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COW-T 13, quinta settimana, M3
Prompt: La quadriglia
Numero parole: 4070
Rating: NSFW (ma non esplicito)
Warning: Odasaku / Dazai / Chuuya / Ango (POV Ango). In un ipotetico futuro in cui Odasaku è (redi)vivo. 


La scrivania era un disastro. Le penne erano rotolate in terra, i fogli fuori dalle cartelline erano sparsi come foglie su un vialetto dopo una forte raffica di vento. Ango si era sentito come una di queste quando Chuuya era piombato nel suo ufficio alle quattro di notte e non aveva voluto sentire ragioni.

“… te lo avevo detto, Quattrocchi…” ansimò il rosso, sfilandosi l’ultimo dei guanti con i denti, l’altra mano già occupata sul basso ventre dell’ex spia. “… se avessi di nuovo fatto le ore piccole saremmo arrivati a questo.”

Ango gemette, inarcando la schiena e premendosi un braccio sugli occhi. Non aveva idea di dove fossero volati gli occhiali, sperava solo non si fossero rotti come l’ultima volta.

“… devo finire-”

“So io cosa devi finire” lo stroncò sul nascere il Dirigente, chinandosi a baciargli e mordicchiargli la base del collo. “Finirla di ridurti a fare questi orari assurdi e dimenticarti di mangiare.”

La risposta di Ango non fu minimamente coerente, ma un insieme di ansimi e gemiti nel sentire le mani del rosso su di sé.

Anche se il suo senso del dovere stava protestando, il resto di sé - che ormai apparteneva a Chuuya in più di una forma - accolse quell’interruzione con sollievo e una certa dose di risposta, nonostante la stanchezza.

Cercò il viso del rosso attraverso la patina con cui vedeva il mondo in quel momento e lo chiamò debolmente, conscio di star viaggiando sulla linea dell’incoerenza. I contorni di ogni cosa erano sfuocati e i colori macchie che si fondevano, ma la sua ancora rimasero quei capelli di un fuoco pallido.

“Sei con me, Quattrocchi?” gli chiese Chuuya a un passo dalle labbra, facendo resistenza a quel bisogno inconscio con cui Ango lo stava attirando come una parte essenziale di sé.

“S-Sì…” balbettò in risposta l’ex spia, nonostante si sentisse a un passo dal cedere. Voleva Chuuya, voleva il sollievo che era in grado di dargli, ma la spossatezza gli stava calando tutta insieme. Il piacere delle dita del rosso prima, e il sesso vero e proprio a seguire, diedero il colpo di grazia alle sue quasi trenta ore di veglia.

Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima che si riducevano così. A quell’ora della notte, chiusi nel suo ufficio personale, riempiendo la stanza di gemiti e ansimi e trasformando il lavoro di una giornata in una costellazione di fogli da riscrivere, umidi del loro piacere.

C’era stato un tempo in cui Ango non sarebbe riuscito a immaginare una scena del genere neanche per gioco - cominciando dal fatto che non si ritenesse una persona così fantasiosa, soprattutto in campo sessuale, per finire con un classico Non potrei mai fare una cosa del genere dove lavoro.

Poi Chuuya era tornato nella sua vita e, come in passato, più di quattro anni prima, l’aveva stravolta. Era successo tutto talmente in fretta che la spia non era neanche sicuro di come fossero arrivati a quel punto. Che era solo uno dei due più importanti sconvolgimenti degli ultimi mesi, ma Ango in quel momento aveva le facoltà mentali solo per pensare al Dirigente. E alla sua lingua.

“C-Chuuy-ah” gemette, quando il rosso lo stuzzicò, conscio della sua ipersensibilità dopo averlo portato all’estasi appena due minuti prima. Si tese per uno spasmo involontario e chiuse le dita su un braccio del più giovane, con una presa che avrebbe voluto essere serrata, ma che perse di mordente dopo pochi secondi.

Chuuya si stava ancora dedicando alla sua pelle sensibile, ma con meno malizia e più premura, sciogliendo tutta la tensione residua. Intrecciò le proprie dita alle sue e risalì fino al collo di Ango, alla mandibola, con baci insistenti, fino a quando non si trovarono l’uno nelle labbra degli altri.

Con un ghigno, il rosso rimise gli occhiali alla spia.

“Sono ancora integri” scherzò, per poi scrutarlo con un’occhiata più di rimprovero. “Hai dormito almeno un’ora?”

Ango sospirò, non sforzandosi nemmeno si alzare la testa per guardarlo meglio.

“Ho preferito farmi una lunga doccia durante la pausa” confessò, riflettendo vagamente che il suo inconscio doveva essere stato lungimirante dove Ango proprio non aveva immaginazione.

Chuuya però non risultò particolarmente contento della risposta.

“Sei un coglione” gli disse senza mezzi termini.

“Sto lavorand-aah

Il rosso non lo fece finire, mentre le sue dita sapevano dove e come toccarlo per interromperlo e farlo contorcere.

“Io so che dopo il secondo orgasmo dormi come un bambino per almeno dieci ore di fila” e a modo suo fu una minaccia. “Puoi decidere se qui o a casa.”

Sulla faccia di Ango si leggeva un chiaro Ho del lavoro da finire, ma serrò le labbra prima che una sola parola potesse firmare quella condanna. Anche se erano amanti, Chuuya rimaneva un mafioso che manteneva la parola data e la ex spia voleva evitarsi altre pessime figuracce con i colleghi (e con la fortuna che aveva, sarebbe incappato certamente in Tsujimura, la cui fantasia non aveva nessuno dei limiti che Ango percepiva della propria. Era anche l’unica persona a sapere realmente tutta quella storia e a tifare per il suo superiore).

“… a casa.”

“Ottima risposta, Quattrocchi” e gli stampò un bacio sulla guancia, prima di tirarlo su così velocemente, con la leggerezza con cui avrebbe raccolto un giocattolo rovesciato in terra, che ad Ango girò la testa. Ma Chuuya non si mosse, restando in mezzo alle sue gambe e sostenendolo. Lo guardò dal basso verso l’alto con un sospiro più pacato.

“Hai una cera orribile e il mio intervento ti ha solo ridato un po’ di colore, ma sembri sul punto di una febbre da stress” mormorò, passandogli la mano sulla fronte. Era tiepida e sudaticcia per l’attività recente, ma anche bianca come il latte. Ango chiuse gli occhi, lasciando andare la testa contro quella carezza.

“… mi prenderò un giorno di ferie…” mormorò poco convinto, come se al contempo stesse cercando di fare i conti per capire se potesse permetterselo. “… o chiederò di sbrigare qualche lavoro da casa.”

“Lo sai che non sono la stessa cosa? Vedi di prenderti almeno due giorni di ferie, così festeggeremo come si deve.”

Ango lo guardò senza capire.

“… Festeggiare?”

Era sicuro che il Capodanno fosse passato da un mese abbondante.

“Domenica? Il quattordici? Ti dicono niente?” sbuffò Chuuya, scuotendo la testa. “Hai detto che te lo sei segnato anche in agenda.”

E nel dirlo, recuperò quest’ultima dal casino sulla scrivania, mettendogliela in mano. L’agente del governo la sfogliò cercando di ricordarsi che giorno fosse. Quando vide l’appunto per quel fine settimana, anche il resto del colore sulle guance impallidì.

Abbandonò la fronte sulla spalla del rosso con un mezzo singhiozzo di miseria verso se stesso, lasciando cadere l’agenda.

Ohi! Ti senti male?”

“… portami a casa” lamentò debolmente Ango.

Non voleva pensare. Voleva dormire. Possibilmente per un mese intero, così da saltare quell’incombenza che aveva tutti i tratti distintivi di una catastrofe annunciata.

Lui non era fatto per quelle cose.

Erano eventi per persone normali e né lui né i suoi compagni lo erano.

Eppure, avevano deciso di festeggiarlo ugualmente.

Avevano deciso che avrebbero passato San Valentino tutti insieme. Il primo San Valentino in cui si sarebbero presi del tempo per loro, per quella relazione bislacca che li aveva visti avvicinarsi, pezzo dopo pezzo, disgrazia dopo disgrazia. Se avessero raccontato la loro storia - di come almeno tre di loro avessero cercato di ammazzarsi l’un l’altro, uno fosse effettivamente morto e risorto, e poi, non sapevano neanche loro come, si fossero riavvicinati, al punto che ora non si poteva fare il nome di uno senza pensare agli altri tre… be’, probabilmente qualcuno ci avrebbe scritto un film solo per come suonasse tutto inverosimile.

Nonostante tutto, quella Domenica avrebbero coronato quel legame, quell’affetto senza un nome definito. 

E Ango non era pronto.




Dazai si adagiò contro il bordo della vasca con un sospiro estatico, completamente immerso nella sensazione piacevole dell’acqua calda.

“La Lumaca aveva ragione quando ha detto che - cito testualmente - Sei un deficiente stacanovista che meriterebbe di essere licenziato in tronco e non sapere più cosa fare nella vita.” Aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e dando la chiara impressione di essere stato colto da un secondo, fugace pensiero. “Non sapevo fosse così sadico. So che a sedici anni aveva escogitato un numero inutile di torture nei miei confronti, ma… Oh!”

Si alzò d’improvviso, schizzando un po’ di acqua tutto intorno. Un’epifania.

“Allora forse è questo che significa vero amore!? Ti ama così tanto che ti augura ogni disgrazia, se fosse almeno utile a farti stare bene!” Ci ragionò su un attimo, picchiettandosi il mento con un dito. “Potrebbe essere il motivo per cui mi augura sempre di morire?” 

Ango non si mosse di un millimetro a quei discorsi insensati - come se fosse diventato un tutt’uno con l’altro lato della vasca. Strinse appena gli occhi neanche Dazai lo avesse pungolato con una forchetta in un fianco. In più, senza occhiali poteva solo immaginare l’espressione del compagno.

