Cow-T, sesta settimana, M2
Prompt: Protectiveness, physically or verbally defending someone
Numero parole: 6464
Rating: NSFW (ma poco)
Fandom: Voltron LD
Personaggi/Ship: Shiro & Keith & Lance
Note: ambientata da qualche parte durante la S2, dopo l’episodio 8. È ‘na roba, senza né capo né coda. Volevo scriverla colo per il “Tempo Morto” >>
Mentre dagli spalti dell'Arena provenivano schiamazzi e suoni rimbombanti, l'aria nel corridoio di ingresso era tesa e stagnante.
"Porca puttana" sibilò tra i denti Lance accovacciandosi e tenendosi il braccio sinistro stretto al petto con l'altro. Aveva ancora metà del viso coperto di sangue, le ciglia che si appiccicavano tra loro in modo sgradevole.
"In piedi!" gli abbaiò la guardia, tirandolo su proprio per la spalla dolente, strappandogli un gemito che attirò l'attenzione anche degli altri prigionieri.
Keith scattò prima ancora che la guardia potesse percuotere Lance e si mise in mezzo, pronto a prendere il colpo con aria di sfida, ma niente arrivò anche solo a sfiorarlo. Se l'atmosfera prima era tesa, divenne solida in un battito di ciglia.
"È già ferito" tuonò Shiro, incurante del fatto che tutte le guardie gli stavano puntando le armi addosso. Non c'era un fiato se non quello di Lance e da un momento all’altro sembrava dovesse scoppiare l’inferno.
"Riposo" ordinò una voce. I soldati tornarono ai loro posti e l'attenzione fu catalizzata sul nuovo arrivato, il più alto in grado lì a giudicare dall'armatura. Il volto di Shiro si rabbuiò, mentre i prigionieri più in fondo iniziarono a mormorare tra loro qualcosa che suonava come è arrivato il Carceriere.
Intanto, nell'Arena, l'incontro in corso stava procedendo, tra le grida sempre più invasate degli spettatori.
"Il prossimo turno è tra pochi dobosh. Sarà un Tempo Morto tre contro uno. Lasciate solo i paladini di Voltron e allontanate tutti gli altri."
Le guardie sgomberarono il corridoio in pochi minuti, mentre il Comandante Drav si voltava verso i tre rimasti, valutandoli.
"Entrerà prima quello ferito, poi l'altro piccolo. Il Campione sarà l'ultimo" dispose e le guardie assentirono.
L'espressione di puro rancore sul volto di Keith non si affievolì, anche quando con lo sguardo cercò quello di Shiro senza capire di che cosa stesse parlando il Galra in comando. Nel mentre, Lance era troppo frastornato dal dolore per sentirsi spaventato adeguatamente.
"Che cazzo sta dicendo" gemette, girandosi anche lui verso il paladino nero.
Il Carceriere addolcì l'espressione in un sorriso affabile.
"Lascio spiegare a te, Campione, in cosa consista un Tempo Morto. Te lo ricordi?"
Non c'era una singola cicatrice sul corpo di Shiro che in quel momento non bruciasse per essere di nuovo lì, prigioniero nelle Arene Galra. Erano stati catturati durante una missione di liberazione che si era trasformata in un’imboscata. Ancora non riusciva a capacitarsene. Avevano lottato, ma quando Lance era stato ferito le cose erano precipitate. Probabilmente, se fosse stato solo, sarebbe impazzito, ma con lui erano stati catturati e trascinati anche Keith e Lance; il solo pensiero che potessero andare incontro agli orrori subiti da lui stesso in passato lo aveva indotto a una calma glaciale, in grado di tenere a bada il ribollire sotto pelle. Strinse i pugni, fissando con astio Drav come un tempo si sarebbe soltanto sognato di fare.
"Il Tempo Morto è un incontro a tempi. Saremo tre contro un solo sfidante, ma entreremo a turno dentro l'arena. Prima Lance, poi Keith, poi io. A distanza di tre... dobosh l'uno dall'altro."
"Quattro dobosh. Abbiamo deciso di divertirci un po' di più" lo corresse il Carceriere.
Il paladino nero sembrava pronto a saltargli alla gola.
"Possiamo farcela" affermò Lance, stirando un risolino sbilenco. "Tre contro uno. Ci stanno sottovalutando."
"Ho visto bene a mandare prima dentro te, vedo" commentò Drav sulla stessa ilarità. "Il primo turno di un Tempo Morto è quello della Carne da Macello. Uno stuzzichino per l'opponente. I Tempi Morti sono interessanti quando capitano prigionieri come voi, compagni di armi. Anche se gli incontri più toccanti sono quelli con le coppiette. Vedere l'amato o l'amata cercare di sopravvivere per tre dobosh senza poter fare niente. È toccante."
Lance non era più così sicuro della propria affermazione. Si voltò verso i compagni.
"Quattro dobosh durano poco" disse, senza sapere bene che cosa volesse intendere lui stesso, ma in cerca di sostegno. Anche se Shiro ricambiò lo sguardo, la sua mascella era troppo contratta per riuscire a farlo parlare. Un boato esplose dalle tribune, ma nessuno ci prestò attenzione, lì nel corridoio di ingresso.
"Quattro dobosh possono durare molto o poco, piccolo paladino, dipende dalle tue capacità. Hai le gambe lunghe, prova a correre più che puoi. Ma non sarai messo in panchina allo scadere del tuo tempo, anzi. Campione, non hai parlato di come finisce l'incontro."
