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Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Piangere senza riuscire a smettere

Numero parole: 6270

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith, Shiro/Keith/Lance, Allura & Pidge

Note: Modern!AU + Soulmate. Grazie alla socia per il titolo. Le statistiche sono buttate a casissimo e irragionevoli.




Keith non capiva che cosa si fosse rotto, quando tutto aveva sempre funzionato perfettamente. Pensava che le cose avrebbero seguito il loro corso naturale. Erano anime gemelle, era qualcosa di simile alla scienza, non poteva non funzionare - anche se Pidge aveva molto da ridire a riguardo quando se ne usciva con un paragone simile.
Eppure c’erano stati i primi cedimenti. Alla fine del primo anno, nonostante la sensazione fosse quella di esserci sempre stati l’uno per l’altro, come se l'incontro fosse stata solo una mera formalità a una vita passata ad aspettarsi sapendo che, ehi, sono proprio qui, mi incontrerai.
Keith non era un tipo romantico. Non con una vita in cui sua madre era sparita quando lui era piccolo e suo padre era morto salvando degli sconosciuti da un incendio. Keith aveva avuto un’infanzia costellata di casini, porte chiuse e gente che gli diceva cosa fosse giusto essere. Era sopravvissuto, ecco cosa aveva fatto. Era stata dura riuscire a uscire dal pantano in cui il mondo grigio che lo circondava lo aveva incastrato; a volte si chiedeva anche come ci fosse riuscito, chi avesse creduto in lui in qualche maniera, da sempre.
La risposta sembrava essere stata Shiro. Quando si erano poi conosciuti, per caso - per sbaglio, avrebbe detto il vecchio Keith, perché una persona meravigliosa come Shiro non la si poteva sperare di incontrare neanche in venti vite diverse... be', comunque, si erano trovati. Si erano sfiorati e in quel tocco ecco i colori. Ecco che il mondo grigio aveva iniziato a vivere, a fiorire come diceva Allura, quando le prendevano i momenti romantici.
Keith aveva passato due giorni col mal di testa per quei cambiamenti tutti insieme e così anche quello sconosciuto, Takashi Shirogane. Gli aveva chiesto di vedersi per un caffè. Per, be', conoscersi. Perché sì, succedeva tutti i giorni di incrociarsi con la propria anima gemella, ma di solito capitava agli altri. Eppure, quella volta, il protagonista del film era proprio Keith e non aveva idea di come, perché, se crederci davvero. Anche solo la vicinanza di Shiro lo faceva stare bene. Sfiorarsi, anche solo per salutarsi a quell'incontro dove il caffè si era raffreddato tra una chiacchiera e l’altra, aveva reso i colori ancora più vividi.
"Dicono che... ci voglia del tempo" aveva detto Shiro, che continuava a guardare di sottecchi Keith, sorridendo come se non riuscisse a farne a meno. "Per i colori, perché diventino stabili e appaiano tutti. La frequentazione aiuta. Se vuoi."
"Lo voglio" era stata la risposta di Keith, salvo poi accorgersi di averlo detto a bruciapelo senza pensarci, e suonando terribilmente come un altro tipo di lo voglio, che strappò una risata a quell'uomo che gli aveva chiesto di chiamarlo semplicemente Shiro.
Aveva avuto ragione. C'era voluto del tempo e vedersi, di frequente, perché il mondo intorno a loro potesse acquisire quella vitalità cromatica per cui poesie, canzoni, libri, film e anche libri di scienza - come sbuffava Pidge - descrivevano dalla notte dei tempi.
E Keith, così poco incline a condividere gli spazi, perché era sempre stato un lupo solitario, aveva trovato la frequentazione di Shiro fin troppo naturale. Non si era neanche accorto di come le cose funzionassero perché, per una volta, tutto seguiva un corso naturale. Shiro non gli metteva fretta - e si scusava anche di essere molto più grande - ma sembrava ogni giorno sempre più felice di vedere lui, Keith, e non solo i colori che li circondavano. Qualcosa che aveva rischiato di mandare in paranoia Keith, non abituato a essere il centro dell'attenzione di qualcuno che non fosse un assistente sociale.
Sei mesi a seguire, dopo la loro prima, travolgente volta insieme a letto - la prima in assoluto per Keith - Shiro gli aveva chiesto di andare a stare da lui e il ragazzo aveva detto prima ancora di rifletterci. Forse perché aveva aspettato questo per tutta la vita? Un posto proprio? O perché amava Shiro, anche se non lo avevano ancora detto ma tutto, tutto parlava per loro? Perché la mattina dopo il rosso, agli occhi di Keith, fu così brillante da lasciarlo ipnotizzato da una stupidissima tazza della colazione che Shiro gli aveva regalato come benvenuto, asserendo che quel colore gli donava.


Erano passati altri sei mesi e Keith sentiva di essere arrivato alle pagine finali di quella favola. Come se accettare l’invito a vivere sotto lo stesso tetto avesse avviato un meccanismo inverso, proporzionale alla loro felicità. Era tornato un fastidioso vuoto al petto, sotto lo sterno, a volte così opprimente da togliere il respiro. E poi le lacrime. Le Lacrime erano state uno dei due campanelli d’allarme che aveva assicurato a Keith che qualcosa non andava. Lacrime indesiderate, che potevano arrivare nel bel mezzo della notte come all’ora di pranzo. Semplicemente, piangeva. Senza alcun motivo apparente, per un qualche malessere fisico o reazione. E non riusciva a smettere, non c’era verso. Poteva solo armarsi di un pacchetto di fazzoletti e rintanarsi dove nessuno avrebbe potuto commentare. Il più grosso problema era allontanarsi da Shiro con qualche scusa, perché non si preoccupasse o, peggio, fraintendesse. Non che Shiro non potesse sostenere delle lacrime, anzi, era probabilmente l’unica persona al mondo con cui Keith si sarebbe messo a piangere apertamente. Ma andava bene avendo un motivo plausibile e non quello che sembrava un pessimo sgambetto del destino. Aveva trovato la propria anima gemella, cos’altro doveva volere di più? Tuttavia, come aveva capito presto, quella era stata solo la prima avvisaglia. Il secondo problema era un colore. Uno che aveva aspettato comparisse, ma dopo un anno, ancora niente.

Keith stava guardando fuori dalla finestra dell'appartamento, la sua tazza rossa stretta tra le mani, il tè preferito di Shiro che profumava la stanza, e lui che continuava a fissare con odio il cartellone pubblicitario affisso sul palazzo di fronte. La pubblicità di un profumo, nulla di eclatante, Gocce di Mare, con una modella in un abito... grigio. Un’immensa sfumatura grigia, più scura sul finire e che risaliva come spuma sul corpo rosato della donna. Il trucco differiva, era più sulle tonalità violacee. Quello lo vedeva. Ma il resto non andava. Non era possibile che quell’abito fosse grigio, quando sotto c'era scritto Blue Essence.
Keith aveva un enorme problema ed era sempre più difficile da tenere segreto.

Infastidito dall’ennesimo sfregio a quella sua mancanza, dette le spalle alla finestra, ma inevitabilmente fece una panoramica dell'open space che era la casa di Shiro e diversi oggetti gli balzarono all’occhio: qui e lì, tra tutti i colori presenti, spiccavano dei grigi innaturali. La copertina di un libro, l'etichetta di una bottiglia, un panno da cucina.
Era stato da un medico, senza dirlo a nessuno. O meglio, aveva finito per confidarlo a Pidge e Allura, sia perché le due erano in grado di fiutare le frottole a due isolati di distanza, sia perché, tra le conoscenze di Keith, erano le massime esponenti sia della teoria dei colori sia delle anime gemelle su i due fronti che da sempre si davano battaglia, la scienza e il romanticismo (o pre-destinazione anti libero arbitrio, come la gremlin amava sottolineare). A detta del medico, era tutto a posto. La vista di Keith non aveva nulla che non andasse, le analisi fatte per scrupolo erano perfette, inclusa la tac al cervello e tutti gli esami ai nervi degli occhi. Il responso sul fatto che Keith non riuscisse a vedere il blu non era un problema clinico. E questo non aveva per niente rassicurato il ragazzo, ma aumentato la paranoia.
Era un dato oggettivo che da qualche tempo le cose tra lui e Shiro si erano raffreddate, come quel colore blu che non riusciva a percepire o quelle lacrime instancabili e indesiderate. Quella mancanza che Keith aveva sempre avuto nella vita, che pensava di aver colmato con la presenza di Shiro, non era tornata solo come un’impressione passeggera, che di tanto in tanto gli faceva massaggiare lo sterno distrattamente. Era pressante, lì ad attenderlo in giorni che iniziavano anche tranquilli e lo fagocitava prima di sera, rendendolo intrattabile, neanche stesse combattendo contro un fantasma senza avere possibilità. Shiro in pochi mesi, a volte a ripensarci gli sembravano solo giorno, aveva colmato, se non abbondato, tutto quello che dalla vita Keith non aveva mai avuto: una famiglia, un posto da chiamare casa, l’amicizia, l’affetto… perché dopo un anno tutto quello dovesse sfumare senza nessun motivo logico, Keith non riusciva ad accettarlo.
Da quando avevano iniziato a vivere insieme la sua vita aveva iniziato finalmente a mettere radici, mentre i colori si erano stabilizzati. Keith non li conosceva, perché non era mai stato un gran sostenitore di quel cambiamento che ti completa la vita. Come tutti i bambini, aveva letto i libri sui colori quando era stato alle elementari. Libri che aiutavano a gettare delle basi per il grande giorno, spiegando che il pistillo delle margherite è giallo e la corolla bianca, l'erba dei prati è verde, le mele sono rosse, i gatti possono essere neri, le melanzane viola, la pelle rosa, il cielo azzurro e il mare blu.

Non aveva mai prestato troppa attenzione a qualcosa che alla fine poteva benissimo non accadere, quando nella sua vita succedevano fin troppi avvenimenti spiacevoli. Non era mai stata una sua priorità, ma ora cercare di capire perché il cielo continuasse a essere di un colore indistinto era di vitale importanza; aveva ragione di pensare che fosse alla base dei suoi problemi silenziosi con Shiro.

Perché era ormai ovvio che a Shiro quella situazione creasse del disagio, anche se non ne avevano mai parlato. Ogni volta che qualcosa che sarebbe dovuto essere blu gli capitava tra le mani, guardava Keith e lo riponeva, o perdeva il filo della conversazione. E Keith si sentiva in colpa. Sembrava come se quel blu maledetto avesse tracciato una linea di confine tra di loro, una sorta di fosso che non potevano travalicare. E non poteva continuare così. Non scoppiando poi a piangere senza nessun motivo, a coronare la tensione. E tutto per un fottuto colore.