“È lavoro, devo farlo…”

“Ma tu ci credi nella vita dopo il lavoro?”

Ango aggrottò la fronte, guardandolo senza capire. Dazai non si spiegò e raccolse un po’ della schiuma nella vasca e ci soffiò sopra, per poi liberarsi del residuo e riscivolare nell’acqua calda. Urtò le gambe di Ango e cercarono una posizione più comoda, finché il detective non appoggiò un piede fuori, sul bordo.

“Qual è l’ultimo libro che hai letto?”

Ango emise un verso sofferto, piegando la testa di lato. Questo lo fece sentire davvero misero.

“Potresti fregarne uno di poesie alla Lumaca, se ti possono interessare i poeti maledetti. Oppure aiutarmi a capire dove Odasaku tiene i suoi appunti segreti. Voglio sapere la trama del libro che sta scrivendo.”

“Non potresti consigliarmi qualcosa da comprare?” invece di coinvolgermi in qualche illecito.

“Dove starebbe il divertimento?”

Con le dita Ango si massaggiò gli occhi. Sprimacciò le palpebre con il bisogno di mitigare la stanchezza. Anche se il bagno caldo era rilassante, non riusciva a lasciarsi andare.

Quando tornò a fissare davanti a sé, trasalì. Dazai si era spostato - possibile che anche in mezzo all’acqua riuscisse a essere tanto silenzioso? O era lui a essere totalmente tra le nuvole? - e ora era ad appena qualche centimetro da lui.

Il detective non gli diede tempo di dire nulla che gli lasciò un bacio sulle labbra.

Ne seguì un altro. E un altro ancora e a ognuno Ango sentì un nodo venire meno.

L’acqua sciabordò contro i bordi, finendo anche fuori, quando si risistemarono l’uno contro l’altro. Anche immerso quasi del tutto nella vasca, Dazai riusciva ad apparire come un gatto, riempiendo uno spazio senza occuparlo davvero e dando l’idea di fare le fusa. Quando lasciò andare la bocca dell’agente del governo si leccò le labbra, con espressione soddisfatta.

“Meglio?”

Se qualcuno, più di quattro anni prima, avesse avvertito Ango che la sua vita sarebbe stata stravolta e rivoltata e che si sarebbe trovato in quella situazione intima con un ex Dirigente della Port Mafia ora detective, un Dirigente attuale e un ex mafioso tuttofare che ora si divideva tra fare il detective occasionale e aspirava invece a essere uno scrittore… faceva già ridere così. Ed era tutto capitato a lui - in senso buono…? - un’ex spia, probabilmente la categoria peggiore tra tutti e tre.

“Meglio” sospirò arreso all’emozione calda che Dazai gli aveva fatto scivolare dentro letteralmente a suon di baci.

“Allora… il pensiero di San Valentino ti pesa così tanto?”

Ango fissò Dazai come si guarda qualcosa in bilico e lo si prega con tutte le forze di non cadere, ma è inutile. Era la costante sensazione che aveva con l’ex Dirigente e, ancora una volta, non era stato smentito. Guardò altrove.

“… non è qualcosa da me.”

“Non ti senti all’altezza di mangiare cioccolatini a forma di cuore e bere uno o due bicchieri di qualsiasi alcool comprerà la Lumaca?”

Messa in quel modo sembrava molto semplice.

“Non ne ho mai festeggiato uno” e si sentì sciocco ad averlo detto nell’esatto momento in cui Dazai ridacchiò.

“Escluso Chuuya, che ha ricevuto dei cioccolatini da presunte ammiratrici segrete…” e il suo sguardo era troppo candido per essere innocente. “Nessuno di noi l’ha mai neanche preso in considerazione credo. Ce lo vedi Odasaku a festeggiare San Valentino?”

Ango ci pensò un attimo.

“In realtà… sì. Con te.”

Si scambiarono un’occhiata. Dazai sbatté un paio di volte le palpebre come se non avesse realmente recepito le parole dell’ex spia. Ango si strinse leggermente nelle spalle.

“Be’ pensavo che, insomma, all’epoca della Port Mafia… voi due aveste già passato almeno un paio di San Valentino insieme. Davate quell’idea di… intimità.

Dazai ridacchiò di nuovo e si risistemò contro il bordo della vasca, guardando al soffitto.

“Sarebbe stato interessante…” Scosse la testa, come a liberarsi dell’idea sciocca, anche se rimase chiaramente appesa al bordo dei suoi pensieri. “Chissà se mi avrebbe preparato dei cioccolatini.”

“Credo che li avrebbe comprati. Più per questione di tempo.”

Ango rispose prima di rendersene davvero conto, seguendo quel filo di pensieri insieme a un piccolo sorrisetto all’idea.

“Avrebbe di certo cercato la cioccolateria migliore” continuò, spostandosi qualche ciocca umida dalla fronte. “Quelle che fanno anche dei bei pacchetti.”

“Sarebbe venuto a chiedere a te, uomo dell’intelligence, non credi?”

L’ex spia ci rifletté un attimo prima di annuire, troppo preso per soffermarsi sulla battuta.

“Penso che avrei stilato una lista di possibilità e alla fine gli avrei proposto la migliore tra le meno care.”

Dazai espose il labbro inferiore.

“Sempre troppo razionale.”

“Be’, anche se era nella Port Mafia il suo stipendio-”

“E perché per Domenica non segui proprio questa idea invece di farti prendere dal panico?”

Oh. Ango si sentì di nuovo uno stupido. Non aveva realizzato come quel giro di ipotesi riguardasse il suo essere restio sulla faccenda e un modo per dargli un esempio da seguire.

“Ma spero che al governo paghino abbastanza perché tu possa comprarci i cioccolatini più costosi” concluse Dazai schizzandolo con l’acqua ed esibendo un ghignetto. “Non vorrai darla vinta alla Lumaca che si presenterà solo con cose ultra lussuose per ricordarci che siamo degli scappati di casa.”

Quell’auto ironia rasserenò internamente Ango.

La vita era davvero insensata e imprevedibile, ma cercò di non pensarci finché gli scaldava il petto.




Da qualche tempo Ango stava scoprendo lati di sé che la sua mente non aveva mai preso in considerazione. Ed erano tutti aspetti che, a farne una lista, sarebbero razionalmente rientrati in Cose da non fare mai, assolutamente, piuttosto la morte. Questo per una serie di motivi che spaziavano da quella vergogna che non ti fa più incrociare lo sguardo di qualcuno, al semplice quanto radicato imbarazzo di compiere certe cose in certi luoghi totalmente inappropriati.

Eppure, Ango non sentiva di avere la fermezza per dire stop a se stesso. Se si fosse visto da fuori, si sarebbe biasimato e accusato senza remore, ma vivendo il momento… la scusa più blanda era attribuire quel tipo di frenesia e irragionevolezza al quadro generale. La vita gli aveva già mostrato cosa significasse perdere tutto, per poi restituirglielo. Ma questo non implicava che, dall’oggi al domani, sarebbe potuta succedere una seconda Mimic.

Quindi, quando le mani di Odasaku lo trovarono infilandosi sotto la giacca, dopo quasi un’ora passata a girovagare per librerie alla ricerca di qualcosa per ricominciare a leggere e di un paio di regali, Ango interiormente si sciolse come se non avesse aspettato altro.

Non parlarono, non subito. Ango appoggiò il libro che aveva in mano sulla prima pila disordinata che gli capitò - era una libreria vecchia, labirintica, ordinata senza senso logico, piena solo di usato e di storie da raccontare o, nel suo caso, da vedere tramite Discorso sulla decadenza. Inclinò il collo per lasciare spazio all’ex tutto fare e ricevere i suoi baci, la barba sfatta e ispida a pizzicargli la pelle.

“Dazai mi ha detto che stai cercando qualcosa di nuovo da leggere.”

Ango sospirò, lasciando fluire un gemito altrimenti rumoroso. Le dita di Odasaku stavano conquistando parti di lui senza impegno, accendendo un desiderio inappropriato - ma la vocina si spense con un altro bacio dietro l’orecchio.

“Hai… qualcosa da consigliarmi?”

Ma la mente del quasi scrittore sembrava da tutt’altra parte e non giunse risposta, nonostante la conversazione l’avesse accennata lui. Voltò Ango e lo spinse, senza irruenza ma con decisione, contro la scaffalatura. Era inchiodata a terra e così stipata che neanche scricchiolò nel sostenere il loro peso. Le dita dell’ex spia, coperte dai guanti di pelle - una precauzione necessaria circondato com’era di ricordi impressi nei libri usati - si strinsero sulla camicia, mentre il resto di lui accoglieva quel fuori programma.

Sul serio, Ango si sarebbe auto denunciato se avesse dato retta alla ragione. Lasciò invece le redini all’istinto, alla voglia di sentire invece che di pensare. Avrebbero potuto essere beccati, ma in quel caso Odasaku lo avrebbe visto con cinque secondi di anticipo - sarebbe stata poi intenzione dell’ex tuttofare dare retta o meno a Flawless. Erano adulti da molto tempo - troppo tempo - ma in quel momento entrambi non davano l’idea di conoscere alcuna regola o pudore.

Abbandonarsi al piacere in una libreria doveva però essere uno di quei guilty pleasure che Ango non sapeva di avere. L’odore di Odasaku mischiato alla carta, all’idea della letteratura, dei manuali, della saggistica immobile lì ad accogliere i pochi e soffocati gemiti che si lasciavano sfuggire, era qualcosa che riempiva la parte di mente ancora cosciente dell’agente del governo.