Non ci furono spiegazioni da parte dell'interpellato, così Drav continuò.
"Il Tempo Morto finisce quando una delle due fazioni viene terminata. Quindi resterai nell'arena fino a quando ucciderete il vostro opponente-"
"O quando verremo uccisi noi" concluse Keith, lapidario. "Vittoria o morte."
Drav spostò la sua attenzione sul paladino rosso, assottigliando lo sguardo. "Circolano voci bizzarre su di te. Si dice che tu sia un piccolo ibrido Galra. Ci riserverai delle sorprese?" Come Shiro, anche Keith non rispose.
Si sentì un suono profondo e riverberante, che coprì per pochi istanti gli strepiti del pubblico.
"L'incontro è finito. Tra cinque dobosh cominciamo" annunciò Drav, guardando impassibile mentre l'arena veniva sgomberata dai precedenti lottatori.
Shiro approfittò della distrazione e del nuovo baccano per avvicinarsi a Lance.
"Ascoltami" iniziò serissimo e impersonale; sembrava che la sua voce fosse di qualcun altro. "Scappa. Qualsiasi sia la creatura che ci troveremo di fronte, non cercare di combatterla. Non sei nelle condizioni di sostenere una lotta."
Lance era spaventato come mai in vita sua. "Sì, ok, ma..."
Shiro si rivolse al paladino rosso. "Keith, a te daranno un'arma, ma sarà inutile. Vogliono vedervi soffrire. Vogliono che io vi veda morire. Non dategli questa soddisfazione. Il nostro avversario tenterà di uccidere per primo Lance anche quando saremo dentro tutti e tre, perché sarà il nostro punto debole."
"Ho capito" annuì Keith.
"Ragazzi mi state spaventando..." mormorò Lance, sentendo l'angoscia annidarsi nello stomaco con un senso di nausea più forte del dolore al braccio.
"Resta vivo" gli ordinò Shiro e non c'era compassione nei suoi occhi. Questo fece più male a Lance di qualsiasi altra cosa. Il paladino blu afferrò quello nero per il braccio, nel bisogno di dirgli qualcosa, di avere qualcos’altro oltre quelle parole, ma lo sentì così rigido che le dita non provarono neanche a stringerlo.
"Lance" lo chiamò Keith, mettendosi tra di loro e guardando il compagno negli occhi. "Vinceremo noi, ma devi rimanere lucido. Se ti viene un'idea... dimmela e basta, niente segnali. Lo sai che li interpreto male" e accennò un sorriso che avrebbe voluto infondere sicurezza in memoria di qualcosa che avevano già fatto. Tuttavia, il terrore stava divorando Lance al punto che non riuscì neanche a rispondere, non senza che Keith gli appoggiasse una mano sulla spalla sana, per scuoterlo leggermente. "Lance, rimani concentrato. Hai capito cosa ho detto?"
Il paladino blu abbassò lo sguardo e annuì. "Scappo. Analizzo. Non mi metto in mezzo perché sono il punto debole."
"Sei ferito" gli ricordò Keith, che dette un'occhiata a Shiro in cerca di appoggio, ma l'uomo non pareva li stesse ascoltando; la sua postura era rigida, il suo sguardo fisso sul centro dell'arena. Il paladino rosso riprese il discorso. "Analizza il nemico. Sarai quello con più tempo per trovare dove colpirlo. Ok?"
"... ok."
Lance fu buttato nell’Arena con uno spintone. Incespicò sui piedi per non cadere, ma fu l’ultimo dei suoi pensieri quando si ritrovò a essere fissato da centinaia, migliaia di occhi sconosciuti che subito gli fischiarono e gli urlarono contro. Peggio solo di quel trattamento c’era l’odore di morte che impestava l’atmosfera. C’erano chiazze a macchiare il pavimento, non solo rosse, ma di qualsiasi fosse il colore si capiva che fosse sangue, se non anche qualcosa di più. Tentò di trattenere i conati di vomito e ci riuscì solo perché fu distratto dall’annuncio per far entrare lo sfidante. Qualcuno stava parlando con un qualche tipo di microfono, non riusciva a individuare dove e non lo stava ad ascoltare, anche se aveva sentito nominare già “paladino blu”, “Voltron” e “perdenti”. Ci fu un rombare crescente, una sorta di countdown di urla, quando si aprì una grata simile a quella da cui era stato fatto uscire lui, ma molto, molto più alta e larga.
La creatura che Lance si trovò di fronte sarebbe potuta essere l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua. Alta, grossa e incattivita. Non dava l’idea di un essere senziente, non più per lo meno, dallo sguardo dilatato e sgranato. In un altro momento lo avrebbe definito come un qualche animale selvaggio uscito da Star Wars, ma sapere quella cosa viva, reale e in procinto di dilaniarlo, gli fece accantonare qualsiasi paragone e prenderlo per ciò che era: la sua morte.
“Resta vivo, Lance” si ripeté, stringendosi il braccio ferito per avere una scarica di dolore che lo svegliasse. “Quattro dobosh ed entra Keith. Keith il domatore di bestie. Altri quattro dobosh e poi Shiro metterà fine a tutto.”
L’annunciatore continuò a parlare e Lance continuò a sentire solo il sangue pompargli nelle orecchie come una tempesta. Solo quando si udì di nuovo il gong capì che era iniziata. Il mostro davanti a lui - uno Wazrog se aveva capito bene - spalancò le fauci e spianò le sue tre file di denti. Lance poté immaginarsi maciullato da quegli spuntoni grandi quanto la sua mano e non ebbe bisogno di imporsi di scappare. Scartò di lato, cercando un riparo che si accorse subito non c’era.
