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COW-T 12, settima settimana, M2
Prompt: Matrimonio
Numero parole: 510
Rating: Verde
Warning: Roland che frigna
Note: oc di Lou, un’ipotetica figlia di Vanitas e Noé bc *love* 




“… c-come tuo sposo, promettendo di essergli fedele s-sempre… nella gioia e nel dolore, nella salute e nella m-malattia e di amarlo… oh, non ce la faccio!

Vanitas fissò Roland incerto e scoraggiato come metà dei presenti al matrimonio.

“Sei sicuro di sentirti bene?” domandò invece Noé, facendo per lasciare le mani di Vanitas, ma quest’ultimo rinsaldò la presa, impedendogli di distrarsi e intervenire.

“Sta benissimo” sibilò il moro, perdendo la pazienza. “Deve solo smetterla di commuoversi ogni tre parole!”

Ma siete così belli” mugugnò il paladino, nelle vesti di prete cerimoniere, premendosi il palmo sulla bocca mentre le lacrime non smettevano di scendere dagli angoli degli occhi.

Alle loro spalle, gli invitati iniziarono a mormorare, riempendo la navata del classico cicaleccio di bisbigli. Quelli in prima, come Dominique, Chloé e Jean Jacques stavano apertamente trattenendo le risate dietro fazzoletti o ventagli. Lo sapevano tutti che sarebbe potuta finire in quel modo.

“Toucchi? Tio Rola ha la bua?”

Con i suoi tre anni scarsi, aggrappata ai pantaloni di Vanitas, la loro bambina Lou si sporse in tutta la propria innocenza - e nel suo vestitino da bigné voluto da Domi.

“No amore, è solo un-”

Linguaggio.”

Olivier subentrò prima del danno finale. Con uno sbuffo sonoro e un vago rossore sulle gote per essere appena diventato il centro dell’attenzione di tutti spintonò di lato il paladino, strappandogli poco gentilmente di mano il libro dei riti e prendendo il suo posto davanti a Noé e Vanitas.

Vedi di ricomporti” ringhiò infine tra i denti, sfogliando le pagine in cerca di quella giusta per riprendere da dove la cerimonia era stata interrotta. Roland non andò molto lontano, piantandogli la faccia nella schiena e inzuppandogli la tonaca scura di lacrime e moccio. Vanitas gonfiò le guance per non ridere e fu fulminato da un’occhiataccia di avvertimento.

“Dove eravamo rimasti” ricominciò Olivier schiarendosi la voce, guardando alle panche con gli ospiti, tutti nello stesso stato mezzo ridacchiante.

“… come tuo sposo” riprese solenne. “Promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della vostra vita?” pronunciò senza tentennamenti o inflessioni iraconde, tornando a dare serietà al sacro rito che stavano celebrando. La sua professionalità si irradiò nell’atmosfera generale, riportando il silenzio e permettendo a agli sposi di riprendere il proprio ruolo di protagonisti al centro dell’attenzione.

Noé guardò negli occhi Vanitas, sorridendo e rubandosi ogni suo pensiero.

“Sì. Lo voglio.”

Olivier prese un respiro profondo.

“Con lo scambio delle promesse, e con il potere conferitomi da Dio, vi unisco come coniugi nel sacro vincolo del matrimonio.”

La sua espressione sembrò ammorbidirsi un poco, passando dall’uno all’altro.

“Potete ora scambiarvi un-”

Non ce la faccio! Guarda quanto sono belli! Oh Signore, benedicili sempre!” guaì Roland al suo orecchio, facendolo sussultare, ma la sua reazione si perse nell’applauso generale e nelle grida degli ospiti, e soprattutto nel bacio simbolico con cui Vanitas e Noé dipinsero la scena, alla luce calda e colorata che filtrava dai rosoni della chiesa. 


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COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Neve
Numero parole: 582
Rating: Verde
Warning:
Note



Il dormiveglia in cui Vanitas versava si interruppe per colpa di uno starnuto. Un suo starnuto. 