Era come con Dazai, quelle rare volte che si incrociavano all’Agenzia di Detective e fatalmente l’infermeria era vuota, o come con Chuuya, quando irrompeva nel suo ufficio e la scrivania diventava l’unico sostegno a cui aggrapparsi. Luoghi e momenti del tutto inopportuni, sbagliati, scovenienti in una misura tale che, a posteriori, era meglio non pensarci o sarebbe stato addirittura peggio - emozioni che correvano libere, arrossando guance e generando un calore poco utile più in basso.

Ango aveva fatto a meno di tutto quello per la sua intera esistenza, eppure l’impressione era quella di un albero che aveva aspettato troppo per donare i propri frutti e ora ci fosse solo abbondanza, tanto, troppa. Era strano, era probabilmente un comportamento in cui ricercarne cause, eppure l’ex spia riusciva solo ad addentare quei doni insperati e lasciare che la polpa gli macchiasse anche i vestiti.

Perdere tutto ti cambia la vita.

Era banale quanto era una verità così semplice da non lasciare spazio a no, forse, ma.

Un tempo aveva vissuto quasi esclusivamente di bugie per far quadrare tutto. Era lavoro, era una missione. Il lato umano lo aveva colto alla sprovvista prima con una sequenza di graffi minimi, giustificabili, finché non era affondato un arpione. Lo squarcio era stato doloroso, netto ma dai bordi frastagliati. Aveva perso Odasaku, Dazai e Chuuya in una sequenza tanto veloce quanto ricca di errori, sbagli, di se mai realizzati.

Con quale razionalità poteva affrontare il ritorno, negli anni a seguire, di tutto quel bagaglio emotivo? Come una valigia persa in aeroporto e inaspettatamente riconsegnata dopo anni, senza neanche un bigliettino di preavviso.

Ango l’aveva accettata senza pensarci due volte. Ci sarebbe potuta essere dentro una bomba, non gli era importato. Andava bene così. Andava bene chiudere gli occhi al buio, vagare alla cieca e, semplicemente, fidarsi.

Quando Odasaku li portò entrambi al piacere, lì contro la libreria stipata di romanzi, fiabe e biografie, lasciarono entrambi un’altra storia impressa nel silenzio e nella memoria. Forse qualcosa da raccontare, un giorno, sperando di essere ancora insieme.

In quel momento, tornando in loro, si concessero soltanto una breve risata e un sospiro nel districarsi, risistemarsi e salvare le apparenze al meglio.

“Hai trovato qualcosa da leggere?” sospirò Odasaku, passandosi una mano tra i capelli e guardandosi intorno come se fosse appena entrato.

“Non ancora…”

L’ex tuttofare accennò un piccolissimo sorriso, che per chi lo conosceva voleva dire molto.

“Meglio così. Il mio regalo di San Valentino non sarà un di più.”

Ango a volte si chiedeva come meritasse tutto quello che aveva. 




Domenica - e quindi San Valentino - arrivò in un battito di ciglia.

Per Ango fu come rivivere il giorno di un esame. L’ansia di non essere all’altezza, di impappinarsi davanti al professore, ricevere un voto poco soddisfacente. Appena varcò la soglia della suite deluxe affittata per l’occasione, Chuuya pensò bene di fargli passare subito il pensiero mettendogli in mano un calice di vino.

“Bevi e cerca di rilassarti. Qui l’unico a cui può succedere qualcosa di brutto e inevitabile è lo Sgombro.”

“Sempre carino nei miei confronti” borbottò Dazai, arrivando alle spalle di Chuuya e lasciando scivolare le braccia intorno al suo collo. “A me non lo hai offerto il vino e sono qui da prima!”

“Fottiti.”

“Di già?” e il detective cercò di afferrare il suo bicchiere, ma il Dirigente si oppose in tutte le maniere, finendo col mettere su un teatrino dei loro. Ango ebbe così il tempo di appoggiare la busta con le scatole di cioccolatini sul piano della cucina e dare poi una chance al vino. Non si stupì di come scivolò sulle sue papille gustative inondandolo di un sapore inebriante e sciogliendo quei nervi annodati stretti.

“Il piano della Lumaca è farti ubriacare prima del dessert, io ci andrei piano” scherzò Dazai, arrivandogli vicino e scrutando la busta che si era portato dietro. Era trasparente ma elegante, con stampato il nome della cioccolateria in oro e dentro si potevano scorgere tre scatole incartate finemente. Le guardò con uno sguardo indecifrabile, con una storia negli occhi mai raccontata. “La consiglieresti a Odasaku la prossima volta?”

Ango ricordò la conversazione nella vasca e comprese quell’occhiata dal sapore malinconico.

“Se le vendite del suo primo libro andranno bene non avrà problemi a comprarle.”

Entrambi risero. Suonarono alla porta e Chuuya marciò verso l’uscio con un cipiglio contrito. Era Odasaku.

“Toglimi dalle scatole lo Sgombro o giuro che lo butto di sotto” minacciò il Dirigente come saluto. Nonostante questo, Odasaku si chinò a dargli un bacio mentre entrava e Chuuya sembrò calmarsi subito - e anche arrossire leggermente. 

La loro dinamica era probabilmente la più particolare, quella che lasciava sempre sia Ango sia Dazai incuriositi. Sembrava di vedere un domatore di tigri alle prese con un cucciolo particolarmente riottoso e messo all’angolo a soffiare. Ma, come tutti avevano sperimentato almeno una volta, la calma e le mani di Odasaku sapevano risolvere ogni situazione.

“Ho portato il dolce” disse quando si staccò, come se non fosse successo nulla, alzando una delle buste che aveva con sé. Ma quella che attirò di più l’attenzione fu la seconda, piena di pacchetti regalo. Fu Dazai il primo ad avvicinarsi, già ridacchiante.

“È San Valentino, non Natale.”

“Non riuscivo a decidermi.” L’ex tuttofare aggrottò la fronte, fissando lui stesso la busta. “È la prima volta che lo festeggio.”

In maniera forse sciocca, Ango si sentì meno sulle spine dopo quella confessione. Bevve il resto del vino e trovò lo spirito per avvicinarsi.

“Cosa prevede il programma? Scendiamo a cena al ristorante?”

Erano nell’hotel più lussuoso di Tokyo - era inutile soppesare l’idea che fosse la Port Mafia a pagare quella serata, visto che aveva organizzato tutto Chuuya - e sarebbe stato uno spreco non approfittare dello chef stellato per cui era ulteriormente famosa la struttura. Il vino doveva avergli messo un certo coraggio per farlo pensare così a ruota libera.

Chuuya stirò un sorrisetto molto vicino a essere un ghigno.

“Perché mescolarsi alla plebaglia quando possiamo avere il servizio in camera senza venire disturbati. Se dovessi per sbaglio ammazzare Dazai avrei pochi testimoni di cui occuparmi.”

“Odasaku, difendimi tu!” e il detective finse di svenire tra le braccia dello scrittore, che lo afferrò nonostante le mani ancora impegnate a tenere le buste.

Ango si concesse di stirare le labbra e lasciarsi trascinare dalla situazione allegra.

Era il suo primo San Valentino e ci era arrivato facendosi una serie di paranoie inutili perché sarebbe stata una serata come un’altra in compagnia delle persone su cui si reggeva il suo mondo. Cioccolatini, vino, regali, piani a parte, poteva solo rilassarsi e lasciarsi andare e godersela.


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COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Oscurità
Numero parole: 1006
Rating: Verde
Warning: //
Note: cose indefinite 




Avevano stretto un patto, ma quella notte entrambi stavano giocando col fuoco.

Entrambi lo erano. Fiamme con tonalità diverse.

C’era un’ironia di fondo, marcia, che rideva nell’ombra - come se lui fosse ancora lì a farsi beffe di un mondo tenuto all’oscuro, che non aveva minimamente intuito che cosa avesse avuto intenzione di fare. O quando tutto fosse cominciato. O perché.



La prima volta che Chuuya aveva incontrato Oda Sakunosuke dopo l’accaduto gli erano state chiare diverse cose, nessuna davvero con un senso se non l’intuizione base che combaciassero anche senza avere bordi precisi, definiti da una spiegazione. Aveva imprecato, bestemmiato, aveva insultato quel rivale, quel Boss che non era più che un nome ormai. Dazai non esisteva più in una forma fisica per poter essere picchiato e per fargli passare la voglia di giocare con la vita della gente, anche - soprattutto - dopo il suo suicidio.

Era troppo tardi e Chuuya non si era accorto di nulla. Non aveva capito un cazzo.

La verità era arrivata dopo.

Per bocca del White Reaper, così traumatizzato che riuscire a cavargli di bocca qualcosa senza ucciderlo era stata un’impresa.

Dal racconto di quel pulcino nero letale dell’Agenzia, incapace anche lui di scendere nei dettagli. Dettagli che, alla fine, si nascondevano nelle pieghe di tutto ciò che era rimasto taciuto.

Chuuya aveva dovuto indagare per conto proprio per formulare un’ipotesi quanto più vicina a dargli pace.

Aveva frugato in note confuse, appunti a margine di documenti che parlavano di altre vite, di altri mondi, di altri sé.

E poi quel nome, ripetuto in solitaria, scritto dove nessuno lo avrebbe cercato, ma ovunque per essere trovato.

Odasaku.

Odasaku.

Odasaku. Odasaku. Odasaku.

Un’ossessione.

Un quadro rubato. La morte di Mori. Il ragazzo tigre.

A Chuuya era venuto il vomito a comprendere quanto in profondità le radici di quella follia affondassero. Come Dazai avesse non previsto, ma orchestrato ogni singolo giorno delle loro vite da anni, anni, anni. Erano stati pedine su una scacchiera costantemente tirata a lucido, eppure immersa nell’oscurità. Ogni mossa, ogni pedone mangiato, ogni pezzo conquistato non era stato un caso.

