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Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 752

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Lance/Lotor

Note: What If Post S8, omegaverse (Alpha!Shiro, Alpha!Lotor, Omega!Lance)




Lotor stava sorridendo. Quando lo faceva, Shiro era certo che sarebbe successo qualcosa di lì a breve e spesso significava sparare a qualcuno o correre a perdifiato per salvarsi la vita.

Il Principe Galra era ancora bersaglio di sovvertitori della nuova pace e cacciatori di taglie ingaggiati per portare la sua testa a chi ancora era fedele al defunto Zarkon. Nonostante ormai tutti sapessero che l’intero universo (e tutte le realtà) erano salve grazie a lui e Allura, per i Galra rimaneva un traditore. Per questo Shiro voleva avercelo sempre vicino quando erano in missione diplomatica; per questo motivo e per il fatto che da qualche mese quella stessa vicinanza avesse portato a far sbocciare qualcosa. Però quando sorrideva in quel modo era perché aveva riconosciuto guai in vista (guai di solito gestibili, se ghignava).

Shiro si fermò dal proseguire e si voltò verso Lotor, guardandolo con un eloquente cipiglio a dire che cosa succede? Erano nel nuovo palazzo congressi di Olkarion e diverse delegazioni erano in arrivo; di lì a un’ora ci sarebbe stato un dibattito, ma nel mentre tutti erano ai controlli della sicurezza, ma non sarebbe stata la prima volta che qualcuno riusciva a introdursi e fare danni.

Lotor ricambiò Shiro portandosi un dito alle labbra e facendogli cenno di seguirlo. Tornarono sui propri passi - il Capitano dell’Atlas sulle spine e pronto a scattare - e svoltarono in un corridoio deserto, con una porta che dava sullo sgabuzzino degli inservienti e altre dedicate ai bagni. Fu a una di queste porte che puntò Lotor, senza smettere il proprio risolino.

Scostando l’uscio, Shiro iniziò a capire, sentendo il naso pizzicargli.

“Qualcuno è in calore e si è dimenticato gli inibitori” svelò serafico Lotor.

Seduto per terra a ridosso del mobile dove erano incassati i lavandini, Lance, madido di sudore, fece una smorfia, alzando verso Lotor un dito medio. L’odore dell’Omega saturava l’aria del piccolo bagno nella sua interezza e Shiro ebbe un leggero fremito, ma scosse la testa per non lasciarsi sopraffare.

“Come ti senti?” domandò, accovacciandosi vicino al compagno ma senza toccarlo; la sola vicinanza bastava a fargli sentire il bisogno di dimenticare il resto e concentrarsi unicamente su di lui.

Lance emise un verso simile a un guaito, che se si era un Alpha come Shiro o come Lotor era un segnale più che chiaro dei bisogni dell’Omega. Ma mentre Shiro si sforzava di mascherare e sopprimere l’istinto, anche solo di rispondere a quel verso, Lotor non si fece problemi ad aizzarlo, con quel suo sorrisino compiaciuto. Shiro lo guardò male.

"Non sei d'aiuto" brontolò.

Lance, nel frattempo, si era nascosto il viso tra le mani. "Ho una voglia schifosa di essere scopato fino a perdere i sensi" confessò, facendo capolino dalle dita con i suoi occhi blu ora ottenebrati dal desiderio. La chiazza umida all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni sottolineava il tutto.

Lotor rise di nuovo, lo sguardo affilato e predatore, e Shiro dovette stringere le dita sui pantaloni per tenerle occupate.

"Abbiamo una riunione tra un'ora" sibilò, come a volerli rimproverare. Perché con quei due succedeva così troppo spesso.

"Scusa daddy, ho fatto male i conti e pensavo di avere ancora una settimana prima del calore" spiegò ironico Lance, il cui sguardo puntava sotto la cintura di Shiro senza alcun pudore.

"Io non sono così indispensabile a questa riunione" annunciò invece Lotor e il paladino blu gli rivolse la propria attenzione insieme a un mormorio di gola molto soddisfatto.

"Voi due siete impossibili" si arrese Shiro. "Ce la fai a camminare per tornare in stanza?"

Lance assentì, allungano una mano ciascuno per farsi aiutare a rimettersi in piedi. "Ma se qualcuno invece mi portasse in braccio?" pigolò, cercando di fare una faccia da cucciolo. "Poi quello stesso qualcuno potrebbe buttarmi di peso sul letto ed essere il primo..." continuò, perdendo completamente il fattore innocenza.

Shiro e Lotor si mossero insieme per istinto a quella proposta e si ritrovarono a far cozzare le mani tra di loro. Lance ridacchiò - anche se sembrò farsi scappare un gemito - ma perse l'equilibrio; il Principe Galra colse l'occasione al volo.

"Mi sa che abbiamo un vincitore... senza rancore, daddy" bisbigliò il paladino blu, stringendo le braccia intorno al collo di Lotor, completamente assuefatto dalle proprie sensazioni.

Shiro roteò gli occhi, ma si diede un contegno. "Se avete finito, qui il tempo passa e abbiamo meno di ora adesso..."

"Assolutamente, andiamo!" annuì Lance. "Sia mai che non riesca a mandarti alla riunione senza un paio di orgasmi prima."


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Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 1541

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lotor, Haggar/Honerva

Note: questa fanart ci sta perfect http://33-ko.tumblr.com/post/171640341409/young-lotor-c




Lotor aveva circa otto anni quando scoprì le prime verità su sua madre. Relegato a vivere su una nave spaziale lontano da quella di suo padre anche galassie a volte, Dayak continuava a istruirlo bacchetta alla mano, nonostante da rimproverargli ci fosse veramente poco.

Era curioso Lotor, ma discreto. Aveva imparato davvero molto presto che qualsiasi sgarro sarebbe stato punito severamente, come ordinato da suo padre la volta in cui gli chiese chi è mia madre?

Così aveva imparato a mantenere il sangue freddo quando una domanda gli ronzava così forte in testa da assordare qualsiasi altro pensiero; era diventato bravo a rispettare gli orari, a non fare ritardi ma neanche ad arrivare presto; a soffrire in silenzio o in un luogo dove sapeva che i suoi singhiozzi non sarebbero stati uditi. A volte si era dilettato in qualche furtarello, ma pochi. Non era bravissimo e aveva scoperto che non gli recava una gran gioia appropriarsi di qualcosa di nascosto. Preferiva poter prendere quello che gli pareva sotto gli occhi di tutti, perché sapessero che poteva farlo, perché era all'altezza delle conseguenze. Si era detto che un giorno sarebbe stato così; tuttavia, fino a quel momento, si accontentava di ciò che come Principe dell'Impero Galra poteva richiedere, che alla fine non era poco.
Però c'era questo pensiero per cui proprio non poteva fare a meno di rischiare e per cui, più di una volta, aveva fatto arrabbiare i suoi tutori. Erano le vecchie cose di sua madre. E non una semplice scatola di roba, ricordi e simili, ma un'intera stanza, una specie di biblioteca di libri, oggetti e ricerche.

Dayak era molto severa a riguardo, su ordine di suo padre. "Il bambino non può avere accesso" erano state le sue parole alle guardie davanti la stanza. Non lo aveva chiamato Lotor, o “il Principe”; aveva usato solo quel sostantivo che toglieva a lui qualsiasi potere. Perché era così che lo vedevano, alla fine. Era l'unico bambino in quell'immensa nave-castello. Oltre lui, i più giovani erano forse le guardie fresche di accademia o gli inservienti. Per diverso tempo Lotor aveva anche creduto di essere speciale perché l’unico. Lo chiamavano "il bambino" come se fosse stato una qualche sorta di onore, perché non ne esistevano altri. Non aveva neanche capito che quella fosse una fase, che un giorno sarebbe stato grande quanto chi lo circondava. A pensarci, si dava dello stupido e si vergognava. Poi gli erano capitati libri tra le mani, e vecchie produzioni video che Dayak usava per istruirlo, dove aveva visto altri come lui, altri piccoli e bassi e...
Aveva forse quattro anni, o meno, quando chiese alla sua tutrice "Cos’è una mamma?" Aveva imparato da un video sugli animali della vecchia Daibaazal che i cuccioli, come i bambini, nascevano da altri animali più grandi, le "mamme" e da lì, la domanda era mutata. “Dov’è la mia mamma?” Ma non c’era stata risposta vera, se non un “Questi non sono affari suoi, Principe Lotor. Non rivolgetemi domande sciocche. Non è importante ai fini della vostra educazione” ed era stata l'ultima parola in merito. Insistendo, perché sentiva di dover sapere, il bambino era stato spedito in camera propria senza cena.