Come la mente riprese possesso della consapevolezza, così lo fecero i sensi e il freddo pungente della notte morse le guance al ragazzo, insieme ai minuscoli fiocchi di neve.

Mugugnando contrariato, si stropicciò gli occhi e si rannicchiò meglio, cercando un po’ di calore nonostante tutto il suo corpo fosse intirizzito. Sbuffò, osservando il respiro condensarsi e mettendo su un broncio sconsolato che nessuno avrebbe potuto contestargli.

Non voleva rientrare in camera, ma fu ragionevole nel constatare che non potesse neanche dormire sul tetto e rischiare l’assideramento. Strusciò la guancia contro l’interno del cappuccio, cercando ancora un po’ di tepore, ma ottenne solo il pizzicore gelido di un fiocco di neve sulla punta del naso. E un nuovo starnuto che lo fece smuovere. 

Calarsi dal tetto e aprire la finestra della stanza fu semplice anche con le tegole sdrucciolevoli e le parti in metallo del tetto così fredde da bruciare. Riuscì a fare anche poco casino, o almeno quei rumori per cui i sensi assopiti di Noé non si sarebbero svegliati di soprassalto. Era una routine consolidata la loro, finché Vanitas non urtava per sbaglio qualcosa, mettendo in allerta il vampiro e finendo col ricevere un cuscino in faccia.

Successe qualcos’altro.

Qualcosa per cui prima gli prese un colpo, poi realizzò.

Ma, per l’appunto, all’inizio, quasi cacciò un urlo.

Noé lo afferrò per un braccio, così repentinamente e al buio che il cuore di Vanitas sprofondò nello stomaco. Era già pronto a graffiarlo con il proprio guanto - e urlargli contro - quando si rese conto che il vampiro era ancora profondamente immerso nel mondo dei sogni.

Fu una scena comica, quanto tragica.

Il corpo di Noé era sporto dal letto e sembrava reggersi in equilibrio per miracolo, pochi centimetri e sarebbe finito sul pavimento - se, per esempio, Vanitas si fosse liberato con uno strattone.

Non lo fece, restando invece a fissare il compagno di avventure con un’espressione indecifrabile - guardandosi allo specchio si sarebbe compatito da solo - e indecisa.

C’erano vari modi per cui quella scena, quasi un siparietto comico, si sarebbe potuto concludere.

Vanitas scelse quello che non gli passò per la testa, ma che svicolò da più in basso, da un petto che stava battendo più forte di quanto avrebbe dovuto.

Con un poco di sforzo, ma anche con delicatezza, fece riscivolare Noé all’interno del letto e ci salì a propria volta. Le molle cigolarono appena, disturbando il manto silenzioso portato dalla neve oltre le imposte.

Vanitas percepiva ancora il freddo, sapeva di avere la pelle mezza congelata, e probabilmente l’idea - l’immagine - che aveva in testa avrebbe spezzato quel breve segreto che si stava formando, ma preferì continuare a dare retta all’istinto che stava parlando direttamente a quei sentimenti burloni.

Scostando le coperte, si stese di fianco a Noé e gli appoggiò la fronte contro la schiena.

Era bollente. O almeno, la sensazione fu quella, anche quando appoggiò i palmi, per sentire quel calore pervaderlo.

Noé mugugnò qualcosa, ma non si scostò. Vanitas lo prese come un silenzioso - e del tutto inconsapevole - assenso, e gli circondò la vita con un braccio, accostandosi a lui del tutto.

Il tepore che ne sbocciò fu meglio di qualsiasi ninna nanna avesse mai potuto accompagnarlo nel sonno. Si sarebbe solo dovuto svegliare per primo per non dover dare alcuna spiegazione, ma fu un pensiero che si perse nel sonno. 


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COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Neve
Numero parole: 1000
Rating: Verde
Warning:
Note


Era una notte bellissima. Una di quelle che chiunque avrebbe volentieri passato insieme alla persona amata. Per Vanitas era vero a metà, con una vena fatta un po’ di nostalgia e un po’ di amara accettazione. 

Non era un desiderio così lontano dalla realtà, alla fine. Le circostanze, tuttavia, rendevano i contorni di quella cartolina affilati, col rischio di tagliarsi e insozzarne la bellezza, quindi andava bene così.

