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COW-T 14, terza settimana, M2

Prompt: Risonanza

Numero parole: 3887

Rating: SAFE

Note/Warning: Potrebbe essere una sorta di prequel a “Let me be with you”, l’altra mia fic con Omega!Bakugou e Beta!Deku. Ma si legge da sola volendo. Mpreg. 







Hero Dynamight! Non ha nessuna dichiarazione da fare riguardo la notizia che sta tenendo incollati agli schermi milioni di fan?

Ma che cavolo volete!? Andate a farvi una vita, comparse! Smettetela di ficcare il naso nella mia vita! E-



La TV venne spenta prima che il servizio finisse e un ringhio accompagnò il gesto, riempiendo l'improvviso silenzio.

"Se non avete altro da fare che guardare queste cazzate potete pure sloggiare dal mio salotto."

Kirishima incassò la testa tra le spalle, lanciando un’occhiata alle proprie spalle. Shinsou al contrario non alzò gli occhi dal cellulare né diede adito di essere sorpreso, mentre Shouto continuò a sonnecchiare contro la sua spalla.

"Bakugou... pensavo stessi riposando. Dovresti-"

"Pensavi male, Testa a punta."

Katsuki si liberò del telecomando lanciandolo sul divano libero, per poi dirigersi verso la cucina pestando i piedi e sbattendo un paio di armadietti.

"Non puoi farti il caffè."

La voce di Shinsou si levò senza un tono in particolare, quasi più simile a un motivetto ripetuto di controvoglia, divenuto ormai privo di reale impatto. Un reminder che fece imprecare il Grande Dio dell'Uccisione Esplosiva.

"Fatti i cazzi tuoi, Occhiaie. E che cavolo ci fai tu qui?"

"Visto che ormai monopolizzi la presenza del mio ragazzo mi tocca passare il tempo con lui stando qua."

Todoroki non diede segni di essere toccato dalla conversazione. Il suo respiro profondo continuò senza interruzioni.

"Nessuno ha chiesto allo Scemo a metà di svernare sul mio divano."

"Midoriya mi è sembrato piuttosto chiaro nella richiesta di aiuto."

"Be', Deku spara una marea di stronzate."

"Cerchiamo di stare calmi..." Kirishima si alzò, supplicando con un'occhiata Hitoshi di finirla, per poi dirigersi anche lui verso la cucina a vista. "Perché non ti siedi, Bakugou? Ti preparo la tisana allo zenzero!"

"Non voglio quel brodo."

All'affermazione, Kirishima abbozzò un sorriso tirato e sembrò contare mentalmente fino a dieci, mentre Katsuki era distratto dal fissare male gli sportelli della propria cucina come se gli avessero fatto un torto.

"Ho preso un sacco di succhi di frutta, che gusto ti andrebbe?"

"Voglio un caffè."

"Non puoi berlo." 

Shinsou non ci pensò due volte a ribadirlo e mettere il dito nella piaga. Il sorrisetto sulle sue labbra sembrò visibile anche attraverso le sole parole.

"Be', magari quello decaffeinato..." tentò di mediare Eijirou.

"Fa schifo."

"Fa schifo."

Seguì una lunga manciata di secondi di silenzio dopo la risposta all'unisono di Katsuki e Hitoshi. Mentre il secondo se la rise, il primo cacciò una bestemmia.

"Sloggia da casa mia, Occhiaie!"

"Tra un'ora, quando tornerà Midoriya. Se riuscirà a tornare..."

Pestando i piedi e superando Kirishima - che si ritrasse per evitare la collisione - Bakugou fu dietro la spalliera del divano per troneggiare su Shinsou e su Todoroki come una vedetta armata pronta a sparare a vista.

"Che vorresti dire?"

"Che se guardi fuori dalla finestra dell'appartamento te ne renderai conto da solo."

"Io... io non credo sia una buona idea..." Il tentativo di Kirishima neanche arrivò alle orecchie del migliore amico. 

Cinque secondi scarsi e Katsuki scostò la tenda per guardare attraverso il vetro. Se si fossero trovati al secondo o terzo piano probabilmente sarebbero stati raggiunti anche dall'intenso brusio che doveva animare la folla sottostante; per loro fortuna, l'appartamento era al decimo piano e tutte le comparse apparivano per lo più come punti colorati.

"Che cazzo..."

Kirishima lo tirò indietro per le spalle, richiudendo la tenda.

"Bakugou, amico, non ci pensare, ok?"

"Chi diavolo è tutta quella gente?!"

"Eeh..." sbadigliò Shinsou, muovendosi piano per scostare Todoroki e appoggiarlo contro i cuscini del divano e girarsi poi verso gli altri due senza perdere l'espressione sorniona. "Perché non provi a indovinare? C'entra con quel piccolo dettaglio che ti porti appresso" e nel dirlo, indico l'addome di Bakugou coperto da una felpa di una taglia più grande che non sembrava più così larga. "È diventato difficile da nascondere."

Una mano di Katsuki si mosse istintiva per posarsi lì dove Hitoshi lo aveva puntato e dove la curva dello stomaco era nel pieno del quarto mese.

"Che vorresti dire?"

"Bakugou, lascia perdere..." di nuovo, Eijirou tentò di mettersi in mezzo. "Ho comprato qualche snack, tutta roba che può rientrare nella tua dieta! Non hai fame?"

Ma Katsuki lo spostò di lato, facendosi di nuovo avanti per guardare dall'alto in basso l'ospite che gli aveva invaso uno dei divani.

"Quell'intervista di ieri" e Shinsou indicò col pollice la TV spenta alle proprie spalle, "pensi che sia finita lì?"

"Non ho detto un cazzo di nulla."

"Ma non c'era bisogno di dire niente quando è il tuo stato interessante che parla per te. Sei sparito dalle scene e ora ti vedono così. Il due più due è quasi stupido da fare."

"Shinsou, per favore..." lo pregò Kirishima, mentre continuava a lanciare occhiate all'amico come avrebbe potuto tenere d'occhio un conto alla rovescia i cui numeri scorrevano troppo rapidamente.

"Sono affari miei e di Deku, stop. Già voi che ronzate qui dentro siete di troppo. Ora vado a dirgli di andarsene" sbottò Katsuki senza pensarci due volte.

La combo per bloccarlo fu istintiva. Kirishima e Shinsou non si scambiarono neanche uno sguardo d’intesa, ma lo afferrarono da entrambe le braccia impedendogli di proseguire anche solo di un passo.

“Mollatemi!”

"Non è una buona idea" disse piano Hitoshi, senza alcun senso di colpa, ma più come un consiglio.

"È una pessima idea!" ribadì invece Eijirou, scuotendo la testa.

"Ma che diavolo-"

"La tua sola intervista di ieri ha già avuto una risonanza mediatica sufficiente a oscurare i nuovi pettegolezzi su Endeavor e Hawks. O sullo scandalo della Pro Tech. O su Shouto e tutte le persone che immaginano si porti a letto. E potrei citarti altre mille questioni che il tuo pancino è riuscito a mettere in ombra."

Bakugou si scrollò dalla sua presa ringhiando e snudando i canini. 

"Ti faccio esplodere, Occhiaie! Tieniti queste stronzate per te! E quei giornalisti devono levare le tende da sotto casa mia!"

"Bakugou calmati... il dottore ha detto niente scatti di rabbia, ok? Per favore" lo supplicò Kirishima.

"Sto solo riportando dei fatti." Shinsou levò i palmi in alto a sottolineare la propria buona fede. "E la cosa migliore, al momento, è starsene buoni e pensare a una dichiarazione ufficiale che plachi le fantasie che la gente si starà sicuramente facendo."

"Che diavolo intendi?"

Hitoshi sembrò improvvisamente stanco alla sola domanda. Lanciò un'occhiata verso Shouto che dormiva tranquillo e poi tornò a guardare negli occhi l'ex compagno di scuola biondo.

"Fatti un giro online, non si parla di altro. Credi che riguardi te e Deku? Deku non lo stanno neanche prendendo in considerazione. Pensano che il danno lo abbia fatto lui" e indicò indolente il rampollo di casa Todoroki che ronfava, "per via della vostra storiella del liceo. E perché è più sensato che un Omega in dolce attesa stia con un Alpha e non un Beta. E anche perché stiamo facendo la spola tra casa nostra e casa tua a giorni alterni, ma io sono pressoché invisibile all'opinione pubblica."

Il sorriso con cui concluse il discorso sembrò cozzare del tutto col contenuto dell'affermazione, quasi come se trovasse divertente essere scartato dall'equazione nonostante il suo ragazzo fosse etichettato come padre del bambino.

"Sono solo una marea di puttanate."

"Non sono in disaccordo, ma allo stato attuale delle cose andare giù a sbraitare ai giornalisti rischierebbe solo di fare peggio. E non hai bisogno di sbalzi di pressione e di finire al pronto soccorso. Quindi... io accetterei quegli snack, Kirishima."

"Eh?" Eijirou cadde dalle nuvole, sentendosi nominare. "Oh, sì! Ne ho presi un sacco! Bakugou vuoi qualcosa?"

"Non cambiate discorso!"

"Fai anche la tisana allo zenzero. Anzi, ti do una mano" continuò Shinsou, sordo alle proteste di Bakugou. "Se Midoriya riuscirà a superare i giornalisti, forse dovremmo fargli trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Sarà una giornata lunga e il turno di notte non deve essere stato bello con tutto il trambusto delle notizie."

"Eh, Mina mi sta tenendo aggiornato..." sospirò Kirishima, sventolando il cellulare. "Dice che una bomba così non la sentiva da parecchio e che le foto di Bakugou sono davvero ovunque..."

Katsuki li fissò senza parole. 

"Ohi! Mi state ignorando!?"

Shinsou gli passò di fianco per raggiungere la cucina. 

"Sarebbe bello riuscirci, ma persino le previsioni meteo parlano di te e prevedo lo faranno ben oltre il parto. Spero solo che nasca coi capelli verdi, così lasceranno in pace Shouto."

"Io penso che sarà biondo! O bionda!” Kirishima non perse un secondo a seguire il nuovo filo della discussione. “Forse con gli occhi verdi, che dici?"

“Basta che abbia qualche tratto distintivo di Midoriya così anche i complottisti si metteranno l’anima in pace.” 

"... io vi ammazzo sul serio. Smettetela di parlare come se non ci fossi!"




Tre ore più tardi Deku si accasciò nell'ingresso dell'appartamento di Bakugou.

"Sono... sono tornato" biascicò come un moribondo, districandosi dai manici del borsone che ormai si portava ovunque con la tuta da Hero, un cambio pulito, almeno due da lavare che puntalmente si dimenticava e il necessario per dormire fuori casa, fosse in Agenzia o lì da Katsuki.

"Non ci speravo più di vederti. I giornalisti ti hanno placcato di sotto?"

Shinsou gli si accucciò davanti, guardandolo come avrebbe guardando un cucciolo abbandonato per strada.

Izuku si stropicciò gli occhi e tentò di mettere a fuori l'amico.

"Ho fatto il giro dell'isolato... e sono passato dai tetti..."

Mind Jack sollevò le sopracciglia, commentando dapprima con un mmh pensieroso.

"E ci hai messo due ore in più?"

Deku sospirò e scosse la testa, appoggiandosi al muro del corridoio.

"Hanno rapinato una banca mentre tornavo e i rapinatori hanno provocato un incedente all'incrocio dove stanno costruendo il nuovo palazzo e per via del traffico l'ambulanza stava tardando, quindi ho portato i feriti al pronto soccorso. Ho incrociato l'agente Sansa per la deposizione e... e poi mi ha chiamato la signora Bakugou."

"Oh..." Shinsou corrugò la fronte, indeciso su come interpretare il tono sfinito dell'amico. "Problemi con la futura suocera? Immagino abbia saputo anche lei che il mondo sa..."

"Non può uscire di casa per via dei giornalisti. E Kacchan non le risponde al telefono."

"Prevedibile..." Hitoshi si tirò in piedi, allungando poi la mano all'amico. "Kirishima è di là con lui, è un momento piuttosto no. È stato irritato tutta la mattina, ha vomitato e poi ha avuto un capogiro. In realtà niente di diverso dal solito."

Sul viso di Deku si rincorsero i sensi di colpa e l'inevitabile consapevolezza che la situazione sarebbe potuta anche peggiorare.

"Forse... forse è meglio se torno a casa mia" esitò, anche se afferrò la mano di Shinsou per aiutarsi a rimettersi in piedi.

"Lo vuoi un consiglio?"

"... sì?"

"Ormai è tardi, affronta la cosa. La frittata l'avete già fatta mesi fa e ora non ha senso rimandare l'inevitabile." Hitoshi fece spallucce. "Questa storia sarebbe venuta a galla prima o poi. Finora Bakugou ha nascosto la cosa e non è ancora cosi evidenti a conti fatti, ma tra un mese o due?"

Con le mani imitò la forma piena di un pancione immaginario, facendo poi una smorfia all'idea.

"È successo. Qualcuno si è fatto due conti, i siti di gossip hanno alimentato la cosa e ora manca solo che ufficializzate la cosa. E fatelo il prima possibile. Non è più divertente leggere i post delle fan del tuo ragazzo e del mio ragazzo che fantasticano su quirk esplosivi di ghiaccio, capelli metà biondi e metà rossi e combinazioni varie..."

Izuku incassò la testa tra le spalle.

"Mi dispiace."

Shinsou gli diede un colpetto col pugno chiuso.

"Ma smettila. Un giorno ci rideremo su. Adesso pensiamo al pranzo e a capire la prossima mossa, ok?"

Midoriya prese un profondo respiro e si staccò dal muro, annuendo.

"Grazie. Davvero. Non so come sdebitarmi."

"Oh, tranquillo. Mi farò venire in mente qualcosa."



"... che cazzo ci fate tutti qui?"

"Ehi, Bakugou! Alla buon'ora!" Mina fu la prima a salutarlo, occhiali sul naso, penna di un tablet in mano sventolata come la bacchetta di un professore d'altri tempi. "Qui stiamo lavorando per te, sarebbe carino che ci degnassi della tua presenza! Come stai?"

Ma Katsuki non la stava già più calcolando perché il suo sguardo aveva individuato la presenza al suo fianco, ossia Izuku, che aveva tentato di farsi piccolo piccolo, desiderando sparire nel divano.

"Abbiamo portato dei mochi, ti vanno?" continuò Ochako, alzando la confezione già abbondantemente attaccata, ma anche lei fu ignorata.

"Quando diavolo sei tornato."

Il fatto che Bakugou non pose la frase con l'inflessione di una domanda fece chiusere ancora più a riccio Deku.

"Ecco... poco prima di pranzo."

Gli altri si zittirono, lanciando occhiate l'uno all'altro, non nuovi a quegli scambi, tanto che Ashido tornò al tablet e ai suoi appunti, Uraraka sospirò riappoggiando la scatola di Mochi e Shinsou sbadigliò, continuando ad accarezzare i capelli di Todoroki ancora addormentato, ma con la testa sulle sue gambe.

"Sono le tre" fece presente Katsuki e con un tono che avrebbe potuto mietere la vita a qualcuno.

"... stavi riposando, non volevo disturbarti" si scusò Deku, senza guardarlo negli occhi. "Come ti senti?"

"Dov'è la tua roba?"

Più di uno sguardo incuriosito fissò l'Omega.

"N-Nel borsone. L'ho lasciato in ingre- Aspetta!" Deku balzò in piedi in un lampo quando vide l'altro marciare verso la borsa, chinarsi e tirarla su. "Faccio io! Non-"

Una piccola esplosione fece sobbalzare tutti in salotto - tranne il bell'addormentato.

"Ka-Kacchan..." Deku si era scostato appena in tempo dal beccare la deflagrazione in faccia. "Non d-dovresti usare i-il quirk..."

"Non metterti in mezzo! E non dirmi cosa fare!" sbraitò l'altro, facendo dietro fronte e puntando alla zona notte. "Vado a fare la lavatrice."

Arruffato e trafelato come chi è stato buttato giù dal letto, Kirishima apparve sull'ingresso delle camere e si appiattì contro lo stipite per far passare Bakugou.

"Che... che cos'era quel botto? Va tutto bene?"

"Alla grande" ringhiò Katsuki e sparì definitivamente in corridoio.

"Ben svegliato, amore" cinguettò Mina, sporgendosi dal divano. "A casa non ci torni, ma col tuo migliore amico ci dormi, eh? Oh, ho fatto la rima!"

"Oh... come mai sei qui?" chiese Eijirou avvicinandosi, anche se incespicò nei piedi nel tentativo di sbirciare Katsuki. Ashido lo afferrò per le guance stampandogli un bacio sulle labbra.

"Sono qui a risolvere i casini della nostra coppietta gossip del momento."

"Uhm?"

"Deku e Bakugou dovrebbero rilasciare un annuncio ufficiale su... ecco, sullo stato delle cose?" tentò Ochako, mentre si spostava per fare spazio a Izuku che tornò a sedersi con loro sui divani.

"Per mandare via i giornalisti di sotto?" Anche Kirishima prese posto.

"Bastasse questo" sbadigliò Shinsou. "Tutte le volte che Shouto smentisce di avere una relazione con questo hero o con quella heroine mica se li toglie dai piedi."

"Ma perché la gente lo ha capito che Todoroki sta con qualcuno!" lo rimbeccò Mina, spingendosi gli occhiali sul naso. "Il pubblico non è scemo, soprattutto quando si tratta dei propri idoli! E da quando state insieme sorride molto di più!"

Hitoshi abbassò gli occhi sul proprio ragazzo e sul suo viso rilassato e dormiente, che andò ad accarezzare con le dita. Le palpebre di Shouto fremettero appena; Todoroki spinse la guancia contro il palmo di Shinsou, accennando proprio a uno di quei sorrisi citati da Ashido e che fecesso arrossire leggermente Mind Jack. 

"Aaawww!" e seguì l'inquivocabile click di una macchina fotografica. "Questa me la rivenderò quando finalmente vi deciderete a far sapere al resto del mondo quanto siete carini."

"Quando mi sarò abituato all'idea di avere Endeavor come suocero" bornottò Shinsou, tornando ad appoggiarsi allo schienale e massaggiandosi le guance ancora rosate. "Torniamo alla vera questione" e nel dirlo puntò lo sguardo su Midoriya.

Midoriya che si abbandonato sul divano come un martire in attesa della lapidazione. Quattro paia d'occhi lo fissarono per poi fissarsi tra loro.

"Deku... non è così tragica, ok?" tentò Ochako, dandogli una gomitata affettuosa per smuoverlo. "Tanta pazienza con Bakugou e tanti sorrisi con i giornalisti, ok? È una bella notizia in fondo!"

"Uraraka ha ragione! E non siete i primi Hero a diventare genitori!"

"E qui ti sbagli, amore" lo riprese Mina, alzando l'indice e muovendolo in aria a segnalare un chiaro no. "Midoriya e Bakugou non sono mica come gli altri! Stiamo parlando dei due pupilli di All Might! Del Simbolo della Pace e dell'Omega che sta puntando a diventare il numero uno! La loro prole sarà la più chiacchierata di sempre!"

"Oddio..." Deku si premette i palmi sul viso, inspirando forte. "Non stiamo neanche insieme..."

Gli altri quattro si scambiarono uno sguardo esasperato, roteando gli occhi al soffitto.

"Questione opinabile, ma ce ne occuperemo un'altra volta" concluse Shinsou. "L'importante ora è capire come dire al mondo che il padre del bambino sei tu, giusto?"

Mina sorrise come se le avessero chiesto di parlare della sua cosa preferita.

"A questo proposito ho buttato giù qualche piano d'azione!" Nel dirlo, recuperò dal tavolino tra di loro il proprio tablet, ruotandolo in orizzontale e mostrandolo agli altri. Ochako si premurò di togliere le mani di Izuku dalla sua stessa faccia e fare in modo che seguisse.

"Piano A!" annunciò Ashido, facendo scorrere la slide. "Detto anche il piano "è tutto nuovo per noi e vorremmo viverci serenamente l'evento. Per favore, sosteneteci"! La cosa migliore sarebbe che a parlare fosse solo Midoriya con la sua espressione più innocente ed emozionata! Poi ogni tanto postare qualche foto contentino così che il pubblico abbia qualcosa da consumare nei prossimi cinque mesi!"