E così Lotor, sentendo per la prima volta male al petto, aveva taciuto e aveva iniziato a fare ricerche per conto proprio, perché in fondo, finché sfogliava libri, Dayak era tranquilla. Da una semplice domanda era diventata un'ossessione che proprio non riusciva a tacitare nella sua mente. Non era come i dubbi che poneva a lezione, su un componente di un qualche oggetto o un evento storico. No, era quel concetto, quelle foto che aveva visto, di bambini come lui che tenevano la mano alle loro mamme. Lui sapeva di avere un padre, ma non aveva mai pensato a una madre prima di allora. Apparteneva a suo padre e, in quanto principe, un giorno sarebbe stato come lui, un imperatore. Ma poi aveva letto più e più libri su come i cuccioli e i bambini nascevano e c'era sempre una mamma, colei che ti tiene per mano, come aveva ribattezzato il concetto.
Dayak non era riuscita a togliergli quella domanda di bocca per diversi giorni, finché non lo aveva messo in punizione seriamente. Lotor era abbastanza sveglio da capire che insistendo non avrebbe ottenuto niente, tuttavia era come chiedergli di trattenere il respiro più di quanto già non riuscisse. Comprese che sarebbe dovuto tornare a essere il bambino tranquillo e diligente di prima, per farle abbassare la guardia e poi portare avanti le sue ricerche per conto proprio.
E fu così che scoprì diverse cose. Conscio della ritrovata libertà, scovò in biblioteca un vecchio libro con l'albero genealogico della sua famiglia; sull'ultima pagina era vergato il nome che cercava. L'imperatore Zarkon sposato all'alchimista Honerva di Altea.
Lotor aveva già sentito parlare di Altea diverse volte. Era una delle parole che agli adulti intorno a lui piaceva meno, perché si trattava del pianeta da cui proveniva Re Alfor, l'uomo che aveva distrutto Daibaazal.

Per lunghe notti Lotor si chiese se Dayak facesse bene a non parlargli di sua madre, se questa era originaria di Altea. Voleva dire che era cattiva e che forse era per quello che suo padre non voleva mai avere a che fare con lui, perché gli ricordava quelli che avevano distrutto il suo regno precedente.
Dayak si complimentò con Lotor per la sua tranquillità, nei giorni successivi, ma il bambino ci fece poco caso, perché in testa continuava a riaffiorargli ancora quel nome, come una maledizione. Ma nonostante questo, il bisogno di sapere chi fosse Honerva, che aspetto avesse, dove fosse, era più forte di qualsiasi altro pensiero negativo.
Continuò le sue ricerche in biblioteca. Quando Dayak si addormentava sulla sedia, lui sgattaiolava nei reparti in cui gli era vietato andare e leggeva tutti i tomi che trovava. Riuscì anche a rubarne uno, intitolato "Storia moderna del pianeta Altea". Se prima aveva avuto dei dubbi, quel libro gliene mise ancora di più, quando si trovò davanti una foto di sua madre. "L'Alchimista Honerva, amica e consigliera di Re Alfor, giovane sposa dell'Imperatore Zarkon, sta dedicando la propria vita alla ricerca della quintessenza" recitava la didascalia. Ma anche una volta letta, Lotor non poté che guardare soltanto la fotografia. Fu la prima notte della sua vita in cui pianse tutte le lacrime che aveva per un vuoto dentro più brutto di quando Dayak lo mandava a letto senza cena.
Quel libro fece ritorno in biblioteca solo dopo che Lotor ebbe scansionato in segreto le pagine e fatta una copia da tenere con sé, nascondendo il tutto in un vecchio manuale sui miti di Daibaazal che sapeva Dayak non gli avrebbe mai sbirciato o tolto.
I pensieri su sua madre mutarono ancora e Lotor non riuscì più a immaginarla come un mostro capace di distruggere un pianeta. In una delle pagine che aveva trattenuto c'era un trafiletto dedicato a lei, dove si parlava delle sue ricerche, di come per tutti avrebbe rivoluzionato il mondo con le sue scoperte e del suo matrimonio, che aveva consolidato un’alleanza millenaria tra Altea e Daibaazal. Anche se era solo un bambino, non riusciva a immaginare come tutte quelle belle cose potevano aver reso sua madre innominabile.

Da lì, facendo sempre il bravo per non essere punito, Lotor aveva continuato a collezionare tutte le informazioni che poteva, a scoprire quella sala con gli oggetti di sua madre, e a cercare di immaginare come sua madre potesse essere sparita… o morta. Una possibilità che lo rattristava, ma che era conscio di dover tener presente.

Non scoprì niente per anni. Nonostante le ricerche silenziose, all’ombra dell'obbedienza che dimostrava, nulla venne alla luce fino a quando compì quattordici anni e con più autorità di prima, e Kova a fargli da palo, fu in grado di accedere ai registri storici degli ultimissimi anni.

La verità fece male.

La verità fece così male che lo portò a fare il gesto più stupido che avesse mai fatto.

Rubò un incrociatore e volò alla nave di suo padre. Forse l’unica sua fortuna fu che lui non ci fosse, perché, col senno di poi, sarebbe stato punito così severamente da riportare ancora i segni sulla pelle. Non che questo avrebbe arrestato il tumulto che aveva dentro.

Atterrato, nessuno lo fermò nella sua avanzata verso la persona che cercava, non quando, per la prima volta, fece vibrare la propria autorità con un tono che non ammetteva repliche.

“Sono il Principe Lotor, fatemi passare!”

E così, guardia dopo guardia, era arrivato davanti alla strega, davanti a Haggar.

“Mio principe” aveva sussurrato lei, con quella sua espressione dalla fronte corrugata, la linea delle labbra che non sembravano aver mai sorriso, quegli occhi vitrei e senza pupille visibili. Sembrava smarrita nel guardarlo.

Lotor non seppe cosa fece più male, se riconoscere in lei quei lineamenti della foto che teneva conservata gelosamente, o la completa indifferenza nei suoi confronti da sempre. La donna di quell’immagine gli avrebbe sorriso come faceva con le persone che la circondavano. Sua madre non avrebbe permesso che vivesse segregato e oppresso, un principe alla stregua di un prigioniero, punito per desiderare sapere il nome di chi lo aveva messo al mondo.

Sua madre non si sarebbe dimenticata di lui.

“Tu non sei lei.”


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Cow-T, terza settimana, M2

Prompt: Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare. (Alessandro Baricco, Oceano mare)

Numero parole: 1047

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Elfo della Notte!Lotor & Sirenetto!Lance

Note: Fantasy!AU (gasp)



Quando Lotor riuscì a risalire anche l'ultima collina, la distesa di sabbia che gli si presentava davanti lo scoraggiò definitivamente e lo lasciò privo degli ultimi barlumi di volontà. Il sole stava tramontando alle sue spalle, lì dove ancora sorgeva il fumo della sua sconfitta.

Non era stato in grado di spodestare suo padre dal trono. Aveva intrapreso una guerra civile che aveva portato a morire chi si fidava di lui. La strega che una volta era stata sua madre lo aveva osservato con sguardo impietoso, mentre vigliaccamente scappava, con i pochi sopravvissuti. Quel giorno aveva perso per sempre la foresta. Non sarebbe mai potuta più essere sua.

Gli Elfi della Notte avrebbero continuato a osannare un re che pian piano li avrebbe portati tutti a morire per le sue mire di potere. La sua razza era destinata alla sconfitta quanto lo era lui in quel momento, un giorno lo avrebbero capito e sarebbe stato troppo tardi.
Ma ora Lotor era lì, solo. Quei pochi che erano scappati con lui non ce l'avevano fatta a sfuggire ai soldati di suo padre. Perché il re, pur di vederlo distrutto, aveva continuato a uccidere chiunque lo avesse seguito, chiunque si fosse arreso, fino a lasciare vivo soltanto il figlio ribelle, affinché ammirasse cosa succedeva a chi si fosse fidato di lui, lo avesse appoggiato, lo avesse seguito o amato.
Lotor era partito con la consapevolessa che non si sarebbe piegato mai più a un tiranno del genere, a qualcuno che aveva scelto, molto tempo prima, il potere oscuro totale, pur di vincere. La nomea di Elfi della Notte già di suo bastava a renderli bersaglio per l'odio di tutte le altre creature, suo padre avrebbe soltanto scatenato una guerra totale per la follia del potere.
Anche quando l'ultimo raggio di sole caldo raggiunse la sua schiena, tuttavia, Lotor non si voltò indietro. Non gli era rimasto più nulla, probabilmente neanche l'alba successiva, se non avesse medicato le ferite infertegli nello scontro. Digrignando i denti per il dolore, si rimise in piedi e affrontò la discesa dalla collina.

Affondare nella sabbia fu qualcosa di nuovo. Non si era mai allontanato così tanto dai territori degli Elfi della Notte o dalla foresta in generale. Quando era stato esiliato, era stato confinato sulle montagne, al gelo dei venti, e quella distesa l'aveva conosciuta da lassù, osservandola all'alba, quando il sole sorgeva dal confine ultimo del mare e l'aurora apriva la strada al mattino con le sue dita rosate, fino a tingere le onde e la sabbia su cui si infrangevano.
In quel momento, con l'avanzare del buio, i granelli avevano un'ombra bluastra a colorarli, oltre al rosso del sangue che Lotor vi stava facendo colare sopra. L’elfo cercò di non perdere l'equilibrio, ma fu difficile camminare per metri e ancora metri, affondando e cercando di proseguire. Poteva sentirlo, il rumore del mare. Poteva chiudere gli occhi e non essere più lì, nel regno della sua sconfitta, cullato dallo sciabordio che lo attendeva alla fine di quella spiaggia.