“Scappa” si disse ancora a voce alta. Il terreno tremò sotto ai suoi piedi e gli fece quasi perdere l'equilibrio. La creatura barrì, battendo in terra con le quattro zampe anteriori, graffiando il terreno. Lance la vide caricarlo e si tuffò dietro una delle quattro colonne all’ultimo. Il pilone scricchiolò quando tutta la potenza della belva gli finì addosso. Lo stesso paladino si ritrovò per terra per l’urto, ma almeno era scampato al primo inseguimento. Si guardò alle spalle e la creatura si stava scrollando la testa dopo la botta.
Incespicando, Lance si rimise in piedi e si allontanò, cercando di girare intorno alla bestia e trovare un punto cieco. Aveva i polmoni in fiamme e sentiva la tuta nera da paladino madida di sudore, ma cercò di focalizzarsi. Aveva una bestia enorme davanti, quattro zampe anteriori (una meccanica) e due posteriori, queste ultime flessibili e agili come quelle di un gatto. Il corpo era percorso da cicatrici, nonostante sembrasse avere una pelle spessa e dura, e uno dei corni in testa era spezzato. Aveva anche una coda poderosa, forse la parte con cui meno Lance avrebbe voluto avere a che fare dopo la bocca; un colpo di frusta e gli avrebbe spezzato la schiena.
La creatura levò di nuovo il proprio verso, vibrando nell’aria tanto da paralizzare il paladino anche solo così. Che possibilità avrebbero avuto? Non vedeva punti da colpire, non senza un’arma, e l’unica sarebbe stato il braccio di Shiro, una volta entrato, ma sarebbe bastato da solo?
“Lance muoviti!” l’urlo era proprio del paladino nero, trattenuto dalle guardie nell’ingresso del corridoio. Il ragazzo si riebbe, avvertendo di nuovo il terreno tremare sotto le suole. Riprese a correre, nonostante i muscoli tesi dalla paura gli facessero male. Quanto tempo era passato? C’era un timer da qualche parte? Quanto sarebbero durati quattro dobosh in fuga per la propria vita?
Raggiunse di nuovo una delle colonne, piazzandocisi di fronte. Prima era stato un colpo di fortuna, ma ora poteva provare a usare con coscienza quell’inganno. Un trucco semplice, ma la bestia sembrava del tipo che cacciava finché non aveva la preda tra le zampe, o forse no da come si era fermata a qualche metro da Lance, artigliando il terreno e creando dei solchi. Sfidò l’umano con un verso più simile a un ululato, ma non si mosse. L’impazienza stava montando rapidamente in Lance, logorandogli i nervi.
“Andiamo!” gridò, allargando il braccio che non gli faceva male. “Vieni a prendermi!”
Da qualche parte qualcuno stava gridando contro il vociare delle folle, ma Lance non sentiva niente, concentrato sul momento in cui sarebbe dovuto scattare per togliersi di mezzo. La bestia partì, ma non corse come aveva fatto fino a quel momento: balzò in avanti. Colto alla sprovvista, Lance scattò a sua volta, ma in ritardo. Una delle zampe gli si parò davanti, sbarrandogli la fuga. Fu davvero questione di secondi; il paladino non trovò altra soluzione se non buttardi in terra all’ultimo. Non capì neanche cosa successe dopo che qualcosa lo colpì, togliendogli il fiato. Tutto si fece ovattato, mentre rotolava finendo in una delle pozze di sangue.
Il Wazrog aveva battuto comunque contro il pilastro un’altra volta e il suo grido di dolore riecheggiò tra gli spalti, ma per Lance fu solo il rimbombare di un incubo.
Cercò di tirarsi in piedi, ma aveva sbattuto anche il braccio ferito e il dolore gli mozzò il fiato. Il sangue su cui era finito gli diede la nausea, facendolo scivolare quando tentò di alzarsi.
Scappa. Non sei nelle condizioni di sostenere la lotta.
La voce di Shiro gli risuonò di nuovo tra le tempie, smorzandogli ulteriormente le energie. Non sarebbe riuscito a rimettersi in piedi. Era ferito. Ma anche non lo fosse stato, rimaneva l’anello debole tra Shiro e Keith. Loro erano fatti per sopravvivere lì dentro, non lui. Lui era un pilota di cargo che aveva sprecato la sua seconda possibilità. Paladino dell’universo, poi? Lui, che era senza talenti? Si rivoltò sulla schiena, rimanendo sdraiato. Non vedeva il soffitto dell’Arena perché era troppo buio. Di lì a poco ci sarebbe stato solo quello, con forse una luce in fondo al tunnel, come si raccontava. Voleva chiedere scusa per essere quell’inutile peso. Alla sua famiglia e ai loro sacrifici, ai suoi amici perché non era stato all’altezza. Agli altri paladini, che avrebbero dovuto trovare qualcuno migliore per il Leone Blu.
Il pavimento stava tremando di nuovo. Lance realizzò che fosse ormai davvero finita quando avvertì la presenza del Wazrog sopra di sé, a oscurare le luci dell’Arena e a riscaldare l’aria col suo fiato. Che schifo morire masticati, pensò, e l’idea lo disgustò al punto da farlo retrocedere e ripensarci a giacere lì in quella pozza di sangue vischioso e puzzolente. Ma non andò lontano quando con la mano scivolò un’altra volta, finendo di nuovo schiena a terra. Dalle tribune era ricominciato un ritmo serrato di urla. Ci fu anche il gong che doveva sancire il termine dello scontro, ormai chiaro. Il paladino blu serrò gli occhi.
