sidralake: (Default)
 

COW-T 12, terza settimana, M4
Prompt: Beautiful Dreamer
Numero parole: 500
Rating: Verde
Warning: ot3


«Ohi, Sgom-mmpfhh»

Chuuya alzò gli occhi crucciati sul viso di Odasaku, domandandogli solo con questi un Che diavolo fai!?

Con la mano non impegnata a tappare la bocca a Chuuya, Odasaku si portò un dito alle labbra per ribadire il concetto di fare silenzio. Il più giovane non fu d’accordo, non subito, e si agitò un poco - avrebbe potuto liberarsi facendo più pressione, ma si limitò a scuotere la testa.

Odasaku lo lasciò andare quando fu certo che non ci sarebbero state ulteriori rimostranze.

«Non svegliamolo» si limitò ad aggiungere, accennando a Dazai addormentato sul divano del salotto del loro appartamento.

Perché!?

Fu ciò che lo sguardo di Chuuya chiese con insistenza.

«Abbiamo una prenotazione per la cena» ribadì a parole, sottovoce, più simile a un sibilo, ma buttando un occhio che Dazai non si muovesse. Sapeva di avere problemi a regolare i toni di voce, però in quella situazione gli sembrava ridicolo.

Odasaku si strinse nelle spalle, posando a propria volta lo sguardo sul bell’addormentato.

«È stata una giornata lunga in Agenzia.»

Chuuya sbuffò, sempre contenendosi, e incrociando le braccia.

«Devo credere che abbia lavorato sul serio tutto il giorno?» ribatté scettico, continuando a guardare il partner, senza riuscire a staccargli davvero gli occhi di dosso.

Odasaku si sedette sulla poltrona davanti al divano, massaggiandosi un po’ il collo, ma anche lui incapace di discostare lo sguardo dall’ex Dirigente della Port Mafia.

«Abbiamo inseguito un ladro con abilità, individuato una bomba in un ufficio e cercato un bambino in grado di trasformarsi a piacere in qualsiasi tipo di rapace, ma senza controllo. La madre era disperata.»

Chuuya lo fissò sbattendo le palpebre.

«Ed è successo tutto oggi!?» si lasciò scappare, in un tono normale che provocò una reazione in Dazai, che arricciò il naso e sbuffò appena. Gli altri due si irrigidirono, ma dopo qualche secondo constatarono fosse ancora nel mondo dei sogni.

«… ok, possiamo andare più tardi, o farci portare la cena a casa» sospirò il rosso, sedendosi a propria volta. Non prese il cellulare subito per avvertire, rimase invece a fissare il viso placido dello Sgombro, in silenzio, insieme a Odasaku.

Non era più così raro vedere Dazai dormire - non da quando condividevano quell’appartamento e passavano la maggior parte delle nottate insieme - ma doveva ammettere che quel sonno così abbandonato e totale non lo vedeva tanto spesso. Di solito sarebbe bastato un piccolo rumore, una parola, un colpetto accidentale per destarlo. Dazai viveva di sonni leggeri - a meno che non fosse dopo una nottata di sesso e allora lì era più comprensibile - e sempre con la guardia alta.

In quel momento, invece, dava l’idea di essere completamente in pace. Stanco da una giornata impegnativa, comodo in una casa dove stava coltivando delle nuove radici, vegliato dalle persone che si erano fatte carico di quel vuoto che si portava dentro.

Chuuya capì perché Odasaku non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era certamente lo stesso motivo per cui non ci riusciva neanche lui.


sidralake: (Default)
 

COW-T 12, seconda settimana, M1
Prompt: Punto di non ritorno
Numero parole: 1167
Rating: Verde
Warning: sappy


“Dazai.”

Il nome fu consumato dalla lieve brezza serale che carezzava le guance lievemente.

Il ragazzo espresse appena un mh, senza staccare gli occhi dalla rivista che stava leggendo alla scarsa luce dei lampioni. Odasaku fece un passo avanti, gli occhi che si interessarono appena al magazine e tornarono invece sulla figura del giovane Dirigente.

“Stasera è più freddo. Dov’è il tuo cappotto?”

Dazai non si mosse se non per un solo braccio e un indice, che puntò alle proprie spalle, verso la spiaggia. Gli occhi di Odasaku individuarono una forma nera ammucchiata e lambita dalle onde sulla battigia, non abbastanza per essere portata via. L’uomo lanciò uno sguardo di striscio prima al ragazzo, poi di nuovo al povero cappotto abbandonato. Valutò se andare a recuperarlo, ma era stanco e provato dalla giornata appena conclusasi, con impegni che lo avevano portato a girare mezza Yokohama. Un cappotto fradicio poteva aspettare lì dov’era, finché la marea non si fosse intensificata.

Si sedette di fianco al ragazzo, sul muretto che separava la strada dalla spiaggia, ma a differenza di Dazai, non diede le spalle al mare. Un po’ per tenere d’occhio che il soprabito che il Boss aveva donato al giovane Dirigente non sparisse tra le onde da un momento all’altro, un po’ perché il mare era un orizzonte che lo avrebbe sempre attirato a sé.

Come se fosse scattato un meccanismo, Dazai scivolò verso la spalla di Odasaku, appoggiandosi a lui, senza mai distogliere l’attenzione dall’articolo tra le sue dita.

“Sapevi che questa è una settimana fortunata per i Gemelli?”

Odasaku corrugò la fronte, guardando Dazai, ma potendone osservare solo i capelli scuri.

“Segui l’oroscopo?”

“Vuoi sapere cosa dicono degli Scorpioni?”

“Non credo a queste cose.”

“Neanche io, ma sono divertenti. Ogni tanto le leggo a Chuuya e lui finisce col crederci, lo si capisce da come si comporta il resto della giornata. È come guardare un film con un pacchetto di popcorn.”

Il tuttofare sbuffò divertito, senza nasconderlo.

“Cosa dicono degli Scorpioni?”

Porterete i Gemelli in qualche bel posto, come la prima volta.

La fronte dell’uomo si corrugò di nuovo. Questa volta, quando abbassò lo sguardo, trovò l’occhio non bendato del ragazzo a ricambiarlo.

“Vuoi andare da qualche parte?” chiese accondiscendente, cedendo anche a un sorriso piccolo come una margherita.

“Magari più tardi…”

“Già… qui non è male” constatò Odasaku, tornando a soffermarsi sulle onde spumose e alla notte che si rifletteva sul mare. “Dice altro?”

Gli Scorpioni e i Gemelli faranno qualcosa che stanno rimandando da un po’ di tempo…”

“Hai beccato un oroscopo molto specifico.”

“Sembra parlare proprio di noi, vero? Che coincidenza.”

“Un qualcosa che stiamo rimandando da un po’ di tempo, eh?”

Odasaku si sporse all’indietro senza preavviso e Dazai, appoggiato alla sua spalla, scivolò contro il suo petto, ritrovandosi ad appoggiare la testa nell’incavo di un braccio lì apposta per sorreggerlo. La rivista gli cadde dal muretto sull’asfalto con un suono netto, come di un orologio che batteva una nuova ora. L’occhio vigile del giovane Dirigente osservò il viso che lo sovrastava. Odasaku sfoggiava un nuovo, placido sorriso. La posizione non era comoda, ma Dazai non si mosse.

“Ci ho pensato a lungo” iniziò il tuttofare. La sua voce si mescolava al rumore del mare e le dita con cui stava accarezzando la guancia del più giovane avevano la stessa premura delle onde in una giornata di sole con poco vento.

“Cosa hai concluso?” lo seguì piano Dazai, così piano che se non fossero stati tanto vicini non si sarebbe potuto ascoltarlo. Non c’era esitazione nel tono, ma la delicatezza di una speranza.

“Che lo voglio” disse altrettanto piano Odasaku, perché quello era a tutti gli effetti un segreto, la chiave per un giardino segreto che poteva pesare quanto una roccia legata alle caviglie, se le cose non avessero funzionato. Eppure, in quel momento, tutto era leggero come una piuma nell’aria.

“Non si torna indietro” lo avvertì Dazai, perché era suo dovere, lui che da sempre stava a guardia di un futuro che dipingeva le pareti di lilla come di rosso sangue. “Non potremo più essere quello che siamo ora…” Non c’era, di nuovo, alcuna esitazione, ma i demoni amavano i contratti perché non credevano nei sogni. Le braccia in cui Dazai era stretto erano un sogno troppo consistente per essere reale.