Non sapeva perché stesse andando verso il mare; non avrebbe potuto proseguire e non c’era nulla lì intorno. Una terra di nessuno. Ma i pensieri, come gli ideali e l'onore, avevano perso di importanza ormai.
Poi lo sentì. Un suono diverso, più simile a una voce, ma con note che non aveva mai sentito. Aveva i sensi annebbiati dalla battaglia, eppure era sicuro si trattasse di una voce che cantava. Era surreale, ipnotica e con parole che non riusciva a cogliere. Traballante, si mosse ancora, ignorando che le gambe non ce la facevano più. Camminò per quelle che gli parvero al contempo delle ore e pochi minuti, la vista così sfuocata da non distinguere più cosa avesse davanti.
Quando cadde in ginocchio, era ormai arrivato alla battigia e un'onda gli si infranse contro prima che potesse anche solo realizzarlo. Era gelida e il sale gli bruciò le ferite, strappandogli il primo vero gemito di dolore e sfogo.
La voce smise di cantare a quel verso e Lotor provò a cercare le parole per chiedere che continuasse, ma niente aveva davvero importanza. Rimase lì, immobile, le mani abbandonate vicino alle gambe, mentre le onde continuavano a lambirlo, finché non cadde sulla sabbia bagnata. Sopra la sua testa, il cielo notturno scintillava di stelle, in uno spettacolo così bello e insperato per una sconfitta, che Lotor sentì le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.
Aveva fallito. Aveva perso tutto e tutti. E a poco a poco, stava smarrendo anche se stesso. Il mare avrebbe potuto portarlo via. Avrebbe potuto cancellare la sua esistenza, avviluppandolo tra le onde, e nessuno si sarebbe ricordato di lui e lui non avrebbe dovuto vivere col peso della sconfitta.
Chiuse gli occhi e smise di pensare.
Fu allora che la canzone ricominciò. Una nenia, leggera e portata dalle onde. Le stesse che continuavano a passare sopra il corpo abbandonato di Lotor, lavandolo dal sangue, confortandolo anche quando non avrebbe voluto. Una di quelle onde fu più consistente delle altre e non lo abbandonò. Lotor sentì un peso sul petto e riaprì gli occhi per ritrovarne due di un blu zaffiro a fissare i suoi. E ora la nenia era lì, a un passo dalle due orecchie, sussurrata come una buonanotte.
Non aveva la forza di sorprendersi, o di muoversi. Ne trovò un barlume solo per piangere, di fronte alla prima creatura del mare che avesse mai visto al di fuori di un libro. Le scaglie azzurre brillavano di un piccolo riverbero, e delle linee dorate, come tatuaggi, correvano sulla pelle nuda e scura. In viso aveva un’espressione smarrita che provocò in Lotor una dolcezza inaspettata.
"Stai morendo?” sussurrò il sirenetto, tastando con attenzione alcune delle sue ferite che continuavano a perdere sangue.

Lotor aveva la gola arsa, le labbra che bruciavano bagnate dalle onde, ma riuscì a sollevare lo stesso un angolo della bocca, in un tentativo di ultima ironia.

“Sarei un pessimo bugiardo… se dicessi che non ho più nulla per cui vivere.”

Vedere quella creatura bellissima arrossire, incorniciata dalle stelle sopra le loro teste, riuscì a fargli battere di nuovo il cuore con qualcosa di diverso dalla disperazione.

“Come ti chiami?”

“... Lotor” sospirò, chiudendo gli occhi senza più sentire dolore. “Tu?”

“Lance…”

“Spero di incontrarti in un’altra vita, Lance…”


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Cow-T, seconda settimana, M2

Prompt: Pioggia

Numero parole: 6611

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith/Lance, Lotor & Generalesse, vaghi hint Lotor/Lance e Lotor/Shklance onesided (che roba complicata)

Note: mpreg ma lieve lieve lieve, come neve ~ omegaverse (Alpha!Shiro, Omega!Keith, Omega!Lance)


Alla socia,
è tutta sua.




Altea e Daibaazal erano stati due pianeti prosperi e amici per migliaia di anni. Le circostanze in cui si erano conosciuti come popoli affondavano la verità nella leggenda, ma  erano storie che da ambo le parti venivano raccontate sempre con piacere, per arrivare a come le prime alleanze tra i due erano state sancite e da lì rinnovate di generazione in generazione, con un ardore e una volontà sempre nuove.

Re Alfor e l’Imperatore Zarkon non erano stati da meno sin dai loro primi anni. Amici di infanzia e compagni in battaglia, erano per l’opinione pubblica forse i più grandi rappresentati da sempre di quell’amicizia che vigeva tra i due pianeti.

Questo finché l’Ombra non era calata su di loro.

Le circostanze dell'incidente che aveva portato quell’alleanza millenaria a sfaldarsi erano ancora oscure, ma tutte le testimonianze concordavano che fosse iniziata con la caduta di una cometa. Tuttavia, da quel momento, erano solo state voci, che si erano trasformate poi in grida di guerra, in maledizioni, im omicidi a corte e quell’Ombra, costante, che sembrava insinuarsi costantemente in ogni spiraglio, in ogni tentativo di fermare la lotta e riportare la pace. Una terza fazione invisibile che, dopo decine di anni di morte, sembrava aver subito un duro colpo grazie a una nuova, rinnovata alleanza tra gli eredi di Nuova Altea e Ultima Dalbaazal. Un matrimonio politico, deciso a un tavolino di pochi, non tutti conosciuti, contendenti in quella guerra. Un accordo che alla luce del sole prometteva solo di realizzare quei tanti agognati desideri di pace, ma che in tutto ciò che non era stato scritto su carta celava segreti ben più neri di quell’Ombra che tentavano di annientare.



Su Fara pioveva senza sosta da giorni.

La stagione fredda era alle porte e quel cielo temporalesco si stava dimostrando un’anteprima di quello che nei phoeb successivi li avrebbe attesi, fino allo sbocciare della primavera.

Era stato Lance a scegliere quel pianeta come sede della nuova alleanza galattica tra Galra e Alean. A suo dire, lui non aveva avuto molta voce in capitolo nell’accordo, salvo quella di proporsi come sacrificio sull’altare della pace. Per questo aveva preteso che Fara diventasse il nuovo centro di potere. Aveva avanzato motivazioni storiche, quasi leggendarie, dato che Fara era citato come il pianeta in cui per la prima volta Altean e Galra avevano collaborato per far nascere millenni di prosperità tra le due razze. Ma chi conosceva Lance, sapeva che voleva risiedere lì perché gli ricordava tanto la Terra e la sua metà umana di figlio bastardo. A distanza di anni, ancora non era chiaro come il figlio di una relazione clandestina che tutti, tutti conoscevano, potesse essere diventato un Principe così ben voluto da poter essere una pedina fondamentale in quel gioco di potere.

Sarebbe dovuta essere sua cugina Allura, erede legittima di Re Alfor, a prendere quella corona. Ma, per sua stessa decisione, velata o meno da risentimento verso l’erede Galra, non era stato così. Lei aveva scelto di rimanere libera da quell’imposizione, da quella rete di ragno in cui credeva Lance si fosse infilato, preferendo poter rimanere attiva e in gioco sul campo di battaglia. Aveva dei trascorsi con il Principe Galra, Lotor, in un impeto di gioventù che aveva portato entrambi quasi ad annientarsi a vicenda, schiavi dei propri retaggi famigliari. Per quanto non scorresse buon sangue tra loro, Allura aveva alla fine acconsentito di dare la propria benedizione a quella farsa che avrebbe dovuto portare una facciata di pace. Come aveva detto Lance, una sorta di Cavallo di Troia con cui fregare i loro avversari.

A tre mesi da un matrimonio volutamente sfarzoso, così che in ogni angolo della galassia se ne parlasse, e all’annuncio che di lì a meno di un anno la neonata alleanza avrebbe già visto l’arrivo di un erede, su Fara, sotto la pioggia incessante, quel patto tanto voluto stava portando a galla parte dei propri infausti segreti.



«Non entrerai in quella stanza in queste condizioni» Lotor lo disse fermo, senza fronzoli nella voce che fossero rabbia o il disgusto latente per la situazione.
Era in piedi, statuario, al centro dell’anticamera, e fissava Shiro che, a pochi passi da lui, bloccato dalle armi delle guardie di corte, ringhiò minaccioso, rimbombando sulle pareti e coprendo lo stesso rumore della pioggia.

Era quel tipo di ringhio che Lotor aveva imparato a conoscere dalla loro frequentazione. Non era un retaggio Galra, perché in fondo Shiro non aveva una goccia di quel sangue, ma solo anni di schiavitù e cultura marchiate nelle cicatrici del suo corpo. Tuttavia, non era davvero neanche un verso umano. O almeno, Lotor non aveva mai compreso come gli esseri umani, creature geneticamente deboli, potessero imporsi con un'inflessione tale; ma quella stessa razza portava continuamente sorprese, come quello di un secondo genere.