"... lo trucchiamo per togliergli le occhiaie prima, sì?" si interessò Shinsou, fissando l'amico che sembrava a un passo dal prendere appuntamento col becchino.

"Piano B!" continuò Mina, passando alla slide successiva. "Ossia "è una situazione delicata, vi chiediamo di avere pazienza e fare il tifo per noi in silenzio". Personalmente non mi piace perché fa leva sul senso di colpa dei fan, ma forse per Bakugou potrebbe essere una buona alternativa. Se fosse Midoriya a spiegarlo dovrebbe far trasparire la serietà della situazione, ma girando intorno ai dettagli."

"Detto così mi da l'idea che qualcosa debba andare male..." mormorò Ochako poco convinta e Izuku, al suo fianco, contrasse l'espressione con il chiaro pensiero figurato di qualcosa che andava effettivamente male.

"... altre opzioni?" chiese e Ashido fece subito scorrere il dito sul display.

"Piano C! Una dichiarazione con entrambi! Anche tramite video o foto sui social per evitare domande, ma dove vi mostrate contenti e magari con il lettino del bimbo già montato e la cameretta pronta! Insomma, un modo per far vedere che anche se non era programmato è tutto pronto, siete pronti, state solo aspettando il lieto evento!"

Mina si era infervorata al punto da essere saltata sul divano e Kirishima si premurò di tenerla stabile.

"Il punto a sfavore è che riceverete davvero una valanga di commenti, domande, sparate gratuite e cosacce del genere" concluse, risedendosi, ma in braccio al proprio ragazzo. "È davvero una noia, ma se volete posso gestire un po' i vostri social!"

Alle sue spalle, Kirishima sudò freddo e fece cenno di no con la testa. Non che Midoriya stesse davvero prendendo in considerazione la cosa o diede segno di aver capito anche solo una sillaba del discorso. Stava fissando il vuoto e Shinsou si scambiò un'occhiata di intesa con Ochako.

"Ehm... Deku? Tutto ok? Vuoi fare una pausa?" domandò la ragazza, posandogli la mano sul ginocchio.

"Io..." Izuku deglutì. "Noi... ecco... non ho idea di cosa fare. Non so proprio come... io e Kacchan... non doveva su-"

"Midoriya, stop."

Deku alzò lo sguardo sgranato su Shinsou come tutti gli altri. Anche se non aveva realmente usato Lavaggio del cervello l'effetto sembrò lo stesso.

"Sei stanco e sono sicuro che non pensi ad altro tutto il giorno, vero?"

Izuku annuì mortificato. Ochako gli strinse con affetto la mano, sorridendogli in un modo che dicesse va tutto bene.

"Il discorso adesso sarebbe lungo e richiederebbe che tu avessi almeno sette ore piene di sonno addosso, quindi andrò con la versione abbreviata: non stai dando abbastanza fiducia a te, a Bakugou e al vostro rapporto."

A Kirishima vennero gli occhi lucidi e annuì con vigore insieme ad Ashido e Uraraka. Deku trattenne il fiato.

"Lo so che hai paura e vedremo come affrontare questa cosa, ok? Siamo tutti qui per aiutarvi."

Come a confermare il proprio sostegno, Todoroki scelse quel momento per russare più forte, cogliendo tutti di sorpresa e stemperando l'atmosfera. Midoriya aveva gli occhi lucidi e Mina passò a lui e a Kirishima un paio di fazzoletti, ridacchiando.

"Avete finito di fare i piagnucoloni e i piantagrane?"

"Kacchan!" Deku saltò a molla, voltandosi verso la porta della zona notte. Bakugou era appoggiato allo stipide, braccia incrociate e l'aria di qualcuno deciso a prendere in mano la situazione. Non aveva più la felpa della mattina, ma una maglietta molto più semplice e che delineava la curva del ventre. C'era, era innegabile, ma era ancora piccola.

"Ma tu ti svegli mai dal lato giusto del letto?" buttò lì Shinsou, ricevendo in risposta un dito medio mentre Katsuki faceva il giro del divano dalla parte di Deku.

"In piedi" ordino, ma Midoriya sembrò troppo stordito per dargli retta, così l'altro lo afferrò per il braccio e lo tirò su.

"Ba... Bakugou!?" Ochako e Kirishima si allarmatoro all'unisono quando videro il padrone di casa trascinare via l'amico. Mina e Shinsou seguirono in silenzio, finché tutti si sporsero dai divani quando Katsuki puntò al terrazzo.

"Che succede...?" Anche se Shouto si svegliò in quel momento non ci fu il tempo di dargli retta.

La porta finestra fu aperta di malagrazia, ma neanche si sentì il rumore del vetro che vibrò, non quando Bakugou diede voce ai polmoni. 

"Ohi, comparse!"

"Ka-Kacchan che vuoi fare!?"

Anche se i giornalisti accampati al piano della strada iniziarono ad agitarsi e parlare, da dove si trovavano i due Hero non si sentì quasi nulla, ma gli obiettivi di telecamere e macchine fotografiche furono tutti puntati verso l'alto.

"Flash news! Aprite le orecchie perché non mi ripeterò: volete sapere che succede, eh? Succede che questo deficiente ha fatto centro!"

"Ka... Kacchan" esalò Deku, tentando di coprirsi il viso in fiamme con le mani, ma Katsuki lo strattonò per un braccio per tenerselo al fianco.

"Sì, è un Beta ed è il padre dello sgorbietto che mi porto appresso, contenti?"

Qualcuno da sotto provò a urlare delle domande, ma non si capì nulla e Bakugou andò avanti.

"Ora che sapete come stanno le cose smammate o darò la colpa agli ormoni per-"

"Kacchan va bene così! Hanno capito!" intervenne Izuku, tirandolo indietro.

"Deku lasciami parlare! Questa gente non capisce se non la minacci!"

"Kacchan! Basta!"

Intanto, dentro il salotto, Shinsou continuò a osservare la scena come fosse stato al cinema e sembrò l'unico davvero rilassato.

"... dovremmo fermarli?" domandò Kirishima e Ochako scosse la testa, alzando le mani. 

"Perché Bakugou sta urlando?" domandò Todoroki sbadigliando.

"Te lo spiego dopo." Hitoshi stirò un sorriso divertito. "Ehi, Ashido... questo era il piano D?"

"Ah, cavoli loro ora" borbottò la ragazza, incrociando le braccia.

"I loro problemi diventano sempre i nostri, ricordate? I casini sono appena iniziati."

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COW-T 13, sesta settimana, M4
Prompt: Omegaverse
Numero parole: 2660
Rating: Safe
Warning: Omegaverse. Mpreg. Beta Deku e Omega Bakugou in dolce attesa.



Tell me now, how do I do this heavyweight that I can't pull?
Tell me now, do I look stupid?
Chasing dreams that are far to reach
Tell me now from your point of view
That you're still here and you'll always be
You'll always be

[Always Be 2.0 - Caleb Hearn]



“Kacchan! Che stai facendo!?

“Giardinaggio” fu la risposta sarcastica, con un lieve rimbombo.

Deku lasciò andare il borsone dove aveva ammassato la tuta da Hero insieme ad almeno due cambi che si riprometteva di lavare da giorni. Coprì la distanza che lo separava da Katsuki con un paio di falcate, abbassandosi di volata per infilare la testa nell’armadietto spalancato.

“Kacchan!” ripeté allarmato, ricevendo uno sbuffo. “Che cavolo stai-”

“C’è una perdita, idiota! Cosa credi che stia facendo qua sotto!?”

Nonostante lo spazio angusto e la torcia che proiettava la luce quasi unicamente sul sifone, i due incrociarono brevemente lo sguardo.

Quello di Katsuki diceva chiaramente Non ci provare, stai zitto, non dire-

“Kacchan sei al sesto mese! Perché non hai chiamato un idraulico!?”

La pinza a pappagallo che aveva in mano Bakugou fu pericolosamente vicina a incontrare la testa di Deku.

“Perché non c’è bisogno di pagare un fottio di soldi per una cavolata del genere! Va solo stretto il tubo.”

Sarebbe dovuto essere un lavoretto da cinque, dieci minuti massimo. Katsuki era lì da più di mezz’ora solo perché, come Deku aveva amato sottolineare, aveva un impedimento formato palla da spiaggia che lo rallentava in ogni - fottuto - aspetto del quotidiano. Aveva dovuto fare pure una prova anche solo per essere sicuro di riuscire a rialzarsi da solo - tenendo tuttavia il cellulare a portata di mano per chiamare Kirishima, l’unico con cui avrebbe potuto condividere quella vergogna, neanche con sua madre o suo padre. 

Nelle sue intenzioni, l’ideale sarebbe stato concludere il tutto prima che il responsabile della sua attuale situazione psico-fisica, aka Deku, rientrasse. Proprio per evitarsi quella manfrina dal sapore ansioso, come se lui non fosse già abbastanza sulle spine all’idea di fare qualche cazzata che nuocesse alla Sgorbia.

Inginocchiato, ma ancora curvo sotto il lavello, Izuku congiunse le mani davanti la faccia, respirandoci dentro profondamente.

Tutta la pazienza che hai, Deku, ok? Finché la bambina non sarà nata, dovrai fare appello a tutta la tua pazienza. Conta fino a dieci, se necessario.

Il consiglio di Uraraka suonava più come un Rassegnati, ok?

Stavano parlando del Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva in dolce attesa. Era come armare una bomba di un timer difettoso, poteva esplodere come poteva non esplodere. Deku si complimentò tra sé per il paragone azzeccato, tornando quindi a concentrarsi sul compagno.

“Lo so cosa stai pensando, bastardo!” ringhiò Bakugou, lasciando perdere i suoi intenti da idraulico e piazziandogli un dito medio in faccia.

“Allora esci da lì! Ci guardo io!”

“Oh, non iniziare! È il mio lavandino! Lo riparo io!”

“Sei davvero impossibile.” Non che sottolinearlo a voce servisse a qualcosa. Deku non rammentava un Kacchan così testardo neanche all’età di cinque anni.

“Cazzi tuoi.” Come volevasi dimostrare. Ma era già tanto che la pinza a pappagallo non gli fosse stata conficcata in testa per quel commento.

La gravidanza stava trasformando Bakugou Katsuki sotto diversi aspetti e quello fisico era solo il punto che si coglieva per primo per ovvie ragioni - e Deku avrebbe voluto poter esprimere a parole quanto fosse divino col pancione, ma a detta dei più stava sperimentando quella combo micidiale di “sei cieco di amore” unita a “stai per diventare padre” per cui la sua voce in capitolo non contava.

Escluso quello, la sfera emozionale dell’omega biondo continuava a eseguire le più complicate evoluzioni in aria dal trampolino più alto, per poi tuffarsi in una piscina di frustrazioni, ansie e, talvolta, ma raramente, previsioni catastrofiche sul futuro che finivano col trascinare dentro anche Deku.

A conti fatti, loro due si stavano frequentando come coppia da poco meno di tre mesi quando Katsuki si era ritrovato a fare un test di gravidanza. Era stato solo del sesso fine a se stesso fino a quel momento, qualche parola un po’ più intima buttata qui e lì a fronte di una conoscenza che durava da tutta la vita, ok, ma non con il pensiero Ehi, che ne dici di un figlio? Proprio no. 

Izuku aveva sperimentato il significato dell’espressione essere al settimo cielo quando Katsuki lo aveva sfiorato per la prima volta privo della solita irruenza e si era preso un bacio senza preamboli. Da lì erano iniziate le montagne russe, incluse quelle due linee che avevano stravolto il loro quotidiano. Ma perfino arrivati al sesto mese non erano ancora in grado di determinare cosa fossero.

Una coppia?

Una coppia di amanti barra futuri genitori per sbaglio?

Una coppia di futuri genitori che per caso si frequentavano? (Aveva anche solo senso dirla al contrario?)

Deku a volte si chiedeva se ancora si frequentassero, tra l’altro. Se l’intento iniziale - che era solo del sesso!? O c’era stato altro ed erano successe talmente tante cose che se ne era dimenticato? - fosse ancora presente.

Erano quasi cinque mesi che dormiva sul divano dell’appartamento di Katsuki perché era stato bandito dalla sua camera da letto - il che era ok, come gli aveva spiegato Uraraka, visto che gli omega tendevano a essere estremamente territoriali nei riguardi nei loro nidi. A questo si aggiungeva il fatto che non avessero un legame - anche perché Deku era un Beta e non un Alpha - e nelle condizioni in cui si trovava Bakugou, non era poi così scontato che, nonostante tutto, Katsuki non lo volesse nella propria safe zone. Deku era capace di accettarlo, anche se l’amaro in bocca glielo lasciava lo stesso. Non poteva pretendere, e meno che mai voleva farlo. Non c’erano promesse tra di loro. Se Bakugou avesse voluto farsi una vita per conto suo… 

Ma chi voleva prendere in giro. 

Lui era conscio di volerci essere. Conscio che Kacchan fosse il suo punto di inizio da che avesse memoria e che sarebbe stato la sua fine, in qualsiasi senso il fato volesse interpretarlo.

Quella bambina - la Sgorbia, come Katsuki stesso l’aveva rinominata - per lui era un dono che non aveva osato chiedere, ma che era già prezioso quanto il legame che aveva con Kacchan. Era letteralmente la forma tangibile di ciò che li legava. Non aveva dubbi sul fatto che ci sarebbe stato per lei in ogni modo possibile.

Avrebbe voluto esserci anche per Katsuki, ma quella era una decisione che non spettava a lui. 

Si era perso nei propri pensieri, ma la smorfia che fece schioccare la lingua a Bakugou lo riportò alla realtà. Per avvicinarsi si acquattò di più all’interno nel mobiletto, mosso dalla preoccupazione.

“Che hai?”

Bakugou gli piantò il palmo contro il mento, spingendolo indietro.

“Levati! La Sgorbia mi sta prendendo a calci!” e seguì un’altra smorfia per cui si morse il labbro, soffocandoci un’imprecazione.

Deku recepì solo la parte del messaggio che, come ogni volta, gli ricordava con una schicchera mentale Stai per diventare papà! Sì! Proprio tu! Con niente meno che Kacchan…!

Gli si aprì un sorrisetto idiota sulle labbra e Katsuki fu diviso tra il volergli infilare le dita negli occhi o tirarselo addosso per baciarlo. Odiava gli ormoni.

“Cazzo.”

Izuku guardò verso il pancione, l’espressione da beota nel vederlo tremare.

“Ci sa fare, eh? Sarà lo Shoot Styl-”

Bakugou si agitò, cercando di uscire da sotto il lavello.

“Piantala di sparare stronzate e aiutarmi ad alzarmi! Devo andare in bagno!

Fine della magia. Midoriya ricollegò i neuroni e realizzò che fosse un momento da Colpo basso - quelli alla vescica, insomma - e quindi sinonimo di emergenza. Ma tra l’epifania, l’urgenza e il corpo che si mosse in autonomia, il piccolo particolare dello spazio angusto fu ignorato, così il retro della sua testa ebbe un incontro ravvicinato col sifone. Lo stung fu abbastanza sonoro. Le gocce d’acqua che caddero una conseguenza evitabile.

Deeeekuuuu!” ululò Katsuki. “Sei un defi-”

La Sgorbia ebbe da dire la sua con un altro calcetto ben piazzato.

LEVATI!"

Riuscirono a coordinarsi decentemente. Midoriya saltò in piedi e tirò su Bakugou come se non pesasse quasi sette chili in più. Detestando il mondo ed esprimendolo a suon di imprecazioni, Katsuki sparì in bagno.



“Non farlo di nuovo” borbottò Bakugou a mezza voce, fissandosi la pancia. Non ci furono responsi. Niente nuovi calcetti, non finché non passò la mano sulla curva prominente un paio di volte e avvertì una leggera pressione.

“Vedi di stare buona…”

Non ricordava il momento preciso in cui aveva iniziato a parlare con la Sgorbia. Ricordava invece vivido l’attimo in cui il fagiolino, come lo aveva chiamato Eijirou per mesi, era diventato una lei e qualcosa di più concreto.

Sarà una bambina!

Lo avevano ripetuto tutti. Con emozione, con commozione, con parole di festa. A Katsuki era sembrato che urlassero perché lui non riusciva ad accettarlo.

Era complicato. Era tutto fottutamente complicato.

Ci aveva messo degli anni a rigirare i suoi sentimenti per Izuku e trovare il verso giusto. Trovare quel lato che continuava a nascondere o soffocare, dicendosi che non fosse possibile.

Amore. Gli veniva l’urticaria solo a pensarci, eppure aveva avuto tutto il tempo del mondo per sperimentare il resto e scartarlo miseramente: l’invidia, la rabbia, persino l’odio. Nessuno di questi aveva resistito. Dei cartelloni pubblicitari che si erano sciolti con la prima pioggia, non importava quanti strati applicasse. 

Alla fine, ciò che c’era sotto era venuto a galla, ma aveva dovuto sfiorare i ventitre anni per capirlo e accettarlo. Per dare una chance a quel sentimento che era cresciuto di pari passo con lui, che si era alimentato in segreto di ogni attimo passato con Deku, che aveva avuto pazienza, facendo capolino solo di tanto in tanto per farlo esitare, ma il momento non era mai stato davvero maturo.

E non lo era stato neanche quando Katsuki si era davvero deciso a fare sul serio.

Tre fottuti mesi.

Avevano iniziato dal sesso perché Bakugou non sarebbe stato capace di mettere a parole qualcosa di diverso da un insulto nei confronti di Deku. Ed era andata alla grande. Superati i primi impacci, l’intesa era stata devastante, quasi superiore al piacere stesso.

Katsuki avrebbe preferito almeno un anno di quel sesso vorace e solo dalla parvenza occasionale, prima di muovere un altro passo ed essere più concreto. Invece no. No. Il fottuto destino aveva deciso che un qualche preservativo si sarebbe dovuto bucare, o un birth control non mantenere la promessa dell’effetto per cui era stato inventato.

Sentite anche voi questo odore dolce? Sembra… latte?

Ricordava ancora le parole del Bastardo a metà negli spogliatoi dell’Agenzia di Endeavor. Lui e il suo maledetto olfatto da Alpha che avevano fiutato la gravidanza prima ancora che il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva potesse anche solo ipotizzare che fosse il motivo dei suoi malesseri recenti.

E ora eccolo lì, cinque mesi dopo, con il baricentro andato a puttane e un quantitativo di sentimenti che facevano giornalmente a botte con gli ormoni. Una tortura senza fine e preferiva pensarla tale, perché l’alternativa era guardare il calendario e accettare che di lì a tre mesi avrebbe tenuto tra le braccia il risultato di tre giorni di sesso no stop con il suo amico di infazia barra rivale barra amante barra… padre di sua figlia.

Dio, cosa aveva fatto di sbagliato nella vita?



Quando tornò in cucina rimase impalato sulla porta, la mano ancora appoggiata sul ventre, ma i pensieri completamente spariti.

Non c’era niente di imprevedibile in quello che stava guardando, eppure gli consegnò le ennesime emozioni contrastanti. O meglio, emozioni che avrebbe dovuto mettere in fila insieme alle altre, ma il processo di accettazione andava così a rilento dentro di lui che stava solo stipando a manciate cose che chiunque altro nella sua situazione probabilmente avrebbe elaborato in un lampo con… gioia? Gli venne la nausea e per una volta non fu colpa della Sgorbia.

Non ce l’aveva con Izuku.

Non riusciva a metterlo a parole, ma non lo riteneva responsabile, colpevole o qualsiasi altra sfumatura simile. Quella situazione l’avevano creata in due - e, neanche sotto toturlo lo avrebbe ammesso, non vedeva l’ora di replicare quei tre giorni di puro e semplice piacere insieme. Non era il tipo da incolpare seriamente il partner o cazzate del genere.

Era complicato. E odiava ripetersi, ma venire a patti con se stessi era un percorso tortuoso e pieno di buche o di mine.

Vuoi essere felice con Deku?

Cristo, quante volte gli era stata fatta quella domanda negli ultimi mesi?

E perché dire era tanto difficile?

Lui lo aveva spinto nel fango Izuku, letteralmente e metaforicamente, più di una volta.

Izuku era tornato da lui ogni volta. Con quel suo sguardo che sembrava in grado di fagocitare ogni cosa nell’essere preoccupato per il prossimo, con quella sua mano tesa pronta ad aiutare.

Kacchan stai bene? Riesci a rialzarti?