"Uhm… ti sarebbe utile un fazzoletto?" esordì Pidge dopo che Keith si fu messo comodo sul divano vicino alla finestra, nel piccolo appartamento di Allura. Il ragazzo trasalì, tastandosi le guance e trovandole umide.

“Merda” si lasciò scappare. Con poca grazia e frettolosamente, con le dita cercò di asciugarsi il viso, ma il pianto continuò silenzioso come ogni volta, facendolo sentire impotente. Pidge gli allungò una scatola di kleenex con espressione comprensiva, anche se il suo sempiterno piccolo ghignetto sembrava voler fare capolino.

“Tranquillo, abbiamo la soluzione anche a questo. Abbiamo fatto un po’ di ricerche sulle anime gemelle.”

Lo suo sguardo sospettoso e arrossato di Keith passò da lei alla proprietaria di casa, che finì di servire il tè prima di sedersi vicino all’amica sul divano dirimpetto. “Tutto bene, Keith? Come ti senti?” domandò con un tono intenerito dalla scena.
"Sto bene” sbottò lui, praticamente ficcandosi due fazzoletti negli occhi e reclinando la testa, facendo appello a qualsiasi essere o cosa perché finisse. Ci volle qualche minuto perché finalmente Keith potesse tornare una persona normale senza lacrimazioni improvvise. Fissò le due amiche, accantonando quel siparietto perdi tempi. “Voi due avete fatto insieme delle ricerche sulle anime gemelle? Non vi siete scannate?" domandò il ragazzo, cercando segni di unghiate o capelli fuori posto. Pidge roteò gli occhi, sbuffando.
"Non siamo rozze come te. Abbiamo una divergenza di opinioni, ma le abbiamo appianate in favore tuo e di Shiro."
Allura sorrise, porgendogli una tazza accompagnata dal tintinnio dei braccialetti al polso. Keith notò la forma aristocratica della porcellata, modellata in curve che ricordavano un fiore. Peccato che i colori fossero un accostamento spaventoso di tonalità sbagliate, ma in fondo, né Allura né Pidge avevano ancora incontrato la loro anima gemella. Sarebbe stato divertente il giorno in cui Allura avesse scoperto il colore delle sue tazzine preferite - e forse non sarebbe stato neanche troppo lontano come avvenimento, visto come Pidge stesse lavorando a un prototipo rivoluzionario di occhiali in grado di bypassare quel problema di grigi.
"Vedrai che si sistemerà tutto" lo rassicurò Allura con un sorriso. "Shiro è teso per la situazione e si sente in colpa, ma questa cosa che abbiamo trovato io e Pidge potrebbe aiutarvi."
Keith la guardò senza capire. "Perché Shiro si sente in colpa? Cosa c'entra lui?”

Il disorientamento sui visi delle ragazze a quella domanda fu lampante. Pidge si prese il viso tra le mani, soffocandoci un'imprecazione.
"Lo sapevo! Uomini! Non sanno parlare tra di loro!"
"Oh mio dio, ma non te lo ha detto?" continuò Allura, imbarazzata ma scandalizzata quanto l’altra.
"Cosa non mi ha detto!?" incalzò Keith, iniziando a sentire sulla nuca un formicolio poco piacevole.
"Credi di essere l'unico a non vedere il blu, eh? Guarda che anche per Shiro è così. Non è un tuo problema, è un vostro problema!" spiegò Pidge, scuotendo la testa e consolandosi con uno dei biscotti nell’alzatina al centro del tavolo.
Keith si sentì molto stupido; improvvisamente la riottosità di Shiro aveva un senso, essendo la stessa sua. Fu il suo turno di passarsi una mano in faccia e prendersi qualche secondo, per poi imprecare.
"Esattamente, Keith. Anche se io direi che siete proprio due cogl-"
"Linguaggio!" borbottò Allura. "Avanti, diamogli le buone notizie."
Keith tornò attento, anche se aveva una mano chiusa a pugno e le unghie conficcate nel palmo.
"Io e Allura pensiamo che tu e Shiro rientriate in una piccolissima e rara percentuale di anime gemelle triplici" esplicò subito Pidge, sganciando la bomba; mise sotto al naso dell’amico dei fogli stampati da internet, mentre Allura appoggiò di fianco un piccolo libro, un'edizione ingiallita di inizio secolo. "Se ne parla poco, perché scientificamente ha ancora meno senso delle anime gemelle in sé-"
"Ma esistono svariate fonti e delle basi fin dall'antichità, se si sa cosa si sta cercando!" la interruppe Allura.
"Sì, ci sono stati diversi poeti e autori che ne hanno scritto, ma i casi accertati e classificati negli ultimi anni sono tipo... pochissimi. Ma positivi."

Keith era più confuso di quando era entrato. Continuò a passare gli occhi dall’una all’altra e poi ai risultati della loro ricerca.
"Cosa intendete con triplice?"
"Che non siete solo tu e Shiro. Vi manca una terza parte. Ed è anche il motivo del tuo iniziare a piangere senza riuscire a smettere."
Il mondo di Keith vacillò per un istante. "... che cosa significa?"
Pidge ghignò. "Mai sentito parlare dei ménage à trois?"
"Pidge! Sii seria!" la bacchettò Allura, ma l'altra rise e basta.
"Be', è quello che succederà, quando troveranno la loro parte mancante!"
"No, ferme” boccheggiò Keith, senza riuscire a mettere in ordine le parole che voleva dire. “Io e Shiro non vediamo il blu perché una terza persona... uno sconosciuto deve ancora entrare nelle nostre vite… ? Piango perché anche questa - gesticolò confuso - terza parte piange?"
"Esatto!" squittì contenta Allura, non riconoscendo il tono smarrito del ragazzo.
Pidge fu più pragmatica, sorseggiando il suo tè col mignolino alzato per prendere in giro l’amica. "Anche tu e Shiro eravate perfetti sconosciuti, quando vi siete incontrati. Nel novantadue percento dei casi funziona così, per le anime gemelle."
"Sì ma, ho sempre avuto la... ecco, la sensazione di conoscerlo" farfugliò Keith, perché a parte averlo confessato a Shiro una volta, non lo aveva mai detto a nessun altro, ma aveva troppa confusione in testa per tenere quel particolare per sé.
"E ora quella sensazione non ce l'hai più?" continuò Pidge, che sapeva esattamente quale fosse la risposta, ma Keith era restio ad ammatterlo. Incrociò le braccia, guardando da un’altra parte; per un pessimo scherzo del destino, anche lì fuori dalla finestra c'era la stessa pubblicità della Blue Essence. Avrebbe voluto lanciargli contro una di quelle tazzine troppo variopinte.
"Shiro è... è tutto per me" sussurrò, mentre dentro la sua testa si consumava una lotta.
Allura addolcì lo sguardo, allungando la mano per posargliela sul ginocchio con un sorriso comprensivo. "E tu sei ciò che Shiro ha sempre cercato da quando lo conosco" e se lo diceva Allura, che era stata la ex ragazza di Shiro, poteva darle il beneficio del dubbio.
Pidge lo guardò a sua volta, sospirando e grattandosi la testa.
"Senti, non ti abbiamo detto questa cosa per compromettere il vostro rapporto. Tu sai quanto reputo assurda tutta ‘sta predestinazione amorosa, ma c'è poco da fare: funziona. Almeno, nel novantotto percento dei casi le anime gemelle sono felici. E se tu e Shiro rientrate in questa rarità non sarà diverso. Sempre di anime gemelle si tratta ma... siete in tre” il momento serietà tuttavia sparì un attimo dopo, soppiantato dalla logica. “Sto ancora facendo ricerche, perché, insomma, tre parti davvero? Tre anime legate o un’anima in tre? Ma poi parliamone, nessuno è riuscito ancora a dare delle basi solide tramite metodo scientifico al concetto di anima, ecco. Rimango dell’idea che sia una questione di chimica.”
"Pidge" la richiamò Allura, paziente.
"Va bene, va bene. Ascolta Keith, questa terza persona non minerà la vostra relazione, tutto il contrario. Non vi dividerà, si... ecco, si aggiungerà” e la quattrocchi alzò indice e medio di una mano, per poi alzare anche l’anulare. “Secondo alcuni racconti medievali, questa eccezione delle anime gemelle triplici deriverebbe dal concetto di tre come numero perfetto. Sai, la santa trinità tipo, eh?” ma dal tono non sembrava prendersi seriamente neanche lei.
"Questa persona non si metterà tra voi, sarà parte di voi. Non dovrete scegliere con chi stare o avere delle preferenze. Sarà come è stato con Shiro" si aggiunse Allura, con il suo sorriso rincuorante, interrompendo lo sproloquio poco costruttivo. Si chinò in avanti e picchiettò sulla copertina del libro messo vicino ai fogli. Gli amanti sconosciuti, recitava il titolo. "L'autore di queste poesie era come voi, anche lui in una relazione di anime gemelle a tre. Sono riuscita a trovare solo questa vecchia edizione, ma ti assicuro che se hai bisogno di certezze ti sarà di aiuto."
Keith prese in mano il libro, anche se non riusciva davvero a dargli peso in quel momento. Voleva solo correre a casa da Shiro.




Leggere le poesie divise a metà Keith; le sentì penetrargli sotto pelle e lasciargli sentimenti contrastanti, come se avesse potuto sfiorare con mano quella mancanza che sentiva, stringerla e farla propria, ma tutto durava l’attimo in cui poi cadeva e tornava alla realtà, con le mani vuote. I pianti improvvisi e non richiesti continuarono e Keith non riuscì a non trattenere qualche imprecazione contro quella ancora sconosciuta terza anima gemella proprietaria delle lacrime. Continuava a chiedersi cosa avesse da piangere in continuazione e senza degli orari precisi, facendo fare a lui i salti mortali per spiegarsi con i colleghi di lavoro o quando si trovava in posti affollati.