Shiro stava usando il suo tono di Alpha, denominato così nelle ricerche sui terrestri. Era il tono di un leader per alcuni, ma di una bestia per lui. Eppure, Shiro veniva riconosciuto proprio come un generale da seguire.

Prima il Campione delle arene infernali, poi un soldato, e infine il Capo principale dei ribelli. Lotor stesso aveva dovuto ammettere quelle sue doti, non soltanto in battaglia, ma anche durante i concili, quando gli animi si scaldavano e lui era capace non solo di fare da mediatore, ma anche di trovare la soluzione, la strada da percorrere, mettendo insieme le opinioni, i moti rivoluzionari di impavidi e i dubbi di chi quella guerra voleva solo che finisse.
Tuttavia, quel tono da Alpha Shiro non lo usava mai in quei frangenti. Non una volta Lotor lo aveva sentito indirizzato ai suoi uomini, o con quelli della Lama di Marmora, con i capi degli altri gruppi ribelli. Lo conosceva per altri ambiti. Quelli che lo disgustavano, quelli che da sempre aveva considerato "da animali".
Shiro usava il tono da Alpha con i suoi due Omega, con Keith e con Lance. Ma non come le storie terrestri millantavano, non per sottometterli alla sua volontà e dominarli. No, si trattava di un tono con cui Shiro rimarcava la loro relazione, con cui era capace di accendere in loro il desiderio, di tenerli stretti a sé e tacitamente ricordare la fiducia che in tre si erano scambiati. Non era sottomissione, non era asservire la loro volontà. Era qualcosa che Lotor ancora non era riuscito a comprendere. Una mutua promessa, ma non fatta di parole che dovessero ripetersi di volta in volta. Un legame invisibile il cui unico sigillo era la lieve cicatrice di morsi che portavano ai lati del collo - o, nel caso di Lance, nell'interno coscia.

Bestie. Non c'era altro termine con cui il Principe dei Galra potesse riconoscerli. Soprattutto da quando quel tono era riuscito a procurare brividi indesiderati anche a lui, ma di lasciarsi soggiogare a un richiamo di carne e piacere, e neanche un invito rivolto a lui... non era quello che avrebbe fatto.
Come in quel caso, non si sarebbe piegato a farlo passare.
«Principe Lotor... quest’uomo… è il capo dei ribelli...» sottolineò una delle guardie, che premeva con la lancia per tenere sul posto Shiro, ma senza volerlo far retrocedere, avendone riconosciuta l'autorità.

La maggior parte dei soldati di Fara, in special modo quelli dei quartieri privati dei Principi, erano stati scelti o tra i ribelli o tra le Lame di Marmora per poter essere sicuri della loro lealtà. Ma quella notte, con la pioggia battente oltre le immense finestre che toccavano terra, quella lealtà stava per essere messa alla prova.

Nessuno sapeva realmente perché Shiro fosse lì. Perché, fradicio e senza aver avvertito di quella visita, senza essere passato dai canali segreti, desiderasse così ardentemente varcare la soglia delle stanze dei novelli sposi, il Principe Lotor e il Principe Lance.

Lotor era tra i pochi al corrente della verità e, probabilmente, il solo che, con una parola, avrebbe potuto far crollare quel castello di carte e farli uccidere tutti.

Si contava sulla punta delle dite chi fosse a conoscenza della trama che giaceva sotto la commedia di quell’unione e, per l’incolumità degli stessi popoli che aveva appoggiato il matrimonio, quella trama sarebbe dovuto rimanere nascosta, dimenticata, se fosse stato possibile.

Fu quella notte che Lotor capì la gravità della decisione che avevano preso, l'impulsività della sciocchezza a cui mai, mai avrebbero potuto porre rimedio, o di cui mai avrebbero potuto rivelare la verità. Come potevano credere di ricostruire la pace, se questa si basava su una menzogna?
Ma i giochi erano fatti. Nessuno poteva tornare indietro e tutti avrebbero dovuto adeguarsi. Shiro per primo.
«Non lasciatelo avanzare di un passo. È un ordine» di nuovo, la voce di Lotor fu irremovibile di fronte ai ringhi del Campione. Lo guardò dall'alto in basso, assottigliando gli occhi di fronte al suo opporre resistenza. Tuttavia, la mano non strinse mai l'elsa della spada al suo fianco. Questo Lotor non lo avrebbe fatto. Avrebbe usato altri mezzi, ma mai versato il sangue di Shiro.
«Cerca di riprenderti» disse invece, moderando il tono in qualcosa di nuovo anche per lui. Non lo aveva addolcito, non si sarebbe piegato a capire il suo istinto. Però non voleva neanche che Shiro lo vedesse per un nemico. Non lo erano mai stati e non avrebbero iniziato quella notte per un futile motivo. «Questo non è il Campione a capo dei ribelli, Shiro. Non sei una bestia» continuò, facendo un passo avanti per fare in modo di essere l'unica presenza nel suo campo visivo.
Le guardie faticarono a trattenerlo, ma non demorsero dallo sforzo, anche quando Shiro usò di nuovo quella sua voce da Alpha, capace di provocare timore persino in un Galra con la giusta dose di potenza e inflessione. E quella notte, Shiro pareva intenzionare a rimarcare appieno chi fosse e cosa volesse.
«Lasciatemi passare» ruggì, riuscendo a fare anche lui quasi un intero passo in avanti. «È mio. Mio. Lo rivoglio.»
Alle tenui luci dell’anticamera, i soldati presenti erano sconvolti e non capirono. Lotor, al contrario, comprendeva fin troppo a fondo.
«Lo hai lasciato scegliere» gli ricordò, ancora una volta senza caricare la voce di emozioni. «E lo abbiamo accettato tutti. Tu hai accettato, io ho accettato.»
Non parevano le parole giuste da usare. Non quando Shiro sembrava a tanto così dal dilaniare la gola di qualcuno di loro con il solo uso dei suoi denti umani, e delle mani, che anche se strette intorno alle lance che lo costringevano ad arretrare, Lotor sapeva che potevano scattare da un momento all'altro e fare seriamente male, fino a uccidere, chiunque lì dentro. E questo non andava bene.
Come se fosse stato chiamato da quel pensiero, dalla stessa porta da cui era entrato Shiro giunse trafelato anche Keith e Lotor non sembrò particolarmente felice di vederlo. Era un'altra mina vagante come Shiro, un’altra bestiola. Difficilmente lo avrebbe avuto dalla sua parte. Con il mezzo Galra, però, sopraggiunsero anche Acxa, Ezor e Zethrid.
«Tenetelo fermo. Non permettetegli di passare.» ordinò Lotor, guardando le tre generali. Sapeva che di loro si sarebbe potuto fidare ciecamente. Anche se erano tutti dalla stessa parte in quella stanza, la loro passata fiducia verso di lui ancora contava qualcosa.
Le guardie si fecero da parte e poterono tirare il fiato. Shiro non rese quella sostituzione facile, lottando per conquistare terreno verso la porta che tanto agognava raggiungere.

