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COW-T 14, quinta settimana, M2

Prompt: Uno card

Numero parole: 2157

Rating: SAFE

Note: Salvate Chuuya da Dazai, per favore






 

 

“... che cazzo significa.”

Dazai sospirò come si sospira di fronte a un bambino che ti chiede la stessa cosa per la quinta volta. Rimescolò il suo cocktail di farmaci per dormire e antigelo fissando il tutto in maniera curiosa e ridando un occhio alla ricetta che si era appuntato e che giaceva come segnalibro nella sua attuale lettura, rimasta aperta sulla scrivania di Mori. 

“Significa che” recitò, scandendo come una maestra d’asilo, “dobbiamo occuparcene noi. Cosa c’è di così complicato da capire?”

Chuuya restituì l’idea di considerarlo alla stregua di un insetto che gli gironzolava attorno. Troppo rapido per essere acchiappato, troppo scaltro per essere schiacciato. Il fastidio fatto persona, una palla al piede, il più stronzo degli stronzi… ma Chuuya non aveva davvero la concentrazione, in quel momento, per liberarsi di Dazai. Né, in realtà, poteva permetterselo. 

Essere l’ultimo arrivato all’interno della Port Mafia aveva degli enormi svantaggi, tipo dover considerare quella piaga umana con l’hobby del suicidio la propria guida agli usi e cotumi dell’organizzazione. Questo quando il Boss era fuori città. Questo quando la sua effettiva mentore, Kouyou, era troppo oberata per dargli retta. Questo quando persino Hirotsu si era defilato con una scusa e tanti salamelecchi per mollare la grana a loro. 

“Cos’è che ti turba tanto, Chuuya?”

L’ex Re delle Pecore alzò finalmente lo sguardo sull’altro ragazzo, seduto a gambe incrociate sulla scrivania del Boss, del tutto a proprio agio. Lui si sentiva ridicolmente piccolo su una delle due poltrone di cortesia. 

“Abbiamo quindici anni."

“Vuoi che ti faccia gli auguri di compleanno in ritardo?”

“Non sognarti mai di farlo!”

“Menomale…” sospirò Dazai, accantonando quella futura incombenza con un sorriso sollevato, tornando a far tintinnare il cucchiaio da cocktail con cui stava mescolando nel becker il suo Filtro per il perfetto suicidio indolore. “Non vorrei buttare dei soldi per comprarti del vino e vederti felice.”

“Sei una merda.”

“Allora? Cos’è quell’espressione piena d’angoscia? Vuoi fare tu il primo giro?” e gli mise sotto il naso il suo preparato.

Chuuya si ritrasse contro la spalliera della poltrona.

“Toglimi quella roba da davanti e crepa.”

“Ci sto provando, non lo vedi?” sbuffò l’altro. “Mi spieghi cosa non ti è chiaro di quello che dobbiamo fare? Non ho tutto il giorno per farti da balia.”

“Fottiti.”

“Chuuuuyaaaaa” si lamentò Dazai. “Parla e basta.”

Per tutta risposta, l’altro ragazzo riafferrò il comunicato che gli era stato consegnato a colazione e per cui era un’ora che era lì a cercare di capire in cosa si fosse cacciato. Ormai il foglio era del tutto stropicciato, ma il messaggio rimaneva più che leggibile.

“Non possiamo occuparci di questa cosa. Punto numero uno, queste cose non dovrebbero succedere senza il Boss presente! Punto due, non ci prenderebbero sul serio!”

“Oh. Il problema è questo?” 

Chuuya mise su il muso, odiando sentirsi stupido e odiando Dazai con ogni fibra del proprio essere perché ce lo faceva sentire.

“A te non te ne frega un cazzo, ma io non voglio far scoppiare un casino mentre il Boss è via!”

“Aaah, il senso di responsabilità, che carino che sei” cinguettò Dazai, portandosi una mano al petto e fissandolo con l’unico occhio non bendato e una teatralità commossa da prendere a schiaffi. “Hai paura che papà torni e ti sbatta fuori di casa perché gli hai rovinato il salotto?”

Chuuya avampò e gli si lesse in faccia l’istinto a volersi alzare e picchiarlo male, ma Dazai fu più svelto e lo colse impreparato, mollandogli in mano il becker e il cucchiaio e restandogli ad appena cinque centimetri dal naso, costringendolo di nuovo contro lo schienale della poltrona.

“Ora ti rispiego tutto! Lezione for dummies per un esecutivo quindicenne della Port Mafia!” cantilenò e sembrò mancare poco che piroettasse sul posto. Si schiarì la voce e alzò un indice. “Primo, ci vestiremo bene!”

“Ohi, pianta-”

“Punto due! E continua a mescolare!” lo redarguì l’altro, indicando l’intruglio. “Punto due, ci sarà comunque Hirotsu a fare gli onori di casa, non temere. Lui è avvezzo a queste cose e ci supervisionerà.”

Non si capì se Chuuya fu davvero contento e convinto di quella informazione. Nel mentre che fissava Dazai, la sua mano si mosse a mescolare il cocktail sovrappensiero. 

“Punto tre! Come ti ho già raccontato - se mi ascoltassi - questi incontri sono informali, più visite di cortesia per scambiare due chiacchiere e tenere i rapporti amichevoli! Nessuno pretende nulla di che! Faremo questa partitina a carte e poi tutti a casa!” 

L’espressione dell’altro ragazzo parlava di come sembrasse aver appena mandato giù un sorso di quel cocktail suicida. 

“Non sei ancora convinto?” 

“Quando ci sei di mezzo te, per niente.”

“Sei troppo prevenuto! Sono il tuo padroncino, non ti abbandonerei mai sul ciglio della strada!” 

L’indignazione di Chuuya tornò a colorargli le guance, ma di nuovo, Dazai fu più svelto e gli tolse di mano l’intruglio dall’odore pungente e dolciastro. 

“Ti prometto che ci divertiremo! Non darti pensiero per l’etichetta, i convenevoli, o simili! Tu segui soltanto quello che ti dico e andrà liscia!”

Nel dirlo, fece tintinnare contro il bordo del becker il cucchiaio, sgrullando le gocce rimaste. Chuuya osservò l’azione come se avesse dovuto suggerirgli qualcosa. 

“Quando ci sei tu di mezzo le cose finiscono sempre a scatafascio.”

“Dici? Allora alla salute!” Dazai fece un brindisi rivolto al rosso, per poi avvicinarsi il cocktail alle labbra.

Lo sguardo dell’altro registrò a rallentatore il gesto e l’implicazione. Con un secondo di ritardo, ma una prontezza che lo recuperò alla velocità della luce, il ragazzo si gettò sull’aspirante suicida, buttando a terra con una manata il becker. Questo rotolò sul tappeto, spargendo in giro il liquido e il suo odore sintetico. 