Parlare con Shiro invece fu liberatorio e passarono la notte a chiedersi scusa e a fare il sesso più dolce e liberatorio che avessero mai provato, come se avessero potuto toccare davvero quell'anima che li legava, continuando a mormorarsi tutte le paure che per settimane si erano costruiti intorno alla mancanza di un colore. Capitò anche uno di quei pianti indesiderati mentre erano insieme, e Shiro impedì a Keith di scappare in bagno, tenendolo ferme mentre gli asciugava una per una le lacrime e gli lasciava piccoli baci sulle guance. Keith non capì come si sentì, in un subbuglio di emozioni per la tenerezza o per una vena di gelosia verso l’autore delle lacrime. Nel dubbio, rimase abbracciato a Shiro senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Affrontare la faccenda della terza anima gemella fu però un altro paio di maniche, soprattutto per l'ostinazione di Keith che in due funzioniamo alla grande, è una stronzata. La pazienza di Shiro fu miracolosa come al solito nel cercare di indorare la pillola. Se non erano completi, a suo dire, probabilmente c'era un perché. E se l'arrivo di quella terza persona poteva eliminare del tutto la sensazione di mancanza (e le lacrime) che ancora aleggiava tra di loro, che a volte si frapponeva tra di loro, allora cercarla poteva essere la scelta migliore. Keith però non riusciva ad accettarlo e lo fece solo perché era Shiro a chiederglielo.
"Eri restio anche quando mi hai incontrato la prima volta" scherzò quest’ultimo, quando tornarono sull'argomento anche quel giorno.

Era domenica ed erano al centro commerciale per fare spese. Essendo prossimo il Natale, era stata la scelta più sbagliata che potessero fare, ma Allura aveva insistito che andassero in luoghi affollati, dove era più probabile incappare nella propria anima gemella. Keith ancora sbuffava come un bollitore.
"Era diverso. Venivo da una situazione che non pensavo sarebbe mai cambiata e tu... tu hai riordinato la mia vita a occhi chiusi! Tu sei perfetto!"
"Vorrei che questa tua idea la rivedessi, ho i miei difetti anche io."
"Come ti pare" borbottò Keith, le mani affondate in tasca in maniera controproducente, visto che era il contatto quello che scatenava la percezione dei colori. Urtare per sbaglio qualcuno era la scena più classica in cui un’anima gemella si poteva trovare. Tuttavia, la folla nevrotica del centro commerciale ispirava in Keith zero fiducia. "Mettiamola così: non ti ho dovuto incontrare in questo inferno di persone! E' stato tutto più-- più naturale e poco invasivo!"
Shiro rise. "Keith… non sarà un intervento chirurgico dove rischiamo di perdere qualcosa o qualcosa ci sarà impiantato a forza."
Keith aprì bocca, ma all'ultimo non gli diede soddisfazione di rispondergli. Cambiò tattica. "Chi dice che questa terza parte sia nella nostra stessa città? E non sia, che ne so, in Messico! O in Eurupa!"
"Disse il ragazzo del Texas arrivato a New York per puro caso."
"Non è stato un caso-!" ma Keith imprecò, capendo di essere caduto nella trappola.
"Hai sentito Pidge, ed era più restia di te ad ammetterlo. Per loro natura, le anime gemelle tendono a spostarsi verso il luogo dove si trova l'altra..."
"Mi hanno sbattuto i servizi sociali qui a New York" fece presente Keith, incrociando le braccia.
"... nell'ottantasette percento dei casi" finì Shiro, che continuava a ridersela. Si chinò di fianco per baciarlo e, per un istante, anche se in mezzo a un tramestio che Keith davvero non sopportava, tutto sembrò essere perfetto lo stesso.
"Non sei neanche un po' curioso di sapere come sia il blu?" domandò Shiro, riprendendo a camminare e adocchiando le vetrine. Avevano unito l'utile al dilettevole, decidendo anche di fare i regali di Natale.
Keith tenne il broncio, appoggiandogli la testa contro la spalla. "E se con questa terza... anima gemella" faticò a dirlo. "Le cose non andassero davvero? Non posso essere così fortunato da trovare un altro te" sbuffò, rosso in faccia.
"Ci sarà un altro tipo di carattere con cui vai d'accordo, oltre al mio" Shiro era davvero troppo divertito da quelle confessioni e intenerito allo stesso tempo. "Con Pidge e Allura vai d'accordo."
"Sono amiche..." poi un pensiero lo rabbuiò e fermò Shiro dal proseguire. "Senti, se la terza parte fosse una.... una donna, io avrei dei problemi" confessò, guardandosi nervosamente intorno come se all'improvviso tutti fossero dei nemici. "Cose da anime gemelle o meno, io non... non mi sento a mio agio con-" e si bloccò, gesticolando con sguardo febbrile, ma Shiro lo fermò prima che tutto diventasse imbarazzante.
"Keith, respira. Io non credo sarà una donna" lo rassicurò, stringendogli le dita fredde e portandosele alle labbra per baciargliele.
"Cosa te lo fa dire?"
"Sensazione?"
"Ti prego Shiro, non è una risposta!"
L'uomo sospirò. "Non è qualcosa di cui vado fiero, ma quando stavo con Allura a volte cercavo di indagare lo stesso quella sensazione di mancanza che sentivo, tentando di capire che tipo di conforto avrebbe potuto darmi la mia anima gemella. E, non so come spiegarlo, ma quando ti ho incontrato, tu incarnavi perfettamente la forma di quella mancanza... ora che la sento di nuovo, come dire... le vibrazioni sono ancora quelle."
"Mi fido di te" sospirò Keith.
"Ho capito che per te non è facile, ma proviamo a fidarci entrambi. Facciamo dei tentativi, e se non vanno, penseremo a qualcos'altro."
Keith capitolò. "Va bene... ma non mi metterò a stringere la mano a sconosciuti o a urtarli per sbaglio... non sono ancora così disperato."

“Assolutamente d’accordo, non vorrei che venissi arrestato per molestie” ridacchiò Shiro, guadagnandosi uno spintone. “Che ne dici se ci concentriamo sui regali, per oggi?”
Keith sbuffò, annuendo, e si fece trascinare per negozi, continuando a detestare un po' tutto e tutti, ma se aveva Shiro al fianco poteva tenere duro.
Questo finché non entrarono in una profumeria e Keith si ritrovò davanti quella che era diventata la sua nemesi. Su un'intera parete del negozio troneggiava la pubblicità della Blue Essence.
"Questa è una persecuzione” sbottò, guardando malissimo la modella con quell’abito così grigio da dargli ormai il voltastomaco. “Neanche fosse bella” aggiunse con una smorfia.

“Sarai bello tu” replicò una voce a pochi passi da lui, distraendolo. “Devi essere sulla lista dei bambini cattivi di Babbo Natale per entrare e offendere così un povero cartello pubblicitario” continuò con una melodrammatica mano sul cuore quello che si rivelò essere un commesso.

“Cosa!?” Keith lo guardò con diffidenza, risistemandosi il berretto che gli stava scivolando sulla fronte. Il naso gli pizzicava un po’ per la miscellanea di odori del negozio e cercò si ritrovare Shiro spaziando l’ambiente. Ma fu distratto di nuovo.

“Fammi indovinare, sei uno di quei tipi che non ha mai creduto a Babbo Natale” continuò il commesso, mani sui fianchi e un angolo della bocca sollevato neanche avesse trovato qualcuno da torturare.

Keith era confuso, ma non sapeva se per l’atteggiamento arrogante o per il discorso. Lo guardò assottigliando lo sguardo.

“Non sono mai stato in nessuna lista di Babbo Natale” replicò imbronciato e con un’onestà disarmante anche per se stesso, avendo implicitamente ammesso di non aver mai passato dei gran natali. Lo aveva affermato con così tanta naturalità che neanche gli diede peso.
L’espressione del commesso di addolcì, almeno nello sguardo, che Keith notò essere grigio, ma di una tonalità diversa da quella di Shiro. Erano belli, anche se sembravano stonare nell’insieme dato dalla carnagione caffellatte e dal capelli castano scuro. Erano come privi di…

Keith sbuffò tra sé, passandosi una mano in faccia con rassegnazione.

“Ehi amico, se c’è qualche problema sono qui per aiutarti! È letteralmente il mio lavoro” ridacchiò il commesso, indicandogli con un ampio cenno il negozio. “Il cartello della Blue Essence non lo tirò giù neanche se mi preghi, ma abbiamo un reparto di profumi da uomo molto fornito.”

“Non mi interessa il profumo” borbottò Keith, cercando di nuovo Shiro in mezzo alle folle assiepate davanti agli espositori. “Sono… siamo qui per un regalo. Credo.”

“Oh, sei un bambino sperduto allora!”

Di nuovo, Keith lo guardò come se quel rivolgersi a lui in maniera così sfrontata fosse uno scherzo o se il ragazzo fosse serio. “Mi stai prendendo in giro?” il pensiero divenne parole e Keith avrebbe voluto strapparsi la lingua da solo. Tuttavia, il commesso non sembrò aspettarsi di nuovo quella sincerità e ridacchiò ma cercando di tenere serrate le labbra per limitare l’eccesso.

“Può darsi, ma diciamo di no, se ti lamenti in cassa di me poi mi tolgono punti! Quindi,” si schiarì la voce, “lascia che ti aiuti nella tua quest! Chi stiamo cercando?”

“Shiro.”

Il commesso annuì lentamente e con pazienza. “Ok, Shiro. Che sembra il nome di un cagnolino adorabile, ma presumo sia una persona, giusto?”

Keith lo guardò male di nuovo. “Shiro è la mia anima gemella” sbottò, per arrossire un attimo dopo dandosi dell’idiota per aver sottolineato il loro legame come una quindicenne sognatrice e innamorata.

Per la prima volta, qualcosa sul viso del commesso non sembrò così divertito, ma più simile a una tristezza rassegnata, anche se la dissimulò bene. “Ok. Shiro. Mi sai dare una descrizione così ti aiuto a cercarlo?”  

Fu come chiedere a Keith di descrivere il suo gusto di gelato preferito; il suo viso si colorò di entusiasmo, fu improvvisamente loquace e gesticolò senza rendersene conto.

“È più alto di me, così. Spalle larghe. Ha un cappotto grigio in lana, i capelli neri ma un ciuffo bianco e gli occhi grigi”

“Wow, per fortuna che alla tua anima gemella piacciono le tonalità grigie, non saprei come avrei fatto diversamente” asserì sarcastico il commesso. La potenziale figura di merda colpì Keith in pieno, facendogli bruciare le guance dall’imbarazzo.

“Posso cercarlo da me” aggiunse Keith alla svelta.

“Ma no, no. Non mi sono offeso. Tanto prima o poi l’anima gemella si incontra, no? Secondo la mia abuelita io non sono fatto per vedere il mondo grigio per sempre.”

“Abue.. lita?”

“Mia nonna, la mia nonnina, in spagnolo. Sono di Cuba” spiegò il commesso, mentre si guardava intorno alla ricerca del fantomatico Shiro. “Sono venuto qui per studiare e, be’, credo anche per trovare la mia anima gemella, visto che ho questa fissa per New York da tipo sempre” ridacchiò tra sé, poi guardò Keith con un nuovo brillio negli occhi, stavolta di curiosità. “Non mi sembra che tu abbia un accento di qui, ma neanche particolarmente marcato. Di dove sei?”