Anche nel presente che stavano vivendo Katsuki era ancora restio ad accettare quelle dita, più per abitudine che per reale ritrosia, ma questo non cambiava quello che per anni aveva fatto.

Quindi come poteva ammettere di desiderare qualcosa di bello con la persona che per tutta la vita aveva antagonizzato?

Come faceva Izuku a trovare la felicità con lui?

Perché Testa a punta, Ghiacciolo caldo e Guance tonde avevano tutti più volte sottolineato quanto Deku fosse al settimo cielo. Era semplicemente assurdo.

Il tempo passava e il recipiente dove Bakugou stava ammucchiando tutti i pensieri, le sensazioni e i respiri stava diventando un torchio e prima poi avrebbe dovuto decidere cosa distillare. Aveva sulle spalle i battiti di cuore di tre persone. Il proprio, quello di Izuku e quello della Sgorbia. Come si faceva ad avere in carico il cuore di altri due esseri viventi oltre al proprio? Proprio a lui doveva capitare una situazione del genere? Lui che con le mani faceva esplodere le cose?

Forse più che destino quello era il fottuto karma e Deku sarebbe continuato a essere la sua croce e la sua redenzione per tutta la vita.

Si mosse, lasciando la cornice della porta ed entrando in cucina. Era stanco di pensare, di mettersi le mani al collo da solo e soffocarsi. Voleva uscirne e voleva pensare ad altro.

Fissò ancora una volta Izuku, ma cambiò prospettiva, soffermandosi sul lato puramente sensoriale. Aveva addosso l’ennesima tuta - un’abitudine che aveva preso da qualche mese al posto di vestiti più decenti perché, a detta sua, erano più comodi, poteva dormirci, correrci in giro se necessario. Non gli rendevano per niente giustizia.

Tuttavia, la solita maglietta stupida era leggermente tirata su, lasciandogli scoperti gli addominali. Katsuki li fissò e li fissò ancora, prima di sfilare un piede dalla ciabatta e piantarglielo sullo stomaco.

Kacchan!” sussultò Deku, finendo col dare una gomitata al mobiletto per la sorpresa.

Mpfh. Hai finito? Quanto ti ci vuole? Mi serve il lavandino per fare la cena.”

Deku tentò di tirarsi meglio su, ma Bakugou insistette con fermezza a tenerlo dov’era, stirando un risolino vagamente di sfida.

“Ehm… togli il piede?” tentò Izuku.

“Perché dovrei? Non mi pare tu abbia finito e ti servono le mani lì sotto, mica i tuoi stupidi addominali.”

Il beta sospirò, lanciandogli un’occhiata incerta, ma tornò a sdraiarsi, pinza alla mano.

“Potremmo ordinare qualcosa stasera? Non hai voglia di, non so… pizza?”

Che era il modo scontato di Izuku per chiedergli di non affaticarsi. Katsuki roteò gli occhi esasperato, ma non ribatté.

Sì, aveva voglia di fin troppe cose, ma non si sarebbe ingozzato solo perché la Sgorbia giocava con il suo appetito e gli faceva venire voglie assurde in orari altrettanto assurdi.

Fu però pensando proprio a quello di cui avrebbe potuto avere voglia che Bakugou si distrasse e il piede gli scivolò più in basso, incontrando qualcosa di, be’, duro. Izuku si irrigidì di botto e allo stesso tempo scattò. Un nuovo stung risuonò brevemente nell’aria, insieme a un Kacchan! esalato.

Kacchan non se lo fece ripetere due volte e tastò con più consapevolezza.

Gli si aprì un ghigno perfido sul volto.

“Non mi dire che stai pensando al mio Katsudon, Deku.”


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COW-T 13, sesta settimana, M6
Prompt: Tema libero
Numero parole: 100
Rating: SAFE
Warning: //



Katsuki chiuse le guance di Izuku tra le dita senza preavviso. Allo sguardo aggrottato e in parte allarmato, replicò con un cipiglio affilato. Assorto. I polpastrelli strinsero e si rilassarono un paio di volte, come a testarne la...

"Perché sono così morbide?"

Deku provò a dire qualcosa, ma uscirono suoni neanche vagamente comprensibili. Bakugou lo lasciò andare senza preavviso. 

"Kacchan, perché-" 

Un morso. Sulla guancia. 

Il cuore di Izuku saltò un battito, mentre i nervi gli rimandarono un vago senso di fastidio. Nulla comparabile però al brivido che lo irrigidì. 

Katsuki lo lasciò andare, leccandosi le labbra.

"Sai di mochi."


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COW-T 13, quinta settimana, M2
Prompt: Taboo
Numero parole: 1138
Rating: Safe
Warning: //




“Lo fanno le puttane.”

Il silenzio durò davvero troppo poco anche solo per elaborare mentalmente la frase.

“Battere!”

La carta seguente era già nella mano di Sero.

“Lo è Draco Malfoy.”

“Purosangue!”

“Tette e culo!”

“Curve!”

Un guizzo dell’occhio di Hanta insinuò il dubbio in Denki che si corresse all’istante.

Curva!

Il tempo nella clessidra si esaurì nell’esatto istante in cui l’ultima a lasciò le labbra di Kaminari. Lui e Sero si diedero il cinque l’attimo successivo.

“Grande! Abbiamo fatto dodici punti! Un record!”

Deku divise i sessanta secondi di un minuto per dodici.

“Una risposta in media ogni cinque secondi… wow” mormorò meditativo, tirandosi il labbro inferiore tra due dita. “Questa rapidità può essere utile nello scambio di informazioni sul campo. Se c’è intesa tra due Hero, allora si guadagna del tempo prezioso. Questo può valere per sidekick in una stessa Agenzia, ma in un TeamUp c’è da considerare più variabili, soprattutto il non conoscersi a fondo e quindi-”

Katsuki si allungò a dare uno scappellotto a Izuku.

“Gioca, invece di cianciare cavolate! È il tuo turno e di Testa a punta!”

“Yoo! Tocca a te, Midoriya! Sono prontissimo!” si esaltò Kirishima, mettendosi in posizione manco stesse per scattare e correre i cento metri.

Sero mollò in mano a Deku il mazzo e Denki stirò un sorrisetto, afferrando la clessidra.

“Pronti… via!”

Izuku aveva calcolato anche un attenti, quindi incespicò e si fece cadere la prima carta di mano. Bakugou sbuffò, roteando gli occhi.

“A-Allora…”

Lesse la parola. Coadiuvare.

Gli prese un leggero panico.

Aiutare. Contribuire. Lavoro. Ostacolare. Collaborare.

“È u-un verbo…” Un’azione, lo corresse la mente, ma le labbra non stettero al passo. “Q-Quando, ecco, insieme ad altri…” rilesse il più velocemente possibile le parole taboo. “… porti aiu-” Sero premette il Buzzer che emise una pernacchia di avvertimento. Deku cercò di correggersi al volo. “Porti s-soccorso a qualcuno…?”

Non era la stessa cosa e stava andando fuori strada, ma Kirishima proruppe in un mezzo urlo.

“Hero!”

Stavolta Bakugou lo scappellotto lo diede a lui.

“Ti ha detto che è un verbo, cretino! E siediti!”

“Fare l’Hero!” provò di nuovo Eijirou, che se avesse avuto una coda avrebbe scodinzolato.

“Io cambierei parola” suggerì Hanta, scuotendo la testa. “Dubito che la conosca questa.”

Izuku non ci pensò due volte. Seguì il consiglio e ne pescò un’altra.

Cleopatra.

Ingoiò il vuoto. Sero si trattenne dallo scoppiare a ridere.

“V-Viveva nello stesso paese di Salaam!” tentò, inchiodando il rosso con il proprio sguardo come se avesse potuto parlargli con gli occhi. “Molto, moooolto tempo fa! Al tempo delle piramidi!”

Hanta e Denki si erano ribaltati dalle risate. Bakugou si stava massaggiando le palpebre imprecando tra sé e Shouto, l’ultimo giocatore, in coppia con il dinamitardo, stava guardando con intensità un punto imprecisato, dando l’idea di prendere molto seriamente la questione.

“È stata il capo del suo governo!” Sero sembrò aver bisogno di una bombola di ossigeno. “Ed era una- ecco… Era un’ammaliatrice di uomini!”

“Cristo, Deku…” mormorò Katsuki avendo pietà delle sue spiegazioni. “Nessuno indovinerebbe così.”

“Una danzatrice del ventre…?” tentò Kirishima del tutto confuso.

La clessidra ebbe pietà di loro e fece cadere l’ultimo granello.

“Fine tempo!” dichiarò Denki, asciugandosi le lacrime dagli angoli degli occhi. “Siete stati fenomenali!”

Sero ebbe bisogno di un bicchiere di coca cola per riuscire a tornare in sé.

“Se la carriera da Hero non dovesse andare in porto, potreste tentare e mettere su un duo comico!” rise ancora, passando il Buzzer a Deku, che a sua volta passò il mazzo a Shouto di fianco a lui con un sospiro sconfitto.

“Mi dispiace” si scusò verso Eijirou, che scosse con forza la testa.

“È anche colpa mia! Ci rifaremo al prossimo giro sicuramente!”

“Speraci” borbottò Katsuki, che invece fissò il suo compagno di squadra come avesse avuto davanti un pranzo cucinato con ingredienti male assortiti. “Cerca di non impappinarti e di essere comprensibile, Ghiacciolo caldo.”

Shouto annuì.

“Vediamo se riuscite a batterci” buttò lì Hanta con un ghignetto, la mano sulla clessidra. “Via!”

Il più giovane dei Todoroki girò la carta e poi guardò Bakugou negli occhi.

“Nelle favole, il cavaliere salva dal pericolo la…?”

Il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva parve essere stato colto alla sprovvista, nonostante la concentrazione.

“Principessa.”

Shouto scosse la testa. Katsuki ringhiò.

“Damigella.” Un altro diniego. “Dama.”

“Corretto.” Todoroki pescò un’altra carta. “Seconda metà della giornata.”

“Pomeriggio.”

Deku si chinò verso Sero con un bisbiglio. “Giornata vale se c’è scritto giorno?” ma entrambi si distrassero a seguire il successivo scambio.

“Quando arrivi terzo classificato.”

“Bronzo.”

“Le prime a spuntare a primavera.”

“Margherite.”

“Arrivare a un appuntamento dopo l’orario.”

“Tardi.”

“Quando un Villain tiene degli ostaggi e ha delle richieste.”

“Negoziatore.”

“Ohi, ohi” ridacchiò nervoso Kaminari, passando lo sguardo dall’uno all’altro. “Cos’è questa intesa?”

Ma la concentrazione tra i due era così serrata che neanche lo sentirono. Kirishima stava facendo un tifo muto, agitandosi neanche stesse seguendo una partita di tennis, girando la testa a seconda di chi stesse parlando. Deku era a bocca aperta, affascinato.

“Ha cinque punte e vive nell’acqua salata.”

“Stella marina.”

“Ci tieni al sicuro ciò che possiedi di import-”

“Cassaforte.”

Shouto sembrò uscire dalla trance per essere stato interrotto.

Non distrarti, Bastardo a metà!” saltò su Katsuki, anche lui perdendo l’andamento del momento.

“Tic, tac!” aggiunse Sero, indicando la clessidra.

“La lasci nella neve-” Todoroki ebbe un ripensamento, mordendosi appena il labbro. “Nella sabbia quando cammini.”

Bakugou esitò un attimo e lanciò un’occhiataccia a Denki e al suo Che peccato, avete perso il ritmo!

“Impronte!”

“Una.”

Impronta, cazzo! La prossima!”

“Qualcosa da superare.”

Katsuki si guardò un attimo intorno in cerca della parola.

“Ostacolo!” saltò su, squadrando la clessidra. “Avanti!”

“È molto grande e vive nell’oce-” Deku premette il Buzzer.

“Pochi secondi!”

“Taci, Faccia piatta! Deku, ti ammazzo se lo rifai! Una merda di balena! Muoviti!

“Quello che fanno due persone che si amano.”

Bakugou si bloccò su una sillaba indefinita, fissando l’espressione imperscrutabile di Shouto, mentre la sua arrossì leggermente. Kaminari e Sero trattennero il fiato, prima di scoppiare a ridere in simultanea. Anche Izuku, fissando prima la carta, poi la faccia impietrita dell’amico di infanzia arrossì, capendo a cosa stesse pensando e scuotendo la testa come a volerlo aiutare.

Todoroki lasciò cadere la carta, guardando la clessidra.

“Peccato, ce l’avevamo quasi fatta.”

“Ah, era facile questa!” constatò Kirishima, girando la carta verso di sé. “Perché ti sei bloccato?”

“Lo so io” ridacchiò Sero, lanciando un’occhiata significativa al dinamitardo e poi in direzione di Deku e Shouto, che ricambiarono senza comprendere. “Perché non riesce a parlare delle cose che non riesce a fa-”

Il tavolino esplose e tutte le carte si sparsero per aria, mentre Katsuki, rosso in viso, urlava che era solo un gioco di merda. 


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COW-T 13, terza settimana, M1

Prompt: Scuola

Numero parole: 900

Rating: SAFE

Note: ipotetico terzo anno. SPOILER! 



Aizawa fissò Bakugou in attesa.

Bakugou si ostinò invece a guardare la vegetazione fuori dalla finestra dell’aula insegnanti.

Nonostante ci fossero altre persone con loro - tutti insegnanti, tutti in teoria affaccendati, tutti in pratica curiosi - il silenzio nel grande stanzone era immacolato.

Aizawa stava aspettando delle spiegazioni che Bakugou, era evidente, non intendeva fornire.

“Credevo ci fossimo lasciati alle spalle questi comportamenti infantili.”

Il corpo docente presente trattenne il fiato all’affermazione leggerissima del responsabile della classe A.

Katsuki lo guardò come se gli avesse appena offeso la famiglia, ma non disse nulla. La sua mascella era così contratta che avrebbe potuto spaccarsi i denti.

“Tu e Midoriya non avete fatto pace due anni fa? I vostri rapporti erano notoriamente migliorati.”

All’ennesimo silenzio ostinato - patologico - dello studente, l’insegnante abbandonò i fogli che aveva in mano e si appoggiò col gomito alla scrivania, premendosi due dita contro la tempia in un lento massaggio stanco che sembrava dire Non torneremo indietro proprio ora che siamo al traguardo (che, in sostanza, sottolineava quanto poco mancasse al diploma).

“Mi raccontarono di un toccante momento sotto la pioggia in cui gli hai chiesto scusa. E, se te lo fossi scordato, c’ero anche io durante l’ultima battaglia contro Shigaraki. Vederti morire è entrato nella mia top three delle cose che vorrei seriamente dimenticare, ma non posso.”

L’atteggiamento di Bakugou non si mitigò, ma il colore delle sue guance e orecchie sfiorò il rosa intenso per l’imbarazzo, come se Aizawa avesse improvvisamente tirato fuori l’album delle foto ricordo di quando era un moccioso di tre anni.

“Temo sia lo stesso per Midoriya. Ma questa esperienza vi ha segnati entrambi e sono certo che la vostra relazione sia ora su un altro livello.”

Se prima la curiosità del resto dei presenti era pressoché blanda, al tono eloquente di Erased Head più di un insegnante allungò il collo per origliare meglio, fingendo malissimo di farsi gli affari propri.

Aizawa sospirò di fronte a quel mutismo da prigioniero, spostando le dita per massaggiarsi l’attaccatura del naso.

“Se non mi dici almeno il motivo per cui hai fatto esplodere Midoriya davanti a mezza scuola riconteggerò i giorni di detenzione.”

Tzé.” borbottò Katsuki, come gli stesse chiedendo semplicemente di fare duecento flessioni in più.

Tzé cosa, Bakugou?” insistette l’insegnante, sperando finalmente di venirne a capo.

“Mi dava i nervi. Tutto qua.”

Stavolta Aizawa premette la faccia nel palmo, in un non meglio specificato Non l’hai detto davvero o Non ci voglio credere. Quando se la abbassò sulla bocca, meditando, sembrò sul punto di usare il proprio quirk - se avesse potuto - per puro sfogo allo stress.

“Una settimana di reclusione in dormitorio.”

Cosa!?” Bakugou ritrovò la voce e la verve, saltando in piedi - e dopo due anni significava avere davanti una persona adulta, ma per Aizawa continuò a essere un pulcino, quindi non si scompose. “Ohi! Al primo anno la punizione fu di quattro giorni e ci eravamo pestati male!”

“Benvenuto nell’irragionevole e ingiusto mondo degli adulti, Bakugou. Forse non hai ancora ben chiaro come assumerti le tue responsabilità.” Il fatto che un sorrisetto mefistofelico avesse fatto capolino dalle bende rese Aizawa solo più inquietante. Stava chiaramente esibendo il privilegio di avere il coltello dalla parte del manico. “Vuoi ritrattare la tua motivazione o devo scrivere atto di bullismo a caratteri maiuscoli sulla nota?”

Katsuki roteò gli occhi e sbuffò.

“Abbiamo finito?”

“Dimmelo tu.”

“Allora abbiamo finito, sensei.”

Ma Bakugou non andò lontano, non quando una delle bende di cattura dell’insegnante lo acchiappò stringendogli braccia e dorso a sandwich, riportandolo dov’era.

Ohi!” latrò il più giovane, incespicando nei passi. “Che altro c’è?!

Aizawa lo guardò di nuovo negli occhi, lo scrutò a fondo, passandosi un dito sulla barba ispida. Neanche se fossero passati un milione di anni Katsuki avrebbe potuto immaginare che l’insegnante già sapesse il vero motivo, ma un vago senso di allarme gli serpeggiò addosso. Erased Head gli cancellò ogni dubbio e non si limitò a bisbigliare. Oh no, se la punizione doveva essere completa, lo sarebbe stata anche con un semi pubblico smascheramento, per quanto solo davanti agli altri insegnanti.

“Se volevi fare in modo che Midoriya si decidesse a ordinare una nuova divisa, di una taglia più consona al suo fisico attuale e non attillata come quella che ha ora, ti sarebbe bastato farlo presente a me. E per la cronaca, mi sono accorto solo l’altro giorno di quanto sia cresciuto ancora. Ho provveduto stamattina a ordinargliene un’altra, prima che tu decidessi di fare a modo tuo.”

Bakugou era di un colore molto simile alla metà rossa di Shouto. Sembrò sul punto di abbaiare qualcuno dei suoi insulti, ma allo stesso tempo non pareva esserne più in grado. E Aizawa non aveva finito. Non secondo il nuovo sorrisino sornione che si concesse. Erano in pausa pranzo e quello che stava per dire dava l’idea di essere il suo dessert personale.

“Vorrei tirare a indovinare sul motivo reale. Se, di base, si è trattato solo del fastidio che Midoriya ti provoca da sempre perché si trascura, o se, magari, la colpa sia da imputare ai commenti che sono giunti alle mie orecchie. Nello specifico, diversi apprezzamenti da molti studenti su come il nostro Deku sia diventato… appetibile.”

A diciotto anni Bakugou sperimentò l’implosione e scoprì quanto Aizawa potesse ridacchiare in maniera cattiva


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COW-T 13, seconda settimana, M3

Prompt: 06. Il rapporto tra un personaggio protagonista ed “eroe” della storia e il suo fedele “compagno”.

Numero parole: 3831

Rating: SAFE con riserve.

Warning: “contenuti delicati”. Menzione di dub-con. 

Note: Fantasy AU.


I saw you losing faith, I saw a fading fire
Flick of flames of every time we came out as the sole survivors
And when I went too far, and then you came to follow
You pulled me from the edge, thought I was too far to save

I would be lost without you
You are the sun that keeps my darkness at bay
I would be lost without your love
You know that I would be lost

[Lost without you - Sleeperstar]



La storia di Izuku non iniziava dalle stanze dietro la cucina come molti amavano raccontare.

Quegli ambienti erano soltanto un piccolo rifugio, ereditato dalla madre, dove poter sistemare tutto quello che riusciva a collezionare. Quando il ragazzino diceva che dormiva nelle stanze accanto al principe tutti ridevano, dandogli un buffetto, o talvolta ci rimediava una dolorosa sculacciata perché Non si dicono le bugie, piccolo impertinente!