“Chuuya! Ci avevo messo un’ora per raggiungere l’equilibrio di ingredien-”

“Brutto stronzo, non ti suiciderai prima di questo compito del cazzo!”

 

 

L’aria nella stanza era irrespirabile. Chuuya fece di tutto per non darlo a vedere, ma continuò a trattenere il fiato. Si era già fatto scappare un mezzo colpo di tosse all’odore di fumo che appestava la sala, inspirando poi quello più dolce degli alcolici. L’enorme sala era costellata di decorazioni e suppellettili cinesi, piena di tavoli e sedie spaiati. L’ultimo luogo dove Chuuya pensava sarebbe potuto avvenire un incontro, per quanto informale, con il Boss di un’organizzazione alleata. Aveva perso il conto delle macchie in giro, nonostante il posto desse l’impressione di essere stato ripulito da cima a fondo. 

Oltre a loro, non c’era un’anima. Lui, Dazai, il Boss ospite. La guardia del corpo di quest’ultimo e Hirotsu erano alla zona bar a scambiare due chiacchiere davanti ad altrettanti bicchieri di whiskey. Chuuya sentì il desiderio profondo di mollare tutto, abbandonare il tavolo da gioco e raggiungerli. Ma come lo pensò, il veterano della Black Lizard gli lanciò un’occhiata come se avesse potuto sentire distintamente il suo pensiero. 

Chuuya tornò a fissare le carte che aveva in mano e a ingoiare una bestemmia. E poi una maledizione contro Dazai. Era sempre tutta colpa sua. Non era possibile che si ritrovasse in situazioni così assurde da quando lo conosceva. Il pensiero che tutta quella stronzata della partita amichevole con il Boss ospite fosse una sua trovata lo aveva sfiorato, fino a quando Mori stesso non gli aveva telefonato, chiedendogli se i preparativi stessero procedendo. Kouyou stessa gli aveva mandato un messaggio augurandogli di vincere - che detto da lei equivaleva a una risatina nascosta dalla manica e una pacca condiscendente sulla testa. 

Era fottuto. 

In balia di Dazai con la responsabilità della Port Mafia sulle spalle. 

Non ricordava neanche quanti giorni fossero passati da quando era stato tradito, ricattato e costretto a entrare nell’organizzazione. Dieci giorni? Due settimane? Un mese? 

“‘fanculo…”

“Pessima mano, giovanotto?”

Chuuya alzò lo sguardo come se avesse appena premuto sull’acceleratore pronto a schiantarsi contro un muro. Il suo cervello gli diede una schicchera e capì di aver dato fiato alla bocca invece di restarsene zitto. 

Fissò il Boss di fronte a lui per una manciata di secondi, poi abbassò gli occhi sulle carte. E che qualsiasi entità superiore gli fosse testimone, non riusciva davvero a credere a cosa stesse stringendo. 

“Se ci si concentra abbastanza si può intuire che carte abbia in mano.”

La voce melliflua di Dazai si infilò nel vuoto di parole del partner, facendo sorridere il Boss ospite. 

“Nuova assunzione?”

“Qualcosa del genere” commentò sempre l’aspirante suicida, per poi stirare un sorriso falsissimo al diretto interessato. “Tocca a te, da circa cinque minuti.”

Chuuya strinse le carte sentendo la carta spessa delle carte essere sul punto di accartocciarsi. 

“Non abbiamo fretta.” La risata grassa e bonaria del Boss riverberò nell’ambiente vuoto, facendo fremere Chuuya. “E’ pur sempre un gioco strategico, si starà facendo i suoi calcoli.”

Anche Dazai rise e il rosso fu sul punto di gettarsi sul tavolo per raggiungerlo al collo, strozzarlo e dargli finalmente la morte che cercava. 

“Io dubito che…”

Chuuya acchiappò una carta dalla propria mano e la sbatté sulla pila degli scarti. 

“Appunto” replicò altrettanto serafico Dazai, osservando la povera carta stropicciata e di traverso sulla piccola pila.

“Un sei rosso” commentò il Boss, annuendo compiaciuto. 

“... prevedibile” liquidò Dazai, ricambiando con un sei blu. 

Toccò al loro ospite e dopo Chuuya si ritrovò di nuovo da punto a capo. E iniziò a sentire un brutto brivido lungo la schiena, di quelli da risolvere prendendo a pugni tutti e poi andarsene. Ma l’unica mascella che avrebbe potuto colpire era quella di Dazai e l’occasione non si era ancora presentata. 

“Forse Uno è un gioco troppo complicato per te, eh? E dire che volevo fosse una partitina amichevole.” 

Ok, l’occasione era lì, così lì che l’occhiataccia che Chuuya rifilò al (prossimo defunto) partner fu accolta con una seconda risata divertita del Boss. 

“Mori-san ha scelto molto bene con chi accoppiarti.” 

Dazai fece la faccia schifata di qualcuno che aveva appena mandato giù una verdura amarissima. Chuuya lo ascoltò di striscio, buttando un’altra carta che calcolò di striscio solo per matcharla di colore con quell del Boss. Non riusciva proprio a credere che fosse tutto vero e reale. 

“Uhm.” Dazai inclinò la testa di lato, come a cambiare prospettiva per osservare meglio la carta lanciata da Chuuya. “Un cambio giro? Sei sicuro?” 

“Fottiti.”

“Mi piace proprio il ragazzino.” Il Boss ormai era l’unico che si stesse divertendo. Rispose con un colore semplice e poi con un gesto lasciò la metaforica palla a Dazai. “E’ uno a cui piace il rischio.”

Dazai annuì gravemente, come se il risultato dei rischi di Chuuya lo riguardasse in maniera diretta - e non fosse lui la catastrofe ambulante. 

“Uno dei tanti problemi di Chuuya è che non pensa abbastanza” sospirò e poi lo fece. 

Chuuya non ebbe il tempo di sbroccare con una risposta sonora, che vide incombere sulla pila degli scarti la carta più odiosa di tutte. 

Un più quattro troneggiò al centro del tavolo e nel silenzio che ne seguì. Questo fino a quando il Boss non ricominciò, di nuovo, a ridere e a fare battute sulla loro chimica - qualsiasi cosa fosse, Chuuya non lo registrò di striscio. 

Il tavolo tremò per una frazione di secondo. Quella in cui la gravità si riverberò dal rosso seguendo la linea della sua vena omicida, prontamente stronzata da un buffetto di Dazai al braccio. 

“Su su, sono solo quattro carte. E siamo all’inizio.”

Chuuya si incise nella mente di ammazzarlo quella notte stessa. Un cazzo Faremo questa partitina a carte e poi tutti a casa! Dazai non avrebbe visto l’alba del giorno dopo. 

“Sei uno Sgombro morto.”

“Sei proprio una Lumaca, pesca.” 