Keith soppesò la domanda per un po’, ma alla fine non ci trovò nulla di male a rispondere.

“Texas” ma non aggiunse particolari che comprendessero orfano, affidamento o servizi sociali, anche se ebbe uno strano impulso a dirlo.

“Un ragazzo del Texas nella Grande Mela per la sua anima gemella, sembra la didascalia di un film!”

Keith rise senza pensarci. “Vale anche per te” la confidenza fu strana ma lasciò correre.

Il commesso gli puntò addosso due dita-pistola, facendogli l’occhiolino.

“Si intitolerebbe Just a boy from Cuba! Potresti starmi simpatico, anche se l’ho visto che hai un mullet lì dietro! Gli anni ‘80 sono finiti, ti hanno informato?”

Keith sbuffò, ma senza prendersela. Quel tipo sarebbe andato d’accordo con Pidge.

“Oh, se il tuo Shiro è un manzo da un metro e novanta con l’eyeliner perfetto credo di averlo trovato.”

“Cosa? Dov’è?”

“Qui” e indicò a pochi passi da loro, alle loro spalle, appena fuori dal raggio d’azione delle loro chiacchiere. “Ehi, Shiro!”

Confuso dalla voce, Shiro si guardò intorno, per individuare poi la mano sventolante del commesso che gli indicò Keith. Si avvicinò, scambiando prima un’occhiata intima con il compagno per poi squadrare il commesso con l’aria colpevole di chi pensa di non ricordarsi qualcuno.

“Piacere, Shiro! Il tuo ragazzo non ti trovava e si è affidato al mio eccellente occhio da cecchino per scovarti! Quando passate in cassa lasciate una buona parola per il vostro amichevole commesso di profumeria!” ridacchiò, facendo un passo indietro come di commiato, anche se non si allontanò davvero. “Se poi vi serve una mano per scegliere qualche regalo, rimango a disposizione.”

Nonostante a Shiro mancasse qualche tassello in quel riassunto veloce, accettò l’offerta.

“Volevo un parere sul profumo Gocce di Mare per un regalo.”

“Che!? No!” Keith intervenne di istinto, facendo voltare gli altri due, ma lui guardò in faccia solo Shiro. “A chi vuoi regalarlo!? Non compreremo quel-- quel-” non trovò le parole per esprimere il concetto di odio ingiustificato che aveva verso quel prodotto.

“So che ad Allura interessa” spiegò il compagno, suonando un po’ come una scusa un po’ no, perché non capiva il comportamento di Keith.

Anche il commesso lo guardò scettico. “Amico, cosa ti ha fatto di male la Blue Essence? Giuro che la loro linea di prodotti rispetta l’ambiente e non fanno test sugli animali.”

“È blu” bofonchiò Keith, incronciando le braccia.

“È blu” ripetè Shiro, in un sospiro, capendo cosa intendesse.

“Ehi, ma che problemi avete voi due col blu?” intervenne il commesso in atteggiamento di ramanzina con le mani sui fianchi. “Ok, capisco che iniziare a vedere i colori può essere un trauma, ma ora non ditemi che il blu è brutto perché mi sentirò personalmente offeso!”

“Non ti riguarda” borbottò Keith di nuovo a disagio per creare situazioni imbarazzanti e risultare poi scontroso. Doveva mettere una croce sopra i centri commerciali e auto bannarsi.

“Ok, d’accordo” concesse il commesso, ricordandosi del proprio ruolo. “Ma qui sono il responsabile delle vendite della Blue Essence, visto come i miei colleghi trovano divertente che sia l’unico colore che io riesca a vedere, quindi piano con le offese. E poi, come stavo dicendo, i prodotti di questa linea sono davvero buoni, lasciano la pelle-”

“Cosa hai detto?” lo interruppe Shiro.

“Stavo dicendo che sono prodotti di un’ottima qualità! Oltre al profumo c’è-”

“No, aspetto. Prima, che cosa hai detto? Riguardo al blu.”

“... che è l’unico colore che vedo. Sentite, mi state simpatici, davvero, e non lo dico perché poi possiate lasciare una bella recensione - cioè, anche - ma fuori di qui vi sarete scordati di me, quindi facciamo che adesso io rientro nel ruolo di commesso che prova a vendervi qualcosa e voi tornate a essere clienti in cerca di regali di Natale, ok? … Shiro, perdona la franchezza, ma il tuo sguardo mi sta mettendo in soggezione.”

Shiro lo stava esattamente guardando come fosse il proprio regalo di Natale.

“Puoi vedere solo il blu? Come? E perché?” brontolò Keith, ancora perso nei propri sentimenti negativi verso quel colore per realizzare. Shiro gli diede una gomitata e un’occhiata eloquente, ma il compagno farfugliò solo un “Ahia!” massaggiandosi la parte lesa.

Nella confusione di chiacchiere e scalpiccii affrettati, Shiro allungò una mano verso il ragazza sconosciuto che aveva davanti, dimentico di tutto il resto.

“Possiamo presentarci di nuovo? Mi chiamo Takashi, ma Shiro va benissimo” offrì.

L’espressione del commesso non era delle più convinte; era certo che da un momento all’altro sarebbero scappate fuori telecamere nascoste e quello fosse tutto uno scherzo per incastrarlo sul fatto che perdesse tempo al lavoro, nonostante fosse tra quelli con il numero di vendite più alto proprio in virtù del suo essere tanto amichevole. Tuttavia, quello Shiro aveva una presenza a cui non si riusciva a dire no, quindi gli strinse la mano.

“Sono Lance”

Accadde. Per tutti era uno spettacolo che succedeva una sola volta nella vita, se si era fortunati. Per Shiro non fu nuova, ma bellissima lo stesso; avvertì la stessa sensazione, lo stesso brivido della prima volta, quando un anno prima aveva conosciuto Keith.

“Piacere, Lance. Hai degli occhi blu veramente molto belli” disse e c’era solo una sconfinata dolcezza nel suo tono, un po’ come sentire qualcuno dire bentornato a casa.

Lance, al contrario, aveva perso l’uso della parola. Continuava a fissare la mano che stringeva la sua, e nessuna delle due era più grigia. O almeno, non del tutto. Due toni diversi, un rosa chiarissimo e uno più tendente al cioccolato. Era così perso in quella contemplazione che neanche udì Keith commentare offeso e Shiro replicare con una risata roca, liberatoria. No, lo guardo di Lance, ancora basso, fu attirato da altri piccoli dettagli, come gli adesivi sul pavimento del negozio, colorati a indicare il percorso per i reparti, o un elastico giallo caduto a qualcuno, e ancora la pila di volantini con le promozioni del periodo.

Shiro gli strinse la mano, stretta alla sua, per farlo tornare in sé. Lance lo guardò in faccia.  

“Certo che tu non cambi davvero molto” rise nervoso, riferendosi ai suoi capelli bianchi e neri e gli occhi grigi. Poi, fu colto da un pensiero che gli procurò un filo di panico, mentre adocchiava Keith, senza mai lasciare andare le dita di Shiro. “Non è possibile” disse, troppo frastornato per elaborare. “Voi due siete già… perché io riesco a…”

“È una storia che stiamo ancora cercando di capire” risposte Shiro, anche se in quel momento era l’ultima cosa che gli interessava.

“Ehi” intervenne di nuovo Keith, che stava guardando malissimo le loro mani. “Che cazzo sta succedendo?” e sembrava davvero offeso.

Lance ritrasse la sua, a disagio, ma allo stesso tempo senza riuscire a distogliere l’attenzione da Keith, confuso nel vedere affiorare pochi colori su di lui, ma rimanendo rapito dalla tonalità violacea dei suoi occhi, che letteralmente lo lasciarono in apnea per qualche secondo.

“Io…”

“Keith” lo richiamò Shiro. “Penso che compreremo quel profumo ad Allura. E che pagherai tu.”

“Cosa!? Non esiste.”

Ma Shiro rise, scuotendo la testa e tornando a rivolgersi a Lance. “Ti dispiace prendere una confezione e darla a lui?” e gli fece l’occhiolino.

Lance obbedì come sotto incantesimo - il fascino di Shiro stava rapidamente acquistando una prospettiva diversa - e afferrò una delle scatole di Gocce di Mare, ficcandola in mano a Keith frettolosamente.

Era successo appena cinque minuti prima, ma Lance avvertì di nuovo la stessa sensazione avuta con Shiro. Quel grigio che vedeva nel cappotto di Keith mutò e divenne una fiamma nel buio, colorandosi di rosso intenso per una frazione di secondo. Poi Lance sentì una fitta alla tempia e si ritrasse.

“Piano” Shiro gli appoggiò una mano sulla schiena per sostenerlo. “Avrai un po’ di mal di testa all’inizio. Domani andrà meglio.”

“Mi viene da piangere” bofonchiò Lance. Aveva così tante emozioni dentro ad agitarsi che iniziava a fargli male anche il petto. E due lacrime lasciarono davvero i suoi occhi.

“Per tutto questo tempo è stata colpa tua” la voce di Keith lo raggiunse tremante.

Quando alzò il viso, Lance lo vide con le guance rigate e un’espressione omicida. Stringeva la confezione del profumo così tanto da averla rovinata, mentre la guardava come se lo avesse offeso nel profondo. Poi Keith spostò la propria attenzione al cartellone pubblicitario della Blue Essence, completamente diverso, completamente blu come quel mare in gocce che pubblicizzava.

“Lance” chiamò, tornando con un’occhiata verso di lui e verso i suoi occhi, molto più belli e in armonia col resto di lui. “Prendiamo questo profumo. E anche te. Voglio andare a casa.”


sidralake: (Default)
 

Cow-T, seconda settimana, M2

Prompt: Pioggia

Numero parole: 6611

Rating: Safe


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Keith/Lance, Lotor & Generalesse, vaghi hint Lotor/Lance e Lotor/Shklance onesided (che roba complicata)

Note: mpreg ma lieve lieve lieve, come neve ~ omegaverse (Alpha!Shiro, Omega!Keith, Omega!Lance)


Alla socia,
è tutta sua.




Altea e Daibaazal erano stati due pianeti prosperi e amici per migliaia di anni. Le circostanze in cui si erano conosciuti come popoli affondavano la verità nella leggenda, ma  erano storie che da ambo le parti venivano raccontate sempre con piacere, per arrivare a come le prime alleanze tra i due erano state sancite e da lì rinnovate di generazione in generazione, con un ardore e una volontà sempre nuove.

