirate, ma anche lì si sentiva l'infuriare della pioggia contro i vetri. Una pioggia che non avrebbe lavato via quello che avevano fatto, ma che nel silenzio sembrava loro complice.
Shiro e Keith non avevano bisogno di accendere alcuna luce per sapere dove muoversi. Keith conosceva quella stanza, passandoci quasi tutto il proprio tempo, mentre a Shiro bastava seguire l'odore di Lance. Era dolce come il giorno in cui gli aveva annunciato di aspettare un bambino. Molto più intenso di allora, o probabilmente era il suo olfatto, che non sentendolo da più di due mesi, glielo faceva percepire così vivo.
Il letto a bandacchino era più sontuoso di quanto Shiro si fosse immaginato. Era enorme, alto, e con diverse tende leggere a velarlo. Non poteva notare i dettagli con quella fioca luce, ma era certo che Lance avesse scelto l'arredamento (e che Lotor avesse smorzato il troppo kitsch).

Attraverso i tendaggi, al centro del letto, con le coperte, le lenzuola e i cuscini a circondarlo, Lance dormiva su un fianco, le ginocchia piegate, e una mano sulla curva del ventre che sporgeva dalla camicia da notte.

Shiro trattenne il respiro e Keith lo sentì tendersi di fianco a sé. Nel silenzio ovattato dal temporale, l’Omega fece scivolare la mano in quella dell’Alpha, stringendogliela.
«Stanno bene» sussurrò, guardando Shiro di sottecchi, il cuore che batteva forte nel petto a vedere la commozione nei suoi occhi. «Sto con lui tutto il tempo che posso. Gli manchi tantissimo. Ha anche cercato di svignarsela e venire da te... ma Lotor ha ragione» ammise, stringendo le dita della mano libera a pugno, sentendo una vena di odio per se stesso per essere stato anche lui artefice di quella messinscena. «Questo bambino è troppo importante per la pace.»
Shiro chiuse gli occhi e trasse un respiro per calmare sé e il senso di colpa. Erano stati degli sciocchi e degli ingenui. Avevano sacrificato l'esistenza di un bambino, del loro bambino, a una bestia che ancora non erano sicuri di poter domare.
«Qualche volta penso che sarebbe così facile far sparire Lance, portarlo lontano da qui e mettere entrambi al sicuro» disse Keith, come se avesse potuto leggere e dare voce al pensiero successivo di Shiro, che guardò di sottecchi, per poi abbassare lo sguardo e continuare. «Ho studiato tutte le difese, i punti ciechi e i punti forti di questo castello. Potrei portarlo via sia in pieno giorno sia di notte, senza che nessuno scopra cosa sia successo» respirò a fondo. «Potrei portarlo su Tranmar, oppure su Silonia. Li conosci? Forse il primo no, era un posto su cui mi portò da piccolo mio padre. Non è praticamente in nessuna mappa perché si trova nel confine esterno, però è un pianeta che non conosce la guerra e ha tanto, tanto blu. A Lance piacerebbe» sorrise tra sé, con un'ironia triste, perché sapeva che una cosa del genere non sarebbe mai successa. «Lance sente la tua mancanza e parla sempre di come tutto questo sfarzo non faccia per lui. Ma poi lo vedo come si aggira per i corridoi, per le sale, come parla con la nobiltà o anche con chi chiede udienza. Lance è nato in mezzo a tutto questo. Lance potrebbe davvero riuscire a portare la pace in questa guerra» sospirò, in parte sconsolato. «Non è come noi. Lui si adatterebbe alla nostra vita… finché sa di poter avere noi, sarà felice. Però abbiamo scelto, tutti. Lui sapeva cosa avrebbe significato sposare Lotor portando in grembo tuo figlio. Ma sapeva anche che era l'unica soluzione possibile per ottenere questa pace comandata. E noi siamo stati i boia che lo hanno accompagnato al patibolo.»
«Keith...»
«Non riuscirò a non farmene una colpa, mai. Dannazione... cosa abbiamo fatto, Shiro? Quel bambino crescerà chiamando Lotor padre!»
Shiro gli strinse la mano. Gliela strinse forte, perché stringeva forte anche quel che restava del proprio cuore, sperando non cadesse in pezzi come era già successo poco prima che arrivasse lì. Perché aveva realizzato tutto quello in ritardo, quando di Lance era rimasto un flebile sentore. Perché tre mesi senza di lui erano stati tre mesi senza aria. E se contava pure il bambino... questo aveva scatenato gli istinti da Alpha, portandolo a irrompere nel castello nel pieno della notte e sfidare apertamente Lotor. E tutto per una decisione per cui aveva dato il proprio consenso.
«Scusami. L'ho capito quando ti ho visto che... che dovevamo aver avuto lo stesso pensiero. Il tuo odore... la tua voce... non ti ho mai sentito così. Mi hai spaventato» si scusò il mezzo Galra, poggiando la fronte contro la sua spalla.
«Mi dispiace… Ero fuori di me, non volevo-»
«Mi hai spaventato perché ti ho visto distrutto...» gli parlò sopra l’altro. «Ho sentito tutto, tutto il dolore che stavi provando per non poter avere Lance con te.»
Shiro si passò la mano libera sul viso, senza smettere per un attimo di guardare Lance che continuava a dormire, ignorando la loro presenza. Era così bello, era così suo eppure quei pochi tendaggi parevano le mura del castello stesso, frapponendosi tra loro.
Ispirò profondamente per poter sentire di nuovo il suo odore, pienamente. Così famigliare e avvolgente, riusciva a stemperare il dolore che aveva dentro, riusciva a tenere insieme quei pezzi che aveva sentito scomporsi e non reggere la sofferenza. Sentì anche l'odore di Keith, e non solo perché gli stava di fianco, ma lo avvertiva provenire dal nido che Lance aveva costruito. E sentì anche... l'odore di Lotor.