Ma a Zethrid bastò imporgli le mani sulle spalle e forzarlo a stare fermo, mentre Ezor gli prese il braccio meccanico, chiudendolo con le manette insieme all'altro braccio; Acxa lo tenne sotto tiro del blaster, impostato sulla funzione stordente.
«Guardie, andate» ordinò Lotor. Ci furono dei tentennamenti; qualcuno sembrò mettere sulla bilancia la scena e soppesare le fazioni. Nell’anticamera stavano per rimanere solo i mezzi Galra da soli con il Comandante Shiro, l’unico umano tra loro. Lotor intuì. «Al Campione non verrà torto un capello. Avete la mia parola» promise, guardando il più alto in grado, che alla fine spinse fuori i compagni e chiuse le porte dietro di sé. Oltre alla pioggia, ora c'era anche il rumoreggiare dei tuoni.
«Shiro...»
Fino a quel momento, Keith era rimasto in disparte, impietrito di fronte alla scena, e non era da lui. Qualcosa lo stava frenando più del vedere Shiro costretto in quella maniera. Lotor lo osservò con attenzione; le narici del giovane mezzo Galra fremevano e le sue mani erano chiuse a pugno, come cercasse di trattenersi. Un leggero rossore gli sfumava le gote, ma piuttosto tenue.
«Keith» lo chiamò, piano, ma suonando alla stessa maniera di un altro ordine. Una sorta di scrollata. «Prendi Shiro e portalo via di qui prima che faccia qualcosa di stupido.»
La voce di Lotor sembrò in grado di farlo tornare in sé e spostare il centro dell'attenzione dall’Alpha. Lo vide respirare di nuovo, ma trattenere il fiato quando Shiro emise un nuovo verso totalmente di gola, furioso ma non battagliero.
«Che cosa succede?» chiese Keith, ma non sembrò rivolgersi a qualcuno in particolare per avere quelle informazioni. Tentò ancora di tenere lo sguardo lontano da Shiro e si rivolse a Lotor, ricomponendo la propria figura, nonostante il tono di Shiro e l'odore che emanava lo stessero scuotendo nel profondo.
«Vuole entrare nelle mie stanze» spiegò lentamente Lotor, sapendo di dire solo la metà di quella verità.
«È mio» ripeté di nuovo Shiro, forzando i polsi fino a crearsi delle abrasioni su quello umano. Ezor guardò prima Zethrid, poi Lotor, in parte inquietata, in parte curiosa.
«Non entrerai nella stanza in queste condizioni» per la prima volta, il tono di Lotor fu venato finalmente da qualcosa che non fosse la sua rigida compostezza. Non fu intenzionale, ma quella situazione iniziava a minare la sua pazienza e non aveva idea di come risolverla. Quindi optò di abbassarsi al livello delle bestie, e non solo metaforicamente. Si chinò in avanti, per essere a pochi centimetri da Shiro.
Non percepì alcun odore rilevante, a differenza di Keith che ne sembrava frastornato. Per lui era solo pelle sudata, tesa e bagnata di pioggia. Ciò che lo trattenne fu il viso di Shiro, sconvolto come mai lo aveva visto. Aveva avuto modo di osservare quel volto ricoperto di sangue, di ferite, di collera, odio, di stanchezza, di amarezza, di amore. Ma mai sfigurato così. E gli fece rabbia. Perché sapeva per chi fosse quello struggimento, a chi fosse rivolto quel desiderio di possessione. E il solo pensarlo, incrinò in modo sleale il suo autocontrollo.
«Hai Keith. Prendilo e scopatelo lontano da qui.»
Shiro tentò sul serio di morderlo in uno scatto che riuscì a cogliere alla sprovvista Zethrid, sfuggendole dalla presa. Lotor fu veloce a tirarsi indietro ed evitare di essere preso o urtato. I capelli gli ricaddero disordinati sulle spalle e solo per un istante provò paura e... fascino.
«Non sparare» Lotor ammonì Acxa quando sentì il primo scatto che caricava l'arma. Lei non parve convinta della decisione, ma non si mosse.
Quel tafferuglio servì a Keith per sbloccarsi e frapporsi tra Lotor e Shiro, azione che sembrò distrarre per qualche attimo il Campione.
«Shiro...» provò il ragazzo, ma sembrava incapace di toccarlo. «Va tutto bene. Siamo tutti al sicuro» continuò. Lotor aggrottò la fronte, cercando di stare al passo con quel discorso, mentre Shiro ringhiava di nuovo di gola, ma in maniera quasi più sottomessa, guardando alternativamente l’Omega e poi la porta che voleva raggiungere con disperazione.
«Lance sta bene» insistette ancora Keith.
Anche le ragazze, ora, mostrarono il loro stupore.
«Cosa sta succedendo qua, esattamente?» chiese Ezor, con quel suo tono un po' da gossip persino in una situazione di tensione.

«Capo?» anche Zethrid si aggiunse, dubbiosa, essendosi probabilmente immaginata una qualche rivolta in atto.
Keith si volse verso Lotor, quando questi non rispose subito, e il Principe lo squadrò, in attesa. Il giovane pupillo di Kolivan era nella sua versione Galra, con le orecchie feline che spuntavano dai capelli corvini, gli occhi sui toni del giallo e la pelle violacea come la sua. Assegnato come guardia del Principe Lance, lì a palazzo Keith doveva sembrare un componente della Lama di Marmora a tutti gli effetti, e non un mezzo umano mezzo Galra capace di mutare natura a piacimento. Un’altra scomoda verità in quella pantomima.

Tuttavia, nel trambusto sollevato da Shiro e dal suo umore, Keith aveva le orecchie basse, appiattite, e dava l’idea di essere stato appena ritrovato fuori sotto la pioggia.
«Vuole vedere Lance» disse infine, con un tono desolato e così poco da lui, ma che nel quadro della situazione affondava le radici nel problema che avevano creato con le loro stesse mani.
Lotor non rise sprezzante soltanto perché non era il momento e quell’alterigia gli si sarebbe ritorta contro. Inoltre, anche se in quello stato, nutriva ancora rispetto per Shiro.
«Non entrerà nelle mie stanze così» ripeté, e si maledisse un po' per continuare a sottolineare quella possessività. Ma il punto rimaneva quello, e lo sottolineò indicando la figura di Shiro, ma in maniera più specifica dalla cintola in giù.
Keith se ne accorse soltanto in quel momento, arrossendo. Oltre a essere così furioso - e stressato, dall'odore che emanata - Shiro era anche eccitato in maniera evidente.
Prima che l'imbarazzo, o qualche battutina da parte delle ragazze riempisse la stanza, Lotor parlò di nuovo.
«Non lo lascerò andare dal Principe in queste condizioni. Non mi importa che sia un qualcuno dei vostri rituali da bestie Alpha e Omega.»
«Shiro non farebbe mai del male a Lance o-» ribatté Keith, ma Lotor lo interruppe subito, con lo sguardo ancora più tagliente di prima.
«Il Principe porta in grembo l'erede su cui abbiamo intenzione di costruire questa pace. Lo avete affidato a me e io vi ho dato delle condizioni per tenere segreto tutto questo. Se il Campione deve comportarsi come un Alpha in grado di ragionare solo con l'istinto, non vi permetterò di mettere più piede in questo castello fino al termine della gravidanza.»
Non fu silenzio totale soltanto per colpa della pioggia, ma Lotor era consapevole di aver ceduto e di essersi lasciato sfuggire non soltanto il disgusto, ma anche quel sentimento che tanto cercava di reprimere; si augurò che nessuno, in special modo Shiro e Keith, lo cogliessero. Lui non era parte di quella loro relazione. Non poteva e non voleva. Ma Lance era un'altra questione, e lo era prima ancora di quel patto voluto per cambiare le cose.
Si creò una nuova situazione di stallo. Shiro riprese a ringhiare e ribellarsi, e Keith, diviso tra i due, sembrava cercare le parole per sistemare quella situazione. Iniziò da Shiro stesso, abbracciandolo e guidando il suo volto contro il proprio collo.
«Shiro, va tutto bene. Lance è al sicuro. Il bambino è al sicuro. Lotor li vuole soltanto proteggere.»
«Keith...» mormorò Shiro, strusciando il naso e il viso contro l’incavo e la zona sensibile dove anni prima lo aveva morso, per sigillare il loro legame. Ne aspirò l'odore lenitivo come un naufrago tratto in salvo.

Zethrid sentì il Campione rilassarsi tra le proprie mani, ma non si fidò ad allentare la presa, nonostante anche le braccia e i polsi smisero di tirare le manette. Per un attimo, Shiro sembrò sul punto di crollare addosso a Keith, ma lui non si mosse e lo sorresse nell'abbraccio.
«Va tutto bene. Stiamo bene.»
«Keith... ho bisogno... ho bisogno di vederli...» mormorò Shiro spezzato, col viso completamente nascosto nell'incavo del collo del suo Omega.
«Lo so...»
Servì qualche altro minuto perché Zethrid non sentisse più la necessità di stringere in una morsa le spalle al Campione. Shiro stesso tornò padrone di sé, staccandosi da Keith e rimettendosi in piedi, nonostante le manette. Tenne gli occhi chiusi ancora per un po', concentrato su inspirare ed espirare l’aria per tornare ad avere il controllo totale. Quando li riaprì, guardò dritto davanti a sé il Principe dei Galra, ancora fermo e all'apparenza irremovibile di fronte la porta delle sue stanze.
«Perdona il mio comportamento, Lotor» disse Shiro, in un tono totalmente umano e stabile. Era tornato a essere il Capitano che guidava le armate ribelli in quella guerra, mentre il tono da Alpha ora era solo un fastidioso ronzio nelle orecchie di Lotor. «Ti ringrazio per non avermi fatto passare» continuò, abbassando lo sguardo per terra, vergognandosi di sé. Keith gli strinse il braccio e Shiro si sentì incoraggiato a continuare. «Non farei mai del male a Lance o al bambino. Mai. Quello che hai visto di me poco fa...» chiuse gli occhi di nuovo e sul suo volto sembrarono combattersi varie emozioni. «Non giustifica quello che sto per dire, ma non vedo Lance da quando siete qui a Fara. La sua mancanza e questa nuova condizione… hanno preso il sopravvento» e lo ammise senza vergogna, ma così sincero che Ezor e Zethrid fecero un passo indietro, mentre Axca abbassava il blaster. Era chiaro che la situazione di emergenza fosse rientrata. Tutti guardarono verso Lotor, per l’ultima parola. E Lotor odiò dover dire la cosa giusta. Odiò quella situazione, l'essersi fatto incastrare in quel patto. Odiò se stesso per non poter ammettere quello che avrebbe voluto. Lotor odiò doverlo dire.
«Puoi entrare» disse soltanto. Fece un cenno a Ezor perché rimuovesse le manette. «Ma se sento che stai facendo qualcosa a Lance...» e per la prima volta poggiò la mano sull'elsa della spada, nonostante sapesse fosse una minaccia vuota prima di tutto per lui.
Shiro attese che gli altri se ne andassero. Vide Lotor lasciare l'anticamera a sguardo alto, seguito dalle tre ragazze - Ezor prima di sparire, sghignazzò qualcosa di sconcio, per cui si meritò uno scappellotto da parte di Acxa.
Poi, lui e Keith entrarono nella camera di Lance e Lotor.