Re Alfor e l’Imperatore Zarkon non erano stati da meno sin dai loro primi anni. Amici di infanzia e compagni in battaglia, erano per l’opinione pubblica forse i più grandi rappresentati da sempre di quell’amicizia che vigeva tra i due pianeti.

Questo finché l’Ombra non era calata su di loro.

Le circostanze dell'incidente che aveva portato quell’alleanza millenaria a sfaldarsi erano ancora oscure, ma tutte le testimonianze concordavano che fosse iniziata con la caduta di una cometa. Tuttavia, da quel momento, erano solo state voci, che si erano trasformate poi in grida di guerra, in maledizioni, im omicidi a corte e quell’Ombra, costante, che sembrava insinuarsi costantemente in ogni spiraglio, in ogni tentativo di fermare la lotta e riportare la pace. Una terza fazione invisibile che, dopo decine di anni di morte, sembrava aver subito un duro colpo grazie a una nuova, rinnovata alleanza tra gli eredi di Nuova Altea e Ultima Dalbaazal. Un matrimonio politico, deciso a un tavolino di pochi, non tutti conosciuti, contendenti in quella guerra. Un accordo che alla luce del sole prometteva solo di realizzare quei tanti agognati desideri di pace, ma che in tutto ciò che non era stato scritto su carta celava segreti ben più neri di quell’Ombra che tentavano di annientare.



Su Fara pioveva senza sosta da giorni.

La stagione fredda era alle porte e quel cielo temporalesco si stava dimostrando un’anteprima di quello che nei phoeb successivi li avrebbe attesi, fino allo sbocciare della primavera.

Era stato Lance a scegliere quel pianeta come sede della nuova alleanza galattica tra Galra e Alean. A suo dire, lui non aveva avuto molta voce in capitolo nell’accordo, salvo quella di proporsi come sacrificio sull’altare della pace. Per questo aveva preteso che Fara diventasse il nuovo centro di potere. Aveva avanzato motivazioni storiche, quasi leggendarie, dato che Fara era citato come il pianeta in cui per la prima volta Altean e Galra avevano collaborato per far nascere millenni di prosperità tra le due razze. Ma chi conosceva Lance, sapeva che voleva risiedere lì perché gli ricordava tanto la Terra e la sua metà umana di figlio bastardo. A distanza di anni, ancora non era chiaro come il figlio di una relazione clandestina che tutti, tutti conoscevano, potesse essere diventato un Principe così ben voluto da poter essere una pedina fondamentale in quel gioco di potere.

Sarebbe dovuta essere sua cugina Allura, erede legittima di Re Alfor, a prendere quella corona. Ma, per sua stessa decisione, velata o meno da risentimento verso l’erede Galra, non era stato così. Lei aveva scelto di rimanere libera da quell’imposizione, da quella rete di ragno in cui credeva Lance si fosse infilato, preferendo poter rimanere attiva e in gioco sul campo di battaglia. Aveva dei trascorsi con il Principe Galra, Lotor, in un impeto di gioventù che aveva portato entrambi quasi ad annientarsi a vicenda, schiavi dei propri retaggi famigliari. Per quanto non scorresse buon sangue tra loro, Allura aveva alla fine acconsentito di dare la propria benedizione a quella farsa che avrebbe dovuto portare una facciata di pace. Come aveva detto Lance, una sorta di Cavallo di Troia con cui fregare i loro avversari.

A tre mesi da un matrimonio volutamente sfarzoso, così che in ogni angolo della galassia se ne parlasse, e all’annuncio che di lì a meno di un anno la neonata alleanza avrebbe già visto l’arrivo di un erede, su Fara, sotto la pioggia incessante, quel patto tanto voluto stava portando a galla parte dei propri infausti segreti.



«Non entrerai in quella stanza in queste condizioni» Lotor lo disse fermo, senza fronzoli nella voce che fossero rabbia o il disgusto latente per la situazione.
Era in piedi, statuario, al centro dell’anticamera, e fissava Shiro che, a pochi passi da lui, bloccato dalle armi delle guardie di corte, ringhiò minaccioso, rimbombando sulle pareti e coprendo lo stesso rumore della pioggia.

Era quel tipo di ringhio che Lotor aveva imparato a conoscere dalla loro frequentazione. Non era un retaggio Galra, perché in fondo Shiro non aveva una goccia di quel sangue, ma solo anni di schiavitù e cultura marchiate nelle cicatrici del suo corpo. Tuttavia, non era davvero neanche un verso umano. O almeno, Lotor non aveva mai compreso come gli esseri umani, creature geneticamente deboli, potessero imporsi con un'inflessione tale; ma quella stessa razza portava continuamente sorprese, come quello di un secondo genere.

Shiro stava usando il suo tono di Alpha, denominato così nelle ricerche sui terrestri. Era il tono di un leader per alcuni, ma di una bestia per lui. Eppure, Shiro veniva riconosciuto proprio come un generale da seguire.

Prima il Campione delle arene infernali, poi un soldato, e infine il Capo principale dei ribelli. Lotor stesso aveva dovuto ammettere quelle sue doti, non soltanto in battaglia, ma anche durante i concili, quando gli animi si scaldavano e lui era capace non solo di fare da mediatore, ma anche di trovare la soluzione, la strada da percorrere, mettendo insieme le opinioni, i moti rivoluzionari di impavidi e i dubbi di chi quella guerra voleva solo che finisse.
Tuttavia, quel tono da Alpha Shiro non lo usava mai in quei frangenti. Non una volta Lotor lo aveva sentito indirizzato ai suoi uomini, o con quelli della Lama di Marmora, con i capi degli altri gruppi ribelli. Lo conosceva per altri ambiti. Quelli che lo disgustavano, quelli che da sempre aveva considerato "da animali".
Shiro usava il tono da Alpha con i suoi due Omega, con Keith e con Lance. Ma non come le storie terrestri millantavano, non per sottometterli alla sua volontà e dominarli. No, si trattava di un tono con cui Shiro rimarcava la loro relazione, con cui era capace di accendere in loro il desiderio, di tenerli stretti a sé e tacitamente ricordare la fiducia che in tre si erano scambiati. Non era sottomissione, non era asservire la loro volontà. Era qualcosa che Lotor ancora non era riuscito a comprendere. Una mutua promessa, ma non fatta di parole che dovessero ripetersi di volta in volta. Un legame invisibile il cui unico sigillo era la lieve cicatrice di morsi che portavano ai lati del collo - o, nel caso di Lance, nell'interno coscia.

Bestie. Non c'era altro termine con cui il Principe dei Galra potesse riconoscerli. Soprattutto da quando quel tono era riuscito a procurare brividi indesiderati anche a lui, ma di lasciarsi soggiogare a un richiamo di carne e piacere, e neanche un invito rivolto a lui... non era quello che avrebbe fatto.
Come in quel caso, non si sarebbe piegato a farlo passare.
«Principe Lotor... quest’uomo… è il capo dei ribelli...» sottolineò una delle guardie, che premeva con la lancia per tenere sul posto Shiro, ma senza volerlo far retrocedere, avendone riconosciuta l'autorità.

La maggior parte dei soldati di Fara, in special modo quelli dei quartieri privati dei Principi, erano stati scelti o tra i ribelli o tra le Lame di Marmora per poter essere sicuri della loro lealtà. Ma quella notte, con la pioggia battente oltre le immense finestre che toccavano terra, quella lealtà stava per essere messa alla prova.

Nessuno sapeva realmente perché Shiro fosse lì. Perché, fradicio e senza aver avvertito di quella visita, senza essere passato dai canali segreti, desiderasse così ardentemente varcare la soglia delle stanze dei novelli sposi, il Principe Lotor e il Principe Lance.

Lotor era tra i pochi al corrente della verità e, probabilmente, il solo che, con una parola, avrebbe potuto far crollare quel castello di carte e farli uccidere tutti.

Si contava sulla punta delle dite chi fosse a conoscenza della trama che giaceva sotto la commedia di quell’unione e, per l’incolumità degli stessi popoli che aveva appoggiato il matrimonio, quella trama sarebbe dovuto rimanere nascosta, dimenticata, se fosse stato possibile.

Fu quella notte che Lotor capì la gravità della decisione che avevano preso, l'impulsività della sciocchezza a cui mai, mai avrebbero potuto porre rimedio, o di cui mai avrebbero potuto rivelare la verità. Come potevano credere di ricostruire la pace, se questa si basava su una menzogna?
Ma i giochi erano fatti. Nessuno poteva tornare indietro e tutti avrebbero dovuto adeguarsi. Shiro per primo.
«Non lasciatelo avanzare di un passo. È un ordine» di nuovo, la voce di Lotor fu irremovibile di fronte ai ringhi del Campione. Lo guardò dall'alto in basso, assottigliando gli occhi di fronte al suo opporre resistenza. Tuttavia, la mano non strinse mai l'elsa della spada al suo fianco. Questo Lotor non lo avrebbe fatto. Avrebbe usato altri mezzi, ma mai versato il sangue di Shiro.
«Cerca di riprenderti» disse invece, moderando il tono in qualcosa di nuovo anche per lui. Non lo aveva addolcito, non si sarebbe piegato a capire il suo istinto. Però non voleva neanche che Shiro lo vedesse per un nemico. Non lo erano mai stati e non avrebbero iniziato quella notte per un futile motivo. «Questo non è il Campione a capo dei ribelli, Shiro. Non sei una bestia» continuò, facendo un passo avanti per fare in modo di essere l'unica presenza nel suo campo visivo.
Le guardie faticarono a trattenerlo, ma non demorsero dallo sforzo, anche quando Shiro usò di nuovo quella sua voce da Alpha, capace di provocare timore persino in un Galra con la giusta dose di potenza e inflessione. E quella notte, Shiro pareva intenzionare a rimarcare appieno chi fosse e cosa volesse.
«Lasciatemi passare» ruggì, riuscendo a fare anche lui quasi un intero passo in avanti. «È mio. Mio. Lo rivoglio.»
Alle tenui luci dell’anticamera, i soldati presenti erano sconvolti e non capirono. Lotor, al contrario, comprendeva fin troppo a fondo.
«Lo hai lasciato scegliere» gli ricordò, ancora una volta senza caricare la voce di emozioni. «E lo abbiamo accettato tutti. Tu hai accettato, io ho accettato.»
Non parevano le parole giuste da usare. Non quando Shiro sembrava a tanto così dal dilaniare la gola di qualcuno di loro con il solo uso dei suoi denti umani, e delle mani, che anche se strette intorno alle lance che lo costringevano ad arretrare, Lotor sapeva che potevano scattare da un momento all'altro e fare seriamente male, fino a uccidere, chiunque lì dentro. E questo non andava bene.
Come se fosse stato chiamato da quel pensiero, dalla stessa porta da cui era entrato Shiro giunse trafelato anche Keith e Lotor non sembrò particolarmente felice di vederlo. Era un'altra mina vagante come Shiro, un’altra bestiola. Difficilmente lo avrebbe avuto dalla sua parte. Con il mezzo Galra, però, sopraggiunsero anche Acxa, Ezor e Zethrid.
«Tenetelo fermo. Non permettetegli di passare.» ordinò Lotor, guardando le tre generali. Sapeva che di loro si sarebbe potuto fidare ciecamente. Anche se erano tutti dalla stessa parte in quella stanza, la loro passata fiducia verso di lui ancora contava qualcosa.
Le guardie si fecero da parte e poterono tirare il fiato. Shiro non rese quella sostituzione facile, lottando per conquistare terreno verso la porta che tanto agognava raggiungere.