Crescendo, Izuku si era fatto l’idea che nessuno lo prendesse sul serio per colpa di come era solito vestirsi o girare per il castello. Per riuscire a correre, esplorare i boschi intorno alle mura o anche solo avventurarsi nei meandri dell’enorme tenuta, nei cortili o nelle stalle, gli eleganti abiti cuciti da sua madre, con stoffe morbide e tinte, arricchiti di ricami argentati, non erano pratici. E poi a Izuku piaceva dare una mano e rendersi utile. Così c’erano giornate in cui, messa una casacca e dei pantaloni laschi, passava le ore con la servitù della cucina o gli stallieri.

Senza che nessuno lo capisse veramente, Izuku era nato con una libertà che pochissimi all’interno del castello potevano vantare. Neanche il futuro Re aveva la sua fortuna - ed era con probabilità uno dei motivi per cui tanto lo detestava.

Era quel tipo di libertà data dal non essere nessuno.



La vera storia di Izuku era iniziata il giorno in cui Mitsuki, Regina delle Terre del Sole, aveva annunciato l’arrivo del suo primo figlio e futuro erede al trono.

Nulla che non fosse previsto, ma molti scettici avevano messo in dubbio le capacità del consorte scelto dalla regnante a portare a termine anche solo il basilare compito di un concepimento. Non che Masaru mancasse di qualcosa, ma le sue attività di ricerca lo avevano portato fin da giovane a intraprendere lunghi viaggi per tutte le terre del regno e oltre. il suo entusiasmo per la scoperta non si era mitigato neanche con il matrimonio, portandolo a lasciare fin troppo spesso il fianco della compagna. Ma Mitsuki era la prima a incoraggiarlo e ascoltarlo al ritorno dei suoi viaggi. E se proprio ne aveva voglia, la Regina aveva dato prova in più occasioni di poterlo raggiungere quando più desiderasse e ovunque il consorte si fosse cacciato. Discendere dai Draghi ed essere un mutaforma aveva enormi vantaggi, non solo dal punto di vista politico.

Ma per via di questi frequenti pellegrinaggi, nessuno all’interno delle mura si era davvero dato pena di pensare che il futuro rampollo reale sarebbe arrivato dall’oggi al domani. Nulla che non fosse comunque affrontabile da un entourage al servizio della famiglia reale da generazioni. Gli stallieri avevano passato il mestiere ai figli, le cuoche alle figlie e il ruolo di Maestro di Corte era stato ereditato sempre dalla stessa famiglia fin da quando la prima pietra del castello era stata posata. L’attuale attendente al ruolo era ligio alle tradizioni e alle regole, per cui il giorno stesso dell’annuncio si premurò di radunare tutte le donne in età da marito che prestavano servizio per la famiglia reale.

Chi di voi non ha ancora partorito e non ha avuto malanni di recente? Inko? Quanti anni hai? Venticinque, mmh... Andrai benissimo lo stesso. Hai un uomo? No? Non sarà un problema neanche questo, ci sono molti giovani cavalieri nella guardia e hai un viso piacevole, sarà una cosa veloce. Ricorda, lo fai per la Corona che servi e che ti protegge. Da oggi, oltre alle tue mansioni classiche, dovrai pensare unicamente a diventare una brava nutrice per il futuro erede.

La vita di Inko era cambiata in ogni suo aspetto. La cucina non era più stato un luogo da considerare casa, ma diventò la sua zona di fuga e conforto, dove rintanarsi e metabolizzare gli incontri che il Maestro di Corte aveva da subito disposto per lei con uomini di ogni età, affinché il suo nuovo compito iniziasse quanto prima.

Erano occorsi circa tre mesi prima che il seme di un cavaliere senza nome iniziasse a mettere radici dentro di lei. Ce ne erano voluti altri quattro perché fosse presentata formalmente alla Regina e vedesse il primo spiraglio di luce.

Mitsuki era una donna che aveva sempre fatto parlare di sé, in positivo e in negativo. Nessuno avrebbe mai osato mettere un collare ai Signori dei Draghi, ma nei secoli erano state stabilite delle etichette da rispettare, un bon ton a cui piegare anche il più ribelle dei regnanti. Tuttavia, Mitsuki era la prima Regina da lungo tempo e il sangue dei suoi antenati ribolliva vivace nelle sue vene. Aveva iniziato da subito a distruggere una a una ognuna di quelle costrizioni, conquistandosi ciò che aveva passo dopo passo e sempre con un ghigno inscalfibile.

Per questo, quando Inko si trovò al suo cospetto e presentata come nutrice, ne ebbe timore.

Al contrario di lei, Inko non aveva mai conosciuto nulla al di fuori delle cucine ed era sempre stata contenta così. I suoi genitori, come lei, erano nati e cresciuti tra farine e cacciagioni da arrostire, maestri nella loro arte, insegnata a lei fin da quando ne aveva memoria.

Avere Mitsuki davanti fu abbagliante come il Sole che rappresentava. Il suo ventre di sette mesi era impossibile da non seguire con lo sguardo, anche quando si muoveva come se non ne sentisse il peso. Era stata gentile con Inko, l’aveva voluta conoscere, come se non fosse stata una delle tante cuoche di corte e semplice nutrice. L’amicizia era stata una conseguenza che aveva scaldato le giornate di Inko, riuscendo a farle tornare tracce di un passato buon umore.

A pochi giorni dall’arrivo del futuro Principe, però, Mitsuki aveva posto a Inko la domanda che le aveva fatto realizzare cosa realmente le stesse succedendo.

Hai già scelto i nomi?

I nomi, mia regina?

Nel caso sia un maschietto o una femminuccia, no? Il Mago di Corte ha detto che sono entrambi maschietti, ma finché non li vedrò non ci crederò!

Ah…

Solo Masaru lo sa per ora, ma voglio confessarlo anche a te. Il futuro principe o principessa si chiamerà Katsuki o Masaya. Che ne pensi?

Katsuki… è molto appropriato, mia regina.

Sempre che non si monti la testa! Spero prenda la pacatezza di Masaru o avrò una bella gatta da pelare. Crescere un giovane drago è stancante, se in più nasce con un’indole dominante… saranno giornate intense! Ehi… tutto ok?

Io… non ho pensato a un nome.

Hai ancora tempo, mia cara.

Inko si ritrovò di fronte a una realtà che fino a quel momento aveva schivato.

Stava per avere un figlio. Un bambino. Una creatura che sarebbe dipesa da lei, che avrebbe avuto bisogno di essere protetta e…

E amata.

Non era pronta.

Tutto quello che le era stato ripetuto fino a quel momento era di diventare una brava nutrice, non una madre. Lei avrebbe dovuto badare al Principe in arrivo, sfamarlo, fare in modo che crescesse forte nel corpo e splendente come lo era Mitsuki.

Un figlio suo, invece… lei che non aveva mai posseduto nulla al di fuori delle capacità di impastare e preparare pasti. Un figlio era una realizzazione e una responsabilità troppo forte.

Ma il tempo di piangersi addosso non c’era stato. Pochi giorni e Mitsuki partorì Katsuki alle prime luci dell’aurora, mentre per Inko il mondo si rovesciò un’altra volta.

Ancora tre mesi e sarà il tuo turno, amica mia. Ti starò vicina, non temere. Non auguro a nessuna un’esperienza simile da sola! Non ti ho mai chiesto del tuo compagno, il Maestro di Corte mi ha solo detto che è della Guardia. Vorrei che veniste tutti e tre ad abitare nelle stanze qui vicine, così che potremmo darci man forte con queste piccole sanguisughe adorabili.

Inko non aveva risposto e non l’aveva guardata. Stringere al petto il neonato Principe era tutto quello che riusciva a fare, mentre i morsi della colpa la stavano divorando viva.

Non c’era alcun compagno. Non aveva idea di chi l’avesse… non voleva neanche ricordare. Era stato soltanto un dovere. Nessuno aveva alzato le mani su di lei, ma nessuno si era tirato indietro da quel compito.

A ogni calcetto nel suo ventre pieno di vita, Inko si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare del bambino. Di quel bambino che non riusciva a sentire proprio.

Il tuo unico pensiero deve essere il Principe, Inko. Se le tue compagne della cucina sono d’accordo, puoi lasciare la cura di tuo figlio a loro. Diversamente, provvederemo a portarlo in campagna. Se è davvero un maschio, le sue braccia saranno utili nei campi. Ma il pensiero non ti deve distrarre dal tuo compito principale.

Il Maestro di Corte le aveva posto delle alternative, qualsiasi cosa purché non deviasse dal cammino che lui stesso le aveva imposto. Inko, per la prima volta, aveva stretto tra le mani il suo pancione di quasi nove mesi e aveva avuto paura.

Paura che tutto svanisse. Che quel bambino, probabilmente piccolo quanto lo era stato Katsuki tre mesi prima, le fosse portato via perché lei non era capace. Perché non aveva idea di come si facesse la madre. Non era neanche certa fosse giusto tenere con sé una creaturina che forse non sarebbe stata in grado di amare. Eppure, si aggrappò a quei piccoli movimenti dentro di lei che non conoscevano ancora il calore del Sole, ma non sembravano aspettare altro.

Inko entrò in travaglio mentre piangeva e fu tra le lacrime, stringendo la mano di Mitsuki, che regalò il mondo a quel bambino.

Izuku.

Izuku.

Izuku.

Iniziò a chiamare il suo nome come se lo avesse sempre saputo, ma non fosse mai stata in grado di leggerne i caratteri nella propria testa.

Al primo vagito dell’ultimo arrivato, Katsuki rispose dalla sua culla con un acuto più forte e prepotente. Entrambi iniziarono a piangere, mentre Mitsuki rideva e spostava un ciuffetto di capelli verdi e bagnati dalla fronte di Izuku, stretto tra le braccia di Inko.

Ho come l’impressione che sia iniziato il primo capitolo di una nuova storia, amica mia.



A circa sei anni, con un’intelligenza vispa e attenta, ma impacciata nell’esprimersi, Izuku aveva iniziato a capire il perché della sua nascita.

Era stata la Regina stessa a fargli dono di quella verità, ricamandola come una storia, e da subito era diventata il centro del suo universo.

Quella pulce di mio figlio può fare il prepotente quanto vuole, ma non ha capito che se oggi sta in piedi sulle sue gambette è tutto merito tuo e della tua mamma, mio dolce Izuku. Se non fossi nato tu, non so come avrei fatto da sola! In fondo, si può dire che voi due siate come quelle stelle così vicine da essere indistinguibili.

Per la prima volta, Izuku si avvicinò al concetto di appartenere a qualcosa. Di avere un posto nel mondo.

La girandola di emozioni che provava ogni giorno cominciò a incanalarsi in pensieri più definiti e al centro, la maggior parte delle volte, c’era Kacchan.


A nove anni, quella stessa verità tornò una seconda volta nella sua vita, con il primo schiaffo di realtà. 

Erano giornate grigie. Katsuki era in viaggio sulle montagne da quasi due settimane con sua madre e il suo drago, Eijirou, per imparare a padroneggiare la sua metamorfosi. Gli altri bambini di corte, quelli che odiavano Izuku perché era il preferito della Regina pur non essendo nessuno, lo avevano cacciato in un grosso guaio. In lacrime e con diversi graffi per aver cercato di difendersi, fu il Maestro di Corte in persona a trovarlo con i resti di un antichissimo arazzo fatto a pezzi.

Lo sapevo che dovevamo abbandonarti nelle campagne, piccolo ingrato! La Regina è stata troppo pietosa con te! Sei una continua distrazione per il Principe e ora guarda cosa hai combinato! Credi che la passerai liscia anche questa volta? Oh, non ci sperare! Sei nato soltanto perché tua madre potesse nutrire l’erede al trono! Non hai un padre perché neanche lei ricorda chi sia stato tra i tanti! Nessuno ti aspettava o ti voleva! Sei soltanto un buono a nulla!

Izuku non aveva fatto parola dell’accaduto. Era stato punito, ma aveva subito in silenzio e non lo aveva raccontato a nessuno. Quando sua madre aveva cercato di capire cosa ci fosse che non andasse, Izuku aveva stirato le labbra nel primo sorriso amaro della sua vita, rispondendole che andava tutto bene.

Lui non era nessuno



Fu intorno ai quindici anni che la vita di Deku - con il nomignolo che gli aveva affibbiato Kacchan e con cui ormai era famoso nel castello - iniziò a cambiare.

Che il suo modo di vedere se stesso mutò.

Il motivo della sua nascita era come uno specchio rotto dentro di lui. Da un lato riusciva a vedersi ancora con le parole di affetto donategli da Mitsuki, in quel segreto complice che soltanto un bambino e una seconda madre potevano condividere. Dall’altro lato, frammentato in pezzi così piccoli da renderlo indistinguibile, c’era la verità che il Maestro di Corte gli aveva sputato in faccia.

Nessuna delle due realtà era falsa e nessuna delle due prevaleva sull’altra, lasciandogli quel senso di spaccato e di inadeguatezza che spesso gli facevano solo tirare gli angoli della bocca in una smorfia che i più accettavano come sorriso.

Kacchan non era tra questi. Lui odiava quell’espressione, ma Kacchan lo detestava in generale.

Eppure, Izuku non riusciva a concepire un mondo senza di lui.


Io sono nato per lui.

Fu la sintesi e la risposta che un giorno colsero Izuku. Non era preparato a un pensiero del genere e il cuore aveva iniziato a battergli all’impazzata, così forte che aveva temuto di sentirsi male.

Stavano festeggiando il compleanno dell’erede al trono, nel pieno della propria adolescenza e del proprio vigore. Katsuki rapiva gli occhi e l’attenzione di tutti, anche nel suo essere scontroso nonostante qualsiasi dei presenti lo adulasse.

Izuku non era che una macchia di colore verde all’angolo della sala, con una mano all’altezza del petto, il viso accalorato sulle guance.

Io sono nato per lui.

Io sono nato per lui.

Io sono nato per lui.

Era un pensiero furioso e martellante, quanto vero. Così reale da fare male e, allo stesso tempo, da insegnargli a respirare in modo diverso. A respirare Katsuki in maniera diversa.

Quando i loro sguardi si incrociarono brevemente, Izuku si sentì esposto, ma con un senso di vertigine provato solo la prima volta che Eijirou lo aveva portato in groppa a solcare il cielo.

Lasciò la festa senza avvertire nessuno e si cullò con quel nuovo sentimento per tutta la notte.



Tu credi di essere nato per me, Deku!? Credi che io non potessi farcela senza di te!?”

Izuku avvertì l’acqua invadergli il naso e la bocca quando tentò di rispondere. Katsuki lo spinse sotto la superficie del lago ancora una volta, riversandogli addosso qualsiasi sentimento lo stesse animando, dalla furia alla disperazione.

Era una giornata splendente quanto nefasta. Il sangue fu lavato via dall’acqua gelida, lasciando solo il dolore di ferite ancora aperte.

Quando Izuku riemerse, fu perché Katsuki lo lasciò andare, mollando la presa con un’imprecazione. Si trascinò verso la riva, una mano premuta sulla gamba offesa. Almeno, constatò Deku, non era grave

“Dannazione, svegliati una volta per tutte! Non credere di essere chissà chi! Alla mia Vecchia serviva una nutrice e per caso è stata scelta tua madre! Cosa dovrebbe farti credere che questo ti renda speciale!?”

Izuku finì di tossire l’acqua e si rialzò con una smorfia. Non era certo di avere tutte le ossa integre. La fuga era stata caotica e, in tutta onestà, non pensava neanche ne sarebbe uscito vivo. Per proteggere il Principe si era messo in mezzo alla mischia e sapeva soltanto di essere ancora vivo per raccontarlo.

Qualcosa brillò vicino alla sua mano, nell’acqua trasparente. Quando si alzò, la portò con sé, verso Katsuki.

“Ti è caduta la corona, Kacchan…”

L’altro imprecò, afferrandola di prepotenza e lanciandola di nuovo nel lago.

Ha ancora importanza!?

Avevano quasi diciotto anni e il loro mondo era stato appena distrutto.

La capitale era stata attaccata a sorpresa. Il castello era stato sbriciolato come un biscotto da una potenza oscura e indescrivibile nella forma. Della Regina Mitsuki e di Inko non si avevano notizie; il consorte reale era in un paese confinante, ignaro di tutto, con l’ultimo messaggero ancora vivo inviato ad avvertirlo di nascondersi. La guardia reale era stata decimata e l’unico che era riuscito a fare qualcosa, il Mago di Corte, Toshinori, doveva essere rimasto schiacciato dalle macerie dopo aver lanciato un ultimo incantesimo che aveva portato lontano e al sicuro Katsuki e Izuku.

“Sì, penso che abbia ancora importanza” affermò debolmente quest’ultimo, voltandosi e immergendosi di nuovo nel lago a cercare la corona. Tornò davanti a Katsuki, ma questa volta non gliela porse. Continuò tuttavia a stringerla con forza, nonostante il sangue riprese a gocciolargli lungo il braccio. Aveva il cuore a mille e la testa vuota, ma il solo vedere Kacchan vivo davanti a lui gli permetteva di riempirsi i polmoni. Chiuse gli occhi.

“So perché sono nato.” Tornò a guardarlo. “E non mi importa. Non mi importa di sapere chi è mio padre. Tua madre ha sempre nutrito del sincero affetto per la mia e a me va bene così. Io-”

Non dirlo! Non osa-"

“Io sono nato per te!

Lo urlò perché aveva bisogno che Katsuki capisse quanto quello fosse importante per lui. Quanto lui fosse importante nella sua vita. E se non lo avesse capito, lo avrebbe urlato più forte.

Ma Katsuki lo afferrò per la casacca strappata, i pugni stretti, scuotendolo.

“Perché ti sei convinto di essere tanto speci-”

Non sono speciale! Non sono nessuno!

Il Principe si bloccò, senza parole, indagando i suoi occhi. Izuku era consapevole che in viso non fosse bagnato solo di acqua, ma anche di lacrime. Alzò la mano libera dalla corona e la appoggiò su una di quelle di Katsuki. Tremava e gli faceva male tutto. Se non era ancora svenuto era per un senso di dovere e per non essere un peso in quella situazione disastrata, ma aveva bisogno che Kacchan capisse.

Che lo accettasse.

“Non mi hai sempre odiato… io me lo ricordo. Quando eravamo piccoli… anche se mi chiamavi Deku, ti piaceva stare con me… poi hai cominciato a detestarmi. Qualcosa di me ti dava fastidio e non sono mai riuscito a spiegarmi quale fosse il motivo…”

Katsuki soffocò tra i denti delle parole e fece per allontanarsi, ma Izuku lo trattenne con quell’unica mano e l’urgenza di farsi ascoltare.

“A sei anni tua madre mi disse con parole buone perché fossi nato… è stato davvero importante per me. Per me… io che non ero nessuno. Il figlio di una serva che era diventata una dama di compagnia, ma non era nobile. Il bambino che giocava con l’Erede al Trono, che dormiva nella stanza di fianco, a volte con lui, ma che era meno di un’ombra…”

“Smettila De- Izuku. Smettila!”

“Io non sono speciale, Kacchan. Io non sono nessuno! Ma non mi importa! Non mi importa di essere nessuno finché posso stare al tuo fianco! Sei tu quello straordi-”

Ti ho detto di smetterla!

Izuku si quietò. Strinse la corona solo perché temeva gli scivolasse dalle dita sempre più insensibili. Perfino il suo petto stava desistendo dalla lotta.

“Tu mi odi davvero così tanto solo perché sono nato?”

“…”

“È davvero questa la verità, Kacchan?”

“Perché… perché diavolo per te è così importante avere un motivo per essermi legato?”

Quando Katsuki lo guardò dritto negli occhi, Izuku sentì lo specchio dentro di sé, quello con la sua verità, andare definitivamente in frantumi. Si sentì soffocare, come se una delle schegge gli si fosse appena incastrata in gola. Le ginocchia gli cedettero per la stanchezza, ma Katsuki non lo lasciò cadere. Si accasciarono insieme, sulla riva del fiume, ancora stretti in quella presa che era cominciata con la rabbia e l’incomprensione.

“Io…”

“Hai cominciato a credere che il motivo della tua esistenza dovessi essere per forza io. Perché?

Izuku non avvertiva più il terreno sotto i piedi. Se non fosse stato già per terra, era sicuro che sarebbe potuto cadere ancora. Boccheggiò.