Vanitas respirò piano dalla bocca, osservando la condensa biancastra formarsi come una piccola nuvola contro il cielo nero, puntinato da stelle mobili e che cadevano dolcemente verso terra.

Aveva iniziato a nevicare da un’oretta. Fiocchi piccoli ma tenaci che stavano cominciando ad accumularsi negli angoli più freddi.

Non che ci fosse un posto caldo al di fuori delle case e dei palazzi di Parigi, ma l’unico tepore di cui Vanitas sentisse il bisogno era all’altezza del proprio petto e stava bene così, in cima al tetto dell’albergo dove lui e Noé avevano iniziato tutto.

Era stata lunga, ma come qualsiasi attesa finì.

“Vani!”

Il richiamo che stava aspettando riecheggiò nella silenziosa volta notturna. Era tardi, anche per essere la notte di Natale. Le celebrazioni erano finite da diverso tempo e quello sprazzo di vita ruppe la quiete. Per il diretto interessato fu la campana a festa, solo per lui, che non era ancora suonata quella notte.

Noé balzò sul tetto di fretta, perdendosi il cappello e recuperandolo in modo distratto prima che cadesse. I suoi occhi brillarono cercando solo il compagno. La distanza durò l’attimo di un solo respiro, portato via da un bacio urgente.

“Sei tornato presto” scherzò Vanitas, restando placido, armonizzato alla quiete della Parigi dormiente. Noé era invece un fascio di nervi e col bisogno di condensare tutto insieme il tempo che aveva passato lontano.

“Non sarei dovuto andare” si recriminò, tenendo il viso del compagno tra le mani come una coppa da cui abbeverarsi, sentendosi non dissimile da un viaggiatore sopravvissuto a un deserto. “Mai più. La prossima volta-”

Vanitas rise, interrompendolo. Noé non capì, sbattendo disorientato le palpebre.

“Perché ridi?” e lo tradusse a parole. Aveva la faccia di un bambino lasciato in un angolo a osservare un mondo che non comprendeva - un mondo bellissimo - anche quando, ormai, era certo di avere la maggior parte dei segreti dell’erede del vampiro blu custoditi nel cuore.

“La prossima volta” ripeté Vanitas, ripetendo le stesse parole. “Saremo noi a dare un ricevimento di Natale, se ci andrà.”

Il cuore di Noé fece un balzo nel petto, non tanto per la promessa, ma per l’espressione felina con cui Vanitas gli stava promettendo tante cose tra le righe.

“Ovviamente deciderò io chi invitare” aggiunse il moretto, mentre si stringeva nelle braccia, abbassando lo sguardo sul proprio petto. “E l’unica assistente che voglio è Lou.”

Sotto gli strati di vestiti e cappotto che indossava, nessuno avrebbe potuto intuire che ci fosse una bimba di appena tre mesi, placidamente addormentata con i pugnetti che ogni tanto stringevano la camicia leggera di Vanitas. La piccola restò addormentata, anche quando Noé fu sull’orlo di un pianto dirotto per cui il suo viso si era deformato in maniera buffa. Come ogni volta che guardava la figlia. 

“Non dovevo andare” ripeté con un sospiro mortificato il vampiro, osservando la piccolina, ma senza osare toccarla, come fosse una penitenza autoinflitta - oltre a non volerla svegliare.

“Se non fossi andato, Domi sarebbe venuta a prenderti di peso. Con un altro collare magari” sospirò Vanitas, stanco di quella lagna e di ripetersi. Ne avevano parlato fino allo sfinimento fino a due giorni prima, quando Noé era tornato ad Altus per il Natale sfarzoso delle famiglie nobili. “Finché non ci saremo stabilizzati, e finché non saremo sicuri, Lou rimane un segreto e dobbiamo mantenere le apparenze. Sei fortunato che Domi l’abbia capito bene.”

Non che andasse bene a nessuno di loro, ma lo avevano accettato. La piccola perla di calore che dormiva contro il proprio petto era tutto ciò che contava e la sua incolumità veniva prima di qualsiasi capriccio.