Ma a Zethrid bastò imporgli le mani sulle spalle e forzarlo a stare fermo, mentre Ezor gli prese il braccio meccanico, chiudendolo con le manette insieme all'altro braccio; Acxa lo tenne sotto tiro del blaster, impostato sulla funzione stordente.
«Guardie, andate» ordinò Lotor. Ci furono dei tentennamenti; qualcuno sembrò mettere sulla bilancia la scena e soppesare le fazioni. Nell’anticamera stavano per rimanere solo i mezzi Galra da soli con il Comandante Shiro, l’unico umano tra loro. Lotor intuì. «Al Campione non verrà torto un capello. Avete la mia parola» promise, guardando il più alto in grado, che alla fine spinse fuori i compagni e chiuse le porte dietro di sé. Oltre alla pioggia, ora c'era anche il rumoreggiare dei tuoni.
«Shiro...»
Fino a quel momento, Keith era rimasto in disparte, impietrito di fronte alla scena, e non era da lui. Qualcosa lo stava frenando più del vedere Shiro costretto in quella maniera. Lotor lo osservò con attenzione; le narici del giovane mezzo Galra fremevano e le sue mani erano chiuse a pugno, come cercasse di trattenersi. Un leggero rossore gli sfumava le gote, ma piuttosto tenue.
«Keith» lo chiamò, piano, ma suonando alla stessa maniera di un altro ordine. Una sorta di scrollata. «Prendi Shiro e portalo via di qui prima che faccia qualcosa di stupido.»
La voce di Lotor sembrò in grado di farlo tornare in sé e spostare il centro dell'attenzione dall’Alpha. Lo vide respirare di nuovo, ma trattenere il fiato quando Shiro emise un nuovo verso totalmente di gola, furioso ma non battagliero.
«Che cosa succede?» chiese Keith, ma non sembrò rivolgersi a qualcuno in particolare per avere quelle informazioni. Tentò ancora di tenere lo sguardo lontano da Shiro e si rivolse a Lotor, ricomponendo la propria figura, nonostante il tono di Shiro e l'odore che emanava lo stessero scuotendo nel profondo.
«Vuole entrare nelle mie stanze» spiegò lentamente Lotor, sapendo di dire solo la metà di quella verità.
«È mio» ripeté di nuovo Shiro, forzando i polsi fino a crearsi delle abrasioni su quello umano. Ezor guardò prima Zethrid, poi Lotor, in parte inquietata, in parte curiosa.
«Non entrerai nella stanza in queste condizioni» per la prima volta, il tono di Lotor fu venato finalmente da qualcosa che non fosse la sua rigida compostezza. Non fu intenzionale, ma quella situazione iniziava a minare la sua pazienza e non aveva idea di come risolverla. Quindi optò di abbassarsi al livello delle bestie, e non solo metaforicamente. Si chinò in avanti, per essere a pochi centimetri da Shiro.
Non percepì alcun odore rilevante, a differenza di Keith che ne sembrava frastornato. Per lui era solo pelle sudata, tesa e bagnata di pioggia. Ciò che lo trattenne fu il viso di Shiro, sconvolto come mai lo aveva visto. Aveva avuto modo di osservare quel volto ricoperto di sangue, di ferite, di collera, odio, di stanchezza, di amarezza, di amore. Ma mai sfigurato così. E gli fece rabbia. Perché sapeva per chi fosse quello struggimento, a chi fosse rivolto quel desiderio di possessione. E il solo pensarlo, incrinò in modo sleale il suo autocontrollo.
«Hai Keith. Prendilo e scopatelo lontano da qui.»
Shiro tentò sul serio di morderlo in uno scatto che riuscì a cogliere alla sprovvista Zethrid, sfuggendole dalla presa. Lotor fu veloce a tirarsi indietro ed evitare di essere preso o urtato. I capelli gli ricaddero disordinati sulle spalle e solo per un istante provò paura e... fascino.
«Non sparare» Lotor ammonì Acxa quando sentì il primo scatto che caricava l'arma. Lei non parve convinta della decisione, ma non si mosse.
Quel tafferuglio servì a Keith per sbloccarsi e frapporsi tra Lotor e Shiro, azione che sembrò distrarre per qualche attimo il Campione.
«Shiro...» provò il ragazzo, ma sembrava incapace di toccarlo. «Va tutto bene. Siamo tutti al sicuro» continuò. Lotor aggrottò la fronte, cercando di stare al passo con quel discorso, mentre Shiro ringhiava di nuovo di gola, ma in maniera quasi più sottomessa, guardando alternativamente l’Omega e poi la porta che voleva raggiungere con disperazione.
«Lance sta bene» insistette ancora Keith.
Anche le ragazze, ora, mostrarono il loro stupore.
«Cosa sta succedendo qua, esattamente?» chiese Ezor, con quel suo tono un po' da gossip persino in una situazione di tensione.

«Capo?» anche Zethrid si aggiunse, dubbiosa, essendosi probabilmente immaginata una qualche rivolta in atto.
Keith si volse verso Lotor, quando questi non rispose subito, e il Principe lo squadrò, in attesa. Il giovane pupillo di Kolivan era nella sua versione Galra, con le orecchie feline che spuntavano dai capelli corvini, gli occhi sui toni del giallo e la pelle violacea come la sua. Assegnato come guardia del Principe Lance, lì a palazzo Keith doveva sembrare un componente della Lama di Marmora a tutti gli effetti, e non un mezzo umano mezzo Galra capace di mutare natura a piacimento. Un’altra scomoda verità in quella pantomima.

Tuttavia, nel trambusto sollevato da Shiro e dal suo umore, Keith aveva le orecchie basse, appiattite, e dava l’idea di essere stato appena ritrovato fuori sotto la pioggia.
«Vuole vedere Lance» disse infine, con un tono desolato e così poco da lui, ma che nel quadro della situazione affondava le radici nel problema che avevano creato con le loro stesse mani.
Lotor non rise sprezzante soltanto perché non era il momento e quell’alterigia gli si sarebbe ritorta contro. Inoltre, anche se in quello stato, nutriva ancora rispetto per Shiro.
«Non entrerà nelle mie stanze così» ripeté, e si maledisse un po' per continuare a sottolineare quella possessività. Ma il punto rimaneva quello, e lo sottolineò indicando la figura di Shiro, ma in maniera più specifica dalla cintola in giù.
Keith se ne accorse soltanto in quel momento, arrossendo. Oltre a essere così furioso - e stressato, dall'odore che emanata - Shiro era anche eccitato in maniera evidente.
Prima che l'imbarazzo, o qualche battutina da parte delle ragazze riempisse la stanza, Lotor parlò di nuovo.
«Non lo lascerò andare dal Principe in queste condizioni. Non mi importa che sia un qualcuno dei vostri rituali da bestie Alpha e Omega.»
«Shiro non farebbe mai del male a Lance o-» ribatté Keith, ma Lotor lo interruppe subito, con lo sguardo ancora più tagliente di prima.
«Il Principe porta in grembo l'erede su cui abbiamo intenzione di costruire questa pace. Lo avete affidato a me e io vi ho dato delle condizioni per tenere segreto tutto questo. Se il Campione deve comportarsi come un Alpha in grado di ragionare solo con l'istinto, non vi permetterò di mettere più piede in questo castello fino al termine della gravidanza.»
Non fu silenzio totale soltanto per colpa della pioggia, ma Lotor era consapevole di aver ceduto e di essersi lasciato sfuggire non soltanto il disgusto, ma anche quel sentimento che tanto cercava di reprimere; si augurò che nessuno, in special modo Shiro e Keith, lo cogliessero. Lui non era parte di quella loro relazione. Non poteva e non voleva. Ma Lance era un'altra questione, e lo era prima ancora di quel patto voluto per cambiare le cose.
Si creò una nuova situazione di stallo. Shiro riprese a ringhiare e ribellarsi, e Keith, diviso tra i due, sembrava cercare le parole per sistemare quella situazione. Iniziò da Shiro stesso, abbracciandolo e guidando il suo volto contro il proprio collo.
«Shiro, va tutto bene. Lance è al sicuro. Il bambino è al sicuro. Lotor li vuole soltanto proteggere.»
«Keith...» mormorò Shiro, strusciando il naso e il viso contro l’incavo e la zona sensibile dove anni prima lo aveva morso, per sigillare il loro legame. Ne aspirò l'odore lenitivo come un naufrago tratto in salvo.