“Io-”

Izuku!” Katsuki lo tirò ancora più vicino e Deku si accorse che non c’era più vera furia, ma una sfumatura persa, di chi per anni aveva vagato per un corridoio pieno di porte chiuse, senza trovare l’unica aperta. E lo capì. Comprese quello smarrimento fin nelle ossa. Per lui erano sempre state tutte porte aperte, ma vuote. Tranne… tranne…

Tu non sei nato per me. Tu sei nato e basta! Posso essere il fottuto motivo di merda, ma tu non devi vivere per me. Tu devi vivere… per te.”

Katsuki scivolò in avanti fino a poggiare la fronte sulla spalla di Izuku con un ringhio esausto. Izuku fece appello a qualsiasi briciolo di forza rimastogli per non lasciarsi andare, anche in quel lungo istante in cui sentiva gli occhi bollenti di lacrime. La dita che gli tremavano si intrecciarono a quelle del Principe, cercando - pretendendo - un appiglio.

“Sono stato uno stronzo… ma mi facevi così incazzare. Non capivo perché diavolo ti andasse bene che tutti ti trattassero di merda. Ma tu accettavi tutto e continuavi a essere gentile come se glielo dovessi. A dire il vero mi fai ancora incazzare. Anche prima sei stato pronto a sacrificarti per me.”

“Tu… sei il Principe…”

“Ti odio quando te ne esci con queste risposte di merda. Io sono Kacchan” e anche se non lo vide, Izuku ebbe l’impressione che si fosse imbarazzato, mentre a lui era saltato un battito. “E se io sono il motivo per cui sei nato…”

“Cosa… Kacchan?” L’attesa di sapere lo stava privando degli ultimi barlumi di sanità mentale.

“Se io sono il fottuto motivo per cui sei nato… allora vedi di non morirmi davanti.”

Izuku si lasciò scappare un singhiozzo involontario e appoggiò la testa contro quella di Katsuki.

“Non lo farò.”

“Sei ferito…”

“Non è niente-”

Izuku.”

Il Principe si staccò e Deku cercò di ricomporsi, anche se il tepore del suo corpo era stata una panacea e ne aveva bisogno. Barcollò involontariamente e Katsuki lo tenne per le spalle.

“Cazzo… stai perdendo una marea di sangue.”

“Non morirò.” Izuku si morse il labbro e lo guardò negli occhi.

Non morirò ora che…

Non completò il pensiero solo perché non conosceva ancora di preciso le parole, ma il sentimento era caldo, era prepotente come il Principe e terribilmente bello.

“Kacchan…”

Alzò la mano con la corona.

“Dobbiamo fare qualcosa. Il regno… le nostre madri…”

Katsuki la guardò e poi tornò a fissare lui.

“Di questo ci occuperemo quando Eijirou ci troverà. Per ora…”

Prese Izuku tra le braccia e lo sollevò, digrignando i denti per il dolore delle proprie ferite, ma intenzionato a mettere un passo davanti all’altro con fermezza.

“Per ora pensiamo a noi.”  


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COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 1105

Rating: Verde

Note: Post Canon. Headcanon in cui Deku riesce a salvare Tenko Shimura e torna indietro con lui, ma questo è ridotto a un neonato. Ispirata a questa immagine di Sailor Moon: https://www.pinterest.es/pin/715579828284530193/
È un headcanon che mi è troppo a cuore ;;  




Deku si svegliò di soprassalto. Concesse appena ai suoi sensi di capire dove si trovasse - era in camera, nel suo letto - prima di tentare di scendere. Si trattò di un tentativo perché una mano lo afferrò per un braccio, smorzando lo slancio e riportandolo tra le lenzuola.

Izuku.

“Devo andare, Kacchan. Torno subito.”

Bakugou sbuffò, ributtandosi contro i cuscini e imprecando qualcosa che suonò come Hai bisogno di dormire, Nerd, ma l’altro lo ascoltò di striscio, infilandosi al volo le ciabatte e correndo in corridoio.



Tutto era finito e iniziato sei anni prima, nell’ultima guerra contro All For One. Deku a volte aveva ricordi sfocati di come fossero andate le cose. Capitava soprattutto quando qualcuno gli faceva domande dirette, lui si perdeva a cercare la risposta in mezzo a flash ed emozioni che si erano stampati nella sua mente come polaroid buttate insieme alla rinfusa. Non c’era mai un filo logico. Tutto era semplicemente successo.

Aveva la sensazione che per la sua mente fosse un meccanismo di difesa, una grata sopra un pozzo di cui non si vedeva il fondo e in cui rischiava di precipitare, senza poter riemergere. E andava bene così. Ne erano usciti a pezzi - qualcuno letteralmente - e con ferite che ancora si stavano cicatrizzando.

Ma erano vivi e avevano vinto.

Vinto più di quanto avessero sperato, salvando più di una vita.

E ora Deku, a ventidue anni, si stava prendendo cura di una di quelle mani che si era tesa verso di lui e che avevano silenziosamente detto Aiutami.



“Sono qui. Ehi, sono qui.”

De… ku…”

“Non ti preoccupare, sono qui. È stato solo un brutto sogno.”

Il pianto del bambino non si placò, anche quando Izuku lo sciolse dal groviglio di lenzuola e se lo tirò verso il petto. Si sistemò seduto sul letto, passandogli la mano sulla schiena per cercare di mitigare i singhiozzi.

“Va tutto bene Tenko, sei al sicuro. Siamo a casa, insieme. Sono con te e Kacchan è di là, nessuno ti farà del male.”

Deku…

Il bambino nascose il viso nell’incavo del suo collo e Izuku gli passò le dita tra i capelli scuri, continuando a mormorare parole di conforto.

Non erano bugie, non erano la verità. Il confine che avevano tracciato dopo la guerra era un vaso rotto rimesso insieme al meglio delle loro possibilità. La forma originale c’era, era quella, ma erano visibili i punti dove la realtà era stata distrutta e limando i bordi o senza ritrovare tutti i frammenti.

Tenko era stato il principio di quei cambiamenti. Il modo in cui la società aveva dovuto riconoscere, ammettere e accettare che ci fosse un marciume di fondo alimentato da troppo tempo di falsi ideali, speranze millantate e tanta, troppa polvere nascosta sotto patine di perbenismo.

Quando Deku ripensava a quello che aveva vissuto durante l’ultimo scontro contro All For One e Shigaraki la sua memoria sfumava, i suoni si facevano ovattati, il dolore diventava uno strato solido e tangibile. Flash caleidoscopici. Sensazioni. Il buio.

Poi era apparso Shimura Tenko nel suo campo visivo ed era stata l’ultima cosa che ricordava con una certa coerenza. Quel bambino restio, diviso tra il dolore e la rabbia di essere rimasto inascoltato e abbandonato, che stava scomparendo fagocitato da forze più grandi di lui.

Aiutami.

Ti prego, io non volevo tutto questo.

Ho sbagliato.

Ma non volevo fare loro del male.

È colpa mia. È tutta colpa mia.

Aiutami… ti prego…

Quello che era successo in seguito glielo aveva raccontato - a modo suo - Bakugou , dopo che si era risvegliato in ospedale da settimane di coma.

Ce l’hai fatta, cazzo. Lo hai salvato. ‘Fanculo Nerd, ci hai messo una vita a riprenderti, sei completamente rotto. Fallo di nuovo e ti ammazzo, hai capito?

Se Izuku ne avesse avute le forze, gli avrebbe rinfacciato di essere morto prima del suo arrivo, ma avere Kacchan vivo a sbraitargli contro era un sollievo. Come lo fu apprendere la storia in una ricostruzione a grandi linee, che mancava di particolari che nessuno avrebbe più ricordato.

Izuku aveva riportato con sé Shimura Tenko in un fagotto di stracci, ridotto a un neonato che si lamentava sommessamente e che aveva aperto nuovi occhi incolore su un mondo non pronto ad accoglierlo.

Deku, però, aveva fatto di tutto per proteggerlo. Di tutto per averne la custodia una volta raggiunta la maggiore età. Perché avrebbe fatto qualsiasi cosa per costruire al meglio quella seconda opportunità per Tenko, anche e soprattutto contro un’opinione pubblica che lo vedeva come un mostro. Non importava che fosse un bambino fragile e spaesato che stava imparando a camminare di nuovo.

“Ho fatto male… a tutti… a te…” mormorò Tenko quando si fu calmato un po’.

I brutti sogni su quella vita passata non mancavano e Izuku dubitò sarebbero mai finiti. Erano incisi nelle sue ossa, come in quelle di chiunque altro, ma questo non li rendeva più reali di un ricordo passato. E potevano andare avanti fianco a fianco, facendosi forza a vicenda.

“Sono qui ora. Siamo insieme.” Lo strinse con più forte, sapendo di togliergli un po’ il fiato. “Va tutto bene.”

“Ma se io diventassi di nuovo-”

“Ma piantala, moccioso. Non succederà.”

Sia Izuku sia Tenko sobbalzarono appena, rivolgendo lo sguardo verso la porta. Appoggiato allo stipite, in vestaglia e con la faccia scontrosa di chi aveva dormito troppo poco, Katsuki ricambiò l’occhiata con un grugnito.

“Alzate il culo e venite in cucina. Spuntino veloce e poi torniamo a dormire. Tutti e tre.”

Deku rise appena, seguendo con gli occhi la schiena di Bakugou andarsene, per poi abbassarsi a dare un bacio in mezzo ai capelli neri di Tenko.

“Scommetto che ha preparato il latte caldo con miele e cannella.”

Il bambino gli strinse le dita sulla maglietta e si percepì chiaramente come la nuova prospettiva stesse sgomitando per avere più attenzioni degli incubi.

“P-Posso avere anche… un biscotto?”

Izuku ridacchiò, alzandosi e risistemandosi il ragazzino contro il fianco per vederlo meglio.

“Perché non due?”

“… perché Kacchan dice che poi mi viene la carie e che tu mi vizi…” borbottò Tenko, sottolineando entrambe le argomentazioni con un broncetto scontento.

“Allora dovremo fare gioco di squadra” bisbigliò Deku, ghignando. Erano sulla porta della cucina a osservare il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva intento a preparare tutto, tra uno sbadiglio e l’altro.

“Io distrarrò Kacchan e tu prenderai tutti i biscotti che riesci.”

Il bambino sgranò lo sguardo, sconvolto e intrigato.

“Tutti tutti?

“Ohi, che avete da bisbigliare lì dietro?”

Izuku fece un occhiolino complice al più piccolo.

“Nulla, Kacchan! Ci chiedevamo quanto miele e cannella ci andasse in una tazza di latte…” 


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COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 1591

Rating: Verde

Note: un ipotetico incontro tra un giovanissimo Hawks e Mera circa ventitrenne nella caffetteria (?) della Commissione per la Sicurezza Nazionale degli Hero.  


Mera Yokumiru non aveva mai capito cosa volesse fare nella vita.

Per lo più si era fatto trascinare dalle correnti, cercando qualche ideale da perseguire, ma con scarsi risultati.

Appena uscito dal liceo si era ritrovato ad accettare un lavoro fisso dietro una scrivania, fino a quando qualcuno non aveva intuito - o sancito per proprio comodo - quanto fosse un lavoratore instancabile

Da lì, in un’escalation che l’uomo stesso aveva faticato a comprendere, si era ritrovato a scalare una dopo l’altra le mansioni della Commissione per la Pubblica Sicurezza degli Eroi, fino a ritrovarsi a gestire le pratiche per le licenze, vedersi affidata per intero l’organizzazione degli esami, annuali e straordinari, fino al rilascio degli attestati, oppure al ritiro delle patenti, con annesse verifiche sui reclami, più tutti gli extra che potevano derivare dall’essere considerato praticamente il braccio destro nell’ombra del Presidente in carica. Se c’era un mezzo segreto all’interno della Sicurezza prima o poi lo veniva a sapere, sempre se dato segreto non partisse direttamente dal suo ufficio. 

In breve, Mera aveva iniziato a sperimentare la vita dal punto di vista degli insonni e di chi aveva una casa per bellezza, a volte dimenticava persino l’indirizzo, date le scarse volte in cui riusciva a tornarci.

Imparare a dormire ovunque era diventata una necessità, come avere sempre in tasca almeno un paio di boccette di integratore power-up che lo rivitalizzassero abbastanza da affrontare il mare infinito di scartoffie sulla sua scrivania.

Notte e giorno avevano acquisito significati relativi alle situazioni o ai gradi di deprivazione di sonno in cui versava. A volte scambiava una semplice luce al neon per il sole o la luna e si immaginava in vacanza da qualche parte. Un miraggio.

Quella notte, più che un’illusione data dalla stanchezza, ciò che provò fu un mezzo infarto.

Non che fosse nuovo ad allucinazioni dettate dalla spossatezza - ci avrebbe potuto riempire i taccuini di uno strizza cervelli - ma accendere la luce della caffetteria e ritrovarsi fissato da un bambino alle quattro del mattino aveva del patologico.

“E-Ehi…” salutò per buona educazione, mentre cercava di ricordarsi a che livello di esaurimento fosse arrivato per avere una visione simile. Era certo di aver schiacciato un pisolino almeno ventisei prima. “Ti sei perso?”

Il ragazzino si guardò intorno. 

“No” e scosse la testa.

No, quello che si sentiva perso era Yokumiru. Si guardò alle spalle, sperando di intercettare qualche collega, ma non vide nessuno. Salvo il bambino, la caffetteria e le stanze limitrofe erano deserte. Forse con una tazza di caffè a ricollegargli le sinapsi quell’allucinazione sarebbe sparita. O volata via dalla finestra, viste le ali rosse che aveva sulla schiena.

Un tarlo gli grattò la testa, dandogli l’idea che quello fosse l’indizio giusto per venire a capo dell’enigma, ma nelle condizioni in cui versava, Mera poteva processare mezzo pensiero alla volta.

“Io mi preparo un caffè… tu… vuoi qualcosa?”

Si sentì osservato - indagato? - dallo sguardo del piccolo mentre raggiungeva la caffettiera. Probabilmente avrebbe dovuto chiedere altro - dove sono i tuoi genitori? Chi ti ha fatto entrare?di preciso, come fai a essere qui? - ma non poteva affrontare tutto quello senza prima della caffeina in circolo.

Il bambino fu in dubbio se rispondergli o meno, continuando a fissarlo, tanto che Mera, in soggezione come se non fosse stato lui l’adulto della situazione, quasi fece strabordare dalla tazza la preziosa linfa vitale.

“Ci sono i biscotti?”

“Biscotti” ripeté Yokumiru, neanche fosse nuovo alla parola. La sua mente gli venne in soccorso con una gamma di possibilità. 

“Biscotti…” poggiò la tazza e aprì i primi due sportelli davanti a lui, trovando una dozzina di ramen istantanei impilati. Non aveva neanche idea che ce ne fossero. Le sue gite in caffetteria si limitavano all’elemento base - il caffè. Gli venne il dubbio di non avere mai aperto nessun armadietto. Quella fu l’occasione per scoprire cosa ognuno contenesse.

“Biscotti!” disse un’altra volta con più convinzione, deciso a tirarli fuori. Era certo che almeno uno dei suoi colleghi fosse goloso. Lo sfiorò persino l’idea di uscire un attimo e andare al konbini davanti il palazzo, se fosse stato necessario. Ma non ce ne fu bisogno.

“Oh. Eccoli” Se li trovò davvero davanti. Due scatole, una aperta e fermata con una clip. Le prese con estrema cura, come fossero state le sue ferie arretrate.

“Tè verde o cioccolato?”

Il ragazzino lo scrutò con gli stessi occhi fissi - iniziò a notare qualche dettaglio in più, come la natura del suo quirk riconducibile a un rapace cacciatore, nonostante il visino tondo - per poi passarli sull’una e l’altra scatola.

“Cioccolato.”



Qualche minuto più tardi, il divano della caffetteria era stato colonizzato.

Mera era al secondo sorso di caffè e cominciò a ristabilire i contatti con la realtà. Al suo fianco, il bambino stava consumando in lenti morsi il bottino.

“Sono buoni?”

La lunga occhiata probabilmente lo giudicò, o semplicemente fu curiosa, ma l’impiegato non poteva essere più in pace col mondo in quel momento. Una manina allungò un biscotto verso la sua faccia. Non disse nulla, ma continuò a mantenere lo sguardo su di lui come una preda e Mera si sentì obbligato ad accettare. Senza sapere esattamente cosa fare, lo inzuppò nel caffè prima di dargli un morso.

Un mugugno di puro piacere lo sciolse contro la spalliera del divano.

“… non ricordavo più il sapore del cioccolato.”

Il bambino gli offrì l’intero pacco e Yokumiru se ne concesse un secondo.

La caffeina e lo zucchero ebbero un effetto doping, ravvivandolo.

“Che fai da queste parti? Sei in visita? Dove sono i tuoi genitori?”

Come fosse stato premuto un interruttore, il ragazzino smise di masticare. Ingoiò quello che aveva in bocca e poggiò la scatola di lato, fissando davanti a sé. Ma davanti a loro c’era solo la vetrata che dava sugli uffici dalle luci spente, quindi non c’era davvero nulla da guardare. 

Sulle prime, Mera non comprese. Non era bravo con i bambini - era più abituato a vedere adolescenti chiassosi e impavidi, e anche lì aveva scarse doti relazionali - ma qualcosa di quel piccoletto lo faceva sembrare molto più simile a un adulto. Un adulto cresciuto terribilmente in fretta.

“Mio padre è in prigione. Mia madre non lo so. Sta bene. Mi hanno che si sarebbero occupati di lei.”

Mera ebbe la netta impressione di essere caduto in una di quelle gaffe dove si parlava prima di connettere il cervello - Cos’è quel muso lungo? Non ti sarà morto il gatto, spero!

Avrebbe voluto avere lui la scatola di biscotti per offrirgliene uno e rimediare. Si grattò la nuca, cercando di pensare.

“Err… Mi dispiace. Non deve essere facile.” 

Lo guardò, mentre la sua testa lo riempiva di input che non riusciva a riordinare. Aveva iniziato la conversazione col piede sbagliato, ma alle quattro di notte incappare in una forma di vita intelligente non rientrava nella sua routine.

Tuttavia, a guardarlo non dava l’idea di essere abbattuto dalle circostanze. Eppure, qualcosa in Yokumiru lo spinse a riconsiderare quell’ipotesi. Era piccolo - sei o sette anni forse? - ed era da solo, con uno sconosciuto, in un ufficio governativo a mangiare biscotti al cioccolato alle quattro del mattino. Non era più o meno la fine che aveva fatto lui, ma rischiava si esserci molto vicino.

“C’è qualcosa che ti piace?” provò, aggiustando il tiro.

Quando il bambino lo fissò con quella mono espressione da cui non traspariva nulla, Mera fu certo di aver messo di nuovo il piede in fallo. Ma poi qualcosa gli illuminò lo sguardo. Qualcosa che sembrava poter vedere solo lui.

“Endeavor.”

Yokumiru sbatté le palpebre, piegando la testa di lato.

“Endeavor?”

“Endeavor. Mi piace Endeavor.”

“… l’Hero?”

Non doveva essere così strano, ma raramente sentiva nominare al primo posto l’eroe di fuoco, nonostante fosse il secondo della nazione. All Might era il preferito dei bambini. 

“Endeavor ha catturato mio padre.”

Mera fu ancora più confuso su come dover prendere quell’affermazione. Una parte della sua mente gli gridò disperatamente Biscotti! Come se afferrare la scatola e metterla fisicamente in mezzo alla conversazione potesse essere più sensato.

Mmmh… Endeavor… vediamo…”

Prese il cellulare e aprì YouTube, digitando il nome. Uscirono i risultati più disparati e cliccò sul primo che recitava Compilation delle vittorie fiammeggianti - Parte 3.

L’audio partì fin troppo alto, ma quando girò lo schermo e passò il telefono al bambino, vide come il viso gli si illuminò, le immagini sul display che si riflettevano nei suoi occhi. Non disse nulla. Non espresse nessun entusiasmo se non trattenere il fiato. Non iniziò neanche a blaterare nulla che avrebbe fatto un qualsiasi ragazzino della sua età, elencando nomi di mosse o episodi particolari. Rimase solamente fisso su ogni sequenza, mangiandola con gli occhi.