“Non mi piace guardarmi indietro” fu la replica di Odasaku, vicino alle sue labbra. “Quello che ho ora è quello che voglio. Tu lo vuoi?”

Dazai scelse il bacio come risposta.

Entrambi scoppiarono a ridacchiare di sollievo, stringendosi tra loro e nascondendo il viso nella confusione di braccia e petti rumorosi di battiti.

“Quindi… è iniziato il capitolo due della nostra storia?” chiese Dazai all’orecchio di Odasaku, inspirando l’odore della sua pelle mischiato alla colonia.

Mpfh… forse è più l’inizio di un seguito…”

Sentire Odasaku ridere senza vederlo portò Dazai a stringerlo più forte.

“La scriveresti mai, la nostra storia? Nero su bianco, cambiando i nomi dei protagonisti, cambiando città, cambiando vita… quelle cose da scrittori che si ispirano.”

“No” replicò il tuttofare, districandosi e tornando a cullare il ragazzo tra le proprie braccia. Anche se sulla sua bocca c’era una negazione, gli stava regalando un sorriso come mai Dazai l’aveva visto. “Se scrivi una storia prima o poi la devi anche concludere… Non mi piacerebbe scrivere un finale su di noi.”

“Siamo già passati alla fase romantica?” scherzò Dazai. “Vorrei crogiolarmi ancora un po’ in quella intellettuale. Mi piace parlare con te…”

“Anche a me” concordò Odasaku. Prese il giovane Dirigente e lo sistemò meglio dalla posizione assurda in cui era, portandolo a sedere tra le sue gambe. Dazai si accoccolò contro il suo petto, incastrando la testa tra la spalla e la gola. “Ma se mentre parliamo ti tocco ti darebbe fastidio?”

Dazai riuscì a mascherare il groppo di saliva che ingoiò, mentre la sua mano ricollegava le parole a un gesto, andando a intrecciare le loro dita.

“Intendi… tipo così?”

“Più o meno…” assentì Odasaku, anche se il suo tono nascondeva qualcosa che fece corrucciare la fronte al ragazzo.

“Hai in mente cose sconce?”

“Anche.”

“Puoi baciarmi di nuovo” cincischiò Dazai, osservando le loro mani strette. “O puoi toccarmi. Puoi togliermi le bende.”

La mano libera di Odasaku si strinse intorno alla sua vita a quelle parole e Dazai fece scivolare il viso finché le sue labbra non trovarono nuovamente l’orecchio del più grande.

Puoi spogliarmi l’anima” sussurrò, per poi ridacchiare appena. “Questa segnala per il tuo libro.”

Odasaku si svuotò i polmoni dall’aria, iniziando a capire cosa significasse siglare un contratto con un demone.

“Dazai… se fai così la fase intellettuale finirà a breve.”

“Chi ha detto che non potremmo parlare durante-”

“Questo.”

Odasaku lo baciò di nuovo, zittendolo.

Quando si separarono, Dazai gli picchiettò un dito sul petto.

Mh, potresti avere ragione… ma non sfidarmi.”

Entrambi risero, rubando di nuovo la scena a quella notte e al mare. 


sidralake: (Default)
 

COW-T 12, seconda settimana, M1
Prompt: Punto di non ritorno
Numero parole: 3440
Rating: Verde
Warning: non fatelo a casa?



Chuuya era nervoso e questo si rifletté sul dito che continuava a tamburellare sul display del cellulare, cambiando canzone su spotify in continuazione. Anche se aveva le cuffiette wireless premute nelle orecchie e un volume indecente - tanto da meritarsi un’occhiataccia dalla signora di fianco per gli scorci di metal che le stava facendo ascoltare - Chuuya riusciva perfettamente ad ascoltare i propri pensieri. E c’erano campanelli d’allarme ovunque.

La metropolitana si fermò, le porte si aprirono e per un attimo il corpo di Chuuya fu sul punto di prendere il comando e la decisione che lui non sembrava in grado di intraprendere: tirarsi indietro. Gli sarebbe bastato varcare quella soglia e non arrivare a destinazione. Una sorta di sliding doors ma volontario. Come salvare il proprio (non ancora ufficiale) lavoro. Un terapista di coppia che si lasciava coinvolgere sentimentalmente dalla coppia in analisi, davvero un’ottima presentazione.

Si passò una mano sulla faccia mentre le porte della metro si chiudevano, la corsa ripartiva e lui ricominciava il conto alla rovescia delle possibilità che ancora gli restavano.

Avrebbe potuto ripetere quel teatrino mentale per ancora sette stazioni. Era come avere tra le mani una margherita e giocare con i suoi petali, salvo che lì si trattava di prendere una decisione che avrebbe finito col cambiargli la vita. O forse stava solo tirando fuori una tragedia esagerata.

Cambiò di nuovo canzone col bisogno di sentire qualcosa raschiargli le orecchie e magari dargli una svegliata. Si stava comportando come se fino a quel momento non avesse scelto lui stesso di ficcarsi in quella situazione e rimanerci incastrato.

Avrebbe dovuto capirlo dal primo momento: accettare un lavoro da Dazai Osamu era di sicuro una trappola. Con lui non esistevano mezze misure, non esistevano cose che accadevano per caso. Aveva avuto la riprova che lo Sgombro lo avesse contattato solo dopo aver architettato tutto da tempo, con il finale di quella storia già in mente. A meno che non stesse puntando a rovinargli una carriera non era ancora a tutti gli effetti iniziata, il che era un’altra possibilità da non scartare.

Sospirò così forte che sembrò un’imprecazione e la signora di fianco a lui decise di alzarsi e cambiare posto. Chuuya neanche si accorse di come il suo dramma solitario stesse attirando più di uno sguardo. Era troppo occupato a ricollegare insieme per l’ennesima volta i pezzi.

Tutto era iniziato qualche tempo prima tramite il suo instagram. Era poco più di due anni che portava avanti quell’esperimento per pagarsi gli studi e anche fare ricerche per la tesi di laurea, e fino a prima di ricevere la telefonata di Dazai era filato tutto anche troppo bene.

Chuuya aveva scelto di fare il terapista di coppia alternativo. Era nella sua natura un approccio diretto e, già dalla prima seduta, aveva capito che non sarebbe riuscito a restare con le mani in mano semplicemente ascoltando la coppia. Così si era creato un profilo fittizio su instagram e aveva iniziato a riempire le didascalie delle fotografie e le stories più disparate con le proprie frustrazioni lavorative sul voler cambiare metodo di approccio, anche se questo minava molti fondamenti dell’etica e della distanza coi pazienti. Tuttavia, aveva sorprendentemente funzionato.

La prima coppia che l’aveva contattato - Yosano Akiko ed Edogawa Ranpo - lo avevano fatto più con curiosità per capire cosa intendesse con “terapia alternativa” ed era stato grazie a loro se lo aveva capito anche lui, vivendolo in prima persona. Eticamente parlando, mescolarsi a una coppia come terzo incomodo sarebbe dovuto essere fuori discussione, ma era successo. Da lì era diventato più un “terzo comodo”, un nomignolo che gli faceva storcere il naso, ma che, grazie a un bislacco passaparola, aveva iniziato a funzionare.

Nel mentre, Chuuya si accorse che un’altra fermata metro era passata, le porte si erano chiuse e le possibilità di salvarsi erano diminuite di una. Era sempre più vicino al punto di non ritorno.

Riprese a ricordare, nel tentativo di sedare l’agitazione. Dopo Yosano e Ranpo c’erano stati Mori Ougai e Fukuzawa Yukichi, i padrini della coppia. Gli era anche stata raccontata tutta la storia, di come Fukuzawa fosse in effetti il padre adottivo di Ranpo, mentre Mori era stato il mentore di Yosano - anche se i rapporti non erano rosei. Tralasciando i loro trascorsi, la prima impressione che aveva avuto Chuuya era che il suo esperimento sarebbe finito ancor prima di iniziare.

Di certo, quello che era successo con Yosano e Ranpo - a letto - non si sarebbe ripetuto con la coppia più veterana. Non per una questione di età o pregiudizi, ma più perché i loro problemi erano di natura prettamente intellettuale (sfiorando l’illegale, ma non aveva voluto ficcanasare più del necessario a rinsaldare i rapporti). Dopo tre mesi Chuuya era sfibrato, ma si era conquistato, cosa non da poco, la fiducia di Mori, insieme a qualche cenno di intesa da parte di Fukuzawa per il proprio operato, il tutto coronato da alcune cene in ristoranti tanto chic che neanche con uno stipendio fisso si sarebbero potute permettere.