E la cosa più terrificante era che Dazai aveva avuto come avversario solo se stesso.

Non c’erano altri antagonisti in quella storia. Più scavava, più Chuuya comprendeva di avere avuto al fianco, per sette anni, una persona che non conosceva davvero.

Per questo aveva cercato il Re per cui tutte quelle mosse erano state realizzate.

L’unico pezzo bianco sulla scacchiera.

Il solo che avesse avuto reale valore agli occhi di Dazai.

La persona per cui si era lasciato cadere nel vuoto dal palazzo più alto della Port Mafia.

Odasaku.



Anche Odasaku lo aveva cercato.

O meglio, aveva cercato delle risposte a quel miasma oscuro che era seguito al singolo incontro avuto con Dazai Osamu al Bar Lupin.

Qualcosa si era incrinato, ma non se ne era accorto.

Aveva sentito dell’odio per quel Boss che si era seduto di fianco a lui chiamandolo con una familiarità fuori luogo - con una disperazione e una felicità miscelate in uno sguardo tremante.

Qualche ora dopo era morto. Aveva terminato la propria esistenza. 

Dopo aver voluto bere un’ultima volta con lui, uno sconosciuto.

Ma più Odasaku riguardava quel coccio di ricordo recente, più aveva la sensazione che da qualche parte ci fosse un vaso rotto, e che la colpa fosse anche sua, ma non aveva idea di dove cercare gli altri pezzi per rimetterlo insieme e capire.

Essere un detective nell’Agenzia di punta della città aveva i suoi vantaggi, soprattutto quando si aveva bisogno di affondare le mani nella melma dei bassifondi.

Quello che non si era aspettato di incontrare erano due occhi come i suoi, un po’ più chiari, in caccia di verità come lui.

Nakahara Chuuya, il braccio destro del Boss suicida.

Con tante domande quante le sue.

Con delle risposte macchiate da anni di sangue e ombre.

Ciò che entrambi non avevano calcolato era come l’uno stesse cercando nell’altro lo stesso fantasma.

Che Dazai avesse previsto o meno l’incontro di quelle fiamme, l’incendio divampò senza che se ne rendessero conto.



Chuuya aveva posto poche condizioni e Odasaku le aveva accettate.

Non avrebbero parlato.

Non avrebbero mai detto, per nessuna ragione, il suo nome.

Tutto sarebbe nato e morto nell’oscurità di una stanza.

Sarebbe bastato un messaggio, un luogo, sempre diverso, e prima dell’alba ognuno sarebbe tornato alla sua vita.

Il tutto mentre quella forma inconsistente, eppure permanente, che aveva assunto Dazai sarebbe rimasta a fissarli - dal fondo delle loro anime, dagli angoli negli specchi dove non guardavano, nei respiri che si toglievano a vicenda.

Chuuya aveva imparato a riconoscere gli spigoli del viso e del corpo di Odasaku e Odasaku aveva compreso presto quanto Chuuya potesse essere possessivo anche solo per una notte.

Non c’erano ruoli, non c’era clemenza e non c’era decenza. Quello che volevano se lo prendevano l’uno dall’altro.

Dazai avrebbe voluto lasciare una parte di sé sulle labbra di Odasaku e Chuuya le torturava di morsi ringhiando a quello stronzo morto che gli stava bene non averle. Odasaku subiva, per poi prendersi tutto ciò che il corpo di Chuuya poteva offrirgli, nel tentativo di arrivare più vicino a quello sconosciuto che aveva pronunciato il suo nome rendendolo una maledizione echeggiante.

Erano diventate due bestie assetate di rimpianti che non sarebbero mai state capaci di dissetarsi, non finché avessero continuato a ringhiarsi nel buio, come due randagi che si litigavano un osso. 

Dazai si era tolto dall’equazione, eppure ogni sospiro, ogni tocco, ogni morso, ogni urlo invocavano la sua presenza. 

Troppo tardi

Troppo tardi. 

Troppo tardi. 

Era l’unica cosa che rimbombava in quelle stanze sempre diverse. 

Insieme ai se, rintocchi così nitidi da ferire le orecchie. 

Era soltanto una storia con un fine scritto in calce, ma nessuno dei personaggi se ne era accorto. 

E continuavano a brancolare nelle profondità della notte, senza neanche più chiedersi che forma avesse la luce. 


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COW-T 12, terza settimana, M4
Prompt: Beautiful Dreamer
Numero parole: 500
Rating: Verde
Warning: ot3


«Ohi, Sgom-mmpfhh»

Chuuya alzò gli occhi crucciati sul viso di Odasaku, domandandogli solo con questi un Che diavolo fai!?

Con la mano non impegnata a tappare la bocca a Chuuya, Odasaku si portò un dito alle labbra per ribadire il concetto di fare silenzio. Il più giovane non fu d’accordo, non subito, e si agitò un poco - avrebbe potuto liberarsi facendo più pressione, ma si limitò a scuotere la testa.

Odasaku lo lasciò andare quando fu certo che non ci sarebbero state ulteriori rimostranze.

«Non svegliamolo» si limitò ad aggiungere, accennando a Dazai addormentato sul divano del salotto del loro appartamento.

Perché!?

Fu ciò che lo sguardo di Chuuya chiese con insistenza.

«Abbiamo una prenotazione per la cena» ribadì a parole, sottovoce, più simile a un sibilo, ma buttando un occhio che Dazai non si muovesse. Sapeva di avere problemi a regolare i toni di voce, però in quella situazione gli sembrava ridicolo.

Odasaku si strinse nelle spalle, posando a propria volta lo sguardo sul bell’addormentato.

«È stata una giornata lunga in Agenzia.»

Chuuya sbuffò, sempre contenendosi, e incrociando le braccia.

«Devo credere che abbia lavorato sul serio tutto il giorno?» ribatté scettico, continuando a guardare il partner, senza riuscire a staccargli davvero gli occhi di dosso.

Odasaku si sedette sulla poltrona davanti al divano, massaggiandosi un po’ il collo, ma anche lui incapace di discostare lo sguardo dall’ex Dirigente della Port Mafia.

«Abbiamo inseguito un ladro con abilità, individuato una bomba in un ufficio e cercato un bambino in grado di trasformarsi a piacere in qualsiasi tipo di rapace, ma senza controllo. La madre era disperata.»

Chuuya lo fissò sbattendo le palpebre.

«Ed è successo tutto oggi!?» si lasciò scappare, in un tono normale che provocò una reazione in Dazai, che arricciò il naso e sbuffò appena. Gli altri due si irrigidirono, ma dopo qualche secondo constatarono fosse ancora nel mondo dei sogni.

«… ok, possiamo andare più tardi, o farci portare la cena a casa» sospirò il rosso, sedendosi a propria volta. Non prese il cellulare subito per avvertire, rimase invece a fissare il viso placido dello Sgombro, in silenzio, insieme a Odasaku.

Non era più così raro vedere Dazai dormire - non da quando condividevano quell’appartamento e passavano la maggior parte delle nottate insieme - ma doveva ammettere che quel sonno così abbandonato e totale non lo vedeva tanto spesso. Di solito sarebbe bastato un piccolo rumore, una parola, un colpetto accidentale per destarlo. Dazai viveva di sonni leggeri - a meno che non fosse dopo una nottata di sesso e allora lì era più comprensibile - e sempre con la guardia alta.

In quel momento, invece, dava l’idea di essere completamente in pace. Stanco da una giornata impegnativa, comodo in una casa dove stava coltivando delle nuove radici, vegliato dalle persone che si erano fatte carico di quel vuoto che si portava dentro.

Chuuya capì perché Odasaku non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era certamente lo stesso motivo per cui non ci riusciva neanche lui.


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COW-T 12, seconda settimana, M1
Prompt: Punto di non ritorno
Numero parole: 1167
Rating: Verde
Warning: sappy


“Dazai.”

Il nome fu consumato dalla lieve brezza serale che carezzava le guance lievemente.

Il ragazzo espresse appena un mh, senza staccare gli occhi dalla rivista che stava leggendo alla scarsa luce dei lampioni. Odasaku fece un passo avanti, gli occhi che si interessarono appena al magazine e tornarono invece sulla figura del giovane Dirigente.

“Stasera è più freddo. Dov’è il tuo cappotto?”

Dazai non si mosse se non per un solo braccio e un indice, che puntò alle proprie spalle, verso la spiaggia. Gli occhi di Odasaku individuarono una forma nera ammucchiata e lambita dalle onde sulla battigia, non abbastanza per essere portata via. L’uomo lanciò uno sguardo di striscio prima al ragazzo, poi di nuovo al povero cappotto abbandonato. Valutò se andare a recuperarlo, ma era stanco e provato dalla giornata appena conclusasi, con impegni che lo avevano portato a girare mezza Yokohama. Un cappotto fradicio poteva aspettare lì dov’era, finché la marea non si fosse intensificata.

Si sedette di fianco al ragazzo, sul muretto che separava la strada dalla spiaggia, ma a differenza di Dazai, non diede le spalle al mare. Un po’ per tenere d’occhio che il soprabito che il Boss aveva donato al giovane Dirigente non sparisse tra le onde da un momento all’altro, un po’ perché il mare era un orizzonte che lo avrebbe sempre attirato a sé.

Come se fosse scattato un meccanismo, Dazai scivolò verso la spalla di Odasaku, appoggiandosi a lui, senza mai distogliere l’attenzione dall’articolo tra le sue dita.

“Sapevi che questa è una settimana fortunata per i Gemelli?”

Odasaku corrugò la fronte, guardando Dazai, ma potendone osservare solo i capelli scuri.

“Segui l’oroscopo?”

“Vuoi sapere cosa dicono degli Scorpioni?”

“Non credo a queste cose.”