Non ci fu nulla ad annunciare il colpo che prese Lance al fianco, e che non assomigliava per niente a una zanna o un artiglio. Gemette di dolore, ma non ebbe il tempo di lamentarsi davvero, mentre rotolava per terra in un intrico di braccia e gambe.
“Cazzo Lance, vuoi morire!? Alzati subito e vai dietro la colonna! ORA!” era Keith e gli urlò nelle orecchie, mentre balzava in piedi. Lance saltò a sua volta più per la scarica di adrenalina che per il dolore che aveva per tutto il corpo. Non si mosse subito, non quando osservò il compagno come un miraggio mentre fronteggiava il nuovo verso di frustrazione e rabbia della bestia. Keith aveva in mano un bastone di metallo, una vecchia lancia a impulso scarica e ammaccata, ma se i Galra avevano supposto che fosse un’arma inutile, il braccio destro di Voltron la sfoggiava come si stesse preparando a piegare l’universo.
“Lance… muoviti” sibilò Keith, guardandolo con la coda dell’occhio - che per un attimo a Lance parve giallo, ma doveva essere una sensazione data dall’intontimento. Inciampò nei propri piedi e il dolore al braccio si risvegliò completamente, facendogli mordere il labbro, ma si avviò al riparo verso la colonna. Udiva i “booo” della folla, ma la sua concentrazione era solo per Keith.
“Stai attento ai balzi!” urlò, guardando come la bestia stesse flettendo le gambe posteriori. Keith tuttavia sembrava pronto; quando il Wazrog saltò puntando le quattro zampe davanti con l’intento di schiacciarlo, saltò anche Keith con l’ausilio della lancia, colpendolo forte su un occhio. Il Wazrog guaì così forte da far male ai timpani e si dimenò perdendo il controllo della caduta, finendo di nuovo contro uno dei piloni, quello dietro cui era nascosto Lance. Senza aspettare segnali, Lance circumnavigò a passo di gazzella la creatura in terra e corse dal paladino rosso.
“¡Me salvaste la vida!” gridò, e Keith lo guardò con una smorfia e un’espressione confusa.
“Smettila di distrarti! Non è finita” ringhiò, riposizionandosi con la lancia. “E parla una lingua comprensibile.”
Il Wazrog ruggì e li caricò nello stesso momento, costringendoli a separarsi; diede la caccia prima a Keith, macinando la distanza così velocemente da distruggergli il terreno sotto i piedi con gli artigli. Uno di questi riuscì anche a raggiungerlo di striscio, aprendogli una ferita sul polpaccio, ma questo non fermò il paladino rosso dal correre. Tentò di portare la bestia contro la parete dell’arena per farla schiantare di nuovo, ma questa gli balzò davanti.
“KEITH!” urlarono sia Lance sia Shiro a occhi sbarrati. Furono attimi al cardiopalma. Il paladino rosso non si sarebbe potuto fermare in tempo per non finire in bocca al Wazrog, ma sfruttò il terreno viscido; all’ultimo scivolò sotto il corpo della bestia, evitando per un soffio le zanne; si scorticò un braccio e dovette sacrificare l’arma, non prima però di colpire il Wazrog allo stesso occhio. Non gli andò così bene quando la coda, dimenata dal dolore, centrò lui in pieno petto, lanciandolo via.
Ci fu uno scroscio di urla, una doccia gelida per Shiro e Lance mentre quest’ultimo raggiungeva il compagno a terra.
“Sto bene” biascicò Keith riprendendo fiato e forzandosi a rialzarsi.
“Quel colpo deve averti rotto le costole!”
“Sto bene! Vai! Dietro una delle colonne, ora!”
Entrambi si precipitarono a nascondersi, mentre il Wazrog barriva il proprio dolore, calpestando il terreno e facendo tremare tutto.
“Direi che ora è a un livello molto incazzato” constatò Lance dal loro riparo. “Sicuro non credo ci veda più da quell’occhio.”
“Devo recuperare il bastone, abbiamo solo quello per attaccare” biascicò Keith, ancora preda del dolore al petto.
“E come pensi di fare?”
“Ce la fai a correre senza farti prendere?”
Lance non rispose come avrebbe fatto di solito, sprezzante e sicuro anche solo dell’idea di dimostrare qualcosa a Keith. Abbassò lo sguardo e si strinse il braccio al petto. Lui era l’anello debole.
“Lance” lo richiamò Keith, cercando di non suonare pressante mentre teneva d’occhio la situazione. “Dovrai solo correre più veloce che puoi. Muoviti da una colonna all’altra. Al resto penserò io. Non ti prenderà.”
La bestia arrancava per il dolore e li stava cercando; il paladino rosso costrinse quello blu a guardarlo in faccia.
“Tu corri a destra, ok? Io corro verso il bastone appena inizia a inseguirti.”
“Lo porto alla colonna… ma non ci sbatterà di nuovo” iniziò Lance, il cervello un passo avanti alla paura. “Però posso… posso farlo impazzire un po’ tenendolo occupato.”
“Attento alla coda” il compagno sembrò soddisfatto.
Lance annuì. “Riesci a colpirlo all’altro occhio?”
Keith ricambiò il gesto. “È quello che voglio fare.”
“Renderlo cieco.”
“Sì. Dobbiamo resistere ancora un minuto e trenta.”