Quello che non aveva previsto era stato come Mori, una sera, se ne fosse uscito con una frase all’apparenza del tutto casuale, ma che aveva ribaltato lo stomaco a Chuuya nel giro di due battiti di ciglia.

Sei decisamente diverso da come ti descriveva Dazai. Dovevi stargli molto antipatico.

Il tutto corredato da una risatina che la diceva chilometricamente lunga.

Era stato l’inizio della fine. Chuuya aveva scoperto quella sera che Mori era stato il tutore di Dazai Osamu, un suo vecchio compagno del liceo, la sua nemesi numero uno, il ragazzino allampanato che gli aveva appestato l’adolescenza spingendolo a una precoce crisi di nervi. La cosa più bella di finire il liceo era stata quella di levarsi lo Sgombro dai piedi, ma non di certo per ritrovarsi anni dopo a gravitare intorno al suo ex tutore.

Chuuya in breve aveva deciso di accettare un’altra richiesta di consulenza per staccare la testa e prendere momentaneamente le distanze, mentre frammenti di incubi dei suoi quindici, sedici, diciassette e diciotto anni tornavano a imperversargli nella mente come se qualcuno avesse lasciato aperte delle finestre e tutte le foglie avessero iniziato a invadere i suoi spazi; tempo di spazzarne via alcune, eccone altre arrivare e infilarsi ovunque.

La coppia a cui aveva deciso di dedicarsi avrebbe dovuto svuotargli la mente, e in realtà ci era riuscita, oltre a togliergli ogni briciolo di pazienza ed energia. Aveva dovuto ricredersi nel cacciarsi in mezzo a Nakajima Atsushi e Akutagawa Ryuunosuke, due ragazzini - non importava che avessero poco più di vent’anni - che non sapevano passare mezza giornata senza litigare… per poi saltarsi addosso come gli (ex) adolescenti che erano. A Chuuya c’erano voluti due mesi solo per capire quali fossero le incomprensioni di base - esperienze simili, ma approcci molto diversi - e aveva anche intuito che il litigare fosse parte integrante della loro relazione e non c’era molto da farci. Ci aveva ricavato del sesso niente male, una volta messi a cuccia entrambi, e aveva anche insegnato loro come prendersi un po’ di tempo senza essere totalmente distruttivi. A conti fatti, era stata una soddisfazione a trecentosessanta gradi. Se non fosse stato per uno spiacevole finale.

Dazai-san è davvero un bugiardo. Diceva che eri inaffidabile, Chuuya-san.

Eccolo lì, di nuovo. Lo Sgombro. Lo stronzo che riappariva nel discorso a cose fatte. Quasi strozzandosi con il vino all’happy hour a cui aveva portato i cuccioli per festeggiare la fine della terapia, Chuuya aveva appreso da Atsushi che Dazai era stato l’insegnante di entrambi - motivo per cui si erano conosciuti.

Dazai insegna!?” era stato il primo pensiero sconvolto di Chuuya. Quale persona sana di mente avrebbe affidato la formazione delle giovani menti del paese a uno scellerato come lo Sgombro?

Nel giro di una serata Chuuya aveva appreso quale fosse la nuova vita della sua nemesi, dettagli che non avrebbe davvero voluto sapere. Prima delle nove era già ubriaco perso e, senza pensarci due volte, era stato ospitato sul divano di Atsushi e Ryuunosuke che non se l’erano sentita di mandarlo a casa da solo. Ebbro di alcool e di ricordi che voleva cacciarsi dalla mente, aveva accettato un nuovo incarico da una coppia che spendeva davvero troppe parole a tergiversare su come non avessero davvero bisogno del suo aiuto, ma che provare alla fine non costava (e quella affermazione sarebbe invece costata ai due una tariffa maggiorata).

Non l’avesse mai fatto. Se Chuuya pensava di avere avuto problemi con Mori e Fukuzawa, sopportare anche solo una settimana Kunikida Doppo e Sakaguchi Ango fu la vera sfida.

Mentre ripensava a quei due pali in culo si accorse che mancavano solo due stazioni al capolinea e sentì le mani sudate e nelle cuffiette era partita un’inaspettata Avril Lavigne con Head Above Water che sembrava perfettamente in tema con la sua situazione interiore. Deglutì e imprecò di nuovo, tornando a concentrarsi sul come fosse in quel pasticcio.

Anche se interamente la colpa non era di Kunikida e Sakaguchi, a Chuuya piaceva pensare che fossero stati la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ovviamente l’aveva scoperto a conti fatti, solo alla fine dei quattro mesi di terapia spesi con loro.

Si chiedeva ancora come fosse sopravvissuto al loro percorso di coppia con i continui rimbrotti di quel biondastro con un OCPD parzialmente diagnosticato che non passava dalla porta. Non che Sakaguchi fosse meglio, con la la sua vena depressiva, vittimistica e stacanovista altrettanto ingombrante. Le giornate con loro terminavano solo quando Chuuya raggiungeva e si scolava in solitaria un’intera bottiglia di vino senza neanche farci caso, ma solo col bisogno di affogare i pensieri. Far capire a entrambi che, oltre al lavoro, esistevano anche le loro esigenze affettive, motivo per cui avevano finito col contattarlo, era stato come insegnare a un bambino che due più due faceva quattro e non tre. Era elementare, ma non ci arrivavano.

La parte più divertente di quell’ABC della vita di coppia era stato però insegnare ai due come dare dei baci decenti. Perché ne avevano avuto davvero bisogno. A detta di Chuuya, sembravano due bastoncini Findus quando si baciavano. Lo smacco li aveva fatti arrossire come ragazzini. A pensarci, ci rideva ancora di gusto. Kunikida pretendeva di dargli lezioni con quel suo tono arrogante e giudicante, quando non riusciva neanche a esprimere l’affetto che provava per il proprio compagno. Chuuya si era chiesto più volte da dove derivasse la propria pazienza - anche se esteriormente non sembrava possederne, ma per aiutare quei due casi umani ne aveva dovuta tirare fuori davvero parecchia.

Peccato che, ancora una volta, era arrivata la stangata inaspettata - e sempre mentre sperava di rilassarsi al termine di una terapia e si stava gustando una ricompensa culinaria a gratis, una benedizione per le sue tasche da studente squattrinato. Ma come si diceva, non c’era due senza tre, e il concetto non gli era entrato in testa. 

Era successo fuori a cena con i due Quattrocchi, durante il secondo. Kunikida aveva ricevuto una telefonata che era cominciata con uno sbuffo davvero troppo pesante - un presentimento che aveva già lasciato intuire anche Ango chi dovesse esserci dall’altro capo del telefono, ma non di certo a Chuuya.

… che significa che domani non vieni a scuola!? Ti sei stirato la schiena facendo cosa!?”

Chuuya aveva scelto il momento sbagliato per mettersi in bocca un boccone del filetto costoso che riempiva il suo piatto.

Giuro che domani alle sei e mezza sarò davanti a casa tua e butterò giù la porta se necessario per portarti al lavoro, Dazai!”

Era una persecuzione ed era sempre più vicina, capì Chuuya dopo che ebbe ingollato un intero bicchiere di vino per non strozzarsi. Fissò il cellulare di Kunikida come fosse stata una bomba, o come fosse stato Dazai stesso. Aveva ignorato volutamente l’occhiata di Ango, che sembrava saperne molto, ma che stava volutamente tacendo. 

Gli eventi avevano subito un’impennata quando Kunikida aveva spostato lo sguardo sul rosso, fissandolo dritto negli occhi, ancora al telefono a sentire il collega blaterare - Chuuya si era sentito un cretino per non aver pensato alla possibilità che, in quanto professore di matematica, il biondastro potesse conoscere Dazai, ma sarebbe stato davvero un mondo troppo piccolo. Kunikida gli aveva quindi allungato il proprio cellulare, sbuffando dalle narici.

Vuole parlare con te.”

Chuuya aveva osservato lo smartphone come se si fosse dimenticato come si usava. Una voce, che purtroppo conosceva bene, trillò contenta dall’altra parte.