La mano di Chuuya si abbatté sul mazzo di carte e ne tirò su alcune.

“Te ne manca una, partner.”

E Dazai la pescò per lui. 

Chuuya ebbe solo la conferma di come tutto fosse una fottuta montatura del cazzo - o uno scherzo di così pessimo gusto - quando inserì la carta tra quelle in mano. E quando si accorse del messaggio che c’era scritto. 

Era un cambia colore. 

Ammetti che sono il miglior partner del mondo o pesca 25 carte.

Sotto, ancora più piccolo.

E sappi che il Boss qui è uno che ride e che scherza anche quando taglia la gola alla gente. E che Mori conta su di te per divertirlo.

“Problemi, partner? Ti devo rispiegare le regole?”

Fu una sera che Chuuya cancellò dalla memoria, ma fu anche quella in cui iniziò ad appuntarsi tutti i metodi con cui avrebbe potuto infliggere dolore e ammazzare quello stronzo di Dazai. 

Con la risata del Boss ospite a rimbombargli nelle orecchie - e con un rossore sulle gote a rendere tutto più imbarazzante, Chuuya iniziò a pescare una carta dopo l’altra, mantenendo un savoir faire per cui Dazai avrebbe riso per gli anni a venire. 

 

 

 
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COW-T 11, sesta settimana, M3
Prompt: 004. And when our children tell our story, they’ll tell the story of tonight.
Numero parole: 668
Rating: SAFE
Warning: … major character death? Non descritta.
Note: … ma è talmente corta che non se piagne. 



And when our children tell our story,
they’ll tell the story of tonight.

[Hamilton, il musical]



«Si può sapere che cazzo hai da ridere!?»

Quello di Chuuya sembrò in tutto e per tutto un latrato, ma si fermò a essere quello. Era troppo stanco, troppo al limite, troppo arreso per poter pensare di afferrare l’ex partner per il colletto e farlo smettere. Lui, di divertente, non ci trovava proprio niente. 

Erano spacciati, nel senso letterale del termine. Il capolinea. Non c’era più alcuna via di fuga e lo avevano scelto volontariamente. 

E Dazai rideva, asciugandosi le lacrime dagli angoli degli occhi e guardandolo con un sorrisino. 

«Quando i cuccioli parleranno di noi, racconteranno la storia di questa notte.» 

Chuuya fu abbastanza certo di aver capito male per il fischio del vento, se vento si poteva chiamare. Erano al centro del ciclone, o di qualsiasi insieme di forze fosse l’agire del Libro. Non importava che fossero riusciti a fermare Kamui e Dostoevskij dai loro piani di ristrutturazione egoistica della realtà, avevano innescato l’abilità probabilmente più distruttiva al mondo ed erano rimasti anche i soli a poter mettere un freno a tutto. Non senza sacrificio. 

Chuuya lo aveva accettato nel momento in cui l’aveva letto negli occhi di Dazai. Avevano iniziato insieme e, per quanto sperasse nel contrario, avrebbero concluso fianco a fianco la loro esistenza. Quello che Chuuya avrebbe desiderato risparmiarsi era un’ultima chiacchierata non sense con quel decerebrato del suo ex partner, il tutto mentre, intorno a loro, il mondo si stava sfaldando e sgretolando come un foglio che veniva consumato dalla fiamma. 

«Ora chi diavolo sono i cuccioli?» borbottò il rosso, passandosi una mano nei capelli arruffati. Aveva perso il cappello ore prima. Avrebbe dovuto prenderlo come un presagio di cattivo auspicio. Come se avere Dazai intorno già non fosse stato abbastanza. 

Il suo ex partner lo guardò con un sorriso raggiante. Alzò l’indice. 

«Atsushi!»

Poi alzò il medio. 

«E Akutagawa!» 

Chuuya lo guardò come avrebbe guardato un clown poco divertente o un paziente fuggito da un manicomio. 

«Perché li chiami-» si interruppe. «No, non lo voglio sapere.»

«Eddai! Sono i nostri ultimi istanti! Non sei minimamente curioso neanche adesso?»

«Ho la sensazione che mi darai il tormento anche nell’aldilà. O nella prossima vita.»

«Sei uno di quelli che crede nella vita dopo la morte e nella reincarnazione!?»

Lo sguardo di Chuuya esprimeva il dubbio di rispondergli, cercando il tranello. 

«Se anche fosse...»

«Sei così romantico!» e nel dirlo, Dazai gli afferrò una mano nelle proprie, fissandolo con le stelline negli occhi. Chuuya non avrebbe mai immaginato che sarebbe morto col voltastomaco. 

«Lasciami stare, idiota! Non riesci a essere serio neanche quando stai per crepare!?»

«Che gusto ci sarebbe? Vuoi ricordare gli ultimi istanti stando in una qualche posa plastica da eroe? Non c’è nessuno ad ammirarti!» 

«Deficiente, non intendevo questo!» brontolò l’altro, incrociando le braccia con stizza e cercando di nascondere il rossore. 

Dazai gli punzecchiò un fianco, facendolo saltare ed evitando al volo un morso, tornando a ridere. Questo ricordò a Chuuya della frase senza senso per cui avevano iniziato a battibeccare. 

«Stavi pensando a Jinko?»

La piega delle labbra di Dazai si ammorbidì e si fece più sincera. 

«Può darsi.»

«Ti sei sacrificato per lui.»

Chuuya non era scemo. Lo aveva capito nel momento in cui aveva tacitamente accettato di seguire Dazai in quella follia. Atsushi, o meglio, la Tigre Mannara, da sola, con quei suoi artigli, probabilmente avrebbe messo fine a tutto, ma allo stesso prezzo che stavano pagando ora loro. E Dazai aveva preferito andare avanti al suo posto e permettergli di vivere. 

«Mi dispiace» mormorò il suo ex partner, così piano che il frastuono intorno a loro rubò le sue parole quasi per intero. Tuttavia, Chuuya non aveva bisogno davvero di sentirle. 

«È stata una mia scelta, e preferirei che mi chiedessi scusa per altro.»

Dazai lo guardò senza capire. 

«Tipo?»

«Avermi reso la vita un incubo.»

L’ultima cosa che Chuuya sentì prima della fine fu, di nuovo, quella risatina che neanche la morte poteva cancellare. 

«Prego, partner.»
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COW-T 11, seconda settimana, M1
Prompt: Soldi - Mahmood
Numero parole: 2142
Rating: SAFE
Warning: accenni ad abuso di alcool e menzioni di suicidio. 


Penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai
Non ho tempo per chiarire perché solo ora so cosa sei

[Soldi - Mahmood]




Il Boss la attende per un colloquio questa sera, Chuuya-san. Ci sono dei cambiamenti improrogabili che richiedono la sua presenza. 