L’ormai famigliare quanto inquietante tremore del terreno li avvertì che non avevano più tempo.
“Hasta la later, Keith!” gridò Lance e si lanciò di corsa oltre la colonna. L’inneggiare del pubblico disse al paladino rosso che le cose stavano andando come avevano appena progettato. Corse a sua volta, cercando con lo sguardo la lancia a impulso; l’urto contro la creatura l’aveva sbalzata lontana dal punto in cui lui e il Wazrog avevano impattato. Accelerò il passo quando la individuò in terra.
“Keeeeeith!”
In un altro momento sarebbe potuta essere una scena comica. Il paladino rosso aveva appena raccolto il solo mezzo che avevano da mettere tra loro e la bestia, quando voltandosi vide Lance sbracciarsi nella sua direzione.
“Corri!” stava gridando, con il Wazrog alle calcagna.
Per quanto reattivo fosse stato Keith fino a quel momento, non sembrava in grado di trasmettere il messaggio ai muscoli di muoversi quando quell’idiota gli stava portando addosso il mostro.
“Muoviti!” strepitò ancora Lance, gesticolando con il braccio sano e alla fine afferrandolo per un polso quando gli passò vicino.
“Perché hai puntato a me!?” gridò ora Keith, con i nervi a fior di pelle.
“Non abbiamo parlato della seconda parte del piano! Pensavo intendessi fare un altro faccia a faccia!”
“Mi ha quasi ucciso!”
“È da quasi otto minuti che tenta di uccidere me!”
Le folle parevano divertite da quel teatrino.
“Manca poco” ansimò Keith, che con la coda dell’occhio cercava di capire se avrebbe potuto trovare uno spiraglio di attacco, ma il Wazrog era così grosso e arrabbiato che sembrava di essere rincorsi da un branco di elefanti imbizzarriti.
“Verso la colonna!” ordinò. Alla fine quei quattro piloni che formavano una sorta di ring interno all’arena erano l’unico pseudo riparo che potessero avere. Grandi abbastanza da permettere a due come lui e Lance di sfruttare le proprie dimensioni a vantaggio, considerando come il mostro avrebbe dovuto per forza circumnavigare il pilastro.
Il secondo tempo stava ormai scadendo. Keith continuava a tenerne conto. In tre, con Shiro, sarebbero riusciti a sopraffarre quella creatura. Dovevano resistere ancora un po’ e riuscire a colpire il Wazrog al secondo occhio per ottenere il vantaggio definitivo.
“Quando saremo lì dietro, non starmi in mezzo ai piedi!” urlò Keith. “Devo avere spazio di manovra!”
“Ricevuto!” replicò Lance, senza lamentarsi.
Solo secondi, pensò Keith. Avevano bisogno solo di resistere e sfruttare gli ultimi secondi. Potevano farcela. Dovevano.
Raggiunsero la colonna in scivolata, rotolandoci dietro. Le zampe della bestia sembrarono seguirli e scamparono ai suoi artigli per un baleno, sfruttando la forma stretta e lunga del pilastro per trovare più spazio.
“Spostati!” gridò Keith, pronto a lanciarsi ad attuare il piano. Ma Lance non lo stava ascoltando; stava alzando le braccia davanti il volto in un movimento a rallentatore e di istinto che il paladino rosso non capì finché con la coda dell’occhio non vide un qualcosa muoversi dietro di sé. Era la coda del Wazrog e stava per beccarli. Non la potevano evitare. Il mostro era così grosso da poterli chiudere su due fronti nonostante la colonna in mezzo.
Keith non ebbe neanche il tempo di pensare. Ruotò sul posto quel tanto che bastò per mettere tra sé e il colpo di frusta in arrivo il bastone a impulso. Nello stesso momento l’arena scoppiò in un boato assordante, tra suoni e voci, ma i due ragazzi percepirono solo il dolore.
Se la lancia attutì, la botta fu comunque violentissima. La coda prese Keith di traverso sul busto e lo scagliò indietro, contro Lance, ed entrambi finirono addosso alla colonna e poi in terra.
Keith era inerme sul pavimento sporco, senza fiato per il colpo ricevuto; Lance aveva battuto la testa e non si muoveva.
“Lance…” esalò Keith con dolore e la vista sfuocata, allungando la mano verso il compagno e aggrappandosi al suo braccio. Il volto del paladino blu era macchiato di sangue fresco che gocciolava sul terreno. Su entrambi si estese l’ombra e la presenza pesante del Wazrog, insieme al vociare dagli spalti e al suono del gong. Shiro…
Keith non chiuse gli occhi, anche quando di fronte a sé ebbe soltanto la bocca della creatura e le sue fila di denti lucide di saliva. Strinse le dita sul braccio di Lance, sperando come poche volte in vita sua.
Sulle tribune si gridava un solo nome, cadenzato da battiti di mani che il ragazzo scandì con i battiti del cuore. Gliene rimanevano pochi, ma sostenne ognuno di loro finché non sentì il suono di una voce famigliare; non stava parlando, ma gridando tutta la propria frustrazione.
Il paladino rosso non vide l’azione in sé, ma potè immaginarla; chiuse gli occhi quando il sangue del Wazrog gli schizzò addosso, caldo, vischioso e con un odore da far vomitare. Shiro fu preciso, sapeva dove voleva colpire per chiudere tutto subito, e il suo braccio meccanico affondò nel collo della bestia mentre era distratta dai due ragazzi.