Zethrid sentì il Campione rilassarsi tra le proprie mani, ma non si fidò ad allentare la presa, nonostante anche le braccia e i polsi smisero di tirare le manette. Per un attimo, Shiro sembrò sul punto di crollare addosso a Keith, ma lui non si mosse e lo sorresse nell'abbraccio.
«Va tutto bene. Stiamo bene.»
«Keith... ho bisogno... ho bisogno di vederli...» mormorò Shiro spezzato, col viso completamente nascosto nell'incavo del collo del suo Omega.
«Lo so...»
Servì qualche altro minuto perché Zethrid non sentisse più la necessità di stringere in una morsa le spalle al Campione. Shiro stesso tornò padrone di sé, staccandosi da Keith e rimettendosi in piedi, nonostante le manette. Tenne gli occhi chiusi ancora per un po', concentrato su inspirare ed espirare l’aria per tornare ad avere il controllo totale. Quando li riaprì, guardò dritto davanti a sé il Principe dei Galra, ancora fermo e all'apparenza irremovibile di fronte la porta delle sue stanze.
«Perdona il mio comportamento, Lotor» disse Shiro, in un tono totalmente umano e stabile. Era tornato a essere il Capitano che guidava le armate ribelli in quella guerra, mentre il tono da Alpha ora era solo un fastidioso ronzio nelle orecchie di Lotor. «Ti ringrazio per non avermi fatto passare» continuò, abbassando lo sguardo per terra, vergognandosi di sé. Keith gli strinse il braccio e Shiro si sentì incoraggiato a continuare. «Non farei mai del male a Lance o al bambino. Mai. Quello che hai visto di me poco fa...» chiuse gli occhi di nuovo e sul suo volto sembrarono combattersi varie emozioni. «Non giustifica quello che sto per dire, ma non vedo Lance da quando siete qui a Fara. La sua mancanza e questa nuova condizione… hanno preso il sopravvento» e lo ammise senza vergogna, ma così sincero che Ezor e Zethrid fecero un passo indietro, mentre Axca abbassava il blaster. Era chiaro che la situazione di emergenza fosse rientrata. Tutti guardarono verso Lotor, per l’ultima parola. E Lotor odiò dover dire la cosa giusta. Odiò quella situazione, l'essersi fatto incastrare in quel patto. Odiò se stesso per non poter ammettere quello che avrebbe voluto. Lotor odiò doverlo dire.
«Puoi entrare» disse soltanto. Fece un cenno a Ezor perché rimuovesse le manette. «Ma se sento che stai facendo qualcosa a Lance...» e per la prima volta poggiò la mano sull'elsa della spada, nonostante sapesse fosse una minaccia vuota prima di tutto per lui.
Shiro attese che gli altri se ne andassero. Vide Lotor lasciare l'anticamera a sguardo alto, seguito dalle tre ragazze - Ezor prima di sparire, sghignazzò qualcosa di sconcio, per cui si meritò uno scappellotto da parte di Acxa.
Poi, lui e Keith entrarono nella camera di Lance e Lotor.

Si richiusero piano la porta alle spalle. La stanza era completamente immersa nell'oscurità, con appena i bagliori delle luci di cortesia a colorare di azzurrognolo la penombra. Le tende erano tirate, ma anche lì si sentiva l'infuriare della pioggia contro i vetri. Una pioggia che non avrebbe lavato via quello che avevano fatto, ma che nel silenzio sembrava loro complice.
Shiro e Keith non avevano bisogno di accendere alcuna luce per sapere dove muoversi. Keith conosceva quella stanza, passandoci quasi tutto il proprio tempo, mentre a Shiro bastava seguire l'odore di Lance. Era dolce come il giorno in cui gli aveva annunciato di aspettare un bambino. Molto più intenso di allora, o probabilmente era il suo olfatto, che non sentendolo da più di due mesi, glielo faceva percepire così vivo.
Il letto a bandacchino era più sontuoso di quanto Shiro si fosse immaginato. Era enorme, alto, e con diverse tende leggere a velarlo. Non poteva notare i dettagli con quella fioca luce, ma era certo che Lance avesse scelto l'arredamento (e che Lotor avesse smorzato il troppo kitsch).

Attraverso i tendaggi, al centro del letto, con le coperte, le lenzuola e i cuscini a circondarlo, Lance dormiva su un fianco, le ginocchia piegate, e una mano sulla curva del ventre che sporgeva dalla camicia da notte.

Shiro trattenne il respiro e Keith lo sentì tendersi di fianco a sé. Nel silenzio ovattato dal temporale, l’Omega fece scivolare la mano in quella dell’Alpha, stringendogliela.
«Stanno bene» sussurrò, guardando Shiro di sottecchi, il cuore che batteva forte nel petto a vedere la commozione nei suoi occhi. «Sto con lui tutto il tempo che posso. Gli manchi tantissimo. Ha anche cercato di svignarsela e venire da te... ma Lotor ha ragione» ammise, stringendo le dita della mano libera a pugno, sentendo una vena di odio per se stesso per essere stato anche lui artefice di quella messinscena. «Questo bambino è troppo importante per la pace.»
Shiro chiuse gli occhi e trasse un respiro per calmare sé e il senso di colpa. Erano stati degli sciocchi e degli ingenui. Avevano sacrificato l'esistenza di un bambino, del loro bambino, a una bestia che ancora non erano sicuri di poter domare.
«Qualche volta penso che sarebbe così facile far sparire Lance, portarlo lontano da qui e mettere entrambi al sicuro» disse Keith, come se avesse potuto leggere e dare voce al pensiero successivo di Shiro, che guardò di sottecchi, per poi abbassare lo sguardo e continuare. «Ho studiato tutte le difese, i punti ciechi e i punti forti di questo castello. Potrei portarlo via sia in pieno giorno sia di notte, senza che nessuno scopra cosa sia successo» respirò a fondo. «Potrei portarlo su Tranmar, oppure su Silonia. Li conosci? Forse il primo no, era un posto su cui mi portò da piccolo mio padre. Non è praticamente in nessuna mappa perché si trova nel confine esterno, però è un pianeta che non conosce la guerra e ha tanto, tanto blu. A Lance piacerebbe» sorrise tra sé, con un'ironia triste, perché sapeva che una cosa del genere non sarebbe mai successa. «Lance sente la tua mancanza e parla sempre di come tutto questo sfarzo non faccia per lui. Ma poi lo vedo come si aggira per i corridoi, per le sale, come parla con la nobiltà o anche con chi chiede udienza. Lance è nato in mezzo a tutto questo. Lance potrebbe davvero riuscire a portare la pace in questa guerra» sospirò, in parte sconsolato. «Non è come noi. Lui si adatterebbe alla nostra vita… finché sa di poter avere noi, sarà felice. Però abbiamo scelto, tutti. Lui sapeva cosa avrebbe significato sposare Lotor portando in grembo tuo figlio. Ma sapeva anche che era l'unica soluzione possibile per ottenere questa pace comandata. E noi siamo stati i boia che lo hanno accompagnato al patibolo.»
«Keith...»
«Non riuscirò a non farmene una colpa, mai. Dannazione... cosa abbiamo fatto, Shiro? Quel bambino crescerà chiamando Lotor padre!»
Shiro gli strinse la mano. Gliela strinse forte, perché stringeva forte anche quel che restava del proprio cuore, sperando non cadesse in pezzi come era già successo poco prima che arrivasse lì. Perché aveva realizzato tutto quello in ritardo, quando di Lance era rimasto un flebile sentore. Perché tre mesi senza di lui erano stati tre mesi senza aria. E se contava pure il bambino... questo aveva scatenato gli istinti da Alpha, portandolo a irrompere nel castello nel pieno della notte e sfidare apertamente Lotor. E tutto per una decisione per cui aveva dato il proprio consenso.
«Scusami. L'ho capito quando ti ho visto che... che dovevamo aver avuto lo stesso pensiero. Il tuo odore... la tua voce... non ti ho mai sentito così. Mi hai spaventato» si scusò il mezzo Galra, poggiando la fronte contro la sua spalla.
«Mi dispiace… Ero fuori di me, non volevo-»
«Mi hai spaventato perché ti ho visto distrutto...» gli parlò sopra l’altro. «Ho sentito tutto, tutto il dolore che stavi provando per non poter avere Lance con te.»
Shiro si passò la mano libera sul viso, senza smettere per un attimo di guardare Lance che continuava a dormire, ignorando la loro presenza. Era così bello, era così suo eppure quei pochi tendaggi parevano le mura del castello stesso, frapponendosi tra loro.
Ispirò profondamente per poter sentire di nuovo il suo odore, pienamente. Così famigliare e avvolgente, riusciva a stemperare il dolore che aveva dentro, riusciva a tenere insieme quei pezzi che aveva sentito scomporsi e non reggere la sofferenza. Sentì anche l'odore di Keith, e non solo perché gli stava di fianco, ma lo avvertiva provenire dal nido che Lance aveva costruito. E sentì anche... l'odore di Lotor.

Quella era anche la stanza di Lotor. Era la stanza di Lance e Lotor. Se lo aspettava. Si era ripetuto più volte che, quando sarebbe andato a trovarlo, lo avrebbe sentito lì. Era anche vero che l'odore proveniva dalla camera in sé e non dal letto, e questo placò in parte il suo istinto di Alpha. Tuttavia, ciò che lo sorprese, fu che non lo trovò invasivo. Sì, il suo essere era in parte disturbato dall’avvertirne la presenza, ma qualcos'altro lo trovò giusto. Non solo razionalmente, perché Lotor era parte di quell'accordo. Ma percepiva in quel sentore qualcosa di diverso, non l'odore del Lotor che conosceva dal campo di battaglia, e neanche quello del Lotor che lo aveva fermato dal piombare in questa stanza e spaventare Lance (si ripeté ancora una volta che non avrebbe mai fatto del male a Lance, ma sapeva anche che, se prima fosse riuscito a passare, avrebbe dato il peggio di sé in fatto di gelosia).