“Neanche io, ma sono divertenti. Ogni tanto le leggo a Chuuya e lui finisce col crederci, lo si capisce da come si comporta il resto della giornata. È come guardare un film con un pacchetto di popcorn.”

Il tuttofare sbuffò divertito, senza nasconderlo.

“Cosa dicono degli Scorpioni?”

Porterete i Gemelli in qualche bel posto, come la prima volta.

La fronte dell’uomo si corrugò di nuovo. Questa volta, quando abbassò lo sguardo, trovò l’occhio non bendato del ragazzo a ricambiarlo.

“Vuoi andare da qualche parte?” chiese accondiscendente, cedendo anche a un sorriso piccolo come una margherita.

“Magari più tardi…”

“Già… qui non è male” constatò Odasaku, tornando a soffermarsi sulle onde spumose e alla notte che si rifletteva sul mare. “Dice altro?”

Gli Scorpioni e i Gemelli faranno qualcosa che stanno rimandando da un po’ di tempo…”

“Hai beccato un oroscopo molto specifico.”

“Sembra parlare proprio di noi, vero? Che coincidenza.”

“Un qualcosa che stiamo rimandando da un po’ di tempo, eh?”

Odasaku si sporse all’indietro senza preavviso e Dazai, appoggiato alla sua spalla, scivolò contro il suo petto, ritrovandosi ad appoggiare la testa nell’incavo di un braccio lì apposta per sorreggerlo. La rivista gli cadde dal muretto sull’asfalto con un suono netto, come di un orologio che batteva una nuova ora. L’occhio vigile del giovane Dirigente osservò il viso che lo sovrastava. Odasaku sfoggiava un nuovo, placido sorriso. La posizione non era comoda, ma Dazai non si mosse.

“Ci ho pensato a lungo” iniziò il tuttofare. La sua voce si mescolava al rumore del mare e le dita con cui stava accarezzando la guancia del più giovane avevano la stessa premura delle onde in una giornata di sole con poco vento.

“Cosa hai concluso?” lo seguì piano Dazai, così piano che se non fossero stati tanto vicini non si sarebbe potuto ascoltarlo. Non c’era esitazione nel tono, ma la delicatezza di una speranza.

“Che lo voglio” disse altrettanto piano Odasaku, perché quello era a tutti gli effetti un segreto, la chiave per un giardino segreto che poteva pesare quanto una roccia legata alle caviglie, se le cose non avessero funzionato. Eppure, in quel momento, tutto era leggero come una piuma nell’aria.

“Non si torna indietro” lo avvertì Dazai, perché era suo dovere, lui che da sempre stava a guardia di un futuro che dipingeva le pareti di lilla come di rosso sangue. “Non potremo più essere quello che siamo ora…” Non c’era, di nuovo, alcuna esitazione, ma i demoni amavano i contratti perché non credevano nei sogni. Le braccia in cui Dazai era stretto erano un sogno troppo consistente per essere reale.

“Non mi piace guardarmi indietro” fu la replica di Odasaku, vicino alle sue labbra. “Quello che ho ora è quello che voglio. Tu lo vuoi?”

Dazai scelse il bacio come risposta.

Entrambi scoppiarono a ridacchiare di sollievo, stringendosi tra loro e nascondendo il viso nella confusione di braccia e petti rumorosi di battiti.

“Quindi… è iniziato il capitolo due della nostra storia?” chiese Dazai all’orecchio di Odasaku, inspirando l’odore della sua pelle mischiato alla colonia.

Mpfh… forse è più l’inizio di un seguito…”

Sentire Odasaku ridere senza vederlo portò Dazai a stringerlo più forte.

“La scriveresti mai, la nostra storia? Nero su bianco, cambiando i nomi dei protagonisti, cambiando città, cambiando vita… quelle cose da scrittori che si ispirano.”

“No” replicò il tuttofare, districandosi e tornando a cullare il ragazzo tra le proprie braccia. Anche se sulla sua bocca c’era una negazione, gli stava regalando un sorriso come mai Dazai l’aveva visto. “Se scrivi una storia prima o poi la devi anche concludere… Non mi piacerebbe scrivere un finale su di noi.”

“Siamo già passati alla fase romantica?” scherzò Dazai. “Vorrei crogiolarmi ancora un po’ in quella intellettuale. Mi piace parlare con te…”

“Anche a me” concordò Odasaku. Prese il giovane Dirigente e lo sistemò meglio dalla posizione assurda in cui era, portandolo a sedere tra le sue gambe. Dazai si accoccolò contro il suo petto, incastrando la testa tra la spalla e la gola. “Ma se mentre parliamo ti tocco ti darebbe fastidio?”

Dazai riuscì a mascherare il groppo di saliva che ingoiò, mentre la sua mano ricollegava le parole a un gesto, andando a intrecciare le loro dita.

“Intendi… tipo così?”

“Più o meno…” assentì Odasaku, anche se il suo tono nascondeva qualcosa che fece corrucciare la fronte al ragazzo.

“Hai in mente cose sconce?”

“Anche.”

“Puoi baciarmi di nuovo” cincischiò Dazai, osservando le loro mani strette. “O puoi toccarmi. Puoi togliermi le bende.”

La mano libera di Odasaku si strinse intorno alla sua vita a quelle parole e Dazai fece scivolare il viso finché le sue labbra non trovarono nuovamente l’orecchio del più grande.

Puoi spogliarmi l’anima” sussurrò, per poi ridacchiare appena. “Questa segnala per il tuo libro.”

Odasaku si svuotò i polmoni dall’aria, iniziando a capire cosa significasse siglare un contratto con un demone.

“Dazai… se fai così la fase intellettuale finirà a breve.”

“Chi ha detto che non potremmo parlare durante-”

“Questo.”

Odasaku lo baciò di nuovo, zittendolo.

Quando si separarono, Dazai gli picchiettò un dito sul petto.

Mh, potresti avere ragione… ma non sfidarmi.”

Entrambi risero, rubando di nuovo la scena a quella notte e al mare. 


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COW-T 11, sesta settimana, M3
Prompt: 006. You and your words flooded my senses, your sentences left me defenseless, you built me palaces out of paragraphs, you built cathedrals.
Numero parole: 778
Rating: SAFE
Warning:
Note: Una teoria vuole che BEAST sia una realtà alternativa creata da Dazai (dopo la Dark Era) attraverso il Libro per “far rivivere” Odasaku.
Chi sono io per non dare credito a questa angst-issima teoria e non scriverci su?

PS: il riferimento alla voglia di fumare viene dalla novel della Dark Era. 





You and your words flooded my senses,
your sentences left me defenseless,
you built me palaces out of paragraphs,
you built cathedrals.

[Hamilton, il musical]



Svegliati. 

Ehi, Odasaku, svegliati. 

E…

vivi.



Oda aprì gli occhi e si riempì i polmoni con una boccata di aria violenta. Le sue mani andarono automaticamente al proprio petto, tastandolo, ma il pensiero successivo bloccò quel selvaggio frugare contro la maglietta che usava per dormire. 

Cosa stai cercando?

Con un lungo sospiro, Oda regolarizzò il respiro, passandosi le mani sul viso e fermandole sulle tempie. Aveva un vago mal di testa, eppure era sicuro di aver dormito. Tentò di fare mente locale per ricordarsi se avesse bevuto troppo la sera prima, ma non riusciva proprio a rammentarlo. Per un attimo fugace ebbe la sensazione sbagliata di non doversi trovare lì. 

Alzò lo sguardo e si guardò intorno. 

Il suo appartamento era silenzioso e in penombra, anche se il brivido di qualcosa fuori posto non lo abbandonò. Adocchiò una bottiglia di whiskey e un bicchiere sulla scrivania e si convince di aver alzato troppo il gomito. 

Buttò fuori dal letto le gambe, poggiando i piedi sul pavimento; il freddo delle mattonelle gli trasmise una sensazione reale, dandogli un brivido più concreto che lo spinse ad alzarsi e lasciar perdere i pensieri senza capo né coda. 

L’aroma del caffè appena fatto e una nota appuntata sul frigorifero lo aiutarono a fare mente locale. Aveva il giorno libero, anche se Kunikida non aveva approvato, perché voleva dire lasciare l’Agenzia da sola a gestire Akutagawa. 

Kunikida. Akutagawa

Oda ebbe bisogno di ripetere quei nomi, come se si fosse dimenticato del loro suono.

Kunikida era il suo partner in Agenzia. Akutagawa il ragazzino che aveva salvato da se stesso qualche anno prima. Le pensò come informazioni didascaliche, come un altro appunto trovato per caso nella memoria. Concluse che era meglio non toccare il whiskey per un paio di giorni se era arrivato a quel punto. 

Mandò giù il caffè e si concesse una merendina, constatando di avere la dispensa vuota. Un altro dei motivi per cui doveva aver preso il giorno libero. Con uno sbadiglio si spostò verso la scrivania, passandosi ancora la mano sulla faccia e, inconsciamente, sul petto. Aveva una vaga voglia di fumare, come quando interrompeva una sigaretta sul più bello, se non fosse stato che aveva smesso da anni. Eppure aveva il sapore lì, sulle labbra. 

Sbuffando, nel tentativo di liberarsi di tutte quelle sensazioni sconclusionate, si sedette sulla sedia e prese i suoi quaderni di appunti, sfogliandogli pigramente. 

Una villa occidentale abbandonata.

Dei mercenari, morti. 

Un uomo coi capelli argentei e il sorriso folle di chi non ha nulla da perdere.

Odasaku si portò le mani alle tempie, strizzando gli occhi e prendendo un’altra boccata d’aria, sentendo il petto dolore. Non capiva cosa fossero quei flash. Sembravano le scene di un qualche film, ma non aveva visto nulla di recente, non le riconosceva, eppure le aveva impresse in prima persona. 