Hirotsu era stato un ambasciatore impeccabile, freddo e distaccato. Anche col senno di poi, con la calma di chi, dopo anni, ripensa a certi avvenimenti, Chuuya non avrebbe saputo stabilire se, dalla sua espressione o dai suoi gesti, sarebbe stato in grado di comprendere di quali cambiamenti improrogabili si stesse parlando. Lo aveva seguito e, quello che aveva trovato - o meglio, quello che non aveva trovato - non gli era piaciuto.

Tuttavia, il punto era un altro. 

Chuuya era venuto a sapere cosa fosse successo contro la Mimic circa quarantotto ore dopo che la Port Mafia aveva mandato gli Spazzini a ripulire la villa occidentale teatro dell’ultimo scontro. La notizia, l’intera vicenda, gli era arrivata in faccia come uno schiaffo, non lasciandogli il tempo di assimilare i dettagli. 

Non aveva mantenuto lo stesso aplomb di Hirotsu, neanche vagamente. Alcuni pavimenti del quartier generale della Mafia, anche a distanza di anni, conservavano intatte delle crepe a ricordo della sua esplosione di emozioni.

Nessuno ne parlava apertamente, ma tutti bisbigliavano sul colloquio tra Mori-san e il Dirigente più giovane - l’ultimo rimasto - della Port Mafia. Sussurri che si rincorrevano, ipotizzando cosa ne sarebbe emerso. Si parlava della sparizione del pupillo del Boss, del suo erede. Tutti sapevano, ma nessuno, neanche sotto tortura, avrebbe mai ammesso una verità simile.

Nulla era mai facile quando di mezzo c’era Dazai Osamu. Le circostanze riguardo la sua scomparsa - che, in breve, era diventata la notizia del suo tradimento, ma guai ad alzare troppo la voce - aveva già fatto il giro di ogni rango della malavita. 

In pochi sapevano davvero cosa fosse successo, ma bastava una mano sola a contarli. 

Uno di loro, quello sulla bocca di tutti, si era volatilizzato e non aveva lasciato tracce di sé. Uno aveva tradito, rivelandosi una spia. Uno vagava per la città come il cane randagio che era, alla ricerca dei nemici superstiti e del proprio orgoglio. Uno era seduto sul trono del vincitore, nell’ufficio all’ultimo piano della Port Mafia, girando il cucchiaino in un caffè ormai freddo ascoltando la frustrazione di un appena diciottenne. Uno era morto e la sua tomba non era ancora stata eretta a parlare per lui. 

Chuuya non era tra questi, ma aveva appena ereditato tutta la loro storia sulle spalle. 



Ci avrebbe messo diverso tempo ad ammettere di avere un problema. 

Il consumo continuo di vino che stava facendo in quel periodo era un effetto collaterale, ma il sapore di questo era l’unico in grado di sciacquare la bocca di Chuuya e annegare parte dei pensieri che giornalmente lo stavano ossessionando. 

Raramente si ubriacava in pubblico, che fosse con i suoi uomini o con i suoi colleghi. Gli era bastato vedere il disappunto e la delusione negli occhi di Kouyou, una volta che aveva toccato pesantemente il fondo, per imporsi di limitare il consumo di alcolici al privato. Solo lui, la bottiglia, le sigarette e una parete a vetro da cui contemplare le profondità più oscure e beffarde della verità.

Come quella notte. 

Erano le tre del mattino e Chuuya stava aspettando una telefonata, osservando il mondo attraverso il rosso un calice di vino. La skyline di Yokohama, delineata dalle luci della città, era un percorso che gli occhi del giovane Dirigente avevano iniziato a tracciare ogni sera. Dei punti fissi capaci di restituirgli un senso di stabilità. 

Un tempo le aveva odiate. 

Erano passati tre anni da quando non viveva più a Suribachi, in un cratere fatto di buio, speranze mal riposte e rassegnazione. Era il piedistallo dell’inferno. Il punto più alto del fondo che una persona poteva raggiungere. Per una banconota stropicciata erano stati uccisi amici e famigliari. 

Fissare le luci di Yokohama da uno dei tetti di quel luogo significava contemplare ogni notte la propria sconfitta, farsi tenere compagnia dalla solitudine di non essere nessuno. Erano stelle finte, che ti fissavano di rimando con una pietà artificiale, silenziosa e beffarda. 

Col senno di poi, sapere di essere il fautore di quel posto, che l’entità che viveva dentro di lui fosse l’artefice di quel buco infernale, aveva solo aggiunto in Chuuya un tassello al puzzle di ricordi che conosceva per sentito dire, ma che non avrebbe mai afferrato. 

Era stato il Re delle Pecore, aveva abitato e vissuto ogni angolo di Suribachi, l’aveva chiamata l’unica casa possibile per qualcuno come lui. Aveva lasciato che il sudiciume e la rassegnazione di quel luogo si iniettassero nelle sue vene e lo paralizzassero al punto di non fargli scorgere altro oltre il bordo della miseria. C’erano i suoi compagni. Aveva vissuto e combattuto per loro, anche quando, alle spalle, le loro parole erano state lame.

La prima volta che, dall’ufficio di Mori, aveva visto Yokohama nella sua interezza, dall’alto, dal trono, aveva capito che c’era altro. La consapevolezza che quelle luci che osservava di notte, le false e uniche stelle di un firmamento nero, fossero vita, fossero opportunità, gli aveva fatto rimescolare quello che credeva di sapere. Gli aveva fatto anelare ad altro. 

Pensava avrebbe odiato la città di Yokohama, i suoi abitanti fortunati. Quelle persone che non sembravano accorgersi dei fantasmi di Suribachi, e che gli sventurati stessi di Suribachi odiavano di rimando. Non capì perché ne rimase affascinato, perché non ritrovò in sé quello stesso odio che i suoi compagni avevano costantemente ricamato nei confronti di perfetti sconosciuti. 

Un’opportunità si era presentata davanti a Chuuya e lui l’aveva afferrata prima ancora di rendersene conto. 

Anche se quell’opportunità si chiamava Dazai Osamu e, a essere precisi, Chuuya l’aveva preso a calci, tentando di ucciderlo. 

Ringraziare Dazai per averlo trascinato in quel mondo, anche quando, a conti fatto, lo aveva incastrato ad accettare la sua proposta, era fuori discussione. Non sarebbe bastato tutto il vino del mondo a farglielo ammettere, a pensare di dovere della gratitudine a quell’idiota. 

Era il contrario. 

Era Dazai che gli doveva qualcosa. Delle risposte

Dove cazzo sei?




Il telefono squillò un tempo imprecisato più tardi, svegliando Chuuya. A tastoni recuperò il cellulare che vibrava sul divano, rispondendo senza leggere chi fosse. 

“Pronto…” 

Aveva la bocca impastata dall’alcool e dal sonno, così dovette aggiungerci una discreta dose di minaccia per renderla credibile. “Sei in ritardo, dove cazzo eri finito?”