Quella era anche la stanza di Lotor. Era la stanza di Lance e Lotor. Se lo aspettava. Si era ripetuto più volte che, quando sarebbe andato a trovarlo, lo avrebbe sentito lì. Era anche vero che l'odore proveniva dalla camera in sé e non dal letto, e questo placò in parte il suo istinto di Alpha. Tuttavia, ciò che lo sorprese, fu che non lo trovò invasivo. Sì, il suo essere era in parte disturbato dall’avvertirne la presenza, ma qualcos'altro lo trovò giusto. Non solo razionalmente, perché Lotor era parte di quell'accordo. Ma percepiva in quel sentore qualcosa di diverso, non l'odore del Lotor che conosceva dal campo di battaglia, e neanche quello del Lotor che lo aveva fermato dal piombare in questa stanza e spaventare Lance (si ripeté ancora una volta che non avrebbe mai fatto del male a Lance, ma sapeva anche che, se prima fosse riuscito a passare, avrebbe dato il peggio di sé in fatto di gelosia).

No, l'odore arrivava a lui lì dentro era qualcosa di protettivo e se ne sorprese. Sapeva che Lance e Lotor si conoscevano dall'infanzia. In fondo, era stato Lance a giudicare la fiducia di Lotor, a fare da tramite con lui quando i sospetti non pendevano a suo favore. Però era anche vero che Lance stesso aveva faticato a riconoscere il Lotor che si era presentato a loro con una proposta di alleanza, dopo che per diverso tempo avevano solo sentito voci contrastanti sul suo conto. Tuttavia, ora, quell'odore stava rassicurando stranamente Shiro, e gli comunicava anche qualcos'altro. Qualcosa che non riuscì a identificare, ma che andava bene. Non era ostile e lui era semplicemente stanco.
«Lotor... si sta comportando bene» e non era una domanda quella di Shiro. Keith lo guardò scettico e imbronciato, diviso tra i propri sentimenti e il dover dargli ragione.
«Sì, Lotor... sta rispettando la sua parte di accordo» disse, in una sorta di via di mezzo.
Per la prima volta, quella notte, Shiro riuscì a sorridere un po' e a sentirsi a casa, senza bisogno di pareti fisiche, ma soltanto perché era con le persone che amava.
«Sarò una brutta persona, ma ho intenzione di svegliarlo.»
Keith parve sorpreso.
«Avevi intenzione di farlo dormire dopo che hai smosso mari e monti lì fuori? Ti assicuro che si riposa fin troppo. Non fa assolutamente nulla duranta la giornata, mi dà solo il tormento ogni istante.»
Shiro ridacchiò ancora, piano, perché voleva svegliare Lance a modo suo. Fece un passo indietro e si liberò delle parti superiori dell'armatura, ancora lucide di pioggia. Si ravviò anche il ciuffo, appiccicato alla fronte, e si tolse tutto quello che poteva essere fastidioso per abbracciare Lance. Poi si spostò sul lato del baldacchino, senza togliere gli occhi di dosso dalla figura dell'Omega addormentato un solo istante. Sarebbe potuto sembrare un predatore, ma Keith vide amore e nient’altro nel suo sguardo.