No, l'odore arrivava a lui lì dentro era qualcosa di protettivo e se ne sorprese. Sapeva che Lance e Lotor si conoscevano dall'infanzia. In fondo, era stato Lance a giudicare la fiducia di Lotor, a fare da tramite con lui quando i sospetti non pendevano a suo favore. Però era anche vero che Lance stesso aveva faticato a riconoscere il Lotor che si era presentato a loro con una proposta di alleanza, dopo che per diverso tempo avevano solo sentito voci contrastanti sul suo conto. Tuttavia, ora, quell'odore stava rassicurando stranamente Shiro, e gli comunicava anche qualcos'altro. Qualcosa che non riuscì a identificare, ma che andava bene. Non era ostile e lui era semplicemente stanco.
«Lotor... si sta comportando bene» e non era una domanda quella di Shiro. Keith lo guardò scettico e imbronciato, diviso tra i propri sentimenti e il dover dargli ragione.
«Sì, Lotor... sta rispettando la sua parte di accordo» disse, in una sorta di via di mezzo.
Per la prima volta, quella notte, Shiro riuscì a sorridere un po' e a sentirsi a casa, senza bisogno di pareti fisiche, ma soltanto perché era con le persone che amava.
«Sarò una brutta persona, ma ho intenzione di svegliarlo.»
Keith parve sorpreso.
«Avevi intenzione di farlo dormire dopo che hai smosso mari e monti lì fuori? Ti assicuro che si riposa fin troppo. Non fa assolutamente nulla duranta la giornata, mi dà solo il tormento ogni istante.»
Shiro ridacchiò ancora, piano, perché voleva svegliare Lance a modo suo. Fece un passo indietro e si liberò delle parti superiori dell'armatura, ancora lucide di pioggia. Si ravviò anche il ciuffo, appiccicato alla fronte, e si tolse tutto quello che poteva essere fastidioso per abbracciare Lance. Poi si spostò sul lato del baldacchino, senza togliere gli occhi di dosso dalla figura dell'Omega addormentato un solo istante. Sarebbe potuto sembrare un predatore, ma Keith vide amore e nient’altro nel suo sguardo.
Shiro scostò le tende del baldacchino e poggiò un ginocchio sul materasso. Era così largo che la pressione non arrivò neanche a infastidire il nido di Lance. Poggiò piano le braccia in avanti e poi aspettò.
Lance arricciò il naso una prima volta, emettendo un leggero mugolio. Poi il suo naso si contrasse una seconda volta e l’Omega cercò la fonte dell'odore che stava sentendo, girandosi inconsciamente nel sonno. Le lenzuola frusciarono, la stoffa della camicia da notte si tese sul ventre.
Ancora lentamente, Shiro si fece più avanti e, piano, chinò la testa per arrivare a sfiorare il collo dell'Omega e riempirsi a pieno i polmoni di quell'odore che stava ristorando il suo animo. Non si mosse da dov'era, ma portò le labbra a lasciare un bacio sotto il suo orecchio; poi, pianissimo, sussurrò per destarlo.
«Ehi, bell’addormentato...»
Keith doveva ammettere che Lance incarnava proprio una delle principesse delle favole che amava raccontare ai bambini di corte, quelle che venivano svegliate dal bacio del vero amore. Lance mugugnò di nuovo e stavolta aprì gli occhi. Mise a fuoco il viso di Shiro e una felicità piena di serenità gli colorò le gote. Alzò una mano e la portò alla guancia del Campione, lasciandosi quasi sfuggire un singhiozzo nel toccarlo.
«Sei reale...» sussurrò, come ad accertarsi di non stare sognando.
Shiro annuì e Lance, accostando anche l'altra mano al suo volto, lo avvicinò a sé per baciarlo.
«Stavo immaginando esattamente questo» sussurrò quasi ridendo, quando si separarono. «Eravamo in un bosco e io ero vittima di un incantesimo in una bara di cristallo, ma tu arrivavi da me e mi svegliavi proprio così.»
Keith sbuffò, roteando gli occhi al soffitto e palesando, involontariamente, la propria presenza. Lance trasalì appena ad accorgersi di lui e Shiro lo strinse a sé in un moto inconscio.
«Uh. Nel mio sogno c'eri anche tu» borbottò Lance, con un buffo broncio assonnato. «Eri un nano rompiscatole che faceva la guardia alla mia bara, continuando a borbottare di non essere un babysitter.»
Keith sollevò un sopracciglio, per nulla impressionato.
«Non sono poi così fantasiosi i tuoi sogni.»
Lance si strinse di proposito a Shiro, facendo la linguaccia a Keith. «Digli qualcosa, mi rovina l'umore, costantemente! Sta sempre a lamentarsi e a ripetermi che non posso fare questo o quello.»
«Scusa!? Lance, non puoi uscirtene chiedendo di prendere una hoverbike e “farti un giro”!» protestò Keith, levandosi i tendaggi da davanti, ancora stanziato ai piedi del letto. Brontolò come non fossero le tre di notte di una notte piovosa che li aveva stravolti e messi in bilico, ma un giorno qualsiasi della loro nuova vita di pace apparente. «Aspetti un bambino e sei al quarto mese. E anche non fossi in questo stato, non mi fiderei a lasciarti su una hoverbike da solo.»

«Oh, scusa mamma, se ti do tante preoccupazioni.»

Le dita di Keith artigliarono l’aria davanti a sé, desiderando ardentemente di stringersi intorno al collo dell’altro Omega. «Giuro, ancora cinque mesi e poi ti- ti-»

«Mi fai questo, mi fai quello, gne gne» lo scimmiottò Lance non solo a parole, ma anche con una mano che si apriva e chiudeva a becco. Nel mentre che Keith malediceva il giorno in cui si erano incontrati, il Principe Alteano si tirò un po’ più a sedere, invitando Shiro dentro il nido di coperte per averlo più vicino.

«Ehi, sei bagnato» constatò Lance solo in quel momento, tastandogli il capelli. «Non dirmi che Lotor ha fatto storie per farti entrare» scherzò, ma sia Shiro sia Keith si irrigidirono appena, dissimulando un attimo dopo.

«Ho dovuto lasciare lo starfighter lontano dal castello per non farmi vedere. Ho-» Shiro ci pensò al volo, a mentire, per non farlo preoccupare. Un altro giorno sarebbe stato sincero, ma in quel momento aveva solo bisogno che Lance fosse tranquillo. «Ci sono stati un po’ di problemi di comunicazione per via della pioggia. Non sono riuscito ad avvisare del mio arrivo.»

Keith osservò Lance stropicciarsi un occhio, mentre sembrava soppesare quelle parole. Le sue labbra si incresparono, facendolo sembrare un bambino.

«Sei stressato» constatò, prendendogli di nuovo il volto tra le dita per guardarlo meglio. «È successo qualcosa?»

Nonostante tutto, Shiro in quel momento era solo felice e sorrise sincero. Le proprie mani si poggiarono su quelle del compagno, e ne scostò una per baciare il palmo e il polso, strusciandoci poi contro la guancia.

«Ora va tutto bene. Mi sei mancato.»

Con Lance bastavano poche parole per vederlo accendersi di felicità. I marchi sulle sue guance brillarono soffusi, come quelli sul suo corpo, i cui bagliori si intravedevano attraverso la stoffa della camicia da notte.

«Anche tu ci sei mancato.»

Nonostante il plurale, Keith sapeva che Lance non si stesse riferendo a lui. A differenza del Principe Alteano, lui poteva fare avanti e indietro tra Fara e la base segreta dei ribelli e vedere Shiro con molta più frequenza. Ma non si sentì escluso, anche quando osservò Lance scostare una mano per prendere quella di Shiro e guidarla sul proprio grembo. I suoi due compagni insieme e felici erano semplicemente ciò di cui aveva bisogno per continuare a lottare.

«Ulaz dice che va tutto a gonfie vele. Non proprio con questi termini perché non credo abbia mai visto una barca in vita sua, ma l’idea è questa» ridacchiò Lance, intrecciando le dita con quelle di Shiro. «Il bambino sta bene, io sto in perfetta forma, Keith si assicura di soffiare a chiunque mi si avvicini, compreso Lotor… insomma, sta funzionando.»

Shiro lo ascoltò a metà, mentre abbassava il viso e lo nascondeva di nuovo nell’incavo del suo collo, inspirandone l’odore con una necessità che sperava non trasparisse del tutto. Lance non era però così infantile da non accorgersi di alcuni, chiari segnali sulla stanchezza del suo Alpha, ma mantenne il sorriso, scambiando furtivamente un’occhiata con l’altro Omega. Keith sospirò a assentì piano, ma accennando anche lui un piccolo, incoraggiante sorriso.

«Vi lascio soli.»

«Keith.»

Qualsiasi pensiero di andarsene fu spazzato via dalla voce di Shiro. Di nuovo quel tono, quel timbro inconfondibile da Alpha che poteva richiamare l’attenzione dei due Omega anche in mezzo al caos di una battaglia.

Sia Keith sia Lance, di riflesso, avvertirono un brivido piacevole lungo la schiena.

«Vorrei che rimanessi» continuò Shiro. Se Keith non avesse assistito al crollo psicologico del Campione pochi minuti prima, avrebbe trovato la scena alquanto strana. Shiro non sembrava rendersi conto che stava usando la sua voce da Alpha. Ancora immerso nel collo di Lance, neanche fosse una maschera per l’ossigeno, il resto del suo corpo sembrava completamente rilassato all’interno del nido, a un passo dall’addormentarsi.

«Rimango» assentì Keith, liberandosi degli stivani e della parte superiore della sua suit viola.

«Prenderesti degli asciugamani prima?» sussurrò Lance, indicando con un cenno verso la porta del bagno.

Pochi minuti dopo - e altri “prenderesti quello? E anche quello!” da parte di Lance - tutti e tre erano sul grande letto matrimoniale. Lance aveva riarrangiato il nido con le cose chieste a Keith, rendendolo più confortevole; poi entrambi avevano fatto scivolare Shiro al centro, facendolo sdraiare più comodo. Lance, seduto contro una montagna di cuscini e la testiera, gli aveva fatto poggiare la testa sulle proprie gambe, mentre con un asciugamano gli frizionava i capelli e la pelle. Nel frattempo, Keith aveva anche recuperato dei pigiami con cui cambiare entrambi e liberarsi delle tute da combattimento con cui ormai vivevano.

«Ora va proprio meglio!» esclamò Lance contento, quando Shiro fu asciutto e drappeggiato in un tessuto confortevole, e circondato dall’odore suo e di Keith, che i tendaggi del baldacchino aiutavano a concentrare intorno a loro. I due Omega si stesero contro i fianchi dell’Alpha. Lance gli poggiò la testa sulla spalla e si fece circondare dal braccio umano, intrecciando di nuovo le dita con le sue sul proprio ventre; dall’altra parte, Keith si stese a pancia in giù, posando la testa sulle braccia incrociate e lasciando che la propria coda Galra stringesse pigramente entrambi i compagni.

«Mi fai il solletico» mugugnò Lance con un’occhiataccia all’altro Omega, la guancia schiacciata contro la pelle tiepida di Shiro.

«Wow, mi sembrava strano che non ti stessi lamentando di qualcosa negli ultimi cinque minuti.»

«Rovini sempre l’atmosfera!»

«Hai aperto tu la bocca per primo.»

«Sshh» soffiò piano Shiro, provocando di nuovo brividi in entrambi. Aveva le palpebre calate e i lineamenti rilassati da una tranquillità e una familiarità che non provava da tanto tempo e i due Omega capitolarono a vederlo così, rimandando qualsiasi altro battibecco alla mattina successiva.

Shiro era conscio del fatto che innamorarsi in tempo di guerra non era un affare, ma era successo, e quel breve momento sarebbe entrato a far parte di tutti i ricordi belli che conservava insieme agli altri due. Le due persone per cui la mattina si alzava e continuava a resistere, giorno dopo giorno, tornando a casa anche quando il nemico gli strappava dei pezzi. Le due persone che avevano superato il suo corpo malridotto e avevano trovato la strada per quello che era rimasto della sua anima, unendola alle proprie. Ci sarebbero stati mille modi per descrivere quanto Keith e Lance gli avessero donato e quanto di lui avessero preso da trasformare in meglio, ma tutto quello di cui in quel momento aveva bisogno era solo una notta come quella, per ricaricare le batterie, al caldo, col tepore della pelle e il pensiero che suo figlio stesse bene.

Quando quella guerra sarebbe finita, quando loro sarebbero potuti essere liberi da qualsiasi ombra, tutto sarebbe stato identico a quel preciso istante di pace.  



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