Le chiedo scusa, Nakahara-san. C’è… voluto più tempo del previsto.

Il tentennamento dall’altra capo del telefono era palese. C’era una paura di fondo, il distintivo tono di chi, anche se maschera tutto con professionalità, prova timore nel riportare i propri risultati, sapendo che non soddisferanno. 

Chuuya si mise seduto, non con la solita agilità. Erano giorni che non riusciva realmente a riposare e i suoi muscoli tesi gli stavano dietro a fatica. Si diede un’occhiata veloce e constatò lo stato disastroso del proprio aspetto. Se quel malcapitato dall’altro capo del telefono avesse potuto vederlo, la sua voce non sarebbe risultata così cauta, tutt’altro. Questo non avrebbe però impedito a Chuuya di essere indulgente. Essere compatito era la prima voce nelle lista Se vuoi farmi incazzare

“Cosa hai scoperto” chiese secco, senza farla neanche suonare come una domanda. 

La bomba sotto la sua macchina…” iniziò l’uomo, tentennante, ma con una cadenza svelta, di chi cerca di togliersi un cerotto. “Non sono risultate impronte. I componenti erano generici, qualcosa che si può fabbricare con pezzi comprati da un ferramenta. Potrebbe essere stato chiunque. Qualcuno che ha del rancore nei suoi confronti o che abbia voluto farle uno scherzo...

Il nome di quel chiunque doveva essere Dazai Osamu. Chuuya aveva bisogno di sapere che fosse lui. Aveva bisogno di una cazzo di traccia da far seguire a quel detective che aveva ingaggiato.

Tuttavia non replicò, afferrando il pacchetto di sigarette dal tavolo e accendendosene una. La nicotina si mescolò al sapore del vino rimastogli sul palato, in un mix che ricordava solo vagamente quanto adorasse entrambi i sapori insieme. Lo disgustò, ma lo aiutò anche a schiarirsi in parte la mente dal sonno. 

Pensa

Pensare era un’arma a doppio taglio quando si parlava di Dazai, perché significava calarsi nei suoi labirinti, dove quel mentecatto si nascondeva e, al contempo, ti faceva credere di averlo a portata di mano. 

Bisognava essere più rapidi di lui, cercare di anticiparlo, immaginare cosa avrebbe combinato. Tentare di prevedere la mossa, le mosse, che aveva in mente. 

Nei tre anni da partner, Chuuya ci aveva provato costantemente, anche se, più volte, aveva gettato la spugna molto presto. Era più semplice ammortizzare le conseguenze, incazzarsi a cose fatte e mandarlo a quel paese. 

I pochi momenti in cui era riuscito a stargli mezzo passo avanti erano quelli che avevano preannunciato un tentativo di suicidio serio da parte di Dazai. 

Quelle volte aveva aveva dovuto sia pensare, pensare molto rapidamente, sia affidarsi all’istinto e sfruttare la piccola finestra di tempo che il partner gli lasciava aperta. Cercare di capire dove fosse la trappola, quale fosse il modo più efficace di raggiungerlo prima che fosse tardi. 

La sensazione che Chuuya aveva alla fine, quando ripescava il partner da un fiume, da una vasca con l’acqua tinta di rosso, o gli toglieva un cappio dal collo, era di afferrare di lui dei frammenti di vetro. Erano i momenti dove credeva di avvicinarsi a Dazai, di carpire qualcosa di lui, ma poi bastava che riprendesse i sensi e lo schernisse per gettare quel barlume di vittoria e si ritornava da punto a capo. 

Eppure, tolto il rafforzare l’opinione di Chuuya che Dazai fosse semplicemente uno stronzo, quei suoi sbalzi avevano costruito un’immagine incoscia che gli aveva permesso di rapportarsi - e sopportarlo - meglio di giorno in giorno. 

Venire a sapere dal giorno alla notte che Dazai fosse sparito a seguito di uno scontro con un’organizzazione nemica non aveva dato il buongiorno a Chuuya. Aveva interrotto quel vago processo di accettazione che il Dirigente stava portando avanti nei confronti dell’altro, se non stroncato sul nascere qualcosa di più. 

Tuttavia, Chuuya non ci stava a rimanere appeso a un filo tranciato senza prima delle risposte. 

“Novità dagli ospedali?” chiese quindi, riprendendo il discorso e massaggiandosi la fronte. 

Nessun paziente ricoverato con le sue caratteristiche…” 

Chuuya imprecò. 

“Obitori?” lo disse prima che nello stomaco potesse formarsi la familiare sensazione di negazione a quella possibilità. 

Ho confrontato i cadaveri sconosciuti con la foto che mi ha fornito, ma nessuna corrispondenza.” 

Nella seconda imprecazione che si lasciò sfuggire, il mafioso infuse anche un discreta dose di sollievo malcelato. Quell’idiota era ancora vivo. Nascosto da qualche parte, ma ancora vivo. 

“Voglio dei risultati” iniziò il Dirigente, ciccando nel posacenere e poi allungandosi ad afferrare la bottiglia del vino rimasta aperta e prendendone un sorso senza passare dal bicchiere. “Cerca nelle altre prefetture.” 

Pensa. Pensa come penserebbe lui. Sai di cosa è capace. Chi è

“Lascia perdere gli aeroporti, ma tieni d’occhio i falsari. Un passaporto falso in mano a Dazai è come dargli le chiavi del mondo, ma è troppo pigro per andare molto lontano.”

Ne sei certo? 

No. 

Come si faceva a scegliere un percorso nel labirinto di Dazai e percorrerlo alla cieca? 

“Potrebbe essere benissimo nascosto qui dietro l’angolo. Setaccia gli appartamenti che nessuno sano di mente affitterebbe. Fruga nella spazzatura se necessario. Quell’imbecille campa di sakè e scatolette di granchio.” 

... mi servono altri soldi” riprese la voce al telefono. 

“Non è un problema.” 

Per pagare le informazioni… e i miei collaboratori. E gli spostamenti, ho bisogno di-

Non è un problema” rimarcò Chuuya, accendendo un’altra sigaretta. “Non farmi ripetere. Avrai un nuovo assegno in mattinata al solito indirizzo. Spendi quello che è necessario, ma portami dei risultati.” 

Dimmi dove cazzo è finito Dazai



Quattro anni più tardi, quando Chuuya apparve in cima alle scale della sala delle torture, per un breve momento ripensò a quel periodo subito dopo la scomparsa di Dazai. 

Ripensò a quanto avesse toccato il fondo in quell’occasione, a quanto avesse scavato, sperando - gli si chiuse lo stomaco solo a rammentare quel sentimento - di ritrovarlo. A quante energie, fisiche e mentali, a quanti soldi avesse speso per correre dietro a un’ombra, senza mai avvicinarla. 

