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COW-T 13, sesta settimana, M6
Prompt: Tema libero
Numero parole: 400
Rating: //
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L’ultima settimana Dazai la ricordava col sapore di Odasaku. 

Con il suo odore - colonia che si mischiava a quello di una pelle abituata a muoversi di continuo, agli sforzi, alla veglia, insieme al tabacco e a quel sentore di whiskey che rimaneva sulle labbra. 

Ricordava le notti con la sensazione delle sue mani, dei suoi muscoli, del suo cuore premuti contro di sé. 

La vista era un senso pigro. A Dazai la realtà non piaceva, eppure ogni cosa diventava autentica, curiosa, se posta vicino a Odasaku. 

«… devi andare?» 

Dazai aprì l’occhio non bendato. O almeno, alla parte che aveva udito. Guardò Odasaku e si mosse, spostandosi su un fianco. Il letto cigolò, ma il giovane dirigente avvertì solo la stoffa della camicia che indossava strusciare contro la pelle. 

«No» replicò soltanto, ma il tuttofare corrugò la fronte. 

Dazai ripensò a cosa si potesse essere perso della domanda. Un Quando, per esempio. 

«Resto. Non ho impegni» riformulò, aggiungendo un sorrisetto. 

Odasaku allungò le dita e gli scostò un ciuffo dalla fronte. Quei polpastrelli davano a Dazai la sensazione di aver trovato nuovi modi per morire dolcemente. 

«A cosa stavi pensando?» domandò il tuttofare, sistemandosi meglio tra i cuscini. La sua camicia la indossava Dazai e non faceva così freddo da avere bisogno di stropicciarne un’altra. Una situazione che lo sguardo del Demone Prodigio apprezzava molto. C’erano cicatrici su quel petto e le aveva percorse in più di una maniera - occhi, dita, lingua, mente - in più di un’occasione. La sazietà non era ancora arrivata. 

«Quanto credi che siano fallaci i sensi dell’uomo?» 

Si formò una ruga al centro della fronte di Odasaku. Dazai la toccò con le dita, come un bambino che non sapeva tenersi la curiosità in tasca.

«Il nostro cervello elabora le immagini percepite dagli occhi, altrimenti ribaltate. Se ora avessi la febbre, la tua pelle mi sembrerebbe fresca, quasi fredda. Se mi baciassi…» 

Lo sguardo di Odasaku si assottigliò, seguendo il flusso di parole. 

«… sentirei il sapore del whiskey o il mio?»

Il tuttofare si chinò in avanti e lo baciò. 

Dazai udì della musica e si ricordò del vecchio giradischi ancora acceso. 

«… mh, whiskey» concluse. 

«Io sento te.» 

Non era nelle intenzioni di Dazai rabbrividire, ma fu colto impreparato.  

Quell’affermazione - tre sole parole - non lasciarono più la sua testa. Si umettò le labbra e sentì anche lui un solo sapore. Odasaku.


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COW-T 12, sesta settimana, M1
Prompt: e alla fine, il lieto fine
Numero parole: 3800
Rating: Verde
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Note: WHAT IF? Se un incontro fortuito avesse permesso a Odasaku di salvarsi alla fine della Dark Era?



Gli anni potevano passare, ma non c’era modo di dimenticare certi sguardi - quelli caustici, accusatori, senza speranza - anche quando questi si erano ammorbiditi e non ci si scorgeva più la profondità di quei sentimenti spessi come muri.

Fu la prima impressione che Fukuzawa provò nel trovarsi davanti quello che una volta era stato un ragazzino di appena quattordici anni, capace di sorprenderlo e uccidere qualcuno con le mani letteralmente legate dietro la schiena e un sacco sulla testa.

Quelle stesse mani ora erano rigide nel tenere e accartocciare un sacchetto della spesa, a comunicare che anche l’altro uomo, dopo quasi dieci anni, non si era scordato di quell’episodio specifico.

Yokohama viveva sotto un cielo sereno quel giorno.

Non era ancora primavera, ma dava l’idea di essere già iniziata, con delle giornate tiepide che da sole erano in grado di portare il buon umore. Le persone ne stavano approfittando, affollando le strade anche sul calare del pomeriggio, quando le temperature tornavano a rammentare che l’inverno non fosse ancora giunto al termine.

Al destino dovevano intrigare quelle circostanze, perché, nonostante la confusione, Fukuzawa e Odasaku si ritrovarono a fissarsi e ricordarsi l’uno dell’altro. Sarebbe bastato un minuto di ritardo, un passante troppo alto, una distrazione superflua a impedire quel momento. Eppure, da qualche parte, qualcuno doveva aver scritto che le cose sarebbe andate in quel modo.

Avrebbero potuto ignorarsi e la storia avrebbe seguito un corso già fissato, ma, per quella realtà, non andò così.

“Quando ti sei stancato di quella prigione?”

C’era un fondo di ironia travestita male da domanda seria. Era l’ultimo ricordo che il Presidente dell’Agenzia serbava di quel ragazzino troppo giovane per stare dietro delle sbarre, troppo giovane per la nomea da assassino, ma il loro era un mondo che non risparmiava nessuno.

“Dopo un paio di settimane” rispose Odasaku, onestamente, appoggiando il sacchetto pieno di merendine e dolcetti sul muretto del parco. Avevano trovato una zona tranquilla dove sostare e parlare, lontani da occhi e orecchie indiscrete. Il cielo si stava tingendo di colori vividi ad annunciare il tramonto. Il mafioso si godette il panorama, in quella parentesi inaspettata. “Non mi stavano più portando il curry e non vedevo ragione per continuare a rimanerci.”