Il primo pensiero coerente di Keith, mentre le folle esplodevano di acclamazioni per la vittoria lampo del Campione ritornato, fu che almeno Lance, da svenuto, non avvertì nulla, né il fetore né le urla per quella pantomima sadica.
Shiro anche li ignorò; era lì di fianco, rigirando Lance per controllarne le condizioni. Keith lo sentì sospirare tra un ansimo e l’altro.
“È solo… svenuto” disse il mezzo Galra, sputacchiando il sapore disgustoso di sangue che aveva in bocca.
La mano del paladino nero arrivò a tirarlo in piedi mentre ci provava lui stesso, con poco successo. Probabilmente Lance aveva avuto ragione sulla costola rotta, e l’ultimo scontro col mostro poteva averne aggiunte altre. Faticava ancora a respirare e si appoggiò al braccio di Shiro, mentre questi si era caricato Lance sulla spalla, senza aspettare l’arrivo delle guardie a scortarli fuori.
Dagli spalti intanto si udivano ancora gli spettatori osannare il Campione urlando un Bentornato! che faceva desiderare a Keith di fare una strage. Ma anche solo camminare verso l’uscita dell’Arena gli tolse il briciolo di energia rimastagli. Si accasciò contro Shiro, aggrappandosi al suo braccio per non cadere in terra, ma l’ultima cosa che sentì fu Drav dare ordine di portarli in infermeria.
Riprendere i sensi fu più traumatico di quando Keith li aveva persi. Si svegliò bruscamente, con due Galra dal volto coperto che lo stavano esaminando, prelevandogli del sangue. Scattò ancora prima di realizzarlo davvero, rovesciando uno dei due e facendo volare via la siringa. Fu una colluttazione breve, perché l’altro medico gli puntò addosso un blaster, intimandogli di calmarsi.
Fu sbattuto fuori dall’infermeria qualche minuto dopo, massaggiandosi il torace ma solo per una sensazione di pizzicore che per il dolore che aveva provato nell'arena. Se aveva qualcosa di rotto era stato sistemato.
Fuori, ad attenderlo, insieme a altre dozzine di prigionieri, c’erano Shiro e Lance. Il paladino blu era rannicchiato con le ginocchia al petto e il viso nascosto nelle braccia (ora entrambe sane), ancora sporco di sangue; il più grande era di fianco a lui, a braccia conserte, serrate, e guardava un punto cieco sul pavimento. La sua sola aura bastava a creargli il vuoto intorno, riempito da un brusio scandito ogni tanto ancora dalla parola Campione.
Entrambi alzarono il volto a vedere uscire Keith, il sollievo sul viso di entrambi.
“Mi hanno preso del sangue” fu la prima cosa che uscì dalla bocca di Keith, mentre si guardava l'incavo del gomito.
“Fanno di peggio” replicò Shiro senza pensarci e il paladino rosso lo guardò a sguardo sbarrato, imbarazzato. “Scusa. Questo posto-”
“Non importa” tagliò corto Keith.
Intorno a loro il resto dei prigionieri iniziò a muoversi verso il corridoio e Shiro stesso si staccò dal muro.
“Andiamo” disse.
“Dove? Di nuovo nell'arena!?” Lance trasalì, irrigidendosi e stringedosi tra le proprie braccia. Era stanco, sembrava tenere a malapena gli occhi aperti. Anche Keith non si mosse, le dita strette a pugno e le nocche bianche.
Shiro scosse la testa per poi fare cenno agli altri due di seguirlo.
Dieci minuti dopo, Lance si stava guardando in giro paonazzo, appoggiato a un muro per sostenersi. Gli avevano rifilato qualcosa, un antidolorifico, ma era come se gli avessero dato un colpo in testa e poi lo avessero sbattuto in una centrifuga. Finì col coprirsi gli occhi con una mano e lasciare andare un respiro sgretolato.
Erano nella zona docce. Lance non poteva pretendere che fossero bagni decenti, considerando che si trattava pur sempre di una pigione, ma almeno gli stalli per separare le docce, aveva protestato. C’erano dozzine e dozzine di alieni ovunque, nudi come qualsiasi cosa li avesse messi al mondo li aveva fatti. In meno di due minuti aveva visto genitali tali per cui neanche i più fantasiosi contenuti alien biology terrestri potevano prepararlo.
“Non vuoi toglierti quello schifo di dosso?” chiese Keith. Dava le spalle al resto delle docce, ma era rosso in viso anche lui nonostante cercasse di mantenere uno stato apparente di calma. Stava trafficando con la parte superiore della tuta nera da paladino, di quello che rimaneva tra sangue e strappi vari.
“Sì, ma…” Lance sospirò di nuovo, sentendosi così stanco che avrebbe raggiunto la doccia strisciando e ci si sarebbe rannicchiato sotto sperando forse di annegarci. Sempre che ci si dirigesse davvero. Non voleva neanche immaginare che schifo dovesse essere se ogni giorno prigionieri ricoperti di morte ci si lavavano.
“Anche se sono docce in comune, questo è il luogo più pulito che troverete dopo l’infermeria” disse Shiro che si stava liberando anche lui della tuta. “Starete meglio, dopo” concluse, finendo di togliersi quello che aveva addosso. Entrambi i ragazzi lo guardarono, per poi incrociare lo sguardo tra di loro e riabbassarlo, la sfumatura rossa sulle loro gote era molto più accentuata di prima.
Keith seguì l’esempio di Shiro in silenzio, al contrario di Lance che si coprì di nuovo il viso con le mani, desiderando interiormente di poter lasciare andare un urlo di frustrazione.