E in quel momento, quella stessa ombra stava lì, ammanettata a un muro, sbadigliando annoiata. 

Chuuya se ne era fatto una ragione molto tempo prima. Aveva capito che, quando sarebbe stato il momento, Dazai sarebbe ricomparso dal nulla. Era un chiodo conficcato troppo a fondo per poter sparire nel nulla, sparire per sempre. Non voleva perderci altro tempo però, anche se una parte di sé già gli diceva di pensare

Dazai catturato così facilmente dalla Port Mafia? 

Puzzava di fregatura dalla prima sillaba. 

Eppure nessuno e nessun pensiero gli avrebbe tolto la soddisfazione di rifilargli almeno un pugno nello stomaco. 

Bentornato Dazai.


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COW-T 11, prima settimana, M2
Prompt: Threesome
Numero parole: 1467
Rating: SAFE
Warning: domestic fluff scemo
Note: io e la mia convinzione che in qualche maniera Odasaku sia ancora vivo. 



Chuuya fu il primo a mettere piede dentro casa e tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé. Pace, tranquillità e soprattutto nessuno che gli facesse notare di essere in ritardo e questionasse sul motivo, mettendolo alle strette - e in imbarazzo - nel cavargli di bocca che, sovrappensiero, si era sbagliato ed era tornato in automatico al proprio vecchio appartamento. 

Era questione di abituarsi. Un’abitudine nuova che non si era ancora radicata dentro di lui. 

Fece cadere le chiavi nella ciotola dell’ingresso, buttò il cappotto sull’appendiabiti e, una volta toltosi i guanti, liberò dalle asole i primi due bottoni della camicia, prendendo un respiro più ampio. 

A ogni passo, una luce si accendeva, regolata a un’intensità bassa, tenue, non fastidiosa, dandogli un’intrinseca soddisfazione. Partì anche della musica - una delle sue playlist serali - e le note riempirono l’ampio salotto mentre lui raggiungeva la cucina a vista e, precisamente, lo sportello più grande con la sua piccola cantina personale, quei vini che preferiva tenere a portata di mano. 

Mentre la musica cambiava e lui, rilassato, le stava dietro canticchiando a bocca chiusa, scelse una bottiglia secondo l’inclinazione di quella serata. Era stata una giornata lunga, non pesante in modo particolare, ma si sarebbe bacchettato volentieri tra sé e sé per il continuo sovrappensiero che non l’aveva mai abbandonato, distraendolo in continuazione e finendo col dovergli far mettere qualche pezza quando qualcuno (Kouyou, Hirotsu, Kajii, persino Akutagawa…) glielo aveva fatto notare. 

Chuuya stappò il vino e lo versò sempre con la testa altrove, mentre gli occhi spaziavano il salone senza vederlo davvero, ma restituendogli la sensazione di qualcosa di compiuto, nuovo da scoprire, eppure, allo stesso tempo, di cose messe a posto correttamente, senza riferirsi nel concreto al mobilio o agli oggetti circostanti. Un pezzo della sua vita era cambiato radicalmente e - non lo avrebbe mai ammesso - totalmente in positivo, uno standard a cui non era abituato. 

Il Dirigente della Port Mafia si spostò dalla penisola della cucina per appoggiare calice e bottiglia sul tavolino davanti al divano e lasciarsi cadere su questo con un sospiro del tutto liberatorio e anche troppo sonoro, come a saggiare come questo rimbalzasse tra le pareti, dissipandosi tra le note musicali. 

Sorrise. Tra sé, all’ombra di quella solitudine momentanea che sarebbe potuta durare minuti quanto ancora delle ore, ma che non sarebbe più stata - se non occasionalmente - permanente. 

Sempre col sorriso, si dimenticò del vino e della musica, scivolando più comodo tra i cuscini del divano. Come per le luci intelligenti, la maggior parte del mobilio lo aveva scelto lui stesso e si diede una metaforica pacca mentale per quelle decisioni azzeccate, mentre la coscienza scivolava verso l’inconsistenza dei pensieri, facendolo addormentare. 



Uffa.” 

Non ci fu un reale seguito a quella lamentela, se non una sequenza di rumori bassi e calcolati in modo da non risultare fastidiosi, differenti dall’ennesimo sbuffo da parte di Dazai. Il detective era appollaiato su una delle sedie della cucina, braccia conserte, guance gonfie per far notare meglio il proprio muso lungo. Si voltò di tre quarti verso i fornelli, fissando accusatorio Odasaku. 

“Sei noioso” sottolineò per la terza volta, ricevendo solo un sospiro distratto, mentre quest’ultimo, maniche arrotolate ai gomiti, improvvisava la cena. 

“Ancora dieci minuti” replicò il più grande, concentrato nel non bruciare nulla e lasciando intendere un pacato Stai buono

Dazai levò le mani al soffito in un gesto melodrammatico e frustrato, ma non lo accompagnò con alcuna battuta. Rivolse un altro sguardo al soggetto del suo doversene stare buono, senza riuscire però a trattenere un tch.

Avevano finito il turno in Agenzia con un’ora di ritardo grazie alla brillante idea di Dazai di inviare tutti i propri report in formato aeroplanino di carta. Kunikida aveva rincorso il partner per l’intero ufficio, mentre Odasaku e Atsushi si erano messi a dispiegare tutti i fogli di carta, tentando di salvare il salvabile. 

Se Dazai si era fatto quasi trascinare a casa perché aveva finito le energie, queste erano tornate all’improvviso quando, una volta varcata la soglia - non senza una sensazione strana addosso, era tutto nuovo anche per loro - si era accorto di come Chuuya si fosse addormentato totalmente abbandonato e indifeso sul divano. La sua espressione beata aveva fatto scattare in Dazai la molla della malizia, prontamente bloccata da una mano di Odasaku sulla spalla, prima che potesse fare danni. 

Un quarto d’ora dopo, Dazai era ancora seduto dove Odasaku gli aveva chiesto di aspettare, fissando Chuuya e fremendo dalla voglia di avvicinarsi e combinargli qualcosa; quella sua faccia così beatamente nel mondo dei sogni gli stava ispirando gli scherzi peggiori.

“Ci sono così tante cose che potrei sussurrargli all’orecchio, non so da quale iniziare” borbottò Dazai, mentre con un dito si tamburellava una guancia. 

Alle sue spalle, Odasaku aveva spento i fornelli e stava riepiendo le ciotole col riso saltato. 

“Oh, oppure” riprese a ponderare Dazai, mettendosi dritto con la schiena. “Potrei andare a prendere quella piccola bacinella sopra la lavatrice e farglici scivolare dentro le dita…” 

Odasaku gli appoggiò davanti la ciotola col riso, accompagnandola con uno sguardo che sarebbe parso per lo più dubbioso, ma che Dazai avvertì addosso come una blanda pressione, qualcosa che diceva Non essere così pestifero

Il compagno spostò l’attenzione sul cibo, poi di nuovo su Chuuya e infine su Odasaku, ancora in piedi. 