Fukuzawa registrò quella risposta con qualcosa che chi lo conosceva a fondo avrebbe interpretato come un sorrisetto, ma era troppo poco accennato per essere colto davvero.

“Mi sembri cambiato” disse quindi, scrutandolo con una lunga occhiata che sembrava dire Non sei più il bambino assassino di un tempo.

Odasaku si infilò le mani in tasca, appoggiandosi a sua volta contro il muretto e guardandosi le scarpe, o qualcosa sul terreno di indefinibile.

“Sono successe molte cose da allora” replicò, cercando di tradurre i propri pensieri mentre aggrottava la fronte. “Ricordo ogni mia singola azione compiuta in passato, ma… me le sono lasciate alle spalle. Non senza pesi. Quando ho potuto, ho cercato di rimediare.”

Fukuzawa annuì, accettando quella piccola confessione. Non si erano neanche mai presentati davvero, eppure la vicenda in cui erano stati invischiati aveva aiutato a tracciare le strade su cui ora entrambi camminavano.

“Sei più sereno” continuò il presidente, adocchiando il sacchetto pieno di quelle cose che a Ranpo avrebbero fatto impazzire, anche se intravide pure del granchio in scatola che non aveva niente a che vedere con i dolci.

L’altro colse l’occhiata e abbozzò un sorriso che prima non sarebbe stato in grado di produrre con tanta semplicità.

“Mi sto occupando di alcuni orfani. Ogni tanto mi piace viziarli.”

Fukuzawa accennò una brevissima risata, comprendendo benissimo.

“Lei è riuscito a salvare il suo sottoposto?”

Il presidente preferì non correggerlo, perché alla fine di quella storia Ranpo era diventato davvero un suo sottoposto. 

“Sì. Le informazioni che mi diedi risultarono esatte. Grazie” il presidente si inchinò per sottolineare quanto quel ringraziamento fosse sentito. “Se non fosse stato per te non avrei ciò che oggi ho costruito.”

Una genuina sorpresa si dipinse sul viso di Odasaku che riuscì soltanto ad assentire.

“Mi aveva offerto di farmi uscire di prigione, andando contro ogni principio, pur di salvare uno dei suoi…” ricordò a voce alta il mafioso, ma con una tranquillità che il se stesso di quattordici anni, pieno di odio e vendetta, non sarebbe stato in grado di dire alla stessa maniera. “Ricordo di essermi sentito geloso. Non avevo mai avuto nessuno a preoccuparsi così di me.”

I suoi occhi si posarono su quel granchio in scatola che spuntava dalla busta della spesa, ma non aggiunse altro.

“E ora c’è qualcuno?”

Fukuzawa diede corda alla propria curiosità, con la sensazione che chiedere e approfondire avrebbe portato a qualche indefinibile sorpresa. Non si aspettò di essere guardato dritto in faccia e capire realmente la piega che quella storia stava per prendere.

“Sì, c’è” il tuttofare sospirò nel dirlo, combattendo su come mettere a parole e in sintesi quelle che parevano essere solo un mucchio di informazioni disordinate, nel tentativo di farle suonare coerenti. “Per una serie di circostanze mi sono ritrovato a entrare in una certa organizzazione. Avevo bisogno di un modo per impedire al passato di creare problemi a me e a chi mi circondava e volevo anche… seguire una persona” per quanto fosse conscio della confusione e la risicatezza del discorso, Odasaku avvertì lo sguardo di Fukuzawa affilarsi e seguire attentamente ogni parola, dando a intendere che stesse comprendendo ciò che c’era di non detto tra le righe.

“Ci sono poche organizzazioni che accettano dotati di abilità senza fare domande.”

Il Presidente non fu clemente e andò dritto al punto. C’era una sottile aura di ostilità che il tuttofare accolse come ogni incarico sgradevole gli venisse propinato.

“Lo so” disse soltanto, reggendo il suo sguardo. “Ma entrarci mi ha permesso di realizzare una parte di quello che volevo fare.”

“Solo una parte?” indagò Fukuzawa.

“Sì.”

Odasaku non si spese a spiegare altro, ma osservò come il Presidente prese a vagliare di nuovo non solo la sua figura, ma anche quel sacchetto della spesa tra di loro. Si afferrò il mento con una mano, restituendo ancora di più l’impressione che stesse cercando di carpire una verità con davvero pochissime variabili a disposizione.

“Rispondi a una domanda, per favore” iniziò, tornando a fissarlo dritto negli occhi e sondandolo come neanche una macchina della verità avrebbe saputo fare. “Sei ancora un assassino?”

“No.”

Una risposta che risuonò secca e ineluttabile quanto lo sarebbe stato un proiettile. E fu ciò che servì a Fukuzawa per formulare la sua proposta.

Quella riga in più dettata dal destino che avrebbe cambiato molto di un futuro già scritto in altre pagine.

“Dopo quel caso in cui ci siamo conosciuti sono successe molte cose. La più importante, che si è realizzata perché mi hai permesso di salvare un mio subordinato, è stata la fondazione di un’Agenzia di Detective dotati. Ne hai sentito parlare?”

“Non mi pare.”

Fukuzawa accolse l’ennesima risposta schietta con un breve sospiro, restando pacato, e senza l’intento di demorse, anche se fu una piccola stilettata nell’orgoglio.