Si richiusero piano la porta alle spalle. La stanza era completamente immersa nell'oscurità, con appena i bagliori delle luci di cortesia a colorare di azzurrognolo la penombra. Le tende erano tirate, ma anche lì si sentiva l'infuriare della pioggia contro i vetri. Una pioggia che non avrebbe lavato via quello che avevano fatto, ma che nel silenzio sembrava loro complice.
Shiro e Keith non avevano bisogno di accendere alcuna luce per sapere dove muoversi. Keith conosceva quella stanza, passandoci quasi tutto il proprio tempo, mentre a Shiro bastava seguire l'odore di Lance. Era dolce come il giorno in cui gli aveva annunciato di aspettare un bambino. Molto più intenso di allora, o probabilmente era il suo olfatto, che non sentendolo da più di due mesi, glielo faceva percepire così vivo.
Il letto a bandacchino era più sontuoso di quanto Shiro si fosse immaginato. Era enorme, alto, e con diverse tende leggere a velarlo. Non poteva notare i dettagli con quella fioca luce, ma era certo che Lance avesse scelto l'arredamento (e che Lotor avesse smorzato il troppo kitsch).

Attraverso i tendaggi, al centro del letto, con le coperte, le lenzuola e i cuscini a circondarlo, Lance dormiva su un fianco, le ginocchia piegate, e una mano sulla curva del ventre che sporgeva dalla camicia da notte.

Shiro trattenne il respiro e Keith lo sentì tendersi di fianco a sé. Nel silenzio ovattato dal temporale, l’Omega fece scivolare la mano in quella dell’Alpha, stringendogliela.
«Stanno bene» sussurrò, guardando Shiro di sottecchi, il cuore che batteva forte nel petto a vedere la commozione nei suoi occhi. «Sto con lui tutto il tempo che posso. Gli manchi tantissimo. Ha anche cercato di svignarsela e venire da te... ma Lotor ha ragione» ammise, stringendo le dita della mano libera a pugno, sentendo una vena di odio per se stesso per essere stato anche lui artefice di quella messinscena. «Questo bambino è troppo importante per la pace.»
Shiro chiuse gli occhi e trasse un respiro per calmare sé e il senso di colpa. Erano stati degli sciocchi e degli ingenui. Avevano sacrificato l'esistenza di un bambino, del loro bambino, a una bestia che ancora non erano sicuri di poter domare.
«Qualche volta penso che sarebbe così facile far sparire Lance, portarlo lontano da qui e mettere entrambi al sicuro» disse Keith, come se avesse potuto leggere e dare voce al pensiero successivo di Shiro, che guardò di sottecchi, per poi abbassare lo sguardo e continuare. «Ho studiato tutte le difese, i punti ciechi e i punti forti di questo castello. Potrei portarlo via sia in pieno giorno sia di notte, senza che nessuno scopra cosa sia successo» respirò a fondo. «Potrei portarlo su Tranmar, oppure su Silonia. Li conosci? Forse il primo no, era un posto su cui mi portò da piccolo mio padre. Non è praticamente in nessuna mappa perché si trova nel confine esterno, però è un pianeta che non conosce la guerra e ha tanto, tanto blu. A Lance piacerebbe» sorrise tra sé, con un'ironia triste, perché sapeva che una cosa del genere non sarebbe mai successa. «Lance sente la tua mancanza e parla sempre di come tutto questo sfarzo non faccia per lui. Ma poi lo vedo come si aggira per i corridoi, per le sale, come parla con la nobiltà o anche con chi chiede udienza. Lance è nato in mezzo a tutto questo. Lance potrebbe davvero riuscire a portare la pace in questa guerra» sospirò, in parte sconsolato. «Non è come noi. Lui si adatterebbe alla nostra vita… finché sa di poter avere noi, sarà felice. Però abbiamo scelto, tutti. Lui sapeva cosa avrebbe significato sposare Lotor portando in grembo tuo figlio. Ma sapeva anche che era l'unica soluzione possibile per ottenere questa pace comandata. E noi siamo stati i boia che lo hanno accompagnato al patibolo.»
«Keith...»
«Non riuscirò a non farmene una colpa, mai. Dannazione... cosa abbiamo fatto, Shiro? Quel bambino crescerà chiamando Lotor padre!»
Shiro gli strinse la mano. Gliela strinse forte, perché stringeva forte anche quel che restava del proprio cuore, sperando non cadesse in pezzi come era già successo poco prima che arrivasse lì. Perché aveva realizzato tutto quello in ritardo, quando di Lance era rimasto un flebile sentore. Perché tre mesi senza di lui erano stati tre mesi senza aria. E se contava pure il bambino... questo aveva scatenato gli istinti da Alpha, portandolo a irrompere nel castello nel pieno della notte e sfidare apertamente Lotor. E tutto per una decisione per cui aveva dato il proprio consenso.
«Scusami. L'ho capito quando ti ho visto che... che dovevamo aver avuto lo stesso pensiero. Il tuo odore... la tua voce... non ti ho mai sentito così. Mi hai spaventato» si scusò il mezzo Galra, poggiando la fronte contro la sua spalla.
«Mi dispiace… Ero fuori di me, non volevo-»
«Mi hai spaventato perché ti ho visto distrutto...» gli parlò sopra l’altro. «Ho sentito tutto, tutto il dolore che stavi provando per non poter avere Lance con te.»
Shiro si passò la mano libera sul viso, senza smettere per un attimo di guardare Lance che continuava a dormire, ignorando la loro presenza. Era così bello, era così suo eppure quei pochi tendaggi parevano le mura del castello stesso, frapponendosi tra loro.
Ispirò profondamente per poter sentire di nuovo il suo odore, pienamente. Così famigliare e avvolgente, riusciva a stemperare il dolore che aveva dentro, riusciva a tenere insieme quei pezzi che aveva sentito scomporsi e non reggere la sofferenza. Sentì anche l'odore di Keith, e non solo perché gli stava di fianco, ma lo avvertiva provenire dal nido che Lance aveva costruito. E sentì anche... l'odore di Lotor.

Quella era anche la stanza di Lotor. Era la stanza di Lance e Lotor. Se lo aspettava. Si era ripetuto più volte che, quando sarebbe andato a trovarlo, lo avrebbe sentito lì. Era anche vero che l'odore proveniva dalla camera in sé e non dal letto, e questo placò in parte il suo istinto di Alpha. Tuttavia, ciò che lo sorprese, fu che non lo trovò invasivo. Sì, il suo essere era in parte disturbato dall’avvertirne la presenza, ma qualcos'altro lo trovò giusto. Non solo razionalmente, perché Lotor era parte di quell'accordo. Ma percepiva in quel sentore qualcosa di diverso, non l'odore del Lotor che conosceva dal campo di battaglia, e neanche quello del Lotor che lo aveva fermato dal piombare in questa stanza e spaventare Lance (si ripeté ancora una volta che non avrebbe mai fatto del male a Lance, ma sapeva anche che, se prima fosse riuscito a passare, avrebbe dato il peggio di sé in fatto di gelosia).