Due spari, troppo precisi. 

Un ultimo sguardo. 

Un addio.



Il vibrare del cellulare lo svegliò di nuovo. Oda aprì gli occhi sentendo il collo indolenzito. Tirandosi su, notò gli appunti sparsi sulla scrivania, la penna caduta in terra, il bicchiere di whiskey rovesciato di fianco al braccio. 

Con una smorfia, premendosi le dita sul setto nasale nel vano tentativo di mitigare il fastidio alla testa, Oda recuperò il cellulare e rispose. 

«Pronto?»

Dall’altra parte riattaccarono. Oda guardò il display, ma c’era solo la dicitura Numero sconosciuto

Stanco - ed era solo prima mattina - riappoggiò il cellulare sulla scrivania, dando una panoramica al tutto. Ricordava di essersi seduto, di aver iniziato a sfogliare gli appunti, e poi aveva avuto delle fitte alla testa, ma non ricordava per cosa. Era come se avesse sognato e il tutto fosse sparito al primo barlume di coscienza.

Aprì uno dei quaderni, il più vicino, dove aveva lasciato il segno con la penna. Il suo sguardo si assottigliò, leggendo le ultime quattro righe che aveva scritto: 


Tu e le tue parole avete inondato i miei sensi,
le tue frasi mi hanno lasciato indifeso,
hai costruito per me palazzi dai paragrafi,
hai costruito cattedrali


Oda si ritrovò a leggere e rileggere quelle poche parole senza trovarne il senso, eppure sentendole nel profondo. Con le dita di una mano si stava stringendo il petto, mentre l’altra passava su quegli ideogrammi vergati con la sua calligrafia, ma che non sentiva propri. 

Non capiva. 

Ma il telefono ricominciò a vibrare, distraendolo. 

«Pronto?»

«Abbiamo un problema con Akutagawa. Non vuole uscire da sotto la scrivania.»

Oda riconobbe Kunikida e, senza capire il perché, trovò confortante quell’appiglio che gli era appena stato lanciato. Era troppo frastornato, troppo pieno di sensazioni che non capiva, per passare una giornata da solo. 

«Mi vesto e arrivo.»


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COW-T 11, sesta settimana, M3
Prompt: 009. I imagine death so much it feels more like a memory.
Numero parole: 568
Rating: SAFE
Warning: //
Note: Dark Era o giù di lì ~



I imagine death so much
it feels more like a memory.
[Hamilton, il Musical]



«Ormai immagino la morte così tanto che sembra più un ricordo.»

Ango e Odasaku rimasero col bicchiere sospeso a un soffio dalle labbra. Si voltarono a guardare sorpresi il Dirigente della Port Mafia seduto tra di loro. Erano al Lupin Bar da ore, la mezzanotte era passata ed era innegabile che anche loro avessero ormai superato la soglia della sobrietà. 

«Ricordi di essere morto?» domandò Odasaku piano, per non spezzare l’atmosfera che si era appena creata. Il tempo sembrava essere scivolato fuori dal limbo in cui erano immersi, fatto di odore di tabacco, whiskey e musica leggera di sottofondo. 

«È ubriaco» sussurrò Ango in risposta, inclinandosi appena per adocchiare il più grande oltre le spalle del Dirigente. Tuttavia, il rossore sulle gote della spia era più accentuato rispetto agli altri due, benché sembrasse mantenere meglio il suo classico aplomb

Dazai fece spalluce, tirando una schicchera al bicchiere davanti a lui. Una goccia dell’alcolico schizzò sul bancone e lui la recuperò col polpastrello dell’indice, portandosela alle labbra. 

«So cosa si prova con una corda al collo che ti toglie il respiro un secondo alla volta. So com’è avere i polmoni come spugne pieni d’acqua. La sensazione di freddo per un quasi dissanguamento.»

Le parole di Dazai riempirono il piccolo spazio delimitato solo dalla loro presenza. Gli avventori intorno non si sarebbero mai avvicinati a gente che puzzava di Port Mafia lontano un miglio e questo dava loro tutta la privacy che, spesso, i discorsi sconclusionati del più giovane richiedevano. 

«Hai visto la luce in fondo al tunnel?» 

O la discrezione che le domande un po’ stravaganti di Odasaku necessitavano. 

Dazai scoppiò in una piccola e genuina risatina. Al suo fianco, Ango sospiro pesantemente, poggiando il bicchiere come se si fosse accorto in quel momento di bere la stessa cosa degli altri due e potesse finire contagiato dalla medesima stupidità. 

«Non c’è alcuna luce da nessuna parte» celiò Dazai, scivolando sul bancone per la stanchezza, la testa appoggiata sulle braccia incrociate. Fissò Odasaku dal basso verso l’alto con quell’unico occhio non bendato, ammorbidito da quella battuta che aveva spezzato la tensione del suo discorso. 

«È sempre tutto molto buio» aggiunse con un sospiro. «Non penso sia sbagliato quando si dice che la morte sia nera. Non posso assicurare sul genere, non mi sembra di aver mai visto una Signora. Tu che ne pensi, Ango?» concluse, voltando la testa nella sua direzione e strusciando la guancia sulla manica. 

«Io che ne so» borbottò il quattrocchi, massaggiandosi le tempie con le dita di una mano. Erano arrivati a degenerare come al solito. 

«Ogni giorno cerco di immaginare un nuovo modo per farla finita, perché non provi anche tu?» propose Dazai, riacquistando un po’ della sua verve per gli argomenti insensati. 

«A che pro?» 

Ango stette al gioco, ma non tardò a pentirsene. 

«È un ottimo esercizio. Prima o poi moriamo tutti, no? Se lo immagini, forse sarà meno doloroso. Io non voglio una morte dolorosa.»

La spia scelse di tacere e tornare a bere. Era l’ora di stordirsi. 

«E tu Odasaku? Immagini mai di morire?» 

Dazai tornò all’attacco, girandosi di nuovo verso il maggiore. 

«Non per il momento» sospirò l’uomo, ordinando un altro giro di whiskey. 

Il Dirigente si tirò su a sedere, stiracchiandosi. 

«Prima vuoi scrivere il tuo romanzo?»

«Già.»

«Non vedo l’ora di leggerlo! E voglio l’autografo!»

Era una di quelle serate


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COW-T 11, prima settimana, M2
Prompt: Threesome
Numero parole: 1467
Rating: SAFE
Warning: domestic fluff scemo
Note: io e la mia convinzione che in qualche maniera Odasaku sia ancora vivo. 



Chuuya fu il primo a mettere piede dentro casa e tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé. Pace, tranquillità e soprattutto nessuno che gli facesse notare di essere in ritardo e questionasse sul motivo, mettendolo alle strette - e in imbarazzo - nel cavargli di bocca che, sovrappensiero, si era sbagliato ed era tornato in automatico al proprio vecchio appartamento. 

Era questione di abituarsi. Un’abitudine nuova che non si era ancora radicata dentro di lui. 

Fece cadere le chiavi nella ciotola dell’ingresso, buttò il cappotto sull’appendiabiti e, una volta toltosi i guanti, liberò dalle asole i primi due bottoni della camicia, prendendo un respiro più ampio. 

A ogni passo, una luce si accendeva, regolata a un’intensità bassa, tenue, non fastidiosa, dandogli un’intrinseca soddisfazione. Partì anche della musica - una delle sue playlist serali - e le note riempirono l’ampio salotto mentre lui raggiungeva la cucina a vista e, precisamente, lo sportello più grande con la sua piccola cantina personale, quei vini che preferiva tenere a portata di mano. 

Mentre la musica cambiava e lui, rilassato, le stava dietro canticchiando a bocca chiusa, scelse una bottiglia secondo l’inclinazione di quella serata. Era stata una giornata lunga, non pesante in modo particolare, ma si sarebbe bacchettato volentieri tra sé e sé per il continuo sovrappensiero che non l’aveva mai abbandonato, distraendolo in continuazione e finendo col dovergli far mettere qualche pezza quando qualcuno (Kouyou, Hirotsu, Kajii, persino Akutagawa…) glielo aveva fatto notare. 

Chuuya stappò il vino e lo versò sempre con la testa altrove, mentre gli occhi spaziavano il salone senza vederlo davvero, ma restituendogli la sensazione di qualcosa di compiuto, nuovo da scoprire, eppure, allo stesso tempo, di cose messe a posto correttamente, senza riferirsi nel concreto al mobilio o agli oggetti circostanti. Un pezzo della sua vita era cambiato radicalmente e - non lo avrebbe mai ammesso - totalmente in positivo, uno standard a cui non era abituato. 

Il Dirigente della Port Mafia si spostò dalla penisola della cucina per appoggiare calice e bottiglia sul tavolino davanti al divano e lasciarsi cadere su questo con un sospiro del tutto liberatorio e anche troppo sonoro, come a saggiare come questo rimbalzasse tra le pareti, dissipandosi tra le note musicali. 

Sorrise. Tra sé, all’ombra di quella solitudine momentanea che sarebbe potuta durare minuti quanto ancora delle ore, ma che non sarebbe più stata - se non occasionalmente - permanente. 

Sempre col sorriso, si dimenticò del vino e della musica, scivolando più comodo tra i cuscini del divano. Come per le luci intelligenti, la maggior parte del mobilio lo aveva scelto lui stesso e si diede una metaforica pacca mentale per quelle decisioni azzeccate, mentre la coscienza scivolava verso l’inconsistenza dei pensieri, facendolo addormentare. 



Uffa.” 

Non ci fu un reale seguito a quella lamentela, se non una sequenza di rumori bassi e calcolati in modo da non risultare fastidiosi, differenti dall’ennesimo sbuffo da parte di Dazai. Il detective era appollaiato su una delle sedie della cucina, braccia conserte, guance gonfie per far notare meglio il proprio muso lungo. Si voltò di tre quarti verso i fornelli, fissando accusatorio Odasaku. 