C’erano poche cose che smuovevano Mera dal suo torpore costantemente costretto alla veglia. Quella notte, in maniera del tutto casuale, scoprì quanto potesse essere rilassante condividere del tempo, che avrebbe potuto impiegare per dormire, con un bambino taciturno e per nulla abituato a chiedere o ricevere attenzioni. Avrebbe scoperto negli anni tutte le potenzialità avvolte da quelle piume rosse, oltre che il nome e i segreti che si portava dietro. 

Per quella notte, quando chiusero gli occhi stanchi e crollarono l’uno addosso all’altro - con la voce profonda di Endeavor proveniente dal cellulare - nessuno dei due si chiese chi fosse l’altro. 

Il conforto arrivava nelle forme più disparate, ma il tepore non cambiava, anche se si era due perfetti sconosciuti. 


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COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 2607

Rating: Verde

Note: Omegavers. Omega!Deku, Alpha!Bakugou. Past mpreg. 


L’asse in legno del pavimento scricchiolò sotto il piede di Izuku. 

L’occhiataccia di Katsuki lo raggiunse in tempo zero, ma il lieve mugugno infastidito dell’angioletto dormiente fece contrarre le spalle a entrambi. Nessuno si mosse o fiatò. Per lunghi, infiniti istanti, l’aria nella stanza non fu respirata. 

Un secondo sguardo di Bakugou avvertì Deku molto chiaramente. 

Se ti muovi e fai un altro rumore ti ammazzo. 

L’espressione interdetta dell’omega fu già da sola una replica, ma la sua bocca tradusse mimando le parole che avrebbe voluto dire. 

E cosa dovrei fare!?

C’era da aggiungere che aveva freddo - fuori stava nevicando - e che voleva solo infilarsi nel suo nido di cuscini e coperte, insieme a Kacchan e Hane, e non uscirne più fino all’ora di colazione. O del pranzo. 

Bakugou fece un gesto secco con la mano. Dal basso verso l’alto. Deku non capì. Katsuki lo ripeté con più frenesia e un’occhiata che stava urlando o di muoversi o vendetta, o forse entrambe. 

«Oh!» si lasciò sfuggire Izuku quando capì, ma tappandosi la bocca un attimo dopo, fissando il suo adorabile angioletto contrarre appena le palpebre calate. 

Abbandonando l’asse di legno fedifraga, Deku usò Galleggiamento per sollevarsi a qualche centimetro da terra. Raggiunse il letto nel più completo silenzio e, con più dolcezza di quanto avrebbe fatto in condizioni normali, scivolò tra le coperte annullando gradualmente il quirk. Un sorriso, anche troppo allegro e contento, gli si allargò in viso, mentre Katsuki roteava gli occhi al soffitto. 

Anche se Izuku ci mise un po’ a sistemarsi di fianco all’alpha, Hane non sembrò disturbata, non con l’odore rassicurante dell’omega a circondarla. La bimba allungò anche una manina, nel sonno, nella sua direzione. Gli occhi di Deku si addolcirono mentre le sue dita le andavano incontro. 

Hane aveva quasi un anno e Izuku aveva riempito il cuore di ogni minuto passato con lei. Anche in quei giorni che si stavano rivelando più stancanti e stressanti per tutti, l’omega sapeva che ne avrebbe conservato il sapore con nostalgia. 

Sentendo che il solo contatto della mano non gli bastava, Deku si chinò su di lei, depositando un bacio sopra le guanciotte tonde, lì dove era ancora arrossata dai pianti di tutto il pomeriggio. 

Katsuki non tardò a rifilargli una schicchera e un lievissimo ringhio gutturale. 

«Se la svegli ti butto fuori a calci nella neve. In mutande» sibilò così sottile che fu necessario leggergli le labbra per capire. 

Izuku non riuscì a trattenersi dal ridacchiare, massaggiandosi la parte offesa della fronte. Questo non intaccò la sua espressione intenerita, ma rese anzi il suo odore più avvolgente e tranquillizzante.

Hane si rilassò visibilmente, facendosi scivolare il ciuccio di bocca, ma Katsuki prontamente - e con una delicatezza nuova, che nemmeno lui aveva sospettato di avere fino a qualche tempo prima - lo rimise al posto, aspettando un attimo che la piccola lo riprendesse a succhiare, immersa nei sogni. 

Riversando la testa indietro sul cuscino, l’alpha sospirò piano, esausto.

Hane si era addormentata dopo ore di pianti, lacrime, bava e nuovi livelli di acuti. Era la prima volta che si trovavano in quella situazione spiacevole con lei. Nulla di ingestibile. La gavetta fatta con Hina li aveva preparati, anche se la magagna che stavano tentando di affrontare era tutt’altra faccenda. 

A pochi giorni dal compiere un anno, Hane si rifiutava di imparare a camminare.

Nessun momento di trepidazione e commozione com’era stato per la sorella - o per Tenko, ma lì al primo passo aveva assistito fortuitamente solo Deku - perché il piccolo angioletto aveva imparato prima a volare che a gattonare. Quindi camminare era un altro step che, nella sua logica di cucciolo di umano dotato però di ali, non sussisteva. 

Cosa vi aspettavate!? Sta soltanto assecondando un istinto naturale!, era stato il commento divertito - e di parte - di Hawks una sera a cena, prontamente fulminato da metà famiglia. Ma come un’infinità di altre cose, l’Hero aveva fatto finta di nulla, per poi raccontare che anche per lui era stato complicato accettare di non poter sempre e solo vivere a mezz’aria. 

Sotto consiglio del pediatra, erano quindi iniziate le lezioni Impariamo a camminare! con risultati molto scarsi e rifiuti contornati da pianti. 

Quel ricordo portò Bakugou a sospirare di nuovo, rammentando all’ultimo di farlo piano, visto che la piccoletta si era addormentata a pancia in giù su di lui e muoverla significava rischiare un’altra sessione di lacrime. 

Tuttavia, non tutta l’aria abbandonò i suoi polmoni, non quando sulle sue labbra un’altra bocca gliela portò via. Schiudendo gli occhi, Katsuki si ritrovò a specchiarsi nello sguardo fin troppo sveglio e felice di Izuku. 

«Tu vuoi che io ti ammazzi sul serio.»

Che Deku fosse un incosciente non era una novità. Ignorando l’avvertimento, l’omega si chinò verso il collo dell’alpha, strusciandosi lì alla base dove era più sensibile e mischiando i loro odori, mentre un rumore sommesso, delle fusa, iniziarono a riempire l’atmosfera.

Katsuki non si mosse. Chiuse di nuovo gli occhi e si inclinò leggermente per lasciare più spazio ai baci che il compagno gli stava regalando. Nonostante non si sentisse in vena, finì ad arrendersi e con le dita andò a solleticargli la nuca per ricambiare. 

«Sei davvero stanco» sussurrò Izuku tirandosi su, non prima di aver dato un bacio anche alla sua bambina addormentata. Al contrario di Bakugou, timoroso - ma senza ammetterlo mai - di muoversi per non disturbarla, Deku sembrava totalmente a proprio agio ora che era lì con loro. 

L’omega continuava a rilasciare quell’odore così rilassante, dolce e ricco di positività che l’istinto da alpha di Katsuki sembrò sul punto di abbandonarsi alle fusa, per quanto sarebbero risultate ben più rudi e forse un po’ minacciose - perché impacciate non lo avrebbe mai usato come termine

Izuku trasmetteva l’idea che niente di brutto potesse capitare finché erano lì, insieme, nel suo nido confortevole. Non era che un letto invaso da una montagna di cuscini, lenzuola e coperte morbide, ma perfino l’alpha fu pervaso da quella sensazione di luogo sicuro. 

«Non è stata una giornata… facile» confessò. 

Non era l’aggettivo giusto. Non era neanche la frase migliore per svicolare dalla domanda sottintesa da Deku.

Come ti senti? 

Sarebbe stato più semplice descrivere un qualche tragico evento del passato. La guerra contro All For One era stata devastante. Ci avevano rimesso tutti, fisicamente, emotivamente e psicologicamente. Tuttavia, Bakugou aveva scoperto con la paternità che il pianto della propria bambina, un pianto anche solo frustrato, poteva lasciare il segno molto più a fondo e con riverberi difficili da ignorare.

Se in battaglia perdevi un arto prima o poi te ne facevi una ragione e continuavi a convivere con i pezzi rimasti. Ma se Hane si disperava perché lui, cedendo alla stanchezza, alzava il tono di voce, la mortificazione che ne seguiva sembrava dover rimanere in maniera indelebile come un fallimento insanabile nella sua mente. 

Grugnì frustrato, tendendo le spalle, ma sapendo di non potersi muovere. Non era una punizione, doveva metterselo in testa, ma non gli riusciva di essere disinvolto alla maniera di Deku. Era come se a lui fosse stato consegnato il manuale di istruzioni per prole scontenta e altre situazioni spiacevoli, mentre l’alpha doveva subire sulla pelle, tentennare e mangiarsi il fegato per i sensi di colpa.

Izuku tornò a dedicarsi al suo collo, smorzando il sentore leggero di stress che si stava lasciando sfuggire e che fece appena arricciare la boccuccia all’angioletto dormiente.  

«Non sei un cattivo papà» sussurrò Izuku con dolcezza e appena una punta di divertimento nel chiamarlo in quel modo, mentre il suo petto moltiplicava le fusa. 

Katsuki deviò lo sguardo altrove. Se arrossì appena lo avrebbe negato strozzando Deku.

Non si era ancora abituato. Anche se era già stato un papà per Hina, era solo da un anno che quel titolo era suo di diritto. E tutto per la testardaggine di Izuku. Per il desiderio di Izuku. Per amore di Izuku. 

Un Bakugou Katsuki di quattordici anni non avrebbe mai accettato di sentirsi raccontare un finale del genere per lui e per il buono a nulla quirkless che era stato Deku. 

Invece eccoli lì, a dieci anni e poco più di distanza, stretti in un abbraccio di calore e coperte, mentre il risultato di una delle loro litigate più feroci e passionali dormiva pacificamente avvolta dal loro odore e dal loro affetto. 

L’alpha tornò con le dita a massaggiare il collo dell’omega, per poi scendere lungo la schiena fino a un fianco e tirarselo vicino. Lo strinse forse con troppa forza, perché Deku si lasciò sfuggire un ooff soffocato e le sue fusa saltarono il ritmo per un attimo. Bakugou gli solleticò la pelle sotto la maglietta, sentendola calda, avvertendo contro i polpastrelli la differenza tra le cicatrici e le delicate smagliature date dalle due gravidanze. 

Con un risolino leggero, Izuku incastrò la testa nell’incavo del suo collo e prese a giocherellare con i capelli della piccola. Ora che si erano allungati non erano più ispidi come i primi tempi, diventando ciocche morbide e mosse, più simili ai suoi. Chiunque vedesse Hane per la prima volta capiva subito che fosse figlia di Katsuki, ma c’erano quei piccoli dettagli meno evidenti che erano di Izuku e che lui amava trovare in lei. 

«Domani riproviamo» disse piano, senza aggiungere nulla di più, perché non ce ne era bisogno. «Andrà meglio» continuò, cercando la mano di Kacchan e intrecciando le loro dita. «Piangerà ancora e non vorrà farlo, ma andrà meglio.»

«Lo so.»

A Bakugou non piacque il proprio tono. Mise a nudo la sua parte vulnerabile, quella che odiava e che detestava lasciar trapelare. Appena due sillabe, ma uscirono zuppe di tutta la stanchezza e delusione verso se stesso.

Izuku gli fece percepire la propria presenza, si premette contro di lui con più insistenza, con più amore

«Non ti odia.»

Lo so, avrebbe voluto ripetere Katsuki, ma le parole gli si incastrarono in gola. La voglia di imprecare contro se stesso fu forte. Era un idiota che non riusciva ad avere pazienza neanche verso la propria figlia. Ecco il problema. Lui era un-

Deku si districò dalla sua stretta senza preavviso. Non fu delicato, tanto che Hane mugugnò nel sonno, ma l’omega la baciò sulla tempia, circondandola ancora una volta dalla propria essenza confortevole, prima di tornare a fissare il papà pieno di incertezze. Rimase sospeso sopra di lui, puntellato su un braccio per non gravare sopra ciò che di più prezioso avevano messo al mondo. 

«Non ti odia» ripeté con fermezza, ma insieme a un affetto che Bakugou a volte non credeva ancora di meritare e che Izuku gli buttava addosso in quantità ingestibili. Proseguì, abbassando lo sguardo su Hane, sorridendo. «Se ha preso qualcosa da me di certo è l’ammirarti troppo.» 

Katsuki sospirò. 

«Ma piantala.»

«Anche se oggi hai alzato la voce, non si è più voluta staccare da te.» Tornò a guardarlo, accennando un ghignetto. «Non ti ricorda qualcuno?» 

Bakugou alzò di nuovo la mano e Deku si preparò a ricevere una seconda schicchera. Riaprì gli occhi quando sentì un palmo caldo contro la guancia. 

«Ehi» mormorò l’omega, andando incontro a quel tepore, senza interrompere il contatto visivo. «Va tutto bene.»

Katsuki aveva gli occhi lucidi. Izuku lo vide reclinare la testa per ricacciare indietro le lacrime, mordendosi le labbra per non imprecare. Lo aspettò, gli diede spazio e tempo, accontentandosi di quella mano che non si staccò da lui. 

Ciò che mise un punto ai dubbi dell’alpha fu però un nuovo rumorio che si aggiunse a quello di Deku.

Entrambi i genitori guardarono all’angioletto ancora addormentato, ma i cui piccoli pugni ora stringevano la felpa di Bakugou, mentre l’espressione si era fatta caparbia. 

All’odore intimo del nido e di Izuku se ne mescolò un terzo più infantile, ancora incerto sull’aroma principale, con un retrogusto di latte e miele. 

«Ooh-» sfuggì a Deku, mentre i suoi occhi si allargavano per la realizzazione. Fissò Katsuki, incredulo quanto lui. «Lei sta-! Sta cercando di-»

Si zittirono e ascoltarono. Il rumorio continuò a essere molto basso, variabile, con alcuni picchi in cui la bambina si muoveva ogni tanto, tirando la stoffa tra le ditine, o ciucciando più forte, ma non si interruppe mai. Hane stava tentando di confortare, come a incoraggiarlo, Bakugou. 

Izuku si tirò su, sedendosi con una mano sulla bocca, completamente rapito dalla meraviglia. Anche se era già successo con Hina, era uno di quei momenti diversi per tutti, come sarebbe stata la prima parola o il primo giorno di scuola. 

«Ho bisogno di fare una foto.»

«… che?»

Deku non sentì Bakugou neanche di striscio. Si allungò oltre il letto e recuperò dal comodino il cellulare spento. Qualche secondo, lanciando occhiate di continuo ad Hane, neanche fosse dovuta sparire all’improvviso, e si mise a inquadrare padre e figlia. 

«Cerca di essere naturale» borbottò, sistemando alcune impostazioni per avere il risultato migliore. 

Katsuki odiò essere inchiodato al materasso in quella maniera.

«Non dirmi cosa fare! Ma che ti prende!? Scatta e basta!» sibilò più piano che riuscì, quasi a denti serrati. 

«Voglio imprimere questo momento.»

«Non puoi fotografare un rumore. Sarà una cavolo di foto come un’altra, sta solo dormendo!»

Izuku si morse il labbro, ma alla fine inquadrò e scattò. 

La riaprì subito e, al contempo, si rimise sdraiato di fianco all’alpha, riprendendo contento con le fusa, tentando di armonizzarsi con quelle della piccola. 

«Non importa se sembrerà una foto come un’altra» mormorò Deku, facendola vedere anche a Bakugou, per poi abbassare il telefono e fissare la testolina bionda dormiente. «Mi sto imprimendo questo preciso momento nella testa… quando la riguarderò, sono certo che mi ritornerà in mente ogni dettaglio.» 

Katsuki non concordò a parole, ma lo fece lasciandosi avvolgere da quello stesso momento di cui Izuku stava tessendo il ricordo. Era stanco, ma si sentì anche più leggero.

Gli odori si mescolarono in una delle fragranze più rilassanti e buone - e sue - che avesse mai inspirato. Il vago vibrare del corpicino di Hane sul proprio sciolse il resto della sua tensione, facendogli desiderare di addormentarsi così e finalmente riposare. 

«Ascoltala! Senti quanto è… lieve?» si intromise Deku. Quando Bakugou riaprì gli occhi, fissando la sua espressione più concentrata, mentre Izuku si tirava il labbro inferiore con le dita, l’alpha capì l’andazzo. «Forse aveva iniziato anche prima e non ce ne siamo accorti? E se non fosse la prima volta?»

«De-»

«Però è così dolce! E… e anche intenso, in un certo senso! È come se volesse dire papà non ti preoccupare! Non sembra anche a te?»

Bakugou emise un verso confuso, infastidito ma non davvero, in parte imbarazzato - papà davvero non gli entrava in testa - e sfinito. 

«Forse è l’odore a trasmettere questa sensazione. Ha qualcosa di tuo sotto sotto, come quello di Hina ricorda vagamente Shouto… e ok che è un meccanismo della natura per far accettare agli alpha i propri cuccioli, però potrebbe essere-»

«Izuku

Gli tappò la bocca con una mano, occhieggiandolo non minaccioso come avrebbe voluto perché sentiva i muscoli ridotti alla consistenza di budini - e voleva godersi quella sensazione di dolcezza, pace e sicurezza del nido - ma abbastanza da farsi ascoltare.

«Stai sovranalizzando tutto come al solito tuo, Nerd. Piantala di blaterare o la sveglierai. Vieni qui.» 

Anche se fu un ordine, fu Katsuki stesso a eseguirlo, spingendolo di nuovo ad aderire completamente al suo fianco.

«Ti concedo di continuare con le fusa. Ma, per il resto, taci e dormi

Ricevette solo un pruu particolarmente intenso in risposta.

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COW-T 13, seconda settimana, M3

Prompt: 10. Due personaggi che non si conoscono si ritrovano insieme in una situazione di pericolo, e devono contare l’uno sull’altro per sopravvivere.

Numero parole: 4250

Rating: Verde

Note: SPOILER del capitolo 362 di BNHA! E poi taaanti headcanon sparsi che lo so non si realizzeranno mai, ma sognare è così bello! 



“Oh, tu devi essere il giovane Rody Soul di cui tanto ho sentito parlare. Non ci siamo mai conosciuti direttamente, ma mi hanno raccontato grandi cose, soprattutto il giovane Midoriya nutre un’immensa stima e affetto per te. Quella volta a Otheon ci hai salvati tutti.”

Rody avrebbe potuto raccontare in giro che All Might in persona, il precedente eroe numero uno del Giappone - del mondo, chi volevano prendere in giro! - lo avesse ricoperto di lodi, nonostante fossero passati dieci anni e il suo coinvolgimento non fosse mai stato reso pubblico. Non erano cose che capitavano tutti i giorni, no?

Ma quel giorno in particolare Rody lo avrebbe segnato sul suo calendario personale come uno dei peggiori della propria vita.



Partendo dal principio, era tutto iniziato con il piede giusto.

Dalla vicenda con la Human Rise, Rody aveva ricominciato a ricostruire i suoi sogni e le sue speranze insieme a quelle del fratellino e della sorellina. Perdersi d’animo dopo quanto successo sarebbe stato un modo per darla vinta definitivamente alla vita. Con quello che avevano passato, la possibilità di riscattarsi Rody la vedeva chiara come il sole. E gran parte del merito - o della colpa, come adorava ripetere per punzecchiarlo - era di Deku.

Erano rimasti in contatto. Dapprima con qualche e-mail sporadica inviata a scrocco da un internet caffè in cui Rody era riuscito a infilarsi con qualche moina ai proprietari, poi con un cellulare acquistato di straforo, promettendo mesi di lavoro extra dopo che era giunta in Europa la notizia di come il Giappone fosse a un passo dall’apocalisse per mano di All For One e Shigaraki Tomura.

Rody si era sentito inutile e impotente a ogni nuova news che riusciva ad arrivare loro. Si era messo a studiare un giapponese molto basico per approcciarsi a quanti stessero facendo una cronaca diretta, continuando a chiedere a chiunque L’Hero Deku come sta?

Il Live Streaming dell’ultimo scontro, di quello che avrebbe deciso le sorti non solo del Giappone, ma più realisticamente dell’equilibrio dell’intero globo, Rody l’aveva seguito tenendosi stretto ciò che di più caro aveva - Roro e Lala - continuando a ripetersi che Deku ce l’avrebbe fatta.