Ehi? Lumaca? Ci sei? Mi senti? Terra chiama Lumacaaa!”

Lumaca.

Erano anni che non sentiva quel nomignolo.

Sgombro di merda, che cazzo stai combinando!?”

Perché il nocciolo era sempre lo stesso con lui. C’erano stati dei puntini nella mente del rosso e tutti si stavano unendo per indicare quello stronzo spilungone come il burattinaio dietro le quinte. Chuuya si era massaggiato la fronte, ignorando gli sguardi sorpresi di Kunikida e Ango.

Ci stava arrivando finalmente.

Sei stato tu, fin dall’inizio, non è vero?”

Non so di cosa tu stia parlando” e il tono era stato così falsamente innocente che avrebbe anche potuto credergli, perché la realtà lo faceva solo che incazzare.

Tu… cazzo, chi dei due conosci!? Yosano o Ranpo!?

Dazai aveva fatto finta di pensarci un poco.

In effetti entrambi, ma prima Yosano. Prendeva lezioni dal mio tutore.”

Ed eccolo lì, il collegamento. Yosano e Mori, e poi…

Atsushi e Ryuunosuke. Perché?

Perché no? Atsushi era davvero entusiasta del tuo aiuto, mi ha anche rimproverato per come ti avevo dipinto.

Chuuya non era riuscito a trovare l’insulto più appropriato. Aveva scelto però di alzarsi e allontanarsi dal tavolo, sordo ai richiami di Kunikida per riavere indietro il proprio cellulare.

E la coppia di stacanovisti, invece?

Ah, su di loro sono innocente.”

Dazai.”

Chuuya aveva capito dal proprio tono di essere stanco. Aveva corso tanto lontano dallo Sgombro che aveva finito col ritrovarsi di nuovo allo stesso punto. Il destino doveva odiarlo.

Sul serio. Quasi innocente, diciamo.

Chuuya aveva sbuffato esasperato.

E allora chi!? Sembra che tutti i miei ultimi pazienti siano collegati a te!

È stata un’idea di Odasaku. È amico di Ango - anche io, ma dettagli. Ha spinto lui affinché ti contattassero.

Il nome aveva vibrato nella memoria del rosso come un ricordo archiviato nella catasta che gli stava piovendo addosso da mesi, ma non lo aveva riafferrato sul momento. Dazai doveva averlo intuito, perché gli era andato incontro.

Il nostro insegnante di letteratura al liceo, ricordi? Oda Sakunosuke, capelli rossi, occhi color del mare.

Certo” aveva mentito l’altro, sbuffando. “Cosa siete ora, un’associazione a delinquere che plagia le giovani menti? Chi è la testa bacata che ti ha dato la licenza per insegnare!?

Dazai aveva riso e lo stomaco di Chuuya si era contratto, facendo una specie di capriola. Era stato un suono che Chuuya aveva archiviato nella memoria, ma si era fatto molto meno cattivo, sempre con un fondo di presa per il culo, ma decisamente più leggero e orecchiabile.

Qualcosa del genere.” Poi Chuuya aveva sentito un’altra voce di sottofondo e Dazai si era allontanato un attimo dal ricevitore. “Parli del diavolo. Odasaku ti saluta.

Siete ancora a scuola a quest’ora?” aveva chiesto Chuuya confuso.

Dazai aveva riso di nuovo, in maniera davvero troppo morbida per non entrargli nelle vene.

Siamo a casa. Conviviamo da un anno e un po’.

La vetrata del ristorante aveva restituito a Chuuya il proprio riflesso con la bocca spalancata e lo sguardo smarrito. Il suo cervello aveva messo insieme i pezzi con qualche difficoltà, non perché non si incastrassero - aveva tutto perfettamente senso, Dazai aveva sempre spasimato per il professore di letteratura - ma per tutte le implicazioni di sottofondo.

Ti sei fatto il prof!?” e Chuuya era tornato ad avere diciassette anni.

Dazai era stato così cristallino nella risata che si era potuto avvertire totalmente la sua felicità. Un altro nodo si era chiuso alla bocca dello stomaco del rosso. Avrebbe dovuto dire addio a quel filetto nel piatto, ormai freddo.

È più corretto dire il contrario, ma sì. Vuoi farmi le congratulazioni?”

“Ma strozzati, Sgombro. Dimmi invece che cazzo vuoi da me? Perché mi stai dando il tormento?”

Ma se è la prima volta che parliamo da anni?

Non voglio stare ancora al tuo gioco, che vuoi?

Dazai era rimasto in silenzio qualche secondo, ma non perché fosse a corto di parole. Chuuya aveva invece passato il peso da un piede all’altro, ripetendosi di non essere nervoso. Aveva una quasi laurea in psico-drammi e tutta la sfera del genere, eppure Dazai sarebbe rimasto il suo più grande mistero.

Vorrei i tuoi servigi come terapeuta di coppia” iniziò lo Sgombro con un tono quasi convincente, tanto che Chuuya restò zitto aspettando la cazzata. “Io e Odasaku non abbiamo propriamente dei problemi tra noi, ma non viviamo benissimo la vita scolastica col fatto che io sono un suo ex allievo e be’, il nostro rapporto non è ufficiale, ma non è neanche un segreto. Questa via di mezzo non fa per noi.

Chuuya aveva atteso ancora. O, più precisamente, aveva cercato di elaborare la richiesta per quella che era. Ma era stato surreale.

Ora che hai finito con Kunikida e Ango dovresti essere libero? Che ne dici?

Sei… serio?

Perché non dovrei esserlo? I feedback che ho avuto da tutti sono stati entusiasti, anche troppo considerando che sei tu, Lumaca. Sei come il vino che ti piaceva bere di nascosto a scuola, eh? Stai invecchiando bene. Ieri Kunikida pareva una persona nuova a scuola - ho sgamato subito che dovesse aver sperimento del sesso decente come probabilmente non gli è mai capitato prima. Che gli hai fatto?”

Chuuya si era schiaffato una mano sulla faccia, lanciando un’occhiata alle proprie spalle, dove Kunikida e Ango stavano continuando la cena senza di lui, dando l’idea a tutti gli effetti di una coppia felice e contenta.

Non ero con loro l’altra notte” aveva precisato, ma un lato di lui era contento di sapere che le sue lezioni avessero aiutato i due. Era sempre la parte più soddisfacente del proprio lavoro.

Mh, mh. Vedi? Vuol dire che sei affidabile. Potrei accontentarmi dei feedback di Yosano, Atsushi, anche di Mori, ma vedere Kunikida rilassato e appagato li batte tutti.”

Senti” lo aveva fermato Chuuya, sospirando e guardando verso il soffitto elegante del ristorante, ingoiando un insulto. “Io e te abbiamo dei trascorsi, non puoi chiedermi una cosa del genere.”

Si era appellato all’etica per la prima volta da quando aveva iniziato quel lavoro e si era dato dell’ipocrita da solo un attimo dopo.

Ti pago tre sedute in anticipo e avrai tutte le cene gratis, tanto cucina Odasaku. Ti sorprenderai di scoprire quanto è bravo non solo a parlare di autori morti e sepolti.

Sgombro, non è così che funziona-

E ho un Romanée-Conti da aggiungere alla tariffa. Se però non lo vuoi, penso che proverò a rovesciarlo nel prossimo stufato di Odasaku.”

Cristo, tu hai bisogno di un esorcista, non di uno psicologo” aveva imprecato Chuuya. “Va bene, accetto. E se hai mentito sul vino ti uccido.

È bello sapere che le tue minacce non sono cambiate. Facciamo Domenica alle sedici? Ti mando l’indirizzo per messaggio, se il tuo numero non è cambiato. Vengo a prenderti in stazione.”

Suddetta stazione fu quella che la voce pre-registrata annunciò come la successiva e Chuuya scattò in piedi, interrompendo la musica nelle cuffiette di colpo insieme al viale dei ricordi recenti. I famigliari rumori dei vagone lo colpirono rimportandolo alla realtà.

Era arrivato al capolinea. Varcata quella soglia non si tornava indietro. Avrebbe riallacciato i rapporti con la persona che più aveva odiato in vita sua e lo avrebbe persino aiutato con la sua vita sentimentale.