“Non lo svegliamo?” e aggiunse, sbattendo le palpebre con una mano davanti alla bocca. “Vuoi che muoia di fame?” 

Un fugace guizzo del sopracciglio di Odasaku stanò senza riserve tutta quella finta innocenza con cui Dazai stava ammantando il proprio discorso. 

“Se non mangia non potrà sperare di crescere.”

Dazai.” 

“Sono solo preoccupammphh-”

Odasaku aveva iniziato a essere più concreto ed espansivo nei gesti, ma soprattutto inaspettato. Come fu il cucchiaio pieno di riso che infilò in bocca a Dazai, mantenendo la stessa impassibile espressione, per poi voltarsi e avvicinarsi al divano. 

Chuuya non diede segni di averli sentiti. Il petto si alzava e abbassava con regolarità e le ciglia ogni tanto fluttuavano per un movimento improvviso delle palpebre. Con una mano sullo schienale del divano e una sul bordo, Odasaku si chinò su di lui. 

Il bacio fu lieve, sulla guancia, più un premere le labbra per saggiare la reazione del Dirigente. 

Il corpo di Chuuya ebbe appena uno spasmo, minimo, ma sembrava troppo rilassato per scattare, quasi consapevole di non essere in pericolo, tutt’altro. Mugugnò appena, inclinando il viso e permettendo a Odasaku di lasciargli un altro bacio, all’angolo della bocca, e un altro scenendo sul mento. La musica in sottofondo era una carezza quanto le labbra che stavano svegliando Chuuya. 

Schiuse gli occhi, ma il tanto che gli bastò a trovare il viso di Odasaku e guidarlo con una mano verso di sé per un contatto più serio. 

Aaaw, il bacio del vero amore che svegliò la principessa” belò una voce sopra le loro teste, anche se il tono canzonatorio fu inquinato dal ciancicare della mandibola. 

Dazai era appoggiato allo schienale della poltrona, con una mano teneva la ciotola del riso mentre con l’altra si era armato dello stesso cucchiaio con cui Odasaku l’aveva messo a tacere e che ora stava pulendo di ogni chicco di riso. 

Allungando appena il collo per poterlo fulminare con lo sguardo, Chuuya disse addio a quel bel risveglio, ma la mano trattenne Odasaku dall’alzarsi, anche se la sua attenzione fu tutta per quello che non poteva davvero più chiamare ex partner. 

Non mangiare sul divano nuovo” abbaiò e gli scappò davvero un ringhio. “Ti ammazzo.”

Dazai si portò alla bocca una cucchiata particolarmente ricca, consapevole che un paio di chicchi gli scivolarono dalle labbra, finendo però nella ciotola. Il suo sguardo non lasciò quello di Chuuya un solo attimo, anche quando avvertì quello vagamente esasperato di Odasaku. 

Due contro uno? pensò con un sorrisetto Dazai, continuando a masticare. 

Fu inevitabile quanto volontario il chicco di riso che cadde dalla successiva cucchiata e che, a rallentatore, seguito dagli occhi di Chuuya, scivolò su uno dei cuscini di quel divano appena comprato che non aveva neanche una settimana di utilizzo. 

Io. Ti. Ammazzo. DAZAI!” 

Odasaku fece appena in tempo a tirarsi indietro prima che Chuuya scattasse, così rapidamente che Dazai gli sfuggì per una prontezza di riflessi davvero invidiabile, il tutto tenendo la ciotola saldamente tra le mani. 

La musica d’atmosfera fu soppiantata dallo scalpiccio con cui i due si inseguirono per casa, rischiando di coinvolgere una piantana, un poggiapiedi e uno scatolone ancora non aperto del trasloco. 

Odasaku recuperò il chicco della discordia e si alzò per tornare in cucina, sedersi e inziare a consumare la propria cena, seguendo con gli occhi le due calamità naturali che aveva accettato di avere come compagni di vita. 


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Cow-t, settima settimana, M6

Prompt: Sorrisi enigmatici

Numero Parole: 1117

Rating: NSFW

Warning: tematiche delicate e graphic description. 

Note: un missing moment post Fifteen… con un vaghissimo riferimento a una cosa. 



Il più delle volte Chuuya desiderava solo dare un pugno a Dazai e cancellargli il sorrisetto che aveva in faccia. Se dal loro primo incontro aveva capito che non c'era da fidarsi delle sue espressioni da volpe, nel giro di qualche mese all'interno della Port Mafia, Chuuya era già saturo di ogni virgola quel viso fosse in grado di proporre. Ogni volta significava una magagna, ogni volta significava che lui ci finiva in mezzo. 

Non si trattava solo dei traffici soliti della mafia, scontrarsi con qualche indipendente o altre organizzazioni, bagni di sangue o salvataggi in extremis. Dazai aveva diversi tipi di sorrisetti enigmatici per ogni occasione, fosse per preparare la cena o prima di un tentativo di suicidio. Nel primo caso - e c'era cascato solo una volta - Chuuya si guardava dall'assaggiare il cibo per non incappare in avvelenamenti fuori programma o un mix di droghe ricreative sciolte nello stufato; nel secondo caso... 

Nel secondo caso Chuuya detestava ammettere di aver sviluppato un sesto senso sgradevole. 



C'erano giornate in cui Dazai spariva. 

La prima volta, Mori aveva chiesto a Chuuya, dopo avergli elencato tutte le disposizioni della giornata, di dare un'occhiata in giro e recuperare Dazai. Con un sospiro che rasentava lo sconsolato, il Boss aveva accennato al fatto che capitavano giorni in cui Dazai non dava notizie di sé ed era meglio tenerlo d'occhio.  

Il rosso non aveva preso bene l'idea di fare da balia all'idiota del suo partner, né di andare a ficcanasare in giro per capire dove si fosse cacciato. Ne aveva fatto una questione di principio quando l'idiota aveva risposto ai suoi messaggi in modo vago per mezza giornata, ignorando le telefonate ma continuando ad assillarlo quando aveva deciso di silenziare il volume del cellulare. 

Era quasi il tramonto e Chuuya ancora non era riuscito a scovare dove il partner si fosse rintanato. 

"Sei un bravo cane a eseguire gli ordini del Boss" stava ridacchiando Dazai al telefono. Alla fine aveva risposto, ma il tono di voce aveva messo addosso a Chuuya un pessimo brivido. 

"Mi hai fatto perdere tutta la giornata, dove cazzo ti sei infilato!? Ti vengo a prendere." 

Dazai aveva riso senza allegria, come una carezza fredda sotto i vestiti. 

"Ti stai atteggiando a fratello maggiore. Hai fratelli Chuuya? Ah no, è vero, non ricordi nulla del tuo passato. Vuoi fare il cane fedele e il fratello maggiore insieme?" 