“Sei noioso” sottolineò per la terza volta, ricevendo solo un sospiro distratto, mentre quest’ultimo, maniche arrotolate ai gomiti, improvvisava la cena. 

“Ancora dieci minuti” replicò il più grande, concentrato nel non bruciare nulla e lasciando intendere un pacato Stai buono

Dazai levò le mani al soffito in un gesto melodrammatico e frustrato, ma non lo accompagnò con alcuna battuta. Rivolse un altro sguardo al soggetto del suo doversene stare buono, senza riuscire però a trattenere un tch.

Avevano finito il turno in Agenzia con un’ora di ritardo grazie alla brillante idea di Dazai di inviare tutti i propri report in formato aeroplanino di carta. Kunikida aveva rincorso il partner per l’intero ufficio, mentre Odasaku e Atsushi si erano messi a dispiegare tutti i fogli di carta, tentando di salvare il salvabile. 

Se Dazai si era fatto quasi trascinare a casa perché aveva finito le energie, queste erano tornate all’improvviso quando, una volta varcata la soglia - non senza una sensazione strana addosso, era tutto nuovo anche per loro - si era accorto di come Chuuya si fosse addormentato totalmente abbandonato e indifeso sul divano. La sua espressione beata aveva fatto scattare in Dazai la molla della malizia, prontamente bloccata da una mano di Odasaku sulla spalla, prima che potesse fare danni. 

Un quarto d’ora dopo, Dazai era ancora seduto dove Odasaku gli aveva chiesto di aspettare, fissando Chuuya e fremendo dalla voglia di avvicinarsi e combinargli qualcosa; quella sua faccia così beatamente nel mondo dei sogni gli stava ispirando gli scherzi peggiori.

“Ci sono così tante cose che potrei sussurrargli all’orecchio, non so da quale iniziare” borbottò Dazai, mentre con un dito si tamburellava una guancia. 

Alle sue spalle, Odasaku aveva spento i fornelli e stava riepiendo le ciotole col riso saltato. 

“Oh, oppure” riprese a ponderare Dazai, mettendosi dritto con la schiena. “Potrei andare a prendere quella piccola bacinella sopra la lavatrice e farglici scivolare dentro le dita…” 

Odasaku gli appoggiò davanti la ciotola col riso, accompagnandola con uno sguardo che sarebbe parso per lo più dubbioso, ma che Dazai avvertì addosso come una blanda pressione, qualcosa che diceva Non essere così pestifero

Il compagno spostò l’attenzione sul cibo, poi di nuovo su Chuuya e infine su Odasaku, ancora in piedi. 

“Non lo svegliamo?” e aggiunse, sbattendo le palpebre con una mano davanti alla bocca. “Vuoi che muoia di fame?” 

Un fugace guizzo del sopracciglio di Odasaku stanò senza riserve tutta quella finta innocenza con cui Dazai stava ammantando il proprio discorso. 

“Se non mangia non potrà sperare di crescere.”

Dazai.” 

“Sono solo preoccupammphh-”

Odasaku aveva iniziato a essere più concreto ed espansivo nei gesti, ma soprattutto inaspettato. Come fu il cucchiaio pieno di riso che infilò in bocca a Dazai, mantenendo la stessa impassibile espressione, per poi voltarsi e avvicinarsi al divano. 

Chuuya non diede segni di averli sentiti. Il petto si alzava e abbassava con regolarità e le ciglia ogni tanto fluttuavano per un movimento improvviso delle palpebre. Con una mano sullo schienale del divano e una sul bordo, Odasaku si chinò su di lui. 

Il bacio fu lieve, sulla guancia, più un premere le labbra per saggiare la reazione del Dirigente. 

Il corpo di Chuuya ebbe appena uno spasmo, minimo, ma sembrava troppo rilassato per scattare, quasi consapevole di non essere in pericolo, tutt’altro. Mugugnò appena, inclinando il viso e permettendo a Odasaku di lasciargli un altro bacio, all’angolo della bocca, e un altro scenendo sul mento. La musica in sottofondo era una carezza quanto le labbra che stavano svegliando Chuuya. 

Schiuse gli occhi, ma il tanto che gli bastò a trovare il viso di Odasaku e guidarlo con una mano verso di sé per un contatto più serio. 

Aaaw, il bacio del vero amore che svegliò la principessa” belò una voce sopra le loro teste, anche se il tono canzonatorio fu inquinato dal ciancicare della mandibola. 

Dazai era appoggiato allo schienale della poltrona, con una mano teneva la ciotola del riso mentre con l’altra si era armato dello stesso cucchiaio con cui Odasaku l’aveva messo a tacere e che ora stava pulendo di ogni chicco di riso. 

Allungando appena il collo per poterlo fulminare con lo sguardo, Chuuya disse addio a quel bel risveglio, ma la mano trattenne Odasaku dall’alzarsi, anche se la sua attenzione fu tutta per quello che non poteva davvero più chiamare ex partner. 

Non mangiare sul divano nuovo” abbaiò e gli scappò davvero un ringhio. “Ti ammazzo.”

Dazai si portò alla bocca una cucchiata particolarmente ricca, consapevole che un paio di chicchi gli scivolarono dalle labbra, finendo però nella ciotola. Il suo sguardo non lasciò quello di Chuuya un solo attimo, anche quando avvertì quello vagamente esasperato di Odasaku. 

Due contro uno? pensò con un sorrisetto Dazai, continuando a masticare. 

Fu inevitabile quanto volontario il chicco di riso che cadde dalla successiva cucchiata e che, a rallentatore, seguito dagli occhi di Chuuya, scivolò su uno dei cuscini di quel divano appena comprato che non aveva neanche una settimana di utilizzo. 

Io. Ti. Ammazzo. DAZAI!” 

Odasaku fece appena in tempo a tirarsi indietro prima che Chuuya scattasse, così rapidamente che Dazai gli sfuggì per una prontezza di riflessi davvero invidiabile, il tutto tenendo la ciotola saldamente tra le mani. 

La musica d’atmosfera fu soppiantata dallo scalpiccio con cui i due si inseguirono per casa, rischiando di coinvolgere una piantana, un poggiapiedi e uno scatolone ancora non aperto del trasloco. 

Odasaku recuperò il chicco della discordia e si alzò per tornare in cucina, sedersi e inziare a consumare la propria cena, seguendo con gli occhi le due calamità naturali che aveva accettato di avere come compagni di vita. 


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Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 702

Rating: SAFE


Note: alla fine.





Al Lupin Bar esistono solo serate tranquilla. La musica di sottofondo, gli avventori anonimi che fumano negli angoli della sala, il barista con un una espressione statica ma sempre cordiale, non importa la domanda, i discorsi, le promesse. 

Dazai scende la scalinata con un sorriso già preparato. Ha le mani nelle tasche del trench chiaro, un motivetto appena accennato a labbra chiuse e la tensione nelle spalle di chi non si sente padrone della situazione, ma dissimulata bene grazie ad anni di esperienza. 

"Yo, Odasaku!" saluta, passando dietro all'uomo e prendendo posto di fianco a lui. "Da quanto sei arrivato?" 

Odasaku poggia il whiskey con ghiaccio senza berlo. "Ho perso la cognizione del tempo" ammette con un'occhiata a nulla in particolare. 

"Avrai avuto la solita giornata impegnativa" ridacchia Dazai, ignorando il bicchiere che l'oste gli mette meccanicamente davanti. 

All'affermazione Odasaku replica facendo spallucce e prendendo un sorso del proprio drink. "Tu? Un altro caso all'Agenzia?" 

"Non mancano mai" cincischia Dazai, stiracchiandosi più per cercare di allentare l'irrigidimento dei muscoli che per reale stanchezza. "È sempre un treno in corso, ci si ferma raramente." 

"Non dovresti perdere tempo così allora" è il consiglio dell'altro, lanciandogli un'occhiata con la coda dell’occhio mentre continua a bere. 

"Nah, siamo nella fase in cui io non servo per adesso. Se la caveranno." 

Odasaku si volta a fissarlo apertamente con un'espressione così delle sue da fare male. Non aggiunge altro, fa spallucce, e Dazai tenta di riderne, ma fa solo un suono spezzato e molto lontano dall'allegria. 

"Dovresti stare più attento" riprende l’amico. "Tutto questo - e gli occhi spaziano il locale bloccato nel tempo - è una debolezza che potrebbero usare contro di te." 

"Stai parlando come avrebbe voluto Ango. Mi stai facendo la predica" replica Dazai con un sospiro. "Speravo potesse essere una delle nostre serate. E poi, anche se le proiezioni irrompessero dall'ingresso, mi proteggeresti, non è così?" 

Ancora una volta, con quell'innaturalezza portata avanti dal cercare di dare contorni netti ai ricordi, riempendo quei buchi di trama che Dazai si convince non possano esistere, perché sono memorie preziose e non vuole doverle mettere in dubbio, Odasaku lo fissa con un'espressione che sembra stampata da una fotografia, statica, sospesa in un momento che glitcha. Bloccata nel petto di Dazai, tanto da togliergli il respiro. 

Non replica. In realtà, non c'è bisogno di repliche. 

Quell'Odasaku, creato per metà dai ricordi, per un quarto dalla malinconia e per il resto dal desiderio, farà quello che il subconscio di Dazai gli ordinerà. 

Non agirà mai di propria volontà. Mai. Perché quello alla fine è un sogno. Un sogno simulato, il che riduce ancora di più le possibilità di speranza che soltanto uno spazio onirico genuino potrebbe regalargli. Ma tra il vivere di una menzogna che si infrangerà al mattino, aprendo gli occhi con un respiro sgretolato, e la menzogna data da un sogno simulato dove si possono comporre e vivere coscientemente i propri ricordi, Dazai ha scelto quest'ultima alternativa. Ha scelto di lasciare le briglie dell'inconscio e ricreare quello che non esiste più. 