“Ci occupiamo di tutti quei casi in cui la polizia militare si trova difficoltà perché sono implicati utilizzatori di abilità fuori dalla loro portata. Abbiamo un permesso speciale per agire, senza doverci nascondere nell’ombra.”

Il riferimento fu chiaro. Odasaku estrasse la mani dalle tasche dei pantaloni come se avesse dovuto fare qualcosa, senza sapere cosa per l’esattezza. Non era lì per difendere l’onore della Port Mafia, non quando sul piatto c’era ben altro. 

“Mi sta… proponendo un posto?”

“Un’opportunità” assentì Fukuzawa, mitigando la propria incisività. Si rendeva conto di come fosse un cambio di vita definitivo, soprattutto avendo ben chiaro in mente chi fosse il capo di quell’organizzazione a cui l’ex assassino apparteneva. Non c’era nulla da non considerare o da trattare alla leggera.

“Ti stai prendendo cura di alcuni orfani e non uccidi. La determinazione non ti manca, l’ho provata in prima persona. E c’è qualcos’altro che vorresti fare” lo fissò diretto, ma senza risultare aggressivo. “Un’agenzia come la mia, che opera alla luce del sole e legalmente, ti potrebbe aiutare a realizzare il tuo desiderio?”

Odasaku non rispose, ma il suo spaesamento raccontava la storia di chi era uscito solo per fare la spesa e si era ritrovato con in mano un biglietto del treno per una destinazione più distante in termini di possibilità che di spazio. Osservò la spesa e poi il tramonto, in cerca di alcuni punti fissi che gli ricordassero che quella fosse la realtà.

Il Presidente comprese la sua esitazione senza bisogno di spiegazioni.

“Prenditi del tempo per riflettere” disse, frugandosi nelle tasche del kimono e tirandone fuori il proprio portafoglio. C’erano dei bigliettini da visita eleganti e ordinatamente infilati in una taschina, dall’aria di essere usati per delle occasioni speciali. “Chiamami quando avrai deciso.”

“Fukuzawa Yukichi” lesse Odasaku sul pezzo di carta su cui era stampato anche un semplice Presidente dell’Agenzia Armata di Detective. “Non teme che possa tenderle una trappola e venderla in qualche maniera all’organizzazione di cui faccio parte?”

Il Presidente non si scompose della minaccia.

“Sono un ex assassino anche io” ammise, sentendo l’attenzione totale del tuttofare su di sé. “E per alcune ragioni… conosco il tuo Boss. So cosa aspettarmi.”

A Odasaku bastò. Ripose il biglietto in una tasca interna della giacca e riprese la busta della spesa tra le braccia. La confezione con il granchio in scatola scivolò in basso e il mafioso la guardò, mentre nella mente gli si formulava un nuovo pensiero.

“Se accettassi la sua proposta…” iniziò, conscio che porre delle condizioni - quella in particolare - avrebbe ridotto le chance che il tutto si realizzasse davvero. “Oltre agli orfani, ci sarebbe una persona che dovrei portare con me. Non me ne andrei senza, a meno che non fosse lui a non volerlo.”

E allora neanche io me ne andrei.

Anche se non lo disse a parole, Fukuzawa non faticò a leggerglielo in volto.

“Va bene. Vedremo cosa potrò fare, Oda…?”

“Oda Sakunosuke. Piacere.”




Odasaku si decise a vuotare il sacco con Dazai dopo un intero mese di riflessioni - e una nottata iniziata con troppi drink e finita nel letto del proprio minuscolo appartamento.

“Hai qualcosa in testa da giorni” sospirò il giovane Dirigente corrucciato, accoccolandosi nel suo abbraccio e premendogli la guancia contro il petto caldo di loro. “Se non vuoi dirmelo, smettila di pensarci quando sei con me o indovinerò cosa ti frulla in testa.”

Con un verso inconcludente misto tra malessere post sbornia e orgasmo ancora in circolo a pizzicargli i nervi, il tuttofare si passò una mano sulla faccia, premendosi le dita sugli occhi. C’era una serie di pensieri che sbattevano nella sua mente, senza dargli tregua e senza permettergli di riordinarli in maniera coerente.

“Mi hanno proposto un nuovo lavoro” se ne uscì, capendo l’istante successivo che non suonava minimamente con la rilevanza che l’argomento doveva avere, ma fu sufficiente per alzare l’asticella dell’attenzione di Dazai. Quest’ultimo si risistemò in maniera da riuscire a guardarlo meglio, imbronciandosi ancora di più, anche se nel suo sguardo aleggiava la confusione data dal troppo alcool in circolo.

“Nel senso che ti avanzano di grado o…” allargò gli occhi. “Oh! Ho capito!

Odasaku sospirò. Avrebbe potuto dire due parole stupide di un intero discorso e Dazai avrebbe dedotto da solo il resto senza troppi sforzi.

“Intendi fuori dalla Port Mafia!” e non fu una domanda.

“Già…”

“Qualcosa di legale?”

“Sì.”

“Interessante” e nel dirlo, Dazai si spostò sopra il compagno, cingendogli il dorso con le gambe. Si stese in avanti, fino a incontrare le labbra del tuttofare. Quello che iniziò come un bacio si accese in poco come un nuovo desiderio a cui dare seguito.

Odasaku invertì le loro posizioni e allontanò le mani di Dazai da sé, portandogliele sopra la testa e tenendogli i polsi bloccati lì, mentre ritrovava il suo posto dentro di lui.

Persero coerenza dei loro sensi e riempirono l’aria di gemiti e dei loro nomi finché il tutto non si ridusse, di nuovo, ai loro soli respiri affannati e sfiniti.