Shiro scostò le tende del baldacchino e poggiò un ginocchio sul materasso. Era così largo che la pressione non arrivò neanche a infastidire il nido di Lance. Poggiò piano le braccia in avanti e poi aspettò.
Lance arricciò il naso una prima volta, emettendo un leggero mugolio. Poi il suo naso si contrasse una seconda volta e l’Omega cercò la fonte dell'odore che stava sentendo, girandosi inconsciamente nel sonno. Le lenzuola frusciarono, la stoffa della camicia da notte si tese sul ventre.
Ancora lentamente, Shiro si fece più avanti e, piano, chinò la testa per arrivare a sfiorare il collo dell'Omega e riempirsi a pieno i polmoni di quell'odore che stava ristorando il suo animo. Non si mosse da dov'era, ma portò le labbra a lasciare un bacio sotto il suo orecchio; poi, pianissimo, sussurrò per destarlo.
«Ehi, bell’addormentato...»
Keith doveva ammettere che Lance incarnava proprio una delle principesse delle favole che amava raccontare ai bambini di corte, quelle che venivano svegliate dal bacio del vero amore. Lance mugugnò di nuovo e stavolta aprì gli occhi. Mise a fuoco il viso di Shiro e una felicità piena di serenità gli colorò le gote. Alzò una mano e la portò alla guancia del Campione, lasciandosi quasi sfuggire un singhiozzo nel toccarlo.
«Sei reale...» sussurrò, come ad accertarsi di non stare sognando.
Shiro annuì e Lance, accostando anche l'altra mano al suo volto, lo avvicinò a sé per baciarlo.
«Stavo immaginando esattamente questo» sussurrò quasi ridendo, quando si separarono. «Eravamo in un bosco e io ero vittima di un incantesimo in una bara di cristallo, ma tu arrivavi da me e mi svegliavi proprio così.»
Keith sbuffò, roteando gli occhi al soffitto e palesando, involontariamente, la propria presenza. Lance trasalì appena ad accorgersi di lui e Shiro lo strinse a sé in un moto inconscio.
«Uh. Nel mio sogno c'eri anche tu» borbottò Lance, con un buffo broncio assonnato. «Eri un nano rompiscatole che faceva la guardia alla mia bara, continuando a borbottare di non essere un babysitter.»
Keith sollevò un sopracciglio, per nulla impressionato.
«Non sono poi così fantasiosi i tuoi sogni.»
Lance si strinse di proposito a Shiro, facendo la linguaccia a Keith. «Digli qualcosa, mi rovina l'umore, costantemente! Sta sempre a lamentarsi e a ripetermi che non posso fare questo o quello.»
«Scusa!? Lance, non puoi uscirtene chiedendo di prendere una hoverbike e “farti un giro”!» protestò Keith, levandosi i tendaggi da davanti, ancora stanziato ai piedi del letto. Brontolò come non fossero le tre di notte di una notte piovosa che li aveva stravolti e messi in bilico, ma un giorno qualsiasi della loro nuova vita di pace apparente. «Aspetti un bambino e sei al quarto mese. E anche non fossi in questo stato, non mi fiderei a lasciarti su una hoverbike da solo.»