Deglutì il vuoto, pensando a com’era andata fino a quel momento. Esclusi Mori e Fukuzawa, con tutte le altre coppie che aveva seguito Chuuya era finito a letto come parte, in un certo senso, del percorso terapeutico. Il solo pensiero che potesse arrivare a un punto del genere anche con Dazai e con il suo ex professore di letteratura gli diede una sensazione molto strana, perché non fu un totale rifiuto. Ingoiò il brivido e il pensiero insieme. 

Tuttavia, sul suo viso doveva esserci del disgusto vero perché Dazai gli scoppiò a ridere in faccia appena lo vide.

“Sei davvero contento di incontrarmi di nuovo, eh? Sei ancora in tempo per rifiutare…”

“Ma piantala, Sgombro. Da qui in poi non si torna indietro. Avanti, fai strada. Ho accettato per il vino, ne avrò bisogno e una sola bottiglia non ti basterà per sopportarti e farmi restare.”


sidralake: (Default)
 

COW-T 12, seconda settimana, M2
Prompt: La Tigre e l’Acrobata
Numero parole: 1162
Rating: Verde
Warning: il contesto è l’omegaverse, con Omega!Dazai in dolce attesa. 




“Tio Sushi! Tio Sushi! Quetto sei tu!”

Michiko agitò il foglio con la manina come fosse stata una bandiera, piena di orgoglio e di entusiasmo. Al contrario, lo zio Atsushi fu preso in contropiede e continuò a fissare il disegno muoversi, ma senza coglierne l’essenza. Dazai, dalla sua posizione irremovibile sul divano del salotto, in una dolce attesa che stava per superare la linea degli otto mesi, rise della scena.

“Atsushi-kun sembri proprio un gatto che segue una di quelle cannette con piuma giocattolo!”

Il Ragazzo Tigre sbuffò, guardando il mentore con la fronte corrucciata. Michiko non gradì essere ignorata.

“Guadaaa! Sei tu! Sei tu!” insistette, tentando di arrampicarsi sul ragazzo con la sola mano libera - e rischiando invece di lasciarlo in mutande.

“M-Miko-chan aspetta!” balbettò Atsushi, riuscendo a placare la bambina e abbassandosi alla sua altezza per ovviare alla situazione. Finì col mettersi direttamente seduto sul pavimento, in mezzo ai vari giocattoli e peluche. “Avanti, mostrami il disegno!” disse con un rinnovato sorriso, accarezzando i morbidi e buffi boccoli rossi della piccola.

“Qui! Quetto sei tu!” trillò orgogliosa la piccola, con una manata sulla propria opera d’arte, rischiando di strapparla. L’Atsushi del quadro era una macchia grigio chiara con la forma astratta di un gatto ornato di righe nere. Un’ideale di tigre.

“Oh… sì, sono io” commentò e constatò insieme il ragazzo un po’ scettico, fissando la bambina e poi di nuovo il disegno, mentre la sua mente viaggiava a mille per cercare di ricordarsi quando Michiko avesse potuto vederlo nella sua versione mannara. La sua attenzione si spostò quindi sull’altra macchia di colore, corredata di quelli che sembravano arti e quindi più umanoide. Era tutto nero, salvo per la faccia che spiccava rosa, ma era inconfondibile dall’espressione accigliata.

Ad Atsushi scappò un mezzo risolino.

“Questo è zio Ryuu?”

“Acobata!”

“Eh?” il Ragazzo Trigre cercò lo sguardo di Dazai, sentendone la risata.

“Perché non racconti la favola della Tigre e l’Acrobata a zio Atsushi, tesoro?”

Dallo scoppio di entusiasmo di Michiko, corredato di urletto spacca timpani, sembrò la cosa più bella richiesta alla bambina quel giorno.

“La Tigheee è cappata dal cicco!” iniziò la piccola, facendo grandi gesti e finendo sempre con l’indicare la versione disegnata di Atsushi sul proprio disegno. “E l’Acobata l’ha colpita mette fugge!”

Nel dirlo, Michiko recuperò un altro disegno da sotto alcuni giocattoli, cacciandolo tra le mani di Atsushi, il quale lo fissò a occhi sgranati riconoscendo chiarissima la scena. Era qualcosa accaduto diversi anni prima che non avrebbe mai potuto dimenticare.

Nel disegno, c’era lui, sempre versione Tigre Mannara, ma tagliato a metà da qualcosa di nero che partiva dall’Acrobata. Nonostante gli occhi a x disegnati sulla faccia del felino, Atsushi si sentì rincuorato che il foglio non fosse cosparso di scarabocchi rosso sangue. Questi erano invece di un particolare verde brillante, che doveva evidentemente richiamare il potere di Tanizaki, Sasame Yuki.

Atsushi non poté esimersi dal fissare il proprio mentore con esasperazione, sottolineando il tutto con un sospiro di chi la sa lunga.

“Dazai-san, cosa hai raccontato a Michiko?”

“Tighe e Acobata!”

“L’hai sentita” scherzò Dazai, per incorniciarsi il mento con indice e pollice in un’espressione furba. “La storia di come la Tigre e l’Acrobata si sono conosciuti. C’è del romanticismo di fondo, se ci pensi.”

Atsushi guardò di nuovo il disegno dove era stato tagliato a metà. Il concetto di romanticismo non sembrava insito da nessuna parte.

“Akutagawa aveva tentato di ucci-”

Il ragazzo si morse la lingua, lanciando un’occhiata alla bambina, che però aveva appena agguantato due peluche e li stava facendo interagire tra loro continuando a esclamare “tighe” e “acobata” e suoni vari inarticolati.

“Akutagawa ha tentato di fare tu-sai-cosa la prima volta!”

Dazai scoppiò a ridere, per poi massaggiarsi un fianco per un calcetto.

“Chuuya passa le serate a insegnarle le parolacce, puoi parlare normalmente. Non dirai mai nulla di sconveniente che Chuuya non le abbia già detto.”

Atsushi sospirò così forte che sembrò un singhiozzo.

“Non è questo il punto! Perché racconti certe cose a Miko-chan?! Non credo siano… educative.”

Un tentativo vano di fare l’adulto responsabile, ma ripensando al fatto che il rosso Dirigente della Port Mafia stesse insegnando alla figlia gli insulti più coloriti, lo dipinse come un proposito da tempo sprecato.

“Come no!” scherzò Dazai con un ghigno. “La favola di come i suoi zii preferiti hanno cominciato la loro lunga e travagliata storia d’amore! Squartamenti, incomprensioni, gelosie e, alla fine, grazie al mio inestimabile contributo, la collaborazione!” si entusiasmò l’ex mafioso, interpretando con un’espressione diversa, e altamente teatrale, ogni parola pronunciata.

“In effetti una favola è limitante, quasi banale, servirebbe un film d’azione e d’amore, un blockbuster. Dovrei scrivere un copione e venderne i diritti, che ne pensi? Oppure preferisci uno spettacolo teatrale? Certe emozioni le sa trasmettere solo il palcoscenico…”

“Dazai-san…” sospirò di nuovo Atsushi, arrendendosi. Però su una cosa ancora intendeva avere una spiegazione e corrugò la fronte. “Perché hai intitolato la favola La Tigre e l’Acrobata?”

L’uomo fece spallucce e aggiunse anche un gesto minimizzante della questione.

“Come definiresti Akutagawa, con tutte quelle appendici serpentesche che usa per volteggiare in aria nei combattimenti, alle orecchie di una bambina di quasi tre anni? Aggiungi una tigre bianca, un po’ di effetti scenici che creano l’illusione per gentile concessione di Tanizaki, et voilà! Un circo!”

“Ci siamo quasi ammazz-” Atsushi si rimorse la lingua. Qualcuno, in quella famiglia, doveva fingere che gli importasse del linguaggio che Michiko avrebbe sfoggiato a lungo andare. “Non è una storia adatta ai bambini! Sai quanto male mi ha fatto Akutagawa quella volta!?”

La recriminazione di Atsushi restò senza replica, ma attirò l’attenzione di Miko.

“Tio Sushi, Acobata ti fa la bua?”

Il ragazzo le passò di nuovo le mani nei boccoli, trovandoli troppo morbidi per non scompigliarli, e li usò per placarsi, lasciando andare i rimproveri con cui avrebbe potuto ricoprire Dazai. Come sempre, aveva ragione. Anche se in parte ed era dura da ammettere. La loro era proprio una storia che non poteva non essere raccontata.