“Noi siamo stati bene” aggiunse il medico dei vampiri, con un sorriso sincero che sperò placasse le fisime del compagno. E in parte fu così, anche se la malinconia e il senso di colpa di Noé persistettero, finché un pensiero non si intrufolò nella sua mente, facendogli corrugare la fronte.

“Non dovevate essere con Roland e Olivier?” domandò, come se avesse realizzato solo in quel momento dove si trovassero. Quando era tornato non ci aveva pensato due volte e aveva seguito l’istinto - e il profumo di Vanitas - precipitandosi in albergo e sul tetto.

Vanitas sbuffò, stringendo un braccio intorno a Lou sulla difensiva.

“L’avete deciso voi che dovevamo assistere alla messa, mica io” sbottò stizzito. “Me la sono svignata appena è finita, ma lo so che Roland è qui intorno a fare la guardia come gli hai chiesto. Posso sentire Olivier borbottare come una teiera. Tzé.”

Tendendo l’udito - perché, fino a quel momento, ogni senso di Noé era stato catalizzato solo da Vanitas e dalla loro bambina - sentì in effetti lo chasseurs dabasso, ridacchiare insieme al compare Olivier, decisamente più stizzito di trovarsi lì a quell’ora e con quel freddo.

“Devo andare a fare loro gli auguri di Natale” pensò il vampiro a voce alta, scattando in piedi.

Vanitas fu sul punto di commentare, ma se lo tenne per sé. Sospirò.

“Sbrigati e poi torna qui” disse, riprendendo a fissare il cielo e la neve che cadeva. 

C’erano piccoli fiocchi ad adornargli i capelli d’inchiostro, ma la sensazione che preferiva era quella dei cristalli che si posavano sul viso e si scioglievano. Non capiva perché, ma gli ricordavano le carezze di Luna, nonostante le sue dita avessero sempre avuto una temperatura neutra. In notti come quella aveva la sensazione di averla ancora accanto ed era un’emozione che non voleva far scivolare via.

Come sentire le labbra di Noé sulle proprie e i suoi occhi nei suoi.

“Aspettami.”

“Sempre.” 


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COW-T 12, quinta settimana, M1
Prompt: Interruzione
Numero parole: 872
Rating: Verde
Warning: primissimissimo esperimento su di loro!



Noé si schiarì la voce, troppo impostato per risultare naturale, ma continuò a fare finta di nulla, riprendendo la penna dal calamaio e tornando a scrivere.

In fin dei conti, stava lavorando. Anche se era tutto il pomeriggio che era fermo alla propria scrivania e aveva riempito pagine e pagine di appunti, era pur sempre qualcosa che andava finito. 

Ciò non gli impedì di accogliere quella piccola interruzione con blanda attenzione, molto discreta, fingendo di non essersene reso conto. Sapeva di avere ad osservarlo due occhi color del mare - della sfumatura che andava dal blu più profondo dell’orizzonte all’azzurro quasi trasparente delle onde che si infrangevano sulla battigia - da più di dieci minuti. 

Era impossibile per Noé non avvertire la presenza di Vanitas anche quando si trovava dall’altro lato del maniero. Averlo a pochi metri di distanza inviava un piacevole brivido ai suoi sensi, che, inconsciamente, iniziavano un silenzioso conto alla rovescia per quando la distanza si sarebbe annullata.

Fino a quel momento, Noé finse di continuare a lavorare - scrivendo invece i loro nomi a ripetizione, conscio che quella pagina avrebbe dovuto ricominciarla da capo - e ignorò invece la terza presenza che sembrava stesse giocando a nascondino, passando da dietro alla poltrona a sotto la scrivania e via così.

«Prrr prrr» sentì mormorare alla propria destra e Noé si voltò ad abbassare lo sguardo, ma vide solo una ciocca di capelli color della notte svanire dietro la propria seduta.