“Non sei preoccupato?” chiese Odasaku, la fronte affondata nell’incavo del collo di Dazai, intento a riprendere fiato e i contatti con la realtà. Perdersi in Dazai era un viaggio su più livelli. Non aveva allentato la presa delle braccia con cui lo stava tenendo a sé per cercare di prolungare il piacere e il momento.

“Devo farlo?” chiese il più giovane, spostando lo sguardo annebbiato dal soffitto alla confusione di capelli rossi del compagno.

“Lascerei la Port Mafia…”

Dazai sospirò.

“… prima o poi lo avresti fatto comunque per realizzare il tuo sogno di scrivere” replicò piano, accogliendo lo sguardo un po’ perso con cui Odasaku lo cercò. Lo ricambiò con un sorrisetto facendo spallucce, per quanto la posizione glielo consentisse. “Un membro della Port Mafia che non uccide… non so quanto questa storia potrebbe ancora andare avanti.”

C’era una serietà mortale nel suo tono e un rimprovero che aveva perso di intensità nel tempo, trasformandosi in un pessimo presentimento. C’era un orologio, da qualche parte, che ticchettava verso il momento in cui quella scelta di Odasaku sarebbe stata la sua rovina. Il loro non era un mondo dove potevano permettersi un lusso del genere e giocare con la sorte in una roulette russa in cui l’unico vantaggio dell’ex assassino era solo la sua abilità.

“Vorrei che venissi con me.”

Prima che Dazai potesse anche solo piegare le labbra per rispondere, Odasaku gli premette un palmo sulla bocca.

“Non dire niente. Lo so che avresti la risposta più sensata e penso di non volerla sentire. Non ora.”

Appoggiò la fronte contro la sua, per poi scivolare di lato, portandolo con sé in un abbraccio.

“Ne riparliamo da sobri.”

“Come vuoi…” acconsentì Dazai, chiudendo gli occhi e lasciando naufragare la mente nelle sensazioni che la sola presenza di Odasaku gli dava.



Non ebbero il tempo di riparlarne da sobri. Non sfiorarono minimamente l’argomento perché le cose peggiorarono - precipitarono - in breve, senza alcun controllo.

Ango sparì e il Boss della Port Mafia affidò il suo ritrovamento a Odasaku.

Così ebbe inizio il capitolo dedicato alla Mimic.

Un copione vergato con dovizia di particolari in diverse realtà, seguendo in tutte una scaletta di eventi che erano punti fermi nel tempo, impossibili da sovvertire una volta messi in moto.

Eppure, nonostante la situazione scivolasse via dalle loro dita come granelli di sabbia, riducendo le loro possibilità alla stregua dei secondi mancanti a un’esplosione, il destino si divertì una seconda volta a volteggiare intorno a un incontro casuale.

Lo dico per il tuo bene. Non raggiungere il posto dove stai andando. Ripensaci.

Perché?

Perché se ci vai… morirai.

Lo so.



Osservando la schiena di Odasaku allontanarsi, Ranpo recuperò il cellulare dalla mantella, senza darsi pena di trovare un riparo dalla pioggia. I suoi occhi rimasero inchiodati a fissare quella giacca ocra zuppa di acqua neanche per un secondo, mentre si avviava verso un destino che tutti avrebbero evitato, se avvertiti.

Shacho” salutò brevemente, quando Fukuzawa accettò la chiamata. “Il tipo di cui mi aveva detto, che voleva far entrare in Agenzia… Se non interveniamo adesso, non sarà più in grado di accettare la sua proposta o quella di chiunque altro.”

Cosa succede?” chiese il presidente dall’altro capo del telefono. Si avvertì il rumore fastidioso delle gambe di una sedia venire scostata con forza e grattare il pavimento, seguita da alcuni passi affrettati.

“L’ho appena incontrato e mi è bastato meno di un secondo per dedurre che sta andando in un posto da cui non uscirà vivo.”

Non va bene.”

“Non le aveva detto se voleva entrare da noi?”

Non ancora” sospirò il Presidente, mentre intorno a lui si sentiva un basso mormorare proveniente dai dipendenti presenti in Agenzia. “Ma se la tua deduzione è corretta-”

“Certo che lo è!”

… allora dobbiamo dargli una possibilità. Riesci a capire dov’è diretto e qual è la situazione?”

Ranpo sbuffò, incamminandosi lentamente per seguire a distanza Odasaku, ma senza dare l’impressione di farlo.

“Certo. C’è un sacco di trambusto in giro, è scoppiato qualcosa e le cose sono certo che siano collegate, però lui ora sta andando verso la periferia. Mi servirà un passaggio.”

Ti raggiungerò a breve.

“Perfetto! Una missione di salvataggio!” trillò Ranpo completamente fuori luogo, ma coperto dal rumore della pioggia. “Venga con un cambio di vestiti per me, sennò mi prenderò un raffreddore! E porti anche Yosano-sensei” la sua voce si fece seria di colpo. “Il suo aiuto sarà indispensabile.”



Lo scontro di Odasaku contro la Mimic fu il bagno di sangue che sarebbe dovuto essere.

Un solo uomo contro i resti incancreniti, ma ancora pericolosi, di un’organizzazione che agognava la morte.

Lui gliela donò.

E la trovò ad attenderlo a propria volta.

Dazai non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo per salvarlo. Non lui. 



“Se non lo lascia andare sarà inutile” disse una voce che rimbombò nella stanza e che Dazai non comprese davvero, non col sangue caldo sulle dita e l’irrealtà a spingere per avere spazio nella sua mente.