“Una volta mi faceva la bua” disse soltanto e furono poche parole cariche di ricordi, ma senza più dolore. Era come sfogliare vecchi giornali dalle pagine ingiallite. C’erano cose del passato che erano state archiviate, etichettate per quello che erano, un lungo e tortuoso percorso per arrivare a qualcosa di talmente importante e bello da far dimenticare la sofferenza.

“Ora è diverso” aggiunse con un bel sorriso. “Zio Ryuu mi vuole bene.”

Michiko emise un verso di gioia agitando le braccia, per poi prendere un pennarello rosso e ricominciare a scarabocchiare sul proprio disegno.

“Acobata vuole bene a Tighe” disse orgogliosa, regalando ad Atsushi la sua nuova opera d’arte: una tigre da una parte e un acrobata imbronciato dall’altra, con tanti cuori tutti intorno.

Quella sera, Atsushi avrebbe convinto Akutagawa a incorniciarlo e ad appenderlo nella loro camera.


sidralake: (Default)
 

COW-T 12, prima settimana, M2
Prompt: Zaffiro
Numero parole: 3453
Rating: Verde
Warning: … stupidità?




Chuuya entrò come un uragano nel piccolo ufficio di Ango. 

I libri tremarono sullo scaffale come se si fosse appena verificata una scossa di terremoto e la spia stessa si aggrappò al bordo della propria scrivania, portando di istinto una mano alla pistola fissata sotto il ripiano. Quando capì che si trattava solo di Nakahara, la sua espressione mutò in una estremamente seria; non ritirò però la mano dall'impugnatura dell'arma.

"È successo-"

"Voglio la contabilità dell'ultima settimana del Settore 2: compravendite, trasporti e qualsiasi altro cazzo relativo. Ora."

Ango sbatté le palpebre, disorientato. Lasciò perdere l’eventualità di doversi difendere da qualcosa e si concentrò su quella richiesta repentina. 

"Ti servono i registri delle gemme?" tradusse confuso. "Dobbiamo ancora definire la rendicontazione-"

Chuuya marciò verso la scrivania del Quattrocchi come un toro che aveva puntato il bersaglio e sbatté le mani sul legno scuro e pregiato.

"Tira fuori tutto quello che hai e-" 

Chuuya si bloccò - parve quasi strozzarsi - esitando su come chiudere la richiesta. Quell'unico attimo di incertezza fece cogliere ad Ango una verità sconvolgente: Chuuya stava sudando freddo e non poco.

"E… ?" 

Gli fece eco la spia, non sapendo più come interpretare la situazione.

"... e dammi una mano."




"Hai perso i due zaffiri della collezione Valeryevich che vanno all’asta dopo domani!?"

"Io non ho perso proprio un cazzo! Qualcuno li ha presi!"

"E quando dici presi intendi rubati? Qualcuno ti ha rubato due zaffiri russi a due giorni dalla vendita!?"

"Quattrocchi, ascoltami bene: se non vuoi che ti rompa naso e occhiali in un colpo solo smettila di sottolineare quello che è successo!" abbaiò Chuuya, sbattendo il pugno sulla scrivania per essere più incisivo. "Cerca in questi cazzo di libri contabili le informazioni che mi servono e piantala!"

Ango optò per il silenzio e sfogliò il faldone che aveva davanti alle pagine che potevano essere loro utili.

"Ho la bolla di trasporto, la lettera della dogana, i certificati di autenticazione… ovviamente tutto falsificato per passare i controlli."

"Allora traduci e dimmi se la merce è arrivata al deposito come prestabilito!"

"Senza che tu ti arrabbi ulteriormente, posso farti notare che se qualcuno ha rubato questi zaffiri, falsificare dei documenti già falsi rende inutile questa ricerca?"

“Che cazzo facciamo a fare ‘sti documenti se allora chiunque può fotterci sotto il nostro stesso naso!?”

Ango sospirò con pazienza, preparandosi a dire un’ovvietà scontata. 

“Non ci fottono sotto il nostro naso,” fece una smorfia di autocommiserazione per aver ripetuto quella dubbiosa e prosaica sequenza di parole, “perché ci sono agenti della Port Mafia come te o Akutagawa a incutere paura nei possibili ladri. Fidati, il novanta per cento dei furti di questi valori li evitiamo semplicemente facendo i vostri nomi. Chiunque sano di mente ci penserebbe due volte.” 

Chuuya tacque, assimilando l'informazione come un’epifania. Ango restò in attesa, ma quando capì che l'espressione del più giovane era gravata più dall'ansia che dal ragionamento, si concentrò sui documenti che aveva davanti.

"Ascolta, codificando quello che è riportato qui, c'è scritto che è andato tutto secondo il programma e la merce è arrivata a destinazione."

"Merda, merda, merda! Ma quegli zaffiri sono spariti! E io ne ero responsabile! Il Boss mi ammazzerà se non saltano fuori."

Ango chiuse il librone e fissò il giovane agente. Non aveva quasi mai a che fare con Nakahara Chuuya direttamente, ma le rare volte che succedeva - e probabilmente quella era la terza volta da quando si era infiltrato nella Port Mafia - non era mai per due chiacchiere formali o informali che fossero. Ci scappava quasi sempre almeno un morto e il bisogno di alcool a fine giornata. Non si conoscevano se non, almeno da parte di Ango, per informazioni apprese tramite Dazai o da ricerche personali. 

In quel momento, Ango aveva la bislacca sensazione di avere di fronte una sfaccettatura di Chuuya che in pochi conoscevano davvero. 

“Per il modesto parere di un membro dell’intelligence della Port Mafia con pochi-”

Falla breve, Quattrocchi.

Ango strinse le labbra, facendosi scappare un’espressione contrariata, ma andò al succo. 

“Sei più importante di quegli zaffiri agli occhi del Boss, quindi respira. E ascoltami.”

Si spinse gli occhiali sul naso, girando completamente la propria poltrona verso Chuuya. 

Uhm, Dazai aveva ragione a descriverlo come basso... 

Si schiarì la gola, cancellando il pensiero. 

“Chiunque abbia rubato gli zaffiri non sarà andato lontano e ti sei accorto in poco tempo della scomparsa, quindi il ladro non ha molto vantaggio. Sono poche le organizzazioni in grado di far uscire dal paese gioielli di tale valore senza suscitare neanche un controllo. E il prezzo per farlo sarebbe esorbitante e bisogna fare le cose con calma-”

Noi non abbiamo tempo!” sbraitò Chuuya fuori di sé, passandosi le mani sulla faccia. “Dimmi qualcosa di utile!” che equivalse a dire Dimmi qualcosa che mi tranquillizzi

Ango era un profondo conoscitore dello stress e poteva sentirlo a pelle tutto quello che il futuro Dirigente stava provando in quel momento. Un po’ dilettantistico e molto scenico, ma era pur sempre stress. 

“Di utile c’è il fatto che nessuna di quelle organizzazioni opera a Yokohama se non per concessione della Port Mafia stessa. Quindi, se è stata qualcuna di queste, lo sapremo in breve.”

Chuuya annuì più di una volta, come se ci fosse bisogno di approvare le parole della spia. 

Tuttavia, c’era qualcosa che ad Ango non tornava e si prese il mento tra le dita, cercando di portare a galla l’incongruenza che sentiva ma non afferrava.

“Che c’è ora!?” si allarmò il rosso.

“O si tratta di un ladro con tendenze suicide che non ha un vero piano, oppure è qualcuno dotato di abilità e in grado di fotterci sotto al naso anche senza bisogno di documenti per lasciare il paese…”

“Cristo” e, per una volta nella vita, Chuuya sembrò davvero intenzionato a invocare un intervento divino. “Hai appena finito di dire che eravamo in vantaggio! Non sono venuto qui per farmi dire quanto sono nella merda!”

Ango fece una smorfia.

“Non riesci a parlare in maniera più consona?”

“Mi sembra che il mio modo di parlare sia perfettamente consono a questa fottuta situazione!” lo rimbeccò il rosso praticamente a un palmo dalla faccia, dando a intendere che alla successiva sillaba storta riguardo il suo vocabolario lo avrebbe morso.

Ango alzò le mani in difesa.

“Va bene, raccontami di nuovo da capo cos’è successo, senza tralasciare dettagli, neanche quello più-”

“Sono andato a controllare la merce al caveau, le telecamere erano offline e gli zaffiri erano spariti! Fine della storia!”