“Lagnati di meno” borbottò Keith di fianco a lui, a braccia conserte. Anche se il paladino blu non lo vedeva, bastava la sua sola presenza a farlo sentire a disagio, al pensiero che fosse nudo lì vicino. Non che Lance non avesse mai visto altri ragazzi nudi, ma era Keith - e anche Shiro. Nonostante pensasse che fosse colpa delle circostanze, era davvero troppo spossato per reagire e allo stesso tempo troppo in negazione per farlo. Voleva tornare al Castello dei Leoni, nella sua camera e nel suo pigiama blu; ancora meglio, voleva tornare sulla Terra, a casa. Stava davvero vivendo l’incubo di essere prigioniero del nemico? Aveva realmente rischiato di morire neanche un’ora prima, mentre alieni sconosciuti esultavano alla prospettiva? Voleva lavarsi via quello schifo, quel sangue dalla pelle e dai capelli, ma fare anche solo un passo in quel momento avrebbe concretizzato ancora di più quella realtà malata.
“Lance.”
Ma Lance scosse la testa, le mani premute quasi con dolore sul viso, in completa abnegazione.
Una presa decisa sui suoi polsi lo costrinse ad aprire le mani e guardare in faccia Shiro. Aveva i capelli umidi e già appiccicati alla fronte, l’acqua cadeva in gocce dalla punta del suo naso e dalle sue ciglia sul suo torace esposto, su cicatrici che Lance adocchiò per la prima volta. C’era qualcosa che gli ottenebrava gli occhi, di così profondo che il paladino blu distolse lo sguardo con la sensazione di essere inghiottito. Lui era ancora quello più debole, dopo tutto. Quella situazione era troppo per lui.
“Non sopravvivrai qui se ti tiri indietro” gli disse serio e diretto. Lance si irrigidì nella sua presa e iniziò a respirare dalla bocca, continuando a guardare un punto imprecisato.
Keith si fece più vicino, fissando Shiro con la fronte corrugata e poggiangoli una mano sul braccio. Sembrava di toccare l’acciaio, duro e freddo.
“Shiro” iniziò, ma senza sapere esattamente cosa dire. Nella sua testa suonava come non lo stai aiutando, ma la sua bocca non riusciva a mettere a parole il pensiero. Da quando erano stati portati nell’Arena aveva avuto la sensazione che Shiro fosse lontano, che si fosse alzato un muro tra di loro. Percepiva il bisogno del maggiore di salvaguardarli, ma allo stesso tempo si era accorto di quella rigidità nei loro confronti. La stessa con cui aveva detto a Lance di sopravvivere come fosse un compito da portare a termine, senza empatia. Non era da Shiro.
“Lance è stanco” iniziò, per sentire un attimo dopo la stessa stanchezza di cui parlava gravargli sulle spalle, invisibile ma pressante. “Anche io sono stanco. E…” cercò le parole, ma alla fine si abbandonò all’onestà. “Non ti riconosco, Shiro.”
Il paladino nero strinse involontariamente le dita intorno ai polsi di Lance, che si morse un labbro per non far uscire un suono, non mentre fissava come gli altri due si stavano guardando. Le parole di Keith parevano aver fatto breccia.
Shiro lasciò andare Lance, facendo un passo indietro e passandosi una mano sul viso bagnato. “Mi dispiace” disse, incespicando un po’ sulle parole. “Io…” scosse la testa. “Non avrei mai pensato di ritrovarmi di nuovo qui. Non di nuovo prigioniero e… e sentirmi chiamare Campione” si era preso la testa tra le mani, nel tentativo di bloccare i pensieri e i sentimenti che vi stavano turbinando. “L’ultima cosa che volevo era che qualcuno di voi si ritrovasse in questo inferno… o che… rischiasse di morirci” e fissò entrambi. Per un attimo, gli altri due paladini ebbero la sensazione che il volto del loro leader non fosse bagnato solo dall’acqua delle docce.
Lance lasciò andare il respiro che aveva bloccato in gola, che suonò come un piccolo singulto, a metà tra sollievo e dolore. Non aveva neanche lui idea di cosa fosse o cosa stesse provando, ma vedere Shiro liberarsi di quelle sensazioni che lo aveva attanagliato fino a quel momento, lo fece stranamente sentire meglio. Sembrava più il paladino, l’eroe che ricordava.
L’attimo dopo, quando Lance cercò di spostarsi dal sostegno del muro per dire qualcosa di confortante, ebbe un piccolo blackout, ritrovandosi sostenuto dalle braccia di entrambi i compagni che lo chiamavano. Fece una smorfia.
“Questo schifo che mi hanno rifilato sta facendo più peggio che meglio” brontolò. Tra l’altro, aveva anche fame, ma sentirsi ancora addosso l’odore di sangue al contempo gli dava la nausea.
“Fatti aiutare. Dopo starai meglio” e memore di averlo detto anche prima, ma con un tono e una distanza senza calore, Shiro aggiunse un piccolo sorriso di scuse. “Dico davvero.”