«Oh, scusa mamma, se ti do tante preoccupazioni.»

Le dita di Keith artigliarono l’aria davanti a sé, desiderando ardentemente di stringersi intorno al collo dell’altro Omega. «Giuro, ancora cinque mesi e poi ti- ti-»

«Mi fai questo, mi fai quello, gne gne» lo scimmiottò Lance non solo a parole, ma anche con una mano che si apriva e chiudeva a becco. Nel mentre che Keith malediceva il giorno in cui si erano incontrati, il Principe Alteano si tirò un po’ più a sedere, invitando Shiro dentro il nido di coperte per averlo più vicino.

«Ehi, sei bagnato» constatò Lance solo in quel momento, tastandogli il capelli. «Non dirmi che Lotor ha fatto storie per farti entrare» scherzò, ma sia Shiro sia Keith si irrigidirono appena, dissimulando un attimo dopo.

«Ho dovuto lasciare lo starfighter lontano dal castello per non farmi vedere. Ho-» Shiro ci pensò al volo, a mentire, per non farlo preoccupare. Un altro giorno sarebbe stato sincero, ma in quel momento aveva solo bisogno che Lance fosse tranquillo. «Ci sono stati un po’ di problemi di comunicazione per via della pioggia. Non sono riuscito ad avvisare del mio arrivo.»

Keith osservò Lance stropicciarsi un occhio, mentre sembrava soppesare quelle parole. Le sue labbra si incresparono, facendolo sembrare un bambino.

«Sei stressato» constatò, prendendogli di nuovo il volto tra le dita per guardarlo meglio. «È successo qualcosa?»

Nonostante tutto, Shiro in quel momento era solo felice e sorrise sincero. Le proprie mani si poggiarono su quelle del compagno, e ne scostò una per baciare il palmo e il polso, strusciandoci poi contro la guancia.

«Ora va tutto bene. Mi sei mancato.»

Con Lance bastavano poche parole per vederlo accendersi di felicità. I marchi sulle sue guance brillarono soffusi, come quelli sul suo corpo, i cui bagliori si intravedevano attraverso la stoffa della camicia da notte.

«Anche tu ci sei mancato.»

Nonostante il plurale, Keith sapeva che Lance non si stesse riferendo a lui. A differenza del Principe Alteano, lui poteva fare avanti e indietro tra Fara e la base segreta dei ribelli e vedere Shiro con molta più frequenza. Ma non si sentì escluso, anche quando osservò Lance scostare una mano per prendere quella di Shiro e guidarla sul proprio grembo. I suoi due compagni insieme e felici erano semplicemente ciò di cui aveva bisogno per continuare a lottare.

«Ulaz dice che va tutto a gonfie vele. Non proprio con questi termini perché non credo abbia mai visto una barca in vita sua, ma l’idea è questa» ridacchiò Lance, intrecciando le dita con quelle di Shiro. «Il bambino sta bene, io sto in perfetta forma, Keith si assicura di soffiare a chiunque mi si avvicini, compreso Lotor… insomma, sta funzionando.»

Shiro lo ascoltò a metà, mentre abbassava il viso e lo nascondeva di nuovo nell’incavo del suo collo, inspirandone l’odore con una necessità che sperava non trasparisse del tutto. Lance non era però così infantile da non accorgersi di alcuni, chiari segnali sulla stanchezza del suo Alpha, ma mantenne il sorriso, scambiando furtivamente un’occhiata con l’altro Omega. Keith sospirò a assentì piano, ma accennando anche lui un piccolo, incoraggiante sorriso.

«Vi lascio soli.»

«Keith.»

Qualsiasi pensiero di andarsene fu spazzato via dalla voce di Shiro. Di nuovo quel tono, quel timbro inconfondibile da Alpha che poteva richiamare l’attenzione dei due Omega anche in mezzo al caos di una battaglia.