Più reali furono invece le due mani che lo strattonarono indietro, lasciandogli perdere la presa sul corpo morente di Odasaku. Il giovane Dirigente realizzò soltanto il distacco forzato e non cosa stesse succedendo. In una delle rare volte in vita sua, il dolore era troppo forte e logorante - Odasaku gli spegneva il cervello, in ogni maniera, in ogni situazione, anche quella - perché comprendesse.

Si accorse finalmente degli sconosciuti presenti e fuori contesto per la scena. Oltre alle mani che lo tenevano saldamente per le spalle, comparvero altre due persone in quel teatro tinto di rosso. Un uomo dall’espressione impassibile, da volpe, di chi era in grado di conoscere il futuro senza bisogno di scrutarlo, e una donna dallo sguardo abituato a sedere con la morte e giocarsi a tavolino le vite delle persone.

Nel frastuono di emozioni e pensieri scoordinati, Dazai colse due bagliori. Uno dorato, di una farfalla, un fermacapelli, appuntato tra i capelli della donna - un messaggio di morte che adornava la Dottoressa della Vita. Il secondo fu il bagliore di una lama. Di una mannaia, levata in alto, rossa nel catturare la luce del tramonto.

Ferm-”

Dazai non fece in tempo. La stretta dell’uomo alle sue spalle era ferrea e determinata come una catena e poté solo osservare quell’arma affilata calare sul corpo di Odasaku per infierire.

Il sangue schizzò ovunque, addosso al giovane Dirigente come alla donna.

Poi Dazai lo sentì.

Avvertì l’inequivocabile brivido di un’abilità in azione. Le ali leggere e fragili di tante farfalle a infrangersi contro No Longer Human, ma pulsando invece intorno a chi sarebbe dovuto morire. 

Il petto di Odasaku risucchiò l’aria come dopo una lunga immersione, anche se i suoi occhi non si aprirono.

“Un solo trattamento non basterà, ma ci siamo assicurati che resti vivo” chiarì la donna, passandosi il dorso della mano sulla guancia e finendo con lo spandere ancora di più il sangue. “Andiamocene prima che gli uomini di Mori-sensei arrivino.”

Dazai si riebbe a quel nome, ma non pose domande. Staccandosi dall’uomo che lo teneva con un gesto troppo repentino per essere fermato si portò al fianco di Odasaku, constatando che stesse davvero respirando, prima di guardare i presenti e anche chi lo aveva immobilizzato fino a quel momento. Non lo riconobbe, non sul momento, ma ebbe uno strano sentore a dirgli che poteva conoscerlo - e fidarsi.

“Chi siete?”

“Ti pare il momento delle domande?” sbuffò Ranpo, incrociando le braccia e scrutandolo con intensità. “Sei più intelligente di così, ma ora non riesci a fare un bel niente se non pensare a lui” e indicò apertamente Odasaku. “Devi essere la persona che voleva portare con sé una volta lasciata la Port Mafia.”

Dazai cercò di calmarsi, avendo intuito il tipo di persone che aveva davanti.

“Voi siete quelli che gli hanno offerto un nuovo lavoro.”

“Sì” replicò Fukuzawa, osservandolo con un’occhiata che a Dazai non piacque, ma che sostenne senza timore, conscio di essere in svantaggio. “Hai intenzione di venire con noi?”

“Lui non può venire con noi!” si impuntò Ranpo, scuotendo la testa. “Non è mica un tuttofare come il quasi-morto lì! Lui è un Dirigente!”

Sia Fukuzawa sia Yosano fissarono Ranpo e poi Dazai.

Ara, questo complica le cose, Shacho. Che cosa facciamo?” chiese Yosano, appoggiandosi alla mannaia puntellata a terra. “Abbiamo decisamente poco tempo per metterci a trattare con uno dei cuccioli di Mori-sensei. Devo occuparmi di Oda-kun, se vogliamo che veda l’alba di domani.”

“Voi… state dalla parte di chi aiuta le persone?”

La voce di Dazai tentennò, mentre la sua mano stringeva la stoffa della giacca di Odasaku sul petto, sentendolo alzarsi e abbassarsi molto lentamente. Gli diede quella spinta ad aprirsi e prendere in considerazione quegli sconosciuti e l’opportunità che rappresentavano. 

“Noi risolviamo quei casi che gli incompetenti della poli-”

“Sì” tagliò corto Fukuzawa, interrompendo il suo protetto che sbuffò, incrociando le braccia.

“Odasaku… ha detto che stare dal vostro lato è più bello.”

Ranpo scoppiò a ridere e Yosano scosse la testa.

“Vuoi venire con noi?” chiese di nuovo Fukuzawa, fissandolo dritto negli occhi. “Dovrai lasciarti tutto il resto alle spalle.”

“L’ho già fatto” e nel dirlo, il giovane Dirigente fissò il cappotto nero cadutogli nella corsa per raggiungere l’unica persona che non lo faceva sentire vuoto. “Voglio stare ovunque sarà Odasaku.”

“Quanto sei sentimentale” lo prese in giro Ranpo, ma più leggero.

“Io li trovo carini” commentò invece Yosano.

Fukuzawa li ignorò entrambi, tendendo la mano a Dazai.

“È deciso” sancì, e tenendogli stretto il palmo lo tirò in piedi con poco sforzo. “Da oggi siete entrambi sotto il tetto della mia Agenzia.”



Fukuzawa fu un po’ precipitoso nel tirare le somme.