Un anno dopo, Rody era stato in grado di racimolare abbastanza risparmi e favori per permettersi un breve soggiorno dall’altra parte del mondo e scuotere di persona Izuku, urlandogli Mi hai fatto venire un infarto! Pensavo saresti morto! Anche Deku fu immensamente felice di rivederlo, abbracciarlo e consolare Pino, sciolta in un mare di lacrime.

Da quel momento, le cose erano andate bene.

Rody aveva smesso di chiedere alla vita nulla di più che la salute dei suoi fratellini - e magari qualche botta ci culo occasionale per pagare le bollette - ma, per tutto il resto, si era rimboccato le maniche, con chiari obiettivi.

Dieci anni dopo, quegli obiettivi si erano realizzati e sostentavano un piccolo appartamento di periferia, due rette scolastiche, un corso propedeutico di design per Lala in vista dell’Accademia, gli allenamenti intensivi di Roro per la pallavolo a livello professionale e, di tanto in tanto, qualche gratifica extra che un tempo sarebbe stato solo un sogno per la disastrata famiglia Soul.

A ventitre anni scarsi, recuperando un quantitativo di studio arretrato che solo il pensiero gli provocava ancora la nausea, Rody si era fatto strada come pilota. Avere una personalità in grado di infilarsi e togliersi da qualsiasi situazione con una certa nonchalance, lo aveva aiutato lì dove la burocrazia avrebbe rallentato tutto. La sincerità incensurabile di Pino aveva fatto in modo che nessuno se la prendesse davvero con lui. Non voleva superare i colleghi, non era quello il suo attuale scopo, ma non poteva tradire una certa impazienza nel raggiungere quanto si era prefissato.

Sì, aveva smesso di fare richieste alla vita, aveva deciso di prendersi le occasioni da sé, ma una spintarella non gli avrebbe fatto schifo.

Tre anni dopo, quando alle sei del mattino di un giorno qualsiasi la sua richiesta per un corso particolare era stata accettata, i vicini erano andati a bussargli per le urla di gioia con cui lui e Pino avevano svegliato tutti.



“C’è qualcosa che non va, giovane Rody?”

“No no, va tutto a meraviglia. Siamo alla giusta altitudine, il cielo oggi è uno splendore, non prevedo turbolenze. Tutto perfetto.”

Pino emise un pigolio particolarmente acuto, continuando a fare tap tap con la zampetta sulla sua spalla, le alucce incrociate. Toshinori lo guardò perplesso, paragonandolo poi al sorrisetto lucidato del padrone, ma senza riuscire a formulare una domanda più pertinente.

“Si vada a sedere, signor All Might. Il viaggio sarà più piacevole e volerà in un baleno, prometto. Prima arriviamo meglio è, no?”

Prima arriviamo, prima torniamo indietro, disse tra sé e il pensiero si rifletté in un nuovo pigolio della piccola rapace, fin troppo simile a uno sbuffo, mentre Pino dava le spalle all’ex Number One.

“Va… bene. Siamo nelle tue mani, giovane Rody.”

“Tutto sotto controllo, capo!”

All Might si congedò, permettendo al giovane di Otheon di sfogare l’umore fino a quel momento veicolato solo dalla compagna rosa.

“Che diavolo!” imprecò, settando velocemente la consolle di volo fino a premere all’ultimo il pilota automatico. Si lasciò ricadere sulla poltrona e puntò i piedi contro il bordo.

Pino sciolse l’apparente irritazione in un’espressione più demoralizzata, scivolando nel taschino frontale della camicia con un prio abbacchiato.

“Lo so. Lo so.”

Deku non c’era.

Rody aveva fatto tutti quei chilometri da Otheon, affidando la casa e Lala a Roro per quei mesi in cui sapeva sarebbe stato via - e ci aveva messo un anno a convincersi e farsi convincere! - con la sola speranza di poter rivedere Deku e passare del tempo con lui. Magari anche ricambiare quel minuscolo debito che aveva con l’attuale Hero numero uno per avergli salvato la vita (in più di un’occasione).

Ma doveva aspettarselo. La sua fedele compagna di vita era la sfiga e non si era smentita mai. Rody aveva dato per scontato che avere All Might come passeggero prevedesse anche Deku. Gli aveva rintronato la testa così tanto negli anni con il suo idolo che Rody aveva capito fossero pappa e ciccia. Maestro e allievo, no? Quindi un unico pacchetto, no!?

E invece eccolo lì. Rody era stato scelto da una selezione accuratissima tra candidati che si erano accapigliati tra esami e test per quei pochissimi posti nell’aviazione di ausilio agli Hero. Si era conquistato persino il secondo posto in classifica - l’importante era essere passato, il resto era tutto cibo per l’autostima - per finire invece a trasportare…

“Come ha detto che si chiama?”

Prrrioo! Prioo!” tirllò Pino.

“Sì sì, era un nome stupido. Danko? Menko? Bah! Che differenza fa? Non è Deku.”

Si stiracchiò, sporgendo il labbro inferiore mentre il cielo terso si stendeva a perdita d’occhio di fronte a lui.

“È solo la prima missione… lo vedremo sicuramento al ritorno.”

Prio!”



“… il tuo uccello può smetterla di guardarmi male?”

“È evidente che gli stai antipatico.”

Shimura Tenko

Ecco come si chiamava il suo secondo passeggero. Mai sentito. All Might glielo aveva presentato senza lodi e senza infamie particolari, ma con l’affetto che si riservava a un parente lontano.

Molto alla lontana a giudicare dai modi taciturni e stringati con cui il ragazzo - uomo? - si approcciava. Rody aveva capito avesse trent'anni circa, poco più, anche se dimostrava un’età indefinita a seconda del dettaglio su cui ci si soffermava, dalle rughe e cicatrici intorno agli occhi per qualche problema cutaneo, al brillio spento nelle pupille, tipico dei teenager cresciuti al buio. Le mani erano coperte, quindi non erano utili per determinare quanto fosse vecchio o giovane.

Gli diceva però qualcosa. Affermare che avesse un viso famigliare era eccessivo - un volto così malridotto se lo sarebbe ricordato, no? - eppure, la sua memoria continuava a prudergli. Forse era il colore dei capelli che stonava - un tipico moro giapponese, così scuro da non avere riflessi - o quello degli occhi - anch’essi color pece.

Altra cosa che non gli era chiara per nulla - e che All Might aveva scivolato in ogni maniera - era la mansione che ricopriva.

Gli eroi non erano materia per Rody - Deku era la più grande eccezione - ma sapeva quanto tenessero a farsi notare, soprattutto con costumi ricercati o appariscenti - di nuovo, Deku era un’eccezione perché dava l’idea che cadesse nell’armadio ogni volta. 

Quel tizio era a un passo dal sobrio e molto vicino a sembrare un becchino. Doveva essere un agente del governo, uno di quelli per i lavori sporchi, perché indossava un pezzo unico che non era nero solo per pietà, ma di un blu notte tanto scuro da sembrarlo. Non c’erano loghi ricamati o altro, solo qualche tasca. L’eccezione erano le scarpe. Rosse. E terribilmente simili a quelle di Izuku, il che lo irritò ancora di più, spingendo Pino a esternare un nuovo Priiio sbuffante.

“Il tuo pennuto soffre di pressione alta?”

“Ringrazia che non parli.”

“Ohi pilota, che ti ho fatto? Non ti conosco.”

Rody si fermò, sospirando pesantemente, ma verso se stesso. Pino si quietò.

Non era da lui essere tanto scortese con un estraneo, anche se quel tipo non gli ispirava particolare benevolenza. Era conscio che fosse tutto malumore personale, ma sentiva proprio il bisogno di sfogarsi per la delusione di non star passeggiando per le stradine di quella cittadina con Deku. Doveva invece accompagnarsi a quel tizio inquietante - si era anche calato il cappuccio in testa! - che pareva uscito da un film horror.

“Va bene, ho iniziato col piede sbagliato. Colpa del jet lag" mentì e stavolta Pino rifilò a lui un’occhiataccia, svolazzando fino a posarglisi in testa.

Se Tenko lo intuì o meno, continuando a seguire con lo sguardo il pennuto, stette al gioco.

“Da Otheon sono almeno sedici ore di volo diretto.”

Rody e Pino lo guardarono stupiti.

“Sedici ore e tre quarti” precisò per deformazione professionale, ma senza voler essere sgarbato per una volta. “Come sai da dove vengo?”

“Izuku non ha fatto altro che parlarmi di te e del tuo arrivo negli ultimi mesi. Il dinamitardo strillante stava per chiedere il divorzio - o ammazzarlo, ma dice sempre così e non lo fa mai. Noioso.”

La mascella cadde prima a Pino, ma anche Rody faticò a rimanere composto.

“Aspetta, aspetta, aspetta! Tu conosci Deku!?”

Non gli era passato inosservato che lo avesse chiamato col nome di battesimo. In quegli anni aveva compreso abbastanza di cultura giapponese da sapere che fosse roba grossa.

Tenko non replicò e lo scrutò come se l’altro lo avesse insultato intenzionalmente. Guardò altrove e a Rody sfuggì la sua espressione.

“… tu non hai davvero idea di chi sono?”

“Non un tipo che si vuole far notare. Ma conosci Deku e il signor All Might sembra tenerci a te, quindi devi essere uno del giro. Sei un eroe o uno 007?”

A Tenko si aprì quasi un sorriso sulle labbra e un risolino indecifrabile.

“Bella domanda. Sono uno con una seconda occasione.”

“Eh?”

Un cellulare iniziò a vibrare. Era quello di Tenko.

“Vecchio, stiamo tornando” rispose subito, per poi aggrottare la fronte. “Ohi, stai bene?”

“… Abbiamo un problema.”



Rody si chiese quando avesse battuto la testa per credere che diventare pilota ausiliario per gli Hero fosse una buona idea. In Giappone poi, tra tutti i posti! Dal ritiro di All Might era diventato il paese con probabilmente più incidenza di crimini e Villan del mondo, secondo solo all’America.

Il Rody del passato avrebbe dovuto pensare ai fatti suoi, al massimo farsi cambiare tratta per fare le continentali, così da vedere Deku ogni tanto, e basta. Stop. Fine.

E invece no. Eccolo lì, chino sul corpo esanime di All Might, mentre intorno a loro imperversava il caos. Rody fu assalito dai terribili flashback della battaglia contro la Human Rise. Se l’erano cavata per miracolo e perché Deku era lì, e c’erano anche il pazzo delle bombe e l’algido piromane a supporto, mentre in quel momento… in quel momento…

“Moriremo” sentenziò con voce rauca, come unico esito possibile. Pino, tremante e pigolante, era nascosta nel suo taschino.

Erano stati attaccati da un gruppo di Villain. La polizia era intervenuta, ma riusciva a malapena ad arginarli. Loro erano riusciti a portare All Might al riparo in un palazzo chiuso per rischio crollo, ma avevano solo allungato l’agonia prima della fine, a parere del giovane di Otheon.

“Hai un quirk per difenderti? Quel tuo uccellino ha qualche caratteristica che potrebbe tornarci utile?” chiese Tenko, appostato a tenere d’occhio la situazione e nient’altro. Rody avrebbe voluto avere le energie mentali per invidiargli la pacatezza con cui stava affrontando quel destino orribile, ma riuscì solo a ridere istericamente, appoggiando il palmo sul rigonfiamento che aveva sul petto. Pino e il suo cuore tremavano all’unisono.

Moriremo.”

Tenko lo squadrò con un’espressione a metà tra la pietà e il voler capire dove fosse il problema. Come se per lui quell’attacco non risultasse essere altro che un’inezia, nonostante non stesse facendo nulla per intervenire.

“Non eri preparato?”

Non avrebbe potuto fare domanda peggiore.

“Preparato…?” pigolò Rody, così acuto da dover aver parlato con almeno due ottave sopra il suo tono normale. “Preparato a cosa!?” sbottò nevrotico. “La mia vita aveva ricominciato a girare dal lato giusto e per la prima volta da anni avevo pensato di fare qualcosa per me! Volevo solo essere utile a Deku e rivederlo! Ripagarlo anche per avermi salvato la vita! Invece adesso sto per morire! E se dovessi riuscire a sopravvivere, non posso tornare indietro e dire Scusate, All Might, l'eroe degli eroi, mi è morto sotto gli occhi!

Tenko non parve toccato dal melodramma. Lo ascoltò in silenzio, anche quando fuori ci fu una nuova esplosione che fece tremare l’intera struttura e far piovere calcinacci qui e lì.

“Il Vecchio non è morto. Ha la pelle dura. Il problema principale è che è svenuto.”

Rody si prese il viso tra le mani, soffocandoci l’ennesimo verso di sfogo.

“Dovevamo fare affidamento su di lui!? È praticamente in pensione da dieci anni! O mi stai dicendo che tiene nascosto un briciolo di super potere-”

“Ohi, riesci a fare una telefonata?”

Rody lo fissò come se gli avesse chiesto di uscire a comprare le uova in mezzo a un tornado. Che non era poi una situazione così inverosimile dall’attuale.

Prima che potesse replicare, Tenko gli lanciò il proprio cellulare.

“Cerca il numero di Izuku, se non lo ricordi a memoria. Digli dove siamo.”

Sentire nominare Deku infuse in Rody un briciolo di speranza, tanto che Pino stessa volò verso lo smartphone, intenzionata a digitare lei stessa sul display con le sue alucce.

La telefonata non andò oltre i due squilli.

Tenko?

“Deku!” Rody neanche si accorse di aver urlato di gioia.

… Rody? Che succede? Stai bene? Tenko sta bene?”

“Sì! Cioè, assolutamente no! Siamo stati attaccati da un gruppo di villain!” e ad avvalorare le sue parole ci pensò un’altra violenta esplosione. D’istinto, Rody tentò di coprire almeno la testa di Toshinori col proprio corpo, stringendo il cellulare come se fosse stata la mano stessa di Izuku. “Sono troppi! All Might è ko! Oddio, oddio, Deku! Ero venuto in Giappone perché volevo passare del tempo con te e aiutarti, ma è stata una pessima idea! Se dovessi morire, devi dire a Lala e Roro che io-”

Rody! Rody, frena! Non ti agitare! C’è Tenko lì con te? Dimmi dove siete e spiegami la situa- waaacchan!” 

Ci fu un attimo di confusione dall’altro capo del telefono. Rody e Pino, entrambi a coprirsi la bocca pensando al peggio del peggio, sentirono una seconda voce inserirsi nella conversazione. 

Dammi il telefono, Izuku!

Era Bakugou.

Ohi, Ammaestratore di uccelli, apri le orecchie! Vedete di resistere! Se trovo un solo graffio su All Might vi faccio esplodere."

Kacchan! Non sei di aiuto così! Rody è terrorizzato!

Pino si accasciò sulla spalla del pilota, coprendosi gli occhietti con le ali.

Erano spacciati.

Comunque sarebbe andata, erano spacciati.

Ohi, mi stai ignorando!? Ci sei ancora!?

“Io-”

Di che cazzo ti preoccupi? Sei in buone mani.”

Rody si chiese se il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva avesse bevuto.

“Cosa-”

Sei in buone mani” insistette e dalla sua voce trasparì un chiaro ghigno. “Di’ questo a Faccia da drogato! Veniamo a prendere quel che resta di voi.

E riattaccò.

L’ultima cosa che Rody avrebbe sentito prima della proprio dolorosa dipartita sarebbe stata la peggior rassicurazione di sempre.

“Ohi, pilota? Cos’ha detto Izuku?”

Rody alzò lo sguardo spento sul suo compagno di disavventura. O di morte. Questione di tempo.

“Era Dynamight” spiegò, avvertendo la bocca asciutta. “Dice che… sono in buone mani… con te.”

Si fissarono.

Pino svenne direttamente, scivolando nel taschino della camicia, mentre Rody si chiese se sarebbe riuscito a fare un’ultima chiamata alla sua famiglia.

Poi Tenko si grattò sotto un occhio, per smettere un attimo dopo.

“Cerca di occuparti del Vecchio, deve uscirne integro. Quando Izuku piange mi mette di cattivo umore.”

Rody non avrebbe voluto prestargli attenzione, ma un brivido gli corse lungo la schiena.

Tenko iniziò a ridere. Come quando si ascolta una battuta buffa.

“Sei impazzito?” Anche se Rody non si accorse di aver dato voce al pensiero, gli uscì come uno dei pigolii di Pino.

Tenko non diede segni di averlo ascoltato. Continuò a ridacchiare, osservandosi le mani per poi iniziare a sfilarsi i guanti.

“Tienimeli un attimo” e glieli lanciò addosso.

Dopo che lasciò il loro rifugio, fuori calò il silenzio.



L'anima di Rody faticò a rimanere nel suo corpo dopo che ne uscirono vivi. Con le spiegazioni che seguirono dichiarò definitivamente la propria resa.

“… se All Might non avesse perso conoscenza, avrebbe potuto dare lui il permesso a Tenko di agire, essendo il suo supervisore in questa missione. Purtroppo le informazioni dell’intelligence non erano complete e non abbiamo potuto prevedere l’attacco, ma per fortuna non ci sono stati feriti gravi.”

Rody avrebbe voluto dissentire. La sua serenità interiore aveva subito un tracollo. Pino era ancora nascosta nel taschino, nonostante gli incoraggiamenti di Deku a uscire.

“Ve la siete cavata alla grande! All Might mi ha detto che viaggiare con te è rilassante come andare in crociera! E Tenko dice che, nonostante il panico, sei riuscito a rimanere calmo.”

Rody si riebbe e si focalizzò sul suo viso. Stava davvero cercando di tirarlo su, ma lo scetticismo non lo abbandonò.

“Che vorrebbe dire? Non ha senso.”

“Che hai superato anche l’ultimo test, pilota. Sei approvato in via definitiva per il posto.”

Tenko si inserì nella conversazione senza essere invitato. Rody di certo non avrebbe voluto sentirlo parlare, non ora che aveva finalmente davanti Deku, trauma da morte scampata o meno. E poi aveva ancora quel fastidioso prurito in fondo alla testa a sussurrargli come stesse tralasciando un particolare fondamentale.

“Quale test!? Nessuno aveva menzionato altri test! Avevano approvato tutto la settimana scorsa" e Rody capì, nel momento in cui parlò, di aver fatto la figura dell’idiota, facendo il giro delle espressioni di tutti. Deku aveva il sorrisetto tirato di chi chiede scusa con lo sguardo; Bakugou aveva appena mormorato un Sei senza speranze; Tenko lo fissava come si fissa un cruciverba che non ti riesce, ma che non sembra così complicato.

“Un test pratico. Agire sotto pressione sul campo. Dare assistenza ai compagni. Mettersi in contatto con i rinforzi e spiegare la situazione.”

Rody spalancò la bocca, indignato. Pino riemerse dal taschino con la stessa espressione.

Mi avete mandato a morire!

“Si chiama test segreto per un motivo” puntualizzò monocorde Tenko. “Se ne fossi stato al corrente non sarebbe stata la stessa cosa.”

“Oh, ma finiscila, sei tutto intero!” sbuffò Bakugou. “L’ultima volta ti hanno dovuto raschiare dalle pareti!”

“In effetti, però, non era previsto che andasse così…” intervenne Izuku nel tentativo di mitigare la situazione.

Ma Rody non voleva mitigare proprio niente. Puntò anzi il dito contro Tenko.

“Ma lui non ha fatto nulla fino all’ultimo! E io non sono mica un Hero! Ci poteva cadere in testa il rifugio! Potevamo saltare per aria e lui stava lì, immobile!”

Il diretto interessato non diede adito di essere stato toccato dalle accuse e sostenne lo sguardo senza cambiare espressione.

“… è un po’ complicato” Deku cercò in tutti i modi di essere delicato e ragionevole. “Ma come dicevo prima, al momento, senza il permesso di un supervisore - All Might, Kacchan o io - Tenko non può agire di propria iniziativa.”

Rody sentiva il bisogno di un bagno caldo e magari pure di un bicchiere di vino. Ma anche di continuare a sfogare tutto il panico che apparentemente gli aveva fatto superare quell’esame extra.

“E chi sarebbe, un eroe sbocciato tardi che non ha ancora la patente?! Ha bisogno della balia!?”