La spia raccolse tutta la propria pazienza, che per loro fortuna era davvero tanta. 

“Non hai notato nulla fuori posto? Una guardia sospetta? Hai controllato il registro di ingresso e uscita?”

La bocca di Chuuya era già spalancata nell’atto di urlargli ancora contro, ma si bloccò prima di scatenare l’ennesima bufera. Abbassò lo sguardo sulla propria giacca e ci infilo le mani dentro, frugandosi nelle tasche e tirandone fuori diversi fogli accartocciati e appallottolati. Li fece cadere sulla scrivania e iniziò a distenderli.

“Che cosa sarebbero?” chiese Ango, incerto di volerlo sapere, perché un sospetto ce l’aveva.

“I documenti del caveau degli ultimi giorni, li avevo presi al volo prima di venire qui” spiegò sbrigativo Chuuya, continuando la sua opera di spianamento, controllo e poi buttando via i fogli che risultavano inutili. “Dammi una mano, ci sono i cambi guardia, le visite, i consulenti, le solite cazzate utili.”

Cazzate utili” ripeté Ango, più per il gusto di dire una cosa senza senso che per comprenderla davvero. Prese una delle palle di carta ed ebbe pietà per quel povero documento.

“Conosci tutte le guardie che prestano servizio?”

“Certo” rispose secco Chuuya. “Mi occupo del commercio delle gemme da quando sono entrato nella Port Mafia, conosco ogni figlio di puttana che è passato da lì. Tutta brava gente. Ne ho silurati solo tre in due anni.”

Un mmmh fu il commento dubbioso di Ango alla questione. Continuò a leggere righe su righe di nomi di guardie, firme nelle calligrafie più disordinate, in kanji, metà in katakana e in hiragana, la maggior parte giapponesi, ma c’erano anche diversi cinesi e coreani tra il personale, qualche filippino e notò persino dei nomi occidentali.

La scrivania tremò per l’ennesima volta e la spia sobbalzò al colpo che il rosso diede al legno, questa volta facendolo scricchiolare davvero male.

“Maledetto ladro di merda, ti ho trovato!” ululò, tenendo uno dei fogli spiegazzati tra le mani, prima di sbatterlo in faccia ad Ango, o quasi.

Riaggiustandosi gli occhiali, l’agente sotto copertura lo analizzò con occhio critico. Aveva la data del giorno prima e c’erano registrati gli accessi della sera e della notte.

“Chi dovrebbe essere?”

“L’ultimo! È chiaramente un ladro! Pensa di prendermi per il culo!” e si batté il pugno contro il palmo nel dirlo, buttando fuori l’aria in uno sbuffo e mostrando i denti come in un ringhio. “Appena capisco dov’è lo riduco a una marmellata.”

Ango fissò per un tempo molto lungo e in silenzio quel nome palesemente falso. La sua testa stava cercando un motivo che le grinze del documento non potevano spiegargli.

“Chuuya-kun” iniziò con il tono che avrebbe usato in una contrattazione, ma a cui seguì una pausa riflessiva sulle parole da usare. Abbassò il foglio e lo guardò dritto in faccia.

“Domani mattina ti riporterò gli zaffiri. Ti pregherei di non farmi domande-”

Tu sai-

“Perché non ti risponderò” finì, mantenendo la compostezza e la sicurezza del proprio ruolo, un intermediario in grado di gestire situazioni diplomaticamente esplosive.

Chuuya restò interdetto, neanche Ango lo avesse appena colpito in faccia dal nulla con uno dei suoi libri contabili. Quest’ultimo ne approfittò per piegare il foglio in quattro con le firme delle guardie e infilarselo nella tasca interna del completo. Roteò sulla propria poltrona e iniziò a sistemare il macello sulla scrivania con apparente noncuranza, anche se la sua mente stava ancora cercando di capire i motivi dietro quel furto - se di furto si poteva parlare.

“Sei serio?” chiese Chuuya a corto di insulti e minacce. Fece il giro della scrivania e tornò a guardarlo in faccia. Il riflesso nelle lenti tonde della spia restituì quello di un ragazzo che dimostrava i suoi diciassette anni, spaesato e che tentava di riaccendere la miccia dell’incazzatura senza successo. “Hai capito chi è e mi molli così!? Dimmi dove si trovano gli zaffiri! Ti ho detto che sono una mia responsabilità!”

Ango rifletté bene un attimo su cosa dire.

“Sono ancora all’interno della Port Mafia e non lasceranno né la città né il paese, puoi stare tranquillo. Devo capire il motivo, ma sono abbastanza certo ci sia una ragione plausibile dietro. Prendila per una svista.”

Tentò di suonare ragionevole alle proprie orecchie, ma se si fosse trovato nella posizione del futuro Dirigente - e col suo temperamento - non sarebbe rimasto tranquillo ad aspettare.

Per quanto avesse capito il quadro generale e fosse sicuro che non ci sarebbero stati davvero incidenti diplomatici o punizioni per Chuuya, rimaneva sempre quella esigua percentuale di probabilità che si stesse sbagliando e ci fosse in arrivo qualcosa di catastrofico. Questo gli fece aggrottare la fronte e non passò inosservato al nervosismo del rosso.

“Sei preoccupato!” lo stanò, puntandogli un dito contro. “Porca puttana, dimmi che cazzo sta succedendo o io-”

Il suo cellulare prese a squillare e quando lo prese imprecò di una bestemmia che lasciò Ango a chiedersi quanta fantasia avesse nel formularle. L’attimo successivo il futuro Dirigente era assolutamente padrone di sé e composto.

“Buongiorno, Boss. Sì. Sì. Ah… sì, certo, sono libero.”

Ango lo vide aggrottare la fronte e poi passarsi una mano sulla faccia, ma senza che il suo tono venisse influenzato dall’evidente grattacapo.

“Certamente, me ne occupo io. Sì, contatto io la Black Lizard. Grazie, Boss.”

Chuuya chiuse la chiamata e un attimo dopo imprecò una seconda volta, così sonoramente da lasciare l’eco nella piccola stanza.

“Problemi?” chiese piano Ango.

Il rosso lo inchiodò con un’occhiata, ma senza insulti. Stava pensando e l’intensità di rotazione degli ingranaggi del suo cervello era evidente.

“Senti,” iniziò, cedendo evidentemente a un compromesso, “io devo andare a pestare degli stronzi di un’organizzazione nemica che stanno facendo casino giù al porto. Nessuno sa di questa storia degli zaffiri tranne i miei uomini al caveau e te. Li rivoglio entro domani mattina come hai detto o l’intelligence avrà un posto vacante da rimpiangere, chiaro?”

“Cristallino” rispose Ango, chiedendosi ancora una volta perché avesse scelto quella vita e dovesse farsi minacciare da un adolescente.

“Sappi che domani ti farò anche sputare chi cazzo c’è dietro quel nome falso!” sbraitò un’ultima volta, prima di chiudersi la porta dello studio alle spalle e sparire, facendo tremare di nuovo l’intera stanza. Ci fu il tonfo leggero di qualche libro lasciato in equilibrio, ma in breve tornò la quiete.

Ango finalmente si lasciò andare contro la poltrona, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi le palpebre. Erano solo le dieci di mattina e lui aveva appena tenuto testa a, letteralmente, un Dio del caos e della distruzione.

Ripescò dalla tasca interna del completo il documento con quella firma scarabocchiata in caratteri occidentali. Avrebbe davvero voluto trovarsi nella posizione di ridere di quella assurdità.

“Che diavolo ti sta passando per la mente, Dazai-kun?”




Da quando Ango lavorava sotto copertura all’interno della Port Mafia aveva dovuto rivedere molti dei propri standard. Non gli avevano di certo dipinto l’incarico come una passeggiata legata solo al reperimento di informazioni, ma al primo regolamento di conti per cui era tornato a casa con gli schizzi di sangue sui vestiti aveva capito quale fosse la realtà in cui si era calato. Aveva iniziato a fare dell’aplomb la propria maschera in ogni occasione, tenendo per sé anche i rari momenti in cui avrebbe potuto lasciarsi andare a qualsiasi altra emozione.

Poi, una notte, Dazai Osamu e Oda Sakunosuke erano piombati nel suo ufficio e il suo scudo si era incrinato. L’ultima cosa che credeva avrebbe trovato all’interno della Port Mafia erano delle persone da chiamare amici. Non conoscenti, non lavoro, ma amici come, tristemente, non ne aveva mai avuti.