Lo sa che sta lavorando. Lo sa che, oltre le porte del Lupin Bar, c'è un altro livello del sogno dove i suoi compagni stanno preparando tutto il necessario per la fase successiva. Tuttavia, il desiderio di essere lì, in quello spazio che potrebbe implodere su se stesso da un momento all'altro, fagocitando anche quella brutta copia di Odasaku, è più forte. 

"Dazai-san?" 

Atsushi appare in cima alle scale. Non è più titubante come la prima volta che è venuto a chiamare il proprio mentore. Ormai anche lui conosce quell'illusione. "Siamo pronti." Non può esimersi dal lanciare un'occhiata a Odasaku e fargli un cenno di saluto. Atsushi è troppo ben educato e timoroso verso i ricordi di Dazai. Ha un che di rispettoso e dolce. 

"Uffa, avete fatto prima del previsto" sbuffa Dazai, alzandosi in piedi, di nuovo le mani nelle tasche del trench, come se fosse stato seduto alla fermata dell'autobus e non nel suo posto preferito di sempre. 

Supera di nuovo Odasaku e solo quando è davanti al primo gradino per andarsene si gira verso di lui. "La prossima volta chiacchieriamo di qualcosa di più piacevole." 

Odasaku non può fare altro che annuire.



Noticina conclusiva: solo per dire che ho preso ispirazione da Inception. La base è sempre Bungo, ma con la tecnologia di Inception. 


sidralake: (Default)
 

Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato / Cuccioli

Numero Parole: 1186

Rating: SAFE



Sul documento che Dazai aveva ricevuto da Ango qualche ora prima c'era chiaramente scritto "Merce di lusso. Valore stimato per pezzo: 100,000 yen. Numero pezzi: 90 ca. Massima priorità ricerca compratori", ma nessuna voce riportava che i suddetti pezzi avessero la coda o abbaiassero. 

Dazai sospirò pesantemente, guardando di nuovo il documento e poi il magazzino in cui era stata "scaricata" la merce del container. O meglio, era stato lo stoccaggio più veloce di cui avesse memoria, essendo che ogni "pezzo", per citare il documento, fosse sceso di propria spontanea volontà dal trasporto. 

"Dazai" iniziò Odasaku, attirando l'attenzione su di sé. Era seduto al centro del magazzino e aveva un numero imprecisato di musi che lo annusavano e facevano a gara a riceverne le coccole. "Hai mai visto la Carica dei 101?" 

Era serio e Dazai sospirò di nuovo, incrociando le braccia. Abbassando lo sguardo, si ritrovò a fissare un altrettanto imprecisato numero di musetti e code scodinzolanti. "Dovrei?" 

"No" replicò l'altro, con un tono molto più morbido e sovrappensiero del solito. "Sakura e i bambini lo adorano" continuò, mentre i cuccioli conquistavano sempre più terreno sopra di lui, arrampicandosi ovunque. "Credo abbiano fame." 

Il giovane Dirigente della Mafia sospirò una terza volta e tirò fuori il cellulare, iniziando a digitare un numero a memoria. 

"Boss, sono Dazai. Ha presente la partita di merce di lusso in arrivo oggi con richiesta di stoccaggio urgente? Ah ah, quella, apparentemente. Con la stessa urgenza ci servirebbe un camion di cibo, un paio di veterinari e venti agenti col pomeriggio libero." 


Dazai non aveva mai visto Odasaku così imbronciato come quando ebbero finito di contare i cuccioli di dalmata e risultarono essere cento precisi. Non uno di più, come sembrava desiderare il più grande. In compenso, mangiarono per il doppio del loro numero. 

Nel mentre, Dazai chiuse l'ennesima chiamata e decise anche di spegnere il cellulare, facendolo scivolare in una delle tasche del giaccone. 

"Che storia" esordì esausto. "Ango era inferocito. Pare che ci sia stato un qui pro quo con il proprietario della merce. Ci sarebbero dovute arrivare statuine pregiate a forma di cane, non cento cuccioli di razza." 

Odasaku stava supervisionando alcuni dei cagnolini che si erano affollati alle ciotole per mangiare, mentre con un biberon sfamava i più piccoli non ancora svezzati. Un po' in ogni angolo del magazzino era lo stesso, con agenti che sembravano tornati bambini mentre giocherellavano con i vari quadrupedi. Il più serio apparentemente era Hirotsu, che stava ascoltando il resoconto dei veterinari, ma era anche intento a tenere in braccio e accarezzare uno dei vari cuccioli. 

"Cosa ha deciso il Boss?" domandò Odasaku senza però distogliere l'attenzione dal piccoletto che si abbeverava con ingordigia. Altri tre cuccioli, piccoli e ancora senza macchie, erano in mezzo alle sue gambe, già con lo stomaco pieno e il musino sonnacchioso. "Serviranno delle cucce e delle coperte. E qualcuno che rimanga a supervisionarli" continuò, senza aspettare risposte. Sembrava come in trance, preso da tutti quei musi in cerca di attenzioni. 

Dazai non aveva più la forza di sospirare o borbottare. A lui neanche piacevano i cani, ma vedere Odasaku così preso gli stava facendo sopportare meglio tutto il casino all'interno del magazzino. 

"Ha già incaricato Ango e altri intermediari di piazzarli. Sembra che l'equivoco lo abbia divertito abbastanza da chiudere un occhio e non li rispedirà indietro. Anche perché non credo sopravvivrebbero a un secondo viaggio. Comunque, ha bloccato i pagamenti. Alla fine valgono quanto dichiarato, anche se le spese extra da qui a quando riusciremo a sbarazzarcene non sono coperte" Dazai finì ugualmente di sbuffare, prendendo su uno dei cuccioli più piccoli e facendosi passare un biberon da Odasaku. "Hirotsu ha già predisposto un presidio notturno. Sarà un miracolo se non avremo un blitz della polizia militare o di qualche ente per la protezione animali." 

"Posso rimanere anche io stanotte."

Dazai lo guardò per nulla convinto. "Ti piacciono davvero i cani, eh?" 


Alla fine Odasaku non rimase nel magazzino per la notte. In compenso, ottenne da Dazai il permesso di portarsi dietro uno dei cuccioli, con la promessa di riportarlo indietro il giorno dopo. 

"Siete impossibili" li apostrofò Ango quando quella sera scese le scale del Lupin. Gli bastò un'occhiata per individuare il cucciolo in braccio a Odasaku, con le zampette sul bancone mentre si sbaffava tutto il latte di una ciotolina. "Le chiedo scusa a nome dei miei amici" disse Ango al barista mentre si sedeva. 

"Ehi, io non c’entro, non ero neanche d'accordo" puntualizzò Dazai lamentoso, le braccia incrociate sul piano in legno e la testa abbandonata su queste, vicino al suo bicchiere di whiskey serale appena finito. Era esausto. Non pensava che badare a una carica di cuccioli di dalmata fosse così sfiancante. 

"Dovrei crederti?" Ango lo guardò con una di quelle occhiate che significavano si tratta di Odasaku, gliele fai passare tutte lisce come lui fa con te. Dazai mise su il broncio, ordinando un altro giro di bevuta. 

"Lo sai che non puoi tenerlo?" continuò Ango, guardando verso il più grande. 

"Io sarò permissivo, ma tu sei proprio cattivo. Che poi il danno lo hai fatto tu, no?" rincarò Dazai. 

Ango si spinse gli occhiali sul naso con espressione così seria da rasentare l'omicidio. Mai mettere in dubbio il suo lavoro. "Il compratore ha pensato di fare il furbo. Ho passato la mattinata a ricontrollare tutte le conversazioni e gli accordi e si è sempre e solo parlato di statuine e non cani reali. Per colpa di questo ho dovuto passare poi il pomeriggio a cercare acquirenti di cani di razza, e ci tengo a precisare che non è un target che la Mafia tratta." 

"Ma sicuramente sei riuscito già a piazzarne la metà, non è vero?" ridacchiò Dazai. 

"Sessantasette di quei cuccioli partiranno entro le prossime quarantotto ore per cinquantatre adozioni" fu la replica concisa della spia, neanche fosse stata un'informazione scritta appena stampata. 

"Efficientissimo come al solito."

"Mi piacerebbe tenerne uno" esordì Odasaku di punto in bianco, interrompendo il battibecco e attirando l'attenzione degli altri due. Aveva un accenno di sorriso sulle labbra che era una vera rarità, questo mentre il cucciolo di Dalmata gli leccava tutta una mano e cercava coccole contro il suo palmo. "Ma non posso permettermelo. Ho già le spese dei bambini e non sono mai a casa. Non è il momento giusto per prendere un cane." 

Ango e Dazai si scambiarono un'occhiata complice. 

"Sono certo che se chiedo al Boss di tenerne uno me lo sconta. Sono pur sempre uno dei Dirigenti della Mafia" iniziò Dazai, battendo il pugno sulla mano. 

Ango si risistemò di nuovo gli occhiali accennando un segno di ok con le dita. "Posso contribuire con la metà delle spese e trovare un buon addestratore e un dogsitter. Oggi ho dovuto fare diverse ricerche per piazzare i cuccioli, sarà uno scherzo." 

"Però poi voglio scegliere il nome!" proseguì il giovane Dirigente della Mafia con più foga.

"Penso che un collare bordeaux sarebbe davvero carino” gli andò dietro Ango, annuendo con convinzione. 

Odasaku li lasciò parlare. Pensare a quel cucciolo adottato da loro tre era un’idea tanto strana quanto piacevole. 


April 2025

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