Tre paia di occhi lo fissarono come fosse stato un particolare fenomeno naturale che non si scorge tutti i giorni.

Poi Tenko ricominciò a ridere. Rody ebbe di nuovo i brividi perché, onestamente, sembrava un maniaco sociopatico.

“Non ha davvero idea di chi sono.” Tenko si voltò verso Izuku, che stava guardando in alto con un poco di imbarazzo. “Perché non glielo hai detto?”

“… credevo non ce ne fosse bisogno. L’ho dato per… scontato.”

Stavolta a scoppiare a ridere fu Bakugou, con irriverenza, e Rody pensò di essere tornato alle elementari e aver appena chiamato mamma la maestra. Si aggrappò, letteralmente, all’unica persona di cui gli importasse davvero.

“Deku… cosa hai dimenticato di dirmi?”



Izuku aveva omesso un dettaglio minuscolo, quanto fondamentale, che accese tutte le lampadine in testa a Rody. Quel pessimo presentimento inascoltato suonò le campane tra le sue tempie.

Shimura Tenko era stato, quasi dieci anni prima, Shigaraki Tomura.

Il Villain per cui il mondo aveva tremato nelle fondamenta insieme all’ombra di All For One. Lo stesso Shigaraki che aveva ammazzato - brevemente - Bakugou e poi aveva cercato di polverizzare Midoriya e quello che restava di un Giappone sull’orlo del collasso.

Rody aveva seguito le sue gesta durante il Live Streaming dell’ultima battaglia, pregando neanche lui sapeva di preciso che divinità perché non vincesse. Perché non ammazzasse Deku, forse il primo vero amico che avesse mai avuto e su cui potesse contare.

Rody aveva pianto di sollievo alla notizia che ne fosse uscito vivo e aveva dovuto aspettare un anno per poterlo constatare di persona. Quel dolore e quel fiato tirato per non aver perso l’ennesima persona importante della sua vita si erano incisi così a fondo dentro di lui che aveva rivoluzionato tutta la propria vita. Sapeva per primo cosa significasse sia perdere tutto che trovarsi di fronte alla possibilità di rimanere soli di nuovo.

E adesso gli venivano a dire che Shigaraki Tomura, ora Shimura Tenko - sfoggiando un look che lo rendeva meno riconoscibile, per quanto naturale - era qualcosa a metà tra un agente governativo e un Hero.

Un Hero. Shigaraki Tomura. Quello Shigaraki Tomura ora era al servizio dei più deboli.

Si erano bevuti il cervello, shakerandolo per bene prima.

Eppure, era tutto vero.

“Benvenuto nel club, Ammaestratore di uccelli. Ce ne siamo fatti tutti una ragione col tempo. Fattela passare presto perché continuerai a lavorare con lui, sempre che tu voglia restare e accettare il posto.”

Bakugou Katsuki neanche ci stava provando a indorare la pillola. Non che Rody si aspettasse qualcosa di diverso da lui, ma questo non gli impedì di ricordargli - come se avesse potuto dimenticarlo! - che quel pazzo maniaco seduto in macchina con loro gli avesse disintegrato il cuore.

“Cristo, ma sei un disco rotto. Persino la mia Vecchia ormai gli prepara il pranzo scherzandoci sopra. Rilassati.”

Sulla strada verso l’albergo dove avrebbero alloggiato, Rody perse qualsiasi briciolo di dignità gli fosse rimasta, ma non se ne fece una colpa.

No, la colpa era di quei tre decerebrati con cui era in viaggio. E sì, compreso Deku, nonostante il giovane di Otheon gli fosse rimasto allacciato addosso durante tutto il tragitto e persino quando scesero. Fu più forte di lui. Deku rimaneva l’unico di cui si fidasse ciecamente e che sperava di convincere che dovessero legare stretto Tenko e buttarlo nel primo burrone disponibile. Pino si impegnò strenuamente nel mimare quel pensiero, ma il solo che parve recepirlo fu proprio il diretto interessato, che tentò persino di approcciarsi con un dito alla creaturina piumata.

Di fronte alla porta della camera da letto che Deku avrebbe condiviso con il legittimo marito, Rody si rifiutò ancora di lasciarlo andare, nonostante le minacce di Bakugou di farli esplodere entrambi e di firmare col sangue le carte del divorzio. Dietro di loro, Tenko era prossimo alle convulsioni da risate.

“Vi odio tutti…” mormorò Rody piagnucolante, mentre Pino passava dall’agitare le alucce, chiuse comicamente a pugni, a coprirsi la faccia scuotendo la testa. Izuku cercò di nuovo di ammorbidirlo con qualche carezza incoraggiante.

“Andiamo… è successo dieci anni fa… è cambiato ed è dalla nostra parte ora. È acqua passa-”

“Rettifico” lo interruppe Rody, fissandolo con biasimo. “Siete tutti pazzi. Tutti. Ci ammazzerà nel sonno e riderà nel farlo!”

Tenko rise in effetti più forte, beccandosi un Ohi! Finiscila anche tu o ti imbavaglio! Mi stai dando i nervi! Da parte di Katsuki che finì inascoltato come qualsiasi altra dichiarazione di intenti.

“Buonanotte… se riuscirete a dormire” e l’ex Villain entrò in stanza, ma non prima di aver regalato a Rody un ultimo sorrisetto da stregatto che lo avrebbe di certo accompagnato nei suoi incubi durante la notte, spingendolo ad arrampicarsi in testa a Deku.

“Voi non volete ascoltarmi! Siamo spacciati!” 


sidralake: (Default)
 

COW-T 13, prima settimana, M2

Prompt: 27. Ho ascoltato i miei silenzi e ho avuto i brividi (Ultimo – Alba)

Numero parole: 2162

Rating: Verde

Note: shottina Bakugou-centric che si può leggere da sola come un WHAT IF di come sarebbero andate le cose se Deku non avesse mai incontrato All Might (e quindi niente OFA) e niente UA… niente di niente.
Oppure è interpretabile come Missing Moment a “On the wrong side of Heaven”. Questi headcanon su Deku quirkless, la spaccatura definitiva tra lui e Katsuki, una relazione BakuTodo, ecc… affliggono tanto la mia mente e penso che continuerò a sfruttarli in altre fic…!
Si ringrazia la Socia per il nomignolo a Burnin’ UU/



Hero! Hero! Aiutami!

Moccioso, che succede? Dove sono i tuoi?

Il mio fratellino! Devi salvare il mio fratellino! Un Villain l’ha preso!

Smettila di frignare, ci penso io. Dove sono!?

Di qua! Salvalo! Ti prego… devi salvarlo!



“... Ehi?”

Bakugou uscì dalla propria memoria con un sussulto nel sentire una mano sulla spalla. Si girò di scatto e il movimento repentino giocò a suo sfavore, facendolo cogliere in flagrante. 

“Cosa c’è che non va? Sei… turbato?”

Katsuki grugnì, ricordandosi di avere un bicchiere in mano e bevendo. Era solo acqua e non servì a sciogliere il nodo che sentiva allo stomaco.

“Sto bene, Impiastro a metà. Sono solo stanco.”

Shouto si prese qualche momento per scegliere come rispondere.

“Comprensibile. Hai fatto un doppio turno per via di quell’ultimo incidente.”

“Seh…”

“Però hai salvato un bambino. È andato tutto bene… o no?”

“Certo che è andato bene” ringhiò Katsuki, maledicendosi per non riuscire a controllare il proprio tono e finendo col dare l’idea contraria di quello che stava affermando. Si spostò, abbandonando la porta finestra da cui stava osservando la città illuminata, per andare verso il tavolo col piccolo aperitivo messo su dallo staff dell’Agenzia di Endeavor. Cercò della birra decente, abbandonando l’inutile bicchiere con l’acqua sul primo angolo disponibile.

“Ohi, ohi, il pulcino è di cattivo umore!”

“Esatto, Vomito fiammeggiante, quindi gira alla larga.”

Burnin’ rise, portandosi al suo fianco e offrendogli l’oggetto della sua ricerca con un ghigno.

“Sicuro? Me la porto via?”

Katsuki fece per prendere la bottiglia, ma lei gliela sfilò da davanti le grinfie lasciandolo a mani vuote.

“Come mai il tuo musetto incazzato è più teso del solito?”

“Cazzi miei.”

“Problemi col turno?”

“Ha salvato un bambino” si intromise Todoroki, apparendo al fianco dell’ex compagno di scuola.

Burnin’ lo squadrò meglio, corrugando la fronte e le labbra.

“Ti ha vomitato sulla divisa o se l’è fatta addosso? Sono inconvenienti che capitano.”

“Mi state facendo venire mal di testa con queste scemenze inutili! Non è successo nulla!” e Katsuki girò sui tacchi, intenzionato ad andarsene, ma nessuno dei due lo mollò.

“Eddai, Boom Boom, erano solo chiacchiere. Tieni la birra, su. Rossa come piace a te.”

Bakugou gliela tolse dalle mani di malagrazia e buttò giù una lunga sorsata. Forse troppo lunga, perché gli sfuggì un rutto involontario, a cui allegò un’imprecazione.

“Wow” commentò Burnin’, scambiando un’occhiata con Shouto, Sicuro che non sia successo altro?, per poi tornare a Dynamight. “Quel bambino che hai salvato ti ha chiamato papà e hai avuto una crisi d’età? Sappi che sei ancora giovane e puoi aspettare.”

“Io me ne vado a casa” annunciò il biondo, definitivamente disgustato. “Crepate.”



Shouto l’antifona non la capì e seguì Katsuki. Il fatto che abitassero a due palazzi di distanza fu solo una coincidenza quella sera. Bakugou se lo ritrovò ancora attaccato alle calcagna pure dopo essersi fatto tutti i piani a piedi per smaltire un po’ del malumore.

“Puoi fare dietro-front e scendere con le tue gambe o ti butto di sotto io. Scegli.”

La minaccia fu un grugnito più esasperato che una promessa, mentre infilava la chiave di casa nella toppa.

“Posso restare per la notte?”

Bakugou rimase a fissare l’uscio aperto solo per uno spiraglio, la mano sulla maniglia. Ribattere animatamente e poi sbattergli la porta in faccia per sottolineare il No sarebbe stata la cosa più facile.

Hero! Devi salvare il mio fratellino! Ti prego!

“Fa come ti pare” borbottò, entrando senza accendere la luce e lasciando spalancato dietro di sé. Anche se finse di non prestargli attenzione, i sensi di Katsuki continuarono a percepire ogni movimento di Shouto.

Nessuno dei due premette alcun interruttore e si mossero al buio. Questo fece comprendere a Bakugou come l’ex compagno di scuola si fosse abituato a camminare dentro casa sua con appena qualche bagliore proveniente dalle finestre, e lo spinse a quantizzare quanto tempo fosse passato da quando lo aveva trascinato lì per la prima volta. Ma fu un pensiero frivolo, spinto di lato da quello ben più denso e ingombrante che non voleva abbandonarlo. 

Il mio fratellino… starà bene?

“Ohi, Bastardo a metà.”

Shouto si fermò alle sue spalle, in attesa.

Hero… è tutta colpa mia… Il mio fratellino… io…

L’irruenza del bacio di Katsuki li spinse entrambi contro il bancone della cucina. Shouto emise un mezzo verso, più di sorpresa che di dolore, ma durò un istante. Ricambiò quell’improvviso scatto afferrando Bakugou per la camicia e, al contempo, dandogli più accesso alla propria bocca.

Con una mano, Katsuki lo prese per la nuca, stringendo abbastanza forte da tenerlo fermo per staccarsi e riprendere fiato, combattendo contro Todoroki che, non misurando la propria forza, tentò di riappropriarsi delle sue labbra. Nonostante il buio, percepì il suo sguardo spaiato fisso totalmente sulla propria bocca, agognante e senza nessun altro pensiero per la testa.

Hero… lui… lui è tutto quello che ho…!

Doveva spegnere quella voce. 

Katsuki agguantò Shouto per un polso e lo trascinò in camera da letto.



Izuku…! Izuku!

Bakugou riaprì gli occhi di scatto, ma non cambiò nulla tra il buio della mente e il buio della stanza.

Con lentezza, i suoi sensi ripresero a funzionare. Avvertì per prima cosa la consistenza del materasso, la morbidezza del cuscino e la mano poggiata sul suo fianco nudo. Inspirando, riconobbe gli odori, di Todoroki e del sesso. Aveva la bocca impastata, amara, dalla birra e anche da qualcosa che sapeva di Shouto. Il respiro dello Scemo a metà era lieve e fresco contro la sua nuca.

Katsuki strusciò la guancia sulla federa del cuscino, cercando un sonno che non era sicuro di volere, ma che il suo corpo esausto richiedeva.

Gli ci mancavano i brutti sogni per un’inezia.

Hero… lo hai salvato! Hai salvato il mio fratellino!

Certo che l’ho salvato, moccioso. Corri, va’ da lui e non perderlo più di vista.

Lo farò! Izuku…! Izuku!

Con uno sbuffo, Bakugou raggiunse il bordo del letto e si mise seduto. Alle sue spalle, Todoroki scivolò contro il materasso con un respiro più forte, ma non si svegliò.

Che fosse meglio o peggio, Katsuki non ne fu certo. Non avrebbe dato spiegazioni - sarebbero state lunghe, inconcludenti e con l’alta probabilità di sfociare nei sensi di colpa - ma il silenzio…

Il silenzio che aveva dentro lo stava soffocando.

Izuku…!

Il fratellino di quel moccioso si chiamava Izuku. Quante probabilità c’erano di incappare in una coincidenza simile?

Il villain che l’aveva preso in ostaggio era una mezzasega. In meno di dieci minuti aveva risolto tutto, senza un graffio. Ma ci aveva pensato quel nome a fare breccia dentro di lui.

Si massaggiò il petto e sentì il bisogno di una doccia, ma non si mosse.

Il silenzio era come un gas nella stanza, che gli stava scendendo dentro e lo stava avvelenando. Neanche la presenza di Shouto sembrava tangibile quanto la leggera eco, poco più forte di un sussurro, che aleggiava nella sua testa.

Izuku.

Erano quattro anni che non lo vedeva. Ed erano almeno sette che non si parlavano decentemente… se lo avevano mai fatto da quando erano piccoli.

Ed era colpa sua.

Si passò una mano sulla faccia e lì la lasciò, prendendo un respiro più profondo.

Izuku.

Neanche ricordava l’ultima volta che lo aveva chiamato col suo nome.

Le loro strade si erano separate all’inizio del liceo, dopo il goffo e quasi mortale tentativo di Deku di superare l’esame di ammissione alla UA. Ma un quirkless come lui non aveva avuto neanche una chance. Doveva andare così. Non riusciva a immaginare Izuku tentare di frequentare una scuola dove il requisito base era avere un quirk, sopravvivere ad allenamenti estenuanti che avevano messo alla prova persino lui e diventare quindi un Hero, probabilmente il lavoro più pericoloso in circolazione.

Deku sarebbe morto al primo tirocinio sul campo, al primo villain che lo avesse preso di mira. Ed era ridicolo avere un desiderio suicida del genere per voler aiutare gli altri.

Eppure, nonostante a Bakugou suonasse tutto così logico a parole, il nodo al suo stomaco non si allentò, ma anzi, gli risalì al petto in modo spiacevole.

Izuku.

Avevano perso i contatti. Dall’ingresso al corso per eroi, Katsuki si era concentrato unicamente su migliorare ed essere più forte. Aveva avuto i suoi cazzi e le sue botte di realtà, come incappare nel capolavoro di casa Todoroki e scoprire quanto fosse più dura del previsto raggiungere la cima. O come i suoi compagni non fossero alla stregua delle mezze seghe che aveva frequentato per tutta la vita. Per la prima volta si era trovato in mezzo a suoi pari, a persone desiderose quanto lui di stringere i propri obiettivi. Era stato un bagno di realtà che era iniziato con una doccia fredda.

Bakugou Katsuki improvvisamente era diventato uno dei tanti. Uno studente con un quirk non insuperabile e magnifico come aveva creduto - come gli avevano ripetuto per anni.

Per questo non aveva più avuto tempo per Deku. Aveva dovuto pensare a se stesso e, per la prima volta, aveva una giustificazione valida per non avercelo intorno, per non sentirsi messo all’angolo dalla sua presenza e da quel suo modo di essere che lo aveva sempre fatto sentire inferiore.

Le cose non erano andate come si era aspettato.

Non era stato un percorso negativo, ma a ventidue anni, guardandosi indietro, Katsuki sentiva i pugni vuoti.

Vedrai che ti farai presto un nome, Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva Dynamight! Ahah, forse abbrevialo, così la gente lo ricorderà meglio?

Hai la strada spianata. Assomigli molto a Endeavor e lui è diventato il secondo eroe del Giappone prestissimo.

Sarà una grande responsabilità, ma sono certo che tu sia in grado di assumertela.

La gente cianciava senza pensieri. Fin dal giorno del diploma chiunque aveva dato fiato alla bocca con promesse e aspettative che si erano accumulate sulle sue spalle senza che avesse dato il consenso.

Chi era diventato? Un sidekick dell’Agenzia di Endeavor e solo perché l’Idiota a metà ce lo aveva trascinato dopo il diploma. Il suo sogno di essere il numero uno, di superare All Might, giaceva in un angolo della sua mente come un vecchio quadro su cui era stato tirato un telo. Cos’era andato storto? Dov’era finita la sua motivazione?

E tutto a quello a cui riusciva a pensare ora era Izuku?

Perché proprio lui, dopo tutto quel tempo?

Perché non hai mai risposto a nessuna delle sue chiamate.

Perché da quattro anni lo hai lasciato definitivamente indietro.

Sai almeno dove si trova, adesso?

Si premette con forza i palmi sulle palpebre, lasciandosi scappare un’imprecazione. La sua mente aveva deciso di torturarlo, di incidere quella sacca di sensi di colpa che aveva nascosto molto in fondo proprio per non sentire i liquami dei suoi errori infettarlo.

Si era imposto di non pensare a Izuku dal giorno del funerale di Midoriya Inko, quattro anni prima. Un incidente senza reali colpevoli, quelle gomitate del Destino che non ti aspetti, ma che ti tolgono il fiato insieme alla ragione e ribaltano qualsiasi piano della realtà.

Katsuki era andato alla veglia con l’intenzione di riallacciare i rapporti dopo tre anni di Non ho tempo da perdere, merDeku, non sto giocando. Tre anni in cui non ce l’aveva avuto attaccato alle spalle, come una seconda ombra adulatrice.

Tre anni che si erano conclusi con uno sguardo vuoto e neanche una parola. E il suo coraggio non aveva travalicato il solco, la spaccatura, che li aveva definitivamente divisi.

Doveva andare così. Era quello che si era raccontato.

Izuku.

Lo aveva cancellato dal suo quotidiano, dalla sua mente, aveva estirpato ogni ricordo e lo aveva inscatolato come quando si cambia casa e inevitabilmente si fa una cernita di cosa tenere e cosa no.

Deku era stato un compagno di giochi e poi una piaga per quasi quindici anni della sua vita. Neanche ricordava quando lo avesse conosciuto - o se, semplicemente, ci fosse sempre stato. Avevano condiviso dei giochi, dei momenti, fine. Ci si perdeva di vista con gli amici di infanzia. Si percorrevano strade diverse. Si diventava conoscenti e si andava avanti lo stesso.

Quindi cosa c’era ora che lo faceva sentire sbagliato?

Perché il nome di un insignificante bambino aveva scoperchiato così tanto?

Sette anni di silenzi e Katsuki sentì un brivido attraversargli la schiena, la coscienza, come dita gelide.

Cosa avrebbe dovuto fare?

“Bakugou…” 

Katsuki sussultò. Il presente tornò come aria nei polmoni. Si voltò verso Shouto, ringraziando l’oscurità per mascherare la sua espressione. Doveva essere sconvolto e disorientato, perché le sensazioni residue dei suoi pensieri persistettero, restie a lasciarlo andare. 

… Izuku…

“... perché non dormi, Bakugou…? Domani… il turno…” 

Se avesse provato a rimettersi giù era certo che la sua mente gli avrebbe vomitato dentro un altro fiume di melma. 

“Ohi, scemo, alzati. Vieni a farti una doccia. Devo anche rifare il letto, fa schifo.”

ngh…

Katsuki strattonò il lenzuolo finché Shouto non finì per terra. 


April 2025

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