Odasaku si riprese fisicamente in pochi giorni, ma gli ci volle molto più tempo per accettare la perdita dei bambini e il piano in cui era stato incastrato e che prevedeva la sua morte. Quell’uomo che il Presidente aveva reincontrato per caso era diventato un’ombra che avrebbe di nuovo voluto reindossare i panni della vendetta e ci volle diverso tempo perché quel desiderio si ridimensionasse. 

Anche se entrambe le parti vinsero, l’amarezza per gli squilibri che quella vicenda aveva provocato ebbero lunghi strascichi e ripercussioni. 

Yokohama vide la tranquillità ripristinata dalla minaccia della Mimic, anche se con questa la Port Mafia ebbe l’opportunità di estendere e legalizzare il proprio potere. Odasaku e Dazai dovettero sparire per due interi anni prima di potersi ripresentare in Agenzia e assumere quei posti loro promessi - e conoscere Kunikida, rimasto ignaro di quella vicenda per tutto il tempo.

Alla fine, fu un lieto fine.

Almeno in quella realtà.


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COW-T 12, quinta settimana, M1
Prompt: Interruzione
Numero parole: 590
Rating: Verde
Warning: //


Odasaku fissò la virgola che aveva appena digitato come l’appiglio ultimo che in quel momento era, continuando a ripetersi le parole che sarebbero dovute seguire, nell’ordine giusto e con le emozioni vibranti che avrebbero dovuto restituire.

“Mi annoio.”

Eppure, quell’insieme di sillabe iniziò a sbiadire contro la sua volontà, anche se si stava imponendo di fissare solo quella virgola e ancorargli il seguito e il finale della frase come ultima salvezza.

“… ti va un tè? Perché a me andrebbe un tè. Magari corretto, che dici?”

Non ricordava già più il verbo che avrebbe voluto utilizzare. Un sinonimo si sostituì a questo, ma la frase non suonò più come avrebbe voluto.

“Daaaai, hai bisogno di una pausa, sono tre ore che sei qui, non ti sei stancato?”

Odasaku si arrese e spostò la propria attenzione su Dazai, accoccolato contro il suo fianco come se il suo intento fosse stato quello di passare per un gatto, ma ormai erano praticamente alti uguali e gli sarebbe stato difficile essere poco invadente. Non che il pensiero di essere discreto gli balenasse in mente ogni volta che iniziava quel teatrino.

L’ex tuttofare della Port Mafia abbandonò l’idea di finire la frase. Anche volendo, ormai quelle esatte parole che avrebbe voluto scrivere erano state restituite all’oblio dell’ispirazione del momento e non sarebbero più tornate in quella forma e in quel sentimento precisi.

Non guardò neanche più quella piccola virgola abbandonata che non era un punto, ma che, probabilmente fino a quella notte o al giorno successivo, non avrebbe visto compiersi la sua funzione di pausa all’interno di un periodo compiuto. Odasaku andò direttamente sull’icona del salva e poi abbassò lo schermo del portatile.

“Sì, un tè mi va.”

L’espressione che gli regalò Dazai, o meglio, il fugace barlume di emozione che passò per i suoi occhi, riempirono in un attimo il vuoto di quell’ultima frase rimasta in sospeso.

Odasaku si inclinò verso di lui, quel tanto che gli bastava per baciarlo.

Il detective ne rimase vagamente spaesato - dal colorito roseo che gli punteggiò le gote anche piacevolmente colpito - ma non perse il proprio savoir-faire con un piccolo ghignetto.

“Allora posso interromperti più spesso?”

“No” rispose l’altro, e gli uscì come un vago sospiro abituato.

Dazai gli si premette contro il fianco di nuovo, circondandogli la vita con le braccia e poggiando il mento sulla sua spalla.

“Potrei farti da musa” propose come fosse un’idea davvero brillante.

L’altro tenne per sé il Lo sei già che affiorò nella sua mente, ripensando a quell’ultima frase non scritta che stava andando a comporre un paragrafo - un intero pezzo - che proprio l’ex Dirigente della Port Mafia gli aveva fatto balenare in mente qualche giorno prima. Che Dazai sapesse o meno di essere già l’inizio e la fine dei suoi pensieri era qualcosa che l’esperienza gli aveva consigliato di tenere per sé, per non rompere l’equilibrio con cui l’ispirazione lo accompagnava.

“Sei più un gatto, Dazai.”

Meow!” gli fece il verso lui.

Odasaku assecondò il proprio istinto senza pensieri, chinandosi a baciarlo di nuovo, più a lungo. Forse quel finale di frase non sarebbe più tornato nella forma originaria dopo quell’interruzione, ma non pareva più una mancanza così tragica. Non con Dazai che rideva leggero contro le sue labbra e gli faceva venire voglia di scrivere altri mille paragrafi.

Decise di accogliere quella pausa con piacere e crogiolarsi un po’ nelle attenzioni del più giovane.

“Come lo vuoi il tè?” 


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COW-T 12, seconda settimana, M1
Prompt: Punto di non ritorno
Numero parole: 1167
Rating: Verde
Warning: sappy


“Dazai.”

Il nome fu consumato dalla lieve brezza serale che carezzava le guance lievemente.

Il ragazzo espresse appena un mh, senza staccare gli occhi dalla rivista che stava leggendo alla scarsa luce dei lampioni. Odasaku fece un passo avanti, gli occhi che si interessarono appena al magazine e tornarono invece sulla figura del giovane Dirigente.

“Stasera è più freddo. Dov’è il tuo cappotto?”