«Mmmh… chissà se è Murr che fa le fusa» mormorò ad alta voce, a nessuno in particolare, ma sia Vanitas sulla porta, sia la terza presenza, ridacchiarono. Il vampiro stesso stirò le labbra, chinandosi di nuovo a scrivere cose insensate - quello che avrebbe voluto per cena - mentre sentiva di nuovo uno scalpiccio e qualche tocco fugace e involontario intorno alle gambe.

«Miao! Miao!»

«Oh!» esordì di nuovo Noé, ancora con quel tono così teatrale da non risultare minimamente vero. «Deve essere proprio Murr! Murr dove ti nascondi?»

Si sporse dalla poltrona, fingendo di cercare il gatto bianco qui e lì, continuando a chiedere retoricamente Dove sarà? Non lo vedo!

Da sotto la scrivania venne una risata soffocata - due manine premute sulla bocca - a cui seguì un nuovo Miao! Miao! Miao!

Vanitas si staccò dalla porta della stanza e Noé lo sentì avvicinarsi. Contò il numero dei suoi passi come, in passato, aveva contato le ore che lo separavano dalla mattina e da una nuova giornata da passare insieme.

Quando lo avvertì alle proprie spalle, alzò la testa e si perse in quel mare che gli aveva dato più di quanto avesse mai desiderato. Si sorrisero, complici. Poi le labbra di Vanitas si stirarono in un ghigno.

«Credo che un gatto sia entrato dalla veranda, sai? Mi devo essere distratto un attimo…»

Da sotto la scrivania arrivò una nuova risatina - note prese in prestito a un pianoforte - e poi un lungo miagolio.

«Chissà se questo gattino vuole fare merenda, tu che ne pensi? Io ho un po’ fame» domandò Noé, mentre alzava una mano e la appoggiava sulla guancia di Vanitas, che premette il viso in quella carezza.

Stanotte… avrei fame solo di te… sillabò con le labbra Vanitas e Noè si ritrovò ad allargare gli occhi, a corto di parole per quella dichiarazione improvvisa. Capì di essere arrossito come un adolescente, ma questo gli fece solo che battere il cuore di aspettativa. 

«Penso che prima, però, dovremmo riuscire a prendere questo gattino randagio!» riprese Vanitas, staccandosi dalle premure del compagno e scattando - al pari di un felino - verso la scrivania e guardandoci sotto.

«Uuah!» gridò il micetto, correndo fuori dall’altro lato, ma le braccia di Noé lo stavano aspettando.

«Presa!» ridacchiò il vampiro, mentre una bambina di quattro anni sgambettava in aria, urlacchiando una sequela di Miao! Miao! Miao! e dimenandosi. Noé se la portò in grembo, sorridendole mentre le scostava i capelli arruffati dal viso. La piccola gli morse la mano con un ennesimo miagolio soffocato, sfoggiando i suoi occhi color del glicine.

«Lou, niente morsi» la riproverò Vanitas, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Anche se suonò come un rimprovero verso la bambina, nel suo tono c’era una dolcezza nuova che fece stringere il petto a Noé. Non si sarebbe mai abituato a ciò che avevano costruito se continuava a provare ogni giorno la stessa meraviglia.

«Miiiaooo!» protestò la piccola, serrando le palpebre mentre lasciava andare la mano del padre e faceva la linguaccia.

«Non la vuoi la merenda?» ridacchiò Vanitas, facendo scivolare le braccia intorno al collo del compagno e dando alla piccola un buffetto sul naso. «Ormai abbiamo interrotto il lavoro di papà - Noè fu scosso da un brivido e si irrigidì appena, mentre Vanitas alzava gli occhi al soffitto per la reazione - quindi direi che un tè e una fetta di torta ci stanno alla grande.»

«Miao! Miao! Miaoooo!»

I due genitori risero, mentre la piccola di casa balzava giù e correva verso la porta.

«Quanto pensi che durerà questa fase del gatto?»

«Ha la tua testardaggine» replicò Noè, accarezzando il polso e il dorso di una delle mani di Vanitas, portandosela alla bocca per baciargli il palmo. «Non finirà mai.»

Il compagno sbuffò ma si tenne una rispostaccia. Aveva la notte per fargliela rimangiare. 


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