No, l'odore arrivava a lui lì dentro era qualcosa di protettivo e se ne sorprese. Sapeva che Lance e Lotor si conoscevano dall'infanzia. In fondo, era stato Lance a giudicare la fiducia di Lotor, a fare da tramite con lui quando i sospetti non pendevano a suo favore. Però era anche vero che Lance stesso aveva faticato a riconoscere il Lotor che si era presentato a loro con una proposta di alleanza, dopo che per diverso tempo avevano solo sentito voci contrastanti sul suo conto. Tuttavia, ora, quell'odore stava rassicurando stranamente Shiro, e gli comunicava anche qualcos'altro. Qualcosa che non riuscì a identificare, ma che andava bene. Non era ostile e lui era semplicemente stanco.
«Lotor... si sta comportando bene» e non era una domanda quella di Shiro. Keith lo guardò scettico e imbronciato, diviso tra i propri sentimenti e il dover dargli ragione.
«Sì, Lotor... sta rispettando la sua parte di accordo» disse, in una sorta di via di mezzo.
Per la prima volta, quella notte, Shiro riuscì a sorridere un po' e a sentirsi a casa, senza bisogno di pareti fisiche, ma soltanto perché era con le persone che amava.
«Sarò una brutta persona, ma ho intenzione di svegliarlo.»
Keith parve sorpreso.
«Avevi intenzione di farlo dormire dopo che hai smosso mari e monti lì fuori? Ti assicuro che si riposa fin troppo. Non fa assolutamente nulla duranta la giornata, mi dà solo il tormento ogni istante.»
Shiro ridacchiò ancora, piano, perché voleva svegliare Lance a modo suo. Fece un passo indietro e si liberò delle parti superiori dell'armatura, ancora lucide di pioggia. Si ravviò anche il ciuffo, appiccicato alla fronte, e si tolse tutto quello che poteva essere fastidioso per abbracciare Lance. Poi si spostò sul lato del baldacchino, senza togliere gli occhi di dosso dalla figura dell'Omega addormentato un solo istante. Sarebbe potuto sembrare un predatore, ma Keith vide amore e nient’altro nel suo sguardo.
Shiro scostò le tende del baldacchino e poggiò un ginocchio sul materasso. Era così largo che la pressione non arrivò neanche a infastidire il nido di Lance. Poggiò piano le braccia in avanti e poi aspettò.
Lance arricciò il naso una prima volta, emettendo un leggero mugolio. Poi il suo naso si contrasse una seconda volta e l’Omega cercò la fonte dell'odore che stava sentendo, girandosi inconsciamente nel sonno. Le lenzuola frusciarono, la stoffa della camicia da notte si tese sul ventre.
Ancora lentamente, Shiro si fece più avanti e, piano, chinò la testa per arrivare a sfiorare il collo dell'Omega e riempirsi a pieno i polmoni di quell'odore che stava ristorando il suo animo. Non si mosse da dov'era, ma portò le labbra a lasciare un bacio sotto il suo orecchio; poi, pianissimo, sussurrò per destarlo.
«Ehi, bell’addormentato...»
Keith doveva ammettere che Lance incarnava proprio una delle principesse delle favole che amava raccontare ai bambini di corte, quelle che venivano svegliate dal bacio del vero amore. Lance mugugnò di nuovo e stavolta aprì gli occhi. Mise a fuoco il viso di Shiro e una felicità piena di serenità gli colorò le gote. Alzò una mano e la portò alla guancia del Campione, lasciandosi quasi sfuggire un singhiozzo nel toccarlo.
«Sei reale...» sussurrò, come ad accertarsi di non stare sognando.
Shiro annuì e Lance, accostando anche l'altra mano al suo volto, lo avvicinò a sé per baciarlo.
«Stavo immaginando esattamente questo» sussurrò quasi ridendo, quando si separarono. «Eravamo in un bosco e io ero vittima di un incantesimo in una bara di cristallo, ma tu arrivavi da me e mi svegliavi proprio così.»
Keith sbuffò, roteando gli occhi al soffitto e palesando, involontariamente, la propria presenza. Lance trasalì appena ad accorgersi di lui e Shiro lo strinse a sé in un moto inconscio.
«Uh. Nel mio sogno c'eri anche tu» borbottò Lance, con un buffo broncio assonnato. «Eri un nano rompiscatole che faceva la guardia alla mia bara, continuando a borbottare di non essere un babysitter.»
Keith sollevò un sopracciglio, per nulla impressionato.
«Non sono poi così fantasiosi i tuoi sogni.»
Lance si strinse di proposito a Shiro, facendo la linguaccia a Keith. «Digli qualcosa, mi rovina l'umore, costantemente! Sta sempre a lamentarsi e a ripetermi che non posso fare questo o quello.»
«Scusa!? Lance, non puoi uscirtene chiedendo di prendere una hoverbike e “farti un giro”!» protestò Keith, levandosi i tendaggi da davanti, ancora stanziato ai piedi del letto. Brontolò come non fossero le tre di notte di una notte piovosa che li aveva stravolti e messi in bilico, ma un giorno qualsiasi della loro nuova vita di pace apparente. «Aspetti un bambino e sei al quarto mese. E anche non fossi in questo stato, non mi fiderei a lasciarti su una hoverbike da solo.»

«Oh, scusa mamma, se ti do tante preoccupazioni.»

Le dita di Keith artigliarono l’aria davanti a sé, desiderando ardentemente di stringersi intorno al collo dell’altro Omega. «Giuro, ancora cinque mesi e poi ti- ti-»

«Mi fai questo, mi fai quello, gne gne» lo scimmiottò Lance non solo a parole, ma anche con una mano che si apriva e chiudeva a becco. Nel mentre che Keith malediceva il giorno in cui si erano incontrati, il Principe Alteano si tirò un po’ più a sedere, invitando Shiro dentro il nido di coperte per averlo più vicino.

«Ehi, sei bagnato» constatò Lance solo in quel momento, tastandogli il capelli. «Non dirmi che Lotor ha fatto storie per farti entrare» scherzò, ma sia Shiro sia Keith si irrigidirono appena, dissimulando un attimo dopo.

«Ho dovuto lasciare lo starfighter lontano dal castello per non farmi vedere. Ho-» Shiro ci pensò al volo, a mentire, per non farlo preoccupare. Un altro giorno sarebbe stato sincero, ma in quel momento aveva solo bisogno che Lance fosse tranquillo. «Ci sono stati un po’ di problemi di comunicazione per via della pioggia. Non sono riuscito ad avvisare del mio arrivo.»

Keith osservò Lance stropicciarsi un occhio, mentre sembrava soppesare quelle parole. Le sue labbra si incresparono, facendolo sembrare un bambino.

«Sei stressato» constatò, prendendogli di nuovo il volto tra le dita per guardarlo meglio. «È successo qualcosa?»

Nonostante tutto, Shiro in quel momento era solo felice e sorrise sincero. Le proprie mani si poggiarono su quelle del compagno, e ne scostò una per baciare il palmo e il polso, strusciandoci poi contro la guancia.

«Ora va tutto bene. Mi sei mancato.»

Con Lance bastavano poche parole per vederlo accendersi di felicità. I marchi sulle sue guance brillarono soffusi, come quelli sul suo corpo, i cui bagliori si intravedevano attraverso la stoffa della camicia da notte.

«Anche tu ci sei mancato.»

Nonostante il plurale, Keith sapeva che Lance non si stesse riferendo a lui. A differenza del Principe Alteano, lui poteva fare avanti e indietro tra Fara e la base segreta dei ribelli e vedere Shiro con molta più frequenza. Ma non si sentì escluso, anche quando osservò Lance scostare una mano per prendere quella di Shiro e guidarla sul proprio grembo. I suoi due compagni insieme e felici erano semplicemente ciò di cui aveva bisogno per continuare a lottare.

«Ulaz dice che va tutto a gonfie vele. Non proprio con questi termini perché non credo abbia mai visto una barca in vita sua, ma l’idea è questa» ridacchiò Lance, intrecciando le dita con quelle di Shiro. «Il bambino sta bene, io sto in perfetta forma, Keith si assicura di soffiare a chiunque mi si avvicini, compreso Lotor… insomma, sta funzionando.»

Shiro lo ascoltò a metà, mentre abbassava il viso e lo nascondeva di nuovo nell’incavo del suo collo, inspirandone l’odore con una necessità che sperava non trasparisse del tutto. Lance non era però così infantile da non accorgersi di alcuni, chiari segnali sulla stanchezza del suo Alpha, ma mantenne il sorriso, scambiando furtivamente un’occhiata con l’altro Omega. Keith sospirò a assentì piano, ma accennando anche lui un piccolo, incoraggiante sorriso.

«Vi lascio soli.»

«Keith.»

Qualsiasi pensiero di andarsene fu spazzato via dalla voce di Shiro. Di nuovo quel tono, quel timbro inconfondibile da Alpha che poteva richiamare l’attenzione dei due Omega anche in mezzo al caos di una battaglia.

Sia Keith sia Lance, di riflesso, avvertirono un brivido piacevole lungo la schiena.

«Vorrei che rimanessi» continuò Shiro. Se Keith non avesse assistito al crollo psicologico del Campione pochi minuti prima, avrebbe trovato la scena alquanto strana. Shiro non sembrava rendersi conto che stava usando la sua voce da Alpha. Ancora immerso nel collo di Lance, neanche fosse una maschera per l’ossigeno, il resto del suo corpo sembrava completamente rilassato all’interno del nido, a un passo dall’addormentarsi.

«Rimango» assentì Keith, liberandosi degli stivani e della parte superiore della sua suit viola.

«Prenderesti degli asciugamani prima?» sussurrò Lance, indicando con un cenno verso la porta del bagno.

Pochi minuti dopo - e altri “prenderesti quello? E anche quello!” da parte di Lance - tutti e tre erano sul grande letto matrimoniale. Lance aveva riarrangiato il nido con le cose chieste a Keith, rendendolo più confortevole; poi entrambi avevano fatto scivolare Shiro al centro, facendolo sdraiare più comodo. Lance, seduto contro una montagna di cuscini e la testiera, gli aveva fatto poggiare la testa sulle proprie gambe, mentre con un asciugamano gli frizionava i capelli e la pelle. Nel frattempo, Keith aveva anche recuperato dei pigiami con cui cambiare entrambi e liberarsi delle tute da combattimento con cui ormai vivevano.

«Ora va proprio meglio!» esclamò Lance contento, quando Shiro fu asciutto e drappeggiato in un tessuto confortevole, e circondato dall’odore suo e di Keith, che i tendaggi del baldacchino aiutavano a concentrare intorno a loro. I due Omega si stesero contro i fianchi dell’Alpha. Lance gli poggiò la testa sulla spalla e si fece circondare dal braccio umano, intrecciando di nuovo le dita con le sue sul proprio ventre; dall’altra parte, Keith si stese a pancia in giù, posando la testa sulle braccia incrociate e lasciando che la propria coda Galra stringesse pigramente entrambi i compagni.