Lance si ritrovò le dita degli altri due a liberarlo dalla tuta nera da paladino. Fu onestamente imbarazzante per diversi motivi e ringraziò di essere così prostrato dalla cattura, dallo scontro nell’arena e in generale dalle ultime ore per riuscire a dare forma a pensieri ambigui su cui ancora stava scendendo a patti con se stesso. In un altro momento, contesto, futuro, quella vicinanza, quell’aiuto a tratti obbligato, sarebbe potuto essere l’inizio di qualcos’altro di più intimo e profondo. Tuttavia, in quel momento, Lance accettò a occhi chiusi, le palpebre serrate, le mani un po’ impacciate - di Keith - che gli spalmarono addosso quello che probabilmente era sapone, dando sollievo alla sua pelle, e le dita - di Shiro - che gli insaponarono i capelli con gentilezza, per poi passare a togliergli il sangue rappreso anche dal viso. Nessuno dei tre parlò. Lance rimase il più fermo possibile, anche perché non si fidava del proprio equilibrio, ma sapeva che se si fosse sbilanciato gli altri due lo avrebbero afferrato prontamente. La sicurezza di quando erano tutti insieme, come un’unica entità a formare il Difensore dell’Universo, era tornato a pervaderlo e farlo respirare meglio.
A un certo punto Lance doveva aver perso i sensi, perché quando riaprì gli occhi non era più sotto il getto della doccia, ma era sdraiato su una panca e nell’aria c’era un odore di cibo che gli fece gorgogliare lo stomaco.
“Ehi?”
Guardando in alto, dopo aver sbattuto le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco, Lance vide Shiro, seduto sulla stessa panca, un cucchiaio di cibo poltiglia viola in mano.
“Sei svenuto sotto la doccia” lo informò Keith, guardandolo dall’altra parte del tavolo, anche lui con un cucchiaio in mano. Aveva una smorfia in faccia, forse per quello che aveva appena riferito, forse per il sapore della roba nel piatto.
Lance si era tirato su, mettendosi a sedere e massaggiandosi la testa per un leggero capogiro. Si accorse che non indossava più la tuta, ma aveva lo stesso completo da prigioniero con cui avevano trovato Shiro quando era piovuto dal cielo prima che tutta quell’avventura nello spazio iniziasse. Anche gli altri due avevano la stessa divisa, logora ma stranamente pulita e inodore. Forse, dopo tutto, i Galra ci tenevano che non scoppiassero epidemie tra i loro prigionieri.
“Mangia qualcosa” suggerì Shiro, spingendogli un piatto davanti. Il paladino blu avrebbe volentieri sbranato un elefante in quel momento, anche se la vista del food goo in parte gli smorzava l’appetito. Si diede un’occhiata intorno. Come fuori dall’infermeria, e poi anche nelle docce, tutti i prigionieri continuavano a lanciare loro occhiate, indirizzate principalmente al Campione, creando intorno a loro una specie di vuoto reverenziale. Non era poi così male, considerando che se la sola presenza di Shiro li teneva lontano da altri guai, probabilmente avrebbero avuto anche il modo e il tempo di pensare a un piano per andarsene. Quel pensiero ottimistico gli fece ingurgitare il primo cucchiaio di poltiglia senza altre riserve. E così tutto il piatto, fino a strappargli un piccolo rutto che gli fece guadagnare un’occhiata schifata da Keith, a cui però rispose con un gesto che sembrava voler scacciare una mosca.
Con un sospiro, si sentì di nuovo stanco e si appoggiò alla spalla di Shiro. “Voglio che ce ne andiamo da qui al più presto” e suonò in tutto come una lamentela delle sue, leggera e capricciosa, ma così piena di speranza da riuscire a strappare un sorriso al più grande.
“Non sarà facile” disse quest’ultimo, scambiando uno sguardo con il paladino rosso. “Anche se ora so come sono fatte queste navi prigione, la prima volta sono stato aiutato. E Drav non ci leverà gli occhi di dosso un attimo.”
“Dici che quan in giro non c’è un’altra Lama di Marmora infiltrata come Ulaz? Avete un codice, una parola segreta con cui riconoscervi?” chiese Lance a Keith, la fronte corrugata seriamente.
Keith roteò gli occhi al soffitto. “No, scemo. Non funziona così.”
“Secondo me non sai neanche come funziona davvero. Sei stato con loro il tempo di farti ridurre a un tiragraffi sanguinolento.”
Keith sembrò sul punto di ribattere, ma Shiro bloccò la loro scaramuccia sul nascere. “Smettetela subito” disse, per quanto anche quello scambio aveva un che di tranquillizzante, essendo una routine a cui si erano abituati e che gli faceva ricordare per cosa sarebbe sopravvissuto quella volta. Per portarli lontano da lì prima che l’Arena li spezzasse come aveva fatto con lui. In un modo o nell’altro sarebbero sopravvissuti.
“La Principessa e gli altri ci staranno cercando” riprese, guardando prima l’uno e poi l’altro. “Riusciranno a trovarci, anche senza Voltron completo. E riguardo l’idea di un membro della Lama infiltrato… tenete gli occhi aperti. Sono certo che anche Kolivan farà in modo di aiutarci. Ma fino a quel momento, restate vivi.”
“Restiamo vivi, intendevi dire. Tutti e tre” sottolineò Lance e Keith per una volta fu d’accordo col compagno attaccabrighe, annuendo con risolutezza. Il paladino blu riprese. “Non ce ne andiamo da qui senza di te. Che si fottano i fan del Campione. Tu sei il nostro leader. Senza di te non andiamo da nessuna parte! Siamo come i tre moschettieri ma, ecco, senza D’Artagnan tra le scatole. Uno per tutti?”
Keith gliela lasciò vinta, forzandosi a non rispondere negativamente, ma neanche dandogli corda. Shiro invece sospirò leggero, quasi rise, distendendo le labbra rigide. “E tutti per uno.”