Sia Keith sia Lance, di riflesso, avvertirono un brivido piacevole lungo la schiena.

«Vorrei che rimanessi» continuò Shiro. Se Keith non avesse assistito al crollo psicologico del Campione pochi minuti prima, avrebbe trovato la scena alquanto strana. Shiro non sembrava rendersi conto che stava usando la sua voce da Alpha. Ancora immerso nel collo di Lance, neanche fosse una maschera per l’ossigeno, il resto del suo corpo sembrava completamente rilassato all’interno del nido, a un passo dall’addormentarsi.

«Rimango» assentì Keith, liberandosi degli stivani e della parte superiore della sua suit viola.

«Prenderesti degli asciugamani prima?» sussurrò Lance, indicando con un cenno verso la porta del bagno.

Pochi minuti dopo - e altri “prenderesti quello? E anche quello!” da parte di Lance - tutti e tre erano sul grande letto matrimoniale. Lance aveva riarrangiato il nido con le cose chieste a Keith, rendendolo più confortevole; poi entrambi avevano fatto scivolare Shiro al centro, facendolo sdraiare più comodo. Lance, seduto contro una montagna di cuscini e la testiera, gli aveva fatto poggiare la testa sulle proprie gambe, mentre con un asciugamano gli frizionava i capelli e la pelle. Nel frattempo, Keith aveva anche recuperato dei pigiami con cui cambiare entrambi e liberarsi delle tute da combattimento con cui ormai vivevano.

«Ora va proprio meglio!» esclamò Lance contento, quando Shiro fu asciutto e drappeggiato in un tessuto confortevole, e circondato dall’odore suo e di Keith, che i tendaggi del baldacchino aiutavano a concentrare intorno a loro. I due Omega si stesero contro i fianchi dell’Alpha. Lance gli poggiò la testa sulla spalla e si fece circondare dal braccio umano, intrecciando di nuovo le dita con le sue sul proprio ventre; dall’altra parte, Keith si stese a pancia in giù, posando la testa sulle braccia incrociate e lasciando che la propria coda Galra stringesse pigramente entrambi i compagni.

«Mi fai il solletico» mugugnò Lance con un’occhiataccia all’altro Omega, la guancia schiacciata contro la pelle tiepida di Shiro.

«Wow, mi sembrava strano che non ti stessi lamentando di qualcosa negli ultimi cinque minuti.»

«Rovini sempre l’atmosfera!»

«Hai aperto tu la bocca per primo.»

«Sshh» soffiò piano Shiro, provocando di nuovo brividi in entrambi. Aveva le palpebre calate e i lineamenti rilassati da una tranquillità e una familiarità che non provava da tanto tempo e i due Omega capitolarono a vederlo così, rimandando qualsiasi altro battibecco alla mattina successiva.

Shiro era conscio del fatto che innamorarsi in tempo di guerra non era un affare, ma era successo, e quel breve momento sarebbe entrato a far parte di tutti i ricordi belli che conservava insieme agli altri due. Le due persone per cui la mattina si alzava e continuava a resistere, giorno dopo giorno, tornando a casa anche quando il nemico gli strappava dei pezzi. Le due persone che avevano superato il suo corpo malridotto e avevano trovato la strada per quello che era rimasto della sua anima, unendola alle proprie. Ci sarebbero stati mille modi per descrivere quanto Keith e Lance gli avessero donato e quanto di lui avessero preso da trasformare in meglio, ma tutto quello di cui in quel momento aveva bisogno era solo una notta come quella, per ricaricare le batterie, al caldo, col tepore della pelle e il pensiero che suo figlio stesse bene.

Quando quella guerra sarebbe finita, quando loro sarebbero potuti essere liberi da qualsiasi ombra, tutto sarebbe stato identico a quel preciso istante di pace.  



April 2025

M T W T F S S
 1234 56
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930    

Syndicate

RSS Atom

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Dec. 24th, 2025 02:38 am
Powered by Dreamwidth Studios