Dazai non si mosse se non per un solo braccio e un indice, che puntò alle proprie spalle, verso la spiaggia. Gli occhi di Odasaku individuarono una forma nera ammucchiata e lambita dalle onde sulla battigia, non abbastanza per essere portata via. L’uomo lanciò uno sguardo di striscio prima al ragazzo, poi di nuovo al povero cappotto abbandonato. Valutò se andare a recuperarlo, ma era stanco e provato dalla giornata appena conclusasi, con impegni che lo avevano portato a girare mezza Yokohama. Un cappotto fradicio poteva aspettare lì dov’era, finché la marea non si fosse intensificata.

Si sedette di fianco al ragazzo, sul muretto che separava la strada dalla spiaggia, ma a differenza di Dazai, non diede le spalle al mare. Un po’ per tenere d’occhio che il soprabito che il Boss aveva donato al giovane Dirigente non sparisse tra le onde da un momento all’altro, un po’ perché il mare era un orizzonte che lo avrebbe sempre attirato a sé.

Come se fosse scattato un meccanismo, Dazai scivolò verso la spalla di Odasaku, appoggiandosi a lui, senza mai distogliere l’attenzione dall’articolo tra le sue dita.

“Sapevi che questa è una settimana fortunata per i Gemelli?”

Odasaku corrugò la fronte, guardando Dazai, ma potendone osservare solo i capelli scuri.

“Segui l’oroscopo?”

“Vuoi sapere cosa dicono degli Scorpioni?”

“Non credo a queste cose.”

“Neanche io, ma sono divertenti. Ogni tanto le leggo a Chuuya e lui finisce col crederci, lo si capisce da come si comporta il resto della giornata. È come guardare un film con un pacchetto di popcorn.”

Il tuttofare sbuffò divertito, senza nasconderlo.

“Cosa dicono degli Scorpioni?”

Porterete i Gemelli in qualche bel posto, come la prima volta.

La fronte dell’uomo si corrugò di nuovo. Questa volta, quando abbassò lo sguardo, trovò l’occhio non bendato del ragazzo a ricambiarlo.

“Vuoi andare da qualche parte?” chiese accondiscendente, cedendo anche a un sorriso piccolo come una margherita.

“Magari più tardi…”

“Già… qui non è male” constatò Odasaku, tornando a soffermarsi sulle onde spumose e alla notte che si rifletteva sul mare. “Dice altro?”

Gli Scorpioni e i Gemelli faranno qualcosa che stanno rimandando da un po’ di tempo…”

“Hai beccato un oroscopo molto specifico.”

“Sembra parlare proprio di noi, vero? Che coincidenza.”

“Un qualcosa che stiamo rimandando da un po’ di tempo, eh?”

Odasaku si sporse all’indietro senza preavviso e Dazai, appoggiato alla sua spalla, scivolò contro il suo petto, ritrovandosi ad appoggiare la testa nell’incavo di un braccio lì apposta per sorreggerlo. La rivista gli cadde dal muretto sull’asfalto con un suono netto, come di un orologio che batteva una nuova ora. L’occhio vigile del giovane Dirigente osservò il viso che lo sovrastava. Odasaku sfoggiava un nuovo, placido sorriso. La posizione non era comoda, ma Dazai non si mosse.

“Ci ho pensato a lungo” iniziò il tuttofare. La sua voce si mescolava al rumore del mare e le dita con cui stava accarezzando la guancia del più giovane avevano la stessa premura delle onde in una giornata di sole con poco vento.

“Cosa hai concluso?” lo seguì piano Dazai, così piano che se non fossero stati tanto vicini non si sarebbe potuto ascoltarlo. Non c’era esitazione nel tono, ma la delicatezza di una speranza.

“Che lo voglio” disse altrettanto piano Odasaku, perché quello era a tutti gli effetti un segreto, la chiave per un giardino segreto che poteva pesare quanto una roccia legata alle caviglie, se le cose non avessero funzionato. Eppure, in quel momento, tutto era leggero come una piuma nell’aria.

“Non si torna indietro” lo avvertì Dazai, perché era suo dovere, lui che da sempre stava a guardia di un futuro che dipingeva le pareti di lilla come di rosso sangue. “Non potremo più essere quello che siamo ora…” Non c’era, di nuovo, alcuna esitazione, ma i demoni amavano i contratti perché non credevano nei sogni. Le braccia in cui Dazai era stretto erano un sogno troppo consistente per essere reale.

“Non mi piace guardarmi indietro” fu la replica di Odasaku, vicino alle sue labbra. “Quello che ho ora è quello che voglio. Tu lo vuoi?”

Dazai scelse il bacio come risposta.

Entrambi scoppiarono a ridacchiare di sollievo, stringendosi tra loro e nascondendo il viso nella confusione di braccia e petti rumorosi di battiti.

“Quindi… è iniziato il capitolo due della nostra storia?” chiese Dazai all’orecchio di Odasaku, inspirando l’odore della sua pelle mischiato alla colonia.

Mpfh… forse è più l’inizio di un seguito…”

Sentire Odasaku ridere senza vederlo portò Dazai a stringerlo più forte.

“La scriveresti mai, la nostra storia? Nero su bianco, cambiando i nomi dei protagonisti, cambiando città, cambiando vita… quelle cose da scrittori che si ispirano.”

“No” replicò il tuttofare, districandosi e tornando a cullare il ragazzo tra le proprie braccia. Anche se sulla sua bocca c’era una negazione, gli stava regalando un sorriso come mai Dazai l’aveva visto. “Se scrivi una storia prima o poi la devi anche concludere… Non mi piacerebbe scrivere un finale su di noi.”