«Mi fai il solletico» mugugnò Lance con un’occhiataccia all’altro Omega, la guancia schiacciata contro la pelle tiepida di Shiro.

«Wow, mi sembrava strano che non ti stessi lamentando di qualcosa negli ultimi cinque minuti.»

«Rovini sempre l’atmosfera!»

«Hai aperto tu la bocca per primo.»

«Sshh» soffiò piano Shiro, provocando di nuovo brividi in entrambi. Aveva le palpebre calate e i lineamenti rilassati da una tranquillità e una familiarità che non provava da tanto tempo e i due Omega capitolarono a vederlo così, rimandando qualsiasi altro battibecco alla mattina successiva.

Shiro era conscio del fatto che innamorarsi in tempo di guerra non era un affare, ma era successo, e quel breve momento sarebbe entrato a far parte di tutti i ricordi belli che conservava insieme agli altri due. Le due persone per cui la mattina si alzava e continuava a resistere, giorno dopo giorno, tornando a casa anche quando il nemico gli strappava dei pezzi. Le due persone che avevano superato il suo corpo malridotto e avevano trovato la strada per quello che era rimasto della sua anima, unendola alle proprie. Ci sarebbero stati mille modi per descrivere quanto Keith e Lance gli avessero donato e quanto di lui avessero preso da trasformare in meglio, ma tutto quello di cui in quel momento aveva bisogno era solo una notta come quella, per ricaricare le batterie, al caldo, col tepore della pelle e il pensiero che suo figlio stesse bene.

Quando quella guerra sarebbe finita, quando loro sarebbero potuti essere liberi da qualsiasi ombra, tutto sarebbe stato identico a quel preciso istante di pace.  



sidralake: (Default)
 

Cow-T, prima settimana, Missione Speciale

Prompt: Capelli

Numero parole: 185

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lotor, Sendak.

Note: WHAT IF --- e se a Kral Zera Lotor fosse stato sconfitto?



La sconfitta non era accettabile, ma fu l’esito imprevisto. Lenta, a ogni fendente, si approssimò. Non come la Signora della Falce, giunta a Kral Zera prima che la contesa iniziasse per scegliere personalmente chi, tra le centinaia di contendenti e spettatori, avrebbe portato via con sé.

No, la sconfitta si librava sulle loro teste come un avvoltoio, in attesa della carcassa su cui affondare gli artigli del disonore.

La presenza del Black Lion non infiacchì gli animi, li rese solo più irosi verso quel principe che profanava la memoria del padre, del più grande degli imperatori della galassia.

«Ucciderti sarebbe misericordioso» ghignò Sendak, tenendo per il collo quell’erede che aveva osato ribellarsi e uccidere il suo stesso sangue. «Una volta che sarò imperatore, ti renderò mio schiavo… ma fino ad allora, vivrai nella vergogna della sconfitta.»

Bastò un fendette secco. Un rumore così sottile che Lotor non avrebbe mai più dimenticato.

Vide i propri capelli aleggiare nell’aria, disperdersi e cadere in terra come steli morti. Un orrore coperto solo dalle grida di vittoria dei Galra, all’accendersi del fuoco sacro per mano del loro nuovo sovrano.


sidralake: (Default)

Cow-T, prima settimana, Missione Speciale

Prompt: Capelli

Numero parole: 904

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Ship: Lance/Lotor

Note: da qualche parte prima della fine della S6, soprattutto nei miei headcanon.



Mentre l’acqua in bagno continuava a scorrere, Lance si sgranchì le braccia, restandosene sul letto a gambe incrociate e avvolto nel suo confortevole pigiama blu, che dopo l’ennesima giornata (di una durata media di quarantotto ore) ingabbiato a sudare nella tuta e nell’armatura da paladino era proprio quello di cui aveva bisogno. E quella serata sarebbe stata dedicata solo al comfort e ai suoi rituali di benessere personale messi da parte troppo a lungo nell’ultimo periodo.

Aveva sistemato tutto l'occorrente su un asciugamano adagiato a sua volta sulla coperta, in ordine di utilizzo, anche se aveva la tentazione di mettere il tutto per gradazione di colore, mentre aspettava che il suo complice di beauty care uscisse dal bagno.

Si sfregò le mani, impaziente, finendo davvero col risistemare i barattolini e i tubetti, finché non sentì chiudere il rubinetto del lavandino.

Dalla soglia del bagno fece capolino Lotor, in un pigiama viola confezionato in pandant con quello del resto degli inquilini del Castello dei Leoni per consolidare i rapporti, a detta di Lance. (Che, a dirla tutta, aveva tossicchiato qualcosa che somigliava a “bonding moment” giusto per vedere Keith triggherarsi).

Lotor aveva tutti i capelli tirati indietro, compreso il ciuffo ribelle, leggermente gonfi dall’uso del phon, mentre la pelle del viso era appena umida sui lati, pronta per essere impiastricciata di creme dalle sapienti mani di Lance.

Lo stesso Lance lo accolse con un sorrisone, dando dei colpetti al copriletto di fronte a sé per far sedere il principe Galra dove voleva. Nel farlo, Lotor gli porse una fascia per capelli.

« L’avevi lasciata in bagno » disse con una nota decisamente stanca nella voce. Quella giornata era stata lunga davvero per tutti.

Lance la usò subito per tirarsi indietro le ciocche dalla fronte - che a differenza di quelle dell’alleato non stavano al loro posto - e si armò prontamente della prima cremina sfoggiando il suo sorriso più largo.

« Posso? Vado? » trillò, come se avesse recuperato tutte le energie solo per quell’occasione. C’era poco da fare: i momenti dedicati al beauty care riuscivano a risvegliarlo anche dopo le battaglie o le missioni estenuanti. L’aver trovato in Lotor (sia) un amante (che un amante!) delle sue stesse routine aveva reso quelle serate più elettrizzanti, oltre a fargli scoprire un repertorio di prodotti di bellezza alieni che non si era minimamente immaginato, e ottimi per sopperire alla mancanza di quelli terrestri.

« Vai » concesse Lotor, senza mai perdere il suo tocco elegante, anche se sorrise brevemente prima di chiudere gli occhi e affidarsi al tocco del Lover Boy.

Le chiacchiere non tardarono ad arrivare (altra cosa che Lance amava e che Lotor sorbiva in silenzio), iniziando da un semplice « Adoro l’odore di questa crema, anche se non voglio sapere cosa ci sia dentro » e proseguendo fino a perdersi, col principe che ogni tanto non faceva mancare qualche breve commento, palesando il suo prestare attenzione dopo tutto.

La fase viso e mani durava in media una trentina di dobosh, manciata di tick in più o in meno, ma quella che Lance aspettava davvero era la parte finale, quando tutti i prodotti venivano infagottati nell’asciugamano e riportati in bagno, e lui tornava armato di spazzola, pettine e un amore così profondo per la candida e serica chioma di Lotor che il principe Galra a volte si chiedeva se dovesse mostrarsene geloso.

Non ci fu neanche bisogno che Lance dicesse nulla: Lotor si risistemò sul letto, dandogli le spalle, in modo che il paladino blu, restando in piedi, avesse libero accesso alla sua cascata di capelli.

« Voglio farti una treccia. »

« No. »

Uno scambio di battute diventato esso stesso un’altra abitudine, preludio a Lance che si perdeva a pettinare ciocca per ciocca, trovando ogni volta un modo diverso per descrivere quella setosità a cui pareva essersi votato come un poeta con l’amata.

« Sembra di immergere le dita nel latte » se ne uscì quella sera, mentre i capelli scivolavano tra le sue dita e lui seguiva rapito ogni sinuoso movimento.

« Latte? » domandò con scetticismo il principe, cercandolo con la coda dell’occhio.

« La base dei milkshake che ti tracanni quando non ti vediamo! »

Lotor non negò né confessò, ma si prese qualche momento di riflessione, mentre il pettine in mano a Lance districava piccoli nodi.

« Stai paragonando i miei capelli alla sostanza prodotta dal vostro animale pezzato? »

« Oh sì! » tubò Lance, che non aveva minimamente percepito la diffidenza, con una malcelata punta di disgusto, nel tono del principe. E continuò imperterrito. « Ora che ci penso, quando torneremo sulla Terra ti farò provare un bagno al latte, la tua pelle mi ringrazierà. »

« Dovrai essere più convincente di così per farmi immergere in quel... liquido. »

Lance emise un suono che voleva essere un assenso, ma uscì attutito dal pettine che si era infilato in bocca per liberarsi entrambe le mani.

Qualche istante dopo, Lotor, troppo rilassato da quelle coccole di bellezza, realizzò cosa avesse combinato il paladino blu, e fu quando questi gli adagiò sulla spalla una lunga e perfetta treccia, chiusa in fondo a più ritorni dalla fascia che gli aveva tenuto indietro i ciuffi castani, ora sparati ovunque.

« La prossima volta te ne faccio una alla francese. »

Lotor roteò gli occhi al soffitto. Diecimila anni di vita e si lasciava infinocchiare da un ragazzino dalla parlantina rintronante.  


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