Chuuya iniziò a dubitare di aver inquadrato del tutto Dazai. Anche se il discorso lo irritava (ma cosa non lo irritava di Dazai?), il suo tono continuava a insinuarglisi sotto pelle, scendere nello stomaco a dargli una brutta sensazione. 

"Dove. Cazzo. Sei." scandì a denti stretti. 

Dazai rimase in silenzio e il rosso controllò che non avesse attaccato. 

"Ohi-" 

"Ti propongo una sfida! Vediamo chi arriva prima!" esordì di nuovo Dazai. 

"Che cazzo stai dicendo!?"

"Ricordi il locale da cui si vedeva la ruota panoramica e che abbiamo estorto a quel gruppo di wannabe spacciatori? Penso ci sia proprio una bella vista col tramonto e le prime luci della sera. Vediamo chi fa prima!"

"Chi fa prima!? Chi altro cazzo deve arrivare!?" sbraitò Chuuya iniziando a correre e maledire tutto e tutti. Si trovava non proprio dalla parte opposta ma quasi, e aveva solo un vago ricordo di dove il posto menzionato fosse. 

Dazai continuò con quei suoi suoni di gola che somigliavano a vetri rotti strofinati tra loro finché non riagganciò la telefonata, lasciando il partner con uno sgradevole sentore e un'imprecazione che fece girare i pochi passanti presenti. 




Chuuya detestava sentire il cuore pompare a mille. Detestava l'incertezza alla basa di quel battito accelerato. Odiava che fosse per colpa di Dazai. 

Aveva trovato il posto; aveva superato i cartelli Vietato l'ingresso - stabile in ristrutturazione che gli agenti della Mafia avevano sistemato dopo aver occupato il posto, e si era diretto di corsa verso l'ultimo piano. 

Il sole era già scomparso dietro l'orizzonte e la luce che illuminava l'ultimo piano dalle immense finestre era rosso sangue, un ricordo di quanto ne era stato versato la settimana prima. Il luogo era già stato ripulito e l'arredamento era già a buon punto, tanto da costringere Chuuya a fare lo slalom tra divani, mobili, casse e scatoloni ancora da aprire e teli per la pittura. 

"DAZAI! Dove cazzo sei!?" urlò Chuuya con una nota troppo incazzata e troppo alta. 

Ripensò alla chiamata e alla menzione della ruota panoramica, così corse nella stanza successiva, ricordando che la vista fosse diversa. 

Se il rosso detestava avere il cuore in gola, aggiunse alla lista anche la sensazione di ritrovarselo improvvisamente alle caviglie, col respiro che non entrava più nei polmoni. 

Dazai penzolava dal soffitto con una corda intorno al collo. 

Chuuya ebbe l'impressione di muoversi a scatti. Un attimo prima era sulla porta del grande salone, che presto avrebbe ospitato un lounge bar con gioco d'azzardo, e l'attimo dopo, con un balzo e l'uso della gravità, recideva la corda col proprio pugnale, per poi ricadere col corpo di Dazai sul divano incellofanato sottostante. 

"Uh." 

Il suicida emise un gemito di dolore nel ritrovarsi un ginocchio del partner nella schiena. Di contro, Chuuya, terreo, sentì l'aria tornare nei polmoni come se avesse aperto una valvola a pressione. Prese un respiro che fece male, ma afferrò ugualmente Dazai per il bavero e con dita rigide strattonò il cappio per allentarlo. 

"... mi fai male! Mi graffi!" lamentò Dazai. 

Chuuya emise un verso come se quello che avrebbe voluto dire si fosse appena schiantato contro i denti serrati. Finché non ebbe lanciato via il pezzo di corda oltre lo schienale del divano non si sentì padrone del proprio corpo e della situazione. 

"... ah ah, hai visto? Hai fatto prima te" ridacchiò Dazai, riverso di traverso sulle gambe del rosso, una mano a massaggiarsi la zona dolente del collo dove la corda aveva lasciato profondi segni rossi. 

Se c'era qualcosa che Chuuya avrebbe voluto dire, non ne trovò più l'utilità. Avrebbe potuto seppellire di bestemmie il partner, ma dal sorrisetto enigmatico del cazzo di Dazai una vocina nella testa gli diceva che ne avrebbe ricavato solo un ulteriore rodimento allo stomaco. 

Si frugò in tasca e tirò fuori un accendino a una sigaretta. Il primo tiro diede un iniziale senso di anestesia ai nervi, ma la boccata che soffiò in faccia al compagno fu più d'aiuto di qualsiasi tranquillante o bestemmia. 

"Cough. Ehi! Vuoi soffocarmi dopo avermi appena salvato?" 

Chuuya rincarò la dose con una seconda nuvola di fumo. 

"Prima o poi io ti ammazzo" promise. 

Purtroppo fu solo la prima di numerose altre volte a cui Chuuya fece il callo, riuscendo a decifrare dalla piega delle labbra di Dazai quale tipo di giornata sarebbe stata.


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Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 273

Rating: SAFE


L'ultima persona a cui chiedere di sistemare le carte di Dazai poteva essere solo che Chuuya. Non solo aveva avuto la splendida sorpresa di sapere che il suo partner era sparito, piantando in asso la Mafia dal giorno alla notte, ma che mentre era fuori dal paese per una missione si era scatenato l'inferno, con l'organizzazione che era stata attaccata da un'altra straniera di nome Mimic. Il risultato su grandi numeri per fortuna non aveva neanche sfiorato l'apocalisse che era stato il Conflitto della Testa del Drago, ma di contro avevano perso degli agenti di basso rango, era venuto fuori che una spia dell'intelligence era un uomo sotto coperta del governo e per finire Dazai aveva lasciato il posto da dirigente - secondo alcune voci dopo una discussione con il Boss.

E ora Chuuya si ritrovava nell'ex ufficio del suo ex partner a dare un senso alle stupide scartoffie lasciate in giro, mentre dentro sentiva solo la rabbia, la frustrazione e la delusione per quel cretino. Non avevano mai avuto un rapporto idilliaco anche, in tutta onesta, si odiavano cordialmente. Ma sapere che se ne fosse andato così, senza un perché, lo faceva incazzare, facendolo sentire importante pari a zero. 

L'enigmatico Dazai, il più giovane dirigente della Mafia, figurarsi se pensava ad altri. 

Eppure, togliendo mal mano i fogli e impilandoli, Chuuya trovò una busta da lettera indirizzata a lui, con quella che era la calligrafia di Dazai. La tastò un attimo, certo che potesse nascondere una bomba formato carta velina, ma sembrò esserci in effetti solo un foglio di carta. 

Quando lo aprì, lesse l'ultima cosa che mai si sarebbe aspettato. 

Arrivederci.


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