“Siamo già passati alla fase romantica?” scherzò Dazai. “Vorrei crogiolarmi ancora un po’ in quella intellettuale. Mi piace parlare con te…”

“Anche a me” concordò Odasaku. Prese il giovane Dirigente e lo sistemò meglio dalla posizione assurda in cui era, portandolo a sedere tra le sue gambe. Dazai si accoccolò contro il suo petto, incastrando la testa tra la spalla e la gola. “Ma se mentre parliamo ti tocco ti darebbe fastidio?”

Dazai riuscì a mascherare il groppo di saliva che ingoiò, mentre la sua mano ricollegava le parole a un gesto, andando a intrecciare le loro dita.

“Intendi… tipo così?”

“Più o meno…” assentì Odasaku, anche se il suo tono nascondeva qualcosa che fece corrucciare la fronte al ragazzo.

“Hai in mente cose sconce?”

“Anche.”

“Puoi baciarmi di nuovo” cincischiò Dazai, osservando le loro mani strette. “O puoi toccarmi. Puoi togliermi le bende.”

La mano libera di Odasaku si strinse intorno alla sua vita a quelle parole e Dazai fece scivolare il viso finché le sue labbra non trovarono nuovamente l’orecchio del più grande.

Puoi spogliarmi l’anima” sussurrò, per poi ridacchiare appena. “Questa segnala per il tuo libro.”

Odasaku si svuotò i polmoni dall’aria, iniziando a capire cosa significasse siglare un contratto con un demone.

“Dazai… se fai così la fase intellettuale finirà a breve.”

“Chi ha detto che non potremmo parlare durante-”

“Questo.”

Odasaku lo baciò di nuovo, zittendolo.

Quando si separarono, Dazai gli picchiettò un dito sul petto.

Mh, potresti avere ragione… ma non sfidarmi.”

Entrambi risero, rubando di nuovo la scena a quella notte e al mare. 


sidralake: (Default)
 

Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 515

Rating: SAFE



Sfuggire a Kunikida quella mattina era stato estenuante. Non c'era verso di trovare un posto in cui rilassarsi senza ritrovarsi il collega a urlargli nelle orecchie di tornare a lavoro. Che poi cosa si agitava tanto, Dazai ancora se lo chiedeva. C'erano i soliti verbali da compilare, quelle cose che avrebbe potuto fare più tardi, non c'era mica fretta. Doveva ancora finire quelli della settimana prima, due o tre in più cosa cambiava. Solo che Kunikida lo aveva tartassato, prima sul divano, poi quando si era chiuso in bagno, per finire durante la pausa pranzo giù in caffetteria. Era stato così rumorosa con i suoi latrati - "Dazai torna al lavoro!" - che aveva ancora l'eco nelle orecchie. 

Così, alla fine, Dazai era sgattaiolato fuori dall'Agenzia per andarsi a fare una passeggiata. Se non poteva riposare in tranquillità, tanto valeva fare quattro passi senza nessuno che gli urlasse contro. 

Era una giornata tutto sommato tiepida di metà primavera. Quasi piacevole, con un paio di gradi in più, ma Dazai non se ne lamentava. Era un giorno qualsiasi di un momento di pace senza lotte e senza intrighi da sventare. Uno di quei giorni in cui iniziare a fare progetti per il futuro, o, come aveva intenzione lui, di godersi un po' di riposo. Quasi l'inizio di un film noioso, ma che intratteneva. 

Se non fosse stato per il cuore che quasi gli si fermò nel petto quando i suoi occhi si posarono su un passante casuale. Un passante immerso a leggere un libro. Un passante che Dazai sapeva morto. 

"Odasaku!" gridò senza neanche riconoscere la propria voce. 

Non successe nulla. Nessuno si voltò, men che meno quell'uomo che in tutto e per tutto era identico allo stesso amico morente che Dazai aveva stretto tra le braccia quattro anni prima. 

"Odasaku!" riprovò di nuovo, iniziando a muoversi in mezzo alla folla per riuscire a raggiungerlo. A farsi sentire. "ODASAKU!" 

Dazai non si preoccupò di essere maleducato, di spintonare e neanche di chiedere scusa. Continuò a seguire quella testa rossa, quel profilo così reali. Ma non lo raggiunse. O meglio, sì. Lo sfiorò. Per un attimo le sue dita toccarono la stoffa della sua giacca, del suo braccio, ne sentirono e ne registrarono la consistenza. Odasaku sembrò anche accorgersene, girandosi, ma com'era apparso dal nulla, così sparì e Dazai rimase a fissare un punto vuoto in mezzo alla calca della strada. 



Molto tempo dopo, quando il mondo scatenò una guerra per conquistare il Libro dalle pagine bianche capace di realizzare i desideri di chi ci scriveva sopra, Dazai seppe che esistevano altre realtà oltre a quella in cui viveva. Altre realtà dove le scelte erano preziose e avevano il valore di diamanti, dove chi da loro seminava le strade di morte, dall'altra parte salvava vite. Esistevano tante realtà, ma in ognuna Odasaku era morto. Tranne una. 

Un'unica realtà dove era vivo, aveva realizzato il proprio sogno di scrittore e lavorava nell'Agenzia di Detective. 

Una realtà che, per qualche minuto, per uno scherzo del destino, si era fusa con la sua, permettendo a Dazai di sfiorarlo di nuovo.


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