C’era sempre ad accompagnarlo un latente senso di colpa e una prematura malinconia mentre scendeva le scale del Lupin, nonostante trovarsi lì significasse avere una di quelle serate, i momenti che gli davano ossigeno per continuare la farsa.

Quella sera, tuttavia, arrivò al bancone con un sospiro che riempì tutta la sala vuota. Mentre l’oste sistemava al suo solito posto un whiskey senza neanche chiedere - probabilmente traducendo la sua disillusione e stanchezza - la spia osservò i due zaffiri che gli avevano rovinato la giornata risplendere alla luce calda dell’ambiente. Erano vicini a un bicchiere pieno e intoccato.

Di fianco, Dazai aveva la testa appoggiata alle braccia e lanciò uno sguardo, dall’unico occhio libero di bende, all’amico, dopo un sorso dal proprio drink.

“Yo, Ango. La giornata è finita?”

“Non direi proprio, Dazai-kun” sospirò di nuovo Ango, per poi indicare le due pietre preziose. “Lo sai vero che questa storia potrebbe finire molto male? Il responsabile del Settore 2 era-”

Come avrebbe potuto definire la disperazione iraconda del futuro giovane Dirigente che era piombato nel suo ufficio quella mattina?

“Era veramente angosciato dalla sparizione” concluse, trovandosi in realtà molto vicino a quell’aggettivo.

Dazai produsse solo un lamento, stiracchiandosi sul bancone ma senza muoversi, per poi buttare fuori l’aria dai polmoni con qualcosa che non era solo stanchezza, ma Ango fu incerto su come definirlo. Gli ricordò uno sceneggiato visto per sbaglio qualche tempo prima, una specie di commedia sentimentale piena di pene d’amore e non capì cosa c’entrasse.

“Quindi il microbo è venuto a cercare te per farsi aiutare” constatò Dazai, giocherellando con il ghiaccio del proprio bicchiere. “Non è così stupido allora. Pensavo avrebbe iniziato a setacciare la città come un cane a cui hanno rubato l’osso” e sorrise del proprio paragone. Ango lesse chiaramente nei suoi occhi che stava immaginando la scena.

“Perché gli hai fatto questo dispetto?” domandò, dando sfogo alla curiosità che si portava appresso da quella mattina. Si sistemò di fianco all’altro mafioso, lanciando un’occhiata alle pietre preziose e al terzo bicchiere intonso. Un’intuizione strana si fece largo nella sua mente, ma, conoscendo Dazai, attese a trarre conclusioni.

“Non stavo pensando a lui” replicò Dazai, lamentoso una seconda volta. “Mi ci sarei impegnato di più se fosse stato un dispetto contro Chuuya.”

Ango scelse di non approfondire e ringraziò di non essere (ancora) nella lista nera del Demone Prodigio. Tuttavia, mentre lo pensava si ritrovò a essere fissato da quello stesso giovane demonio e il sorso di whiskey gli bruciò la gola.

“… che c’è?” chiese titubante. Sperava di non aver pensato le ultime parole famose.

“Hai capito che ero stato io dalla firma sui registri? La Lumaca non ci sarebbe mai arrivata.”

Ango assentì, lasciandosi andare a un sorrisetto.

“Ho pensato che fosse uno scherzo proprio per quello… B. Lupin è semplice e geniale allo stesso tempo?” rifletté a voce alta, strappando una leggera risatina al mafioso. “Potevi essere stato solo tu, chiunque altro avrebbe scritto A. Lupin se avesse voluto fare uno scherzo e attribuire il crimine a un fittizio ladro gentiluomo.”

“Non mi è passato neanche per la testa” ammise Dazai con una leggerezza che la spia poteva vedergli esprimere solo durante quelle serate. “Ero annoiato ed è la prima cosa che mi è venuta in mente. Questo posto” specificò, alzando un indice e roteandolo a intendere l’ambiente. “La Lumaca non ci sarebbe arrivata da sola neanche tra un milione di anni.”

Ango scosse la testa.

“Ho promesso che gli farò riavere gli zaffiri domani mattina” spiegò, tornando serio sulla questione, ma poi aggrottando la fronte. Non aveva ancora posto la domanda fondamentale.

“Perché l’hai fatto?” ed era così semplice. “Se non era uno scherzo ai danni di Chuuya-kun, cosa te ne fai con due zaffiri la cui sparizione scatenerebbe un putiferio nella Port Mafia e una guerra con i compratori?”

Si accorse che stava di nuovo lasciando fluire i propri ragionamenti e sentì uno spiacevole brivido nel figurarsi i possibili e sanguinosi scenari. Fissò direttamente in faccia l’amico, cercando tracce di malizia, un qualche sinistro guizzo che gli dicesse che stava per succedere lo scenario peggiore.

Tuttavia, per la seconda volta, Dazai gli ricordò solo una di quelle attrici dei drama televisivi che si struggevano col pensiero del loro amato.

La sua mente fece un due più due stravagante. Fissò l’amico, spostò l’attenzione sugli zaffiri vicino al terzo bicchiere di whisky intoccato posto davanti allo sgabello vuoto a fianco al mafioso e capì.

“Dazai-kun… ti manca Odasaku?”

Il diciassettenne si lamentò di nuovo e fu più palese di un sì.

“Il lavoretto veloce che doveva fare a Osaka si è rivelato più complicato e lungo, non tornerà prima della prossima settimana. Mi annoio. È tutto noioso quando non c’è Odasaku in giro.”

Ango mandò giù un sorso di whiskey e ci soffocò una leggera risatina. Quei due erano proprio un mondo a parte per lui ed erano capaci di perdersi ore a chiacchierare delle cose più insensate, ma erano piacevoli da ascoltare. Un po’ Odasaku mancava anche a lui, ma non gli sarebbe mai passato dalla mente di rubare due pietre preziose prima di un’asta così importante.

“Cosa c’entrano gli zaffiri con Odasaku?”

Dazai lo fissò con il broncio e Ango fu preso in contropiede, cercando di capire cosa avesse detto di sbagliato. Nel mentre, il giovane mafioso recuperò entrambe le gemme, portandosele davanti al viso. Le fissò per lunghi attimi, per poi piegare le labbra in un sorriso morbido.

“Mi ricordano il colore dei suoi occhi.”

Nella propria testa e nelle azioni della propria bocca, Ango fu sul punto di replicare, ma si fermò al primo mezzo suono gutturale, ripensandoci, ma senza essere certo dei propri stessi pensieri o supposizioni. Ritirò anche la mano che era partita ad accompagnare la replica con un gesto, ma che si era persa a mezz’aria insieme a quello che avrebbe voluto dire.

Il punto era che non c’era proprio nulla di intelligente da rispondere.

Si passò la mano sulla faccia e fissò Dazai ancora perso nel rigirare gli zaffiri e coglierne i diversi bagliori, chiacchierando in maniera insensata e usando il nome di Odasaku ogni tre parole.

Ango archiviò con un altro sorso di whiskey quella serata e quel piccolo incidente interno sul furto degli zaffiri come un ricordo personale, senza mai riportare una singola nota scritta. Il giorno dopo fece recapitare la refurtiva a Nakahara e ignorò volutamente ognuna delle sue chiamate.

B. Lupin divenne uno dei tanti misteri irrisolti della Port Mafia.

sidralake: (Default)
 

Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 515

Rating: SAFE



Sfuggire a Kunikida quella mattina era stato estenuante. Non c'era verso di trovare un posto in cui rilassarsi senza ritrovarsi il collega a urlargli nelle orecchie di tornare a lavoro. Che poi cosa si agitava tanto, Dazai ancora se lo chiedeva. C'erano i soliti verbali da compilare, quelle cose che avrebbe potuto fare più tardi, non c'era mica fretta. Doveva ancora finire quelli della settimana prima, due o tre in più cosa cambiava. Solo che Kunikida lo aveva tartassato, prima sul divano, poi quando si era chiuso in bagno, per finire durante la pausa pranzo giù in caffetteria. Era stato così rumorosa con i suoi latrati - "Dazai torna al lavoro!" - che aveva ancora l'eco nelle orecchie. 

Così, alla fine, Dazai era sgattaiolato fuori dall'Agenzia per andarsi a fare una passeggiata. Se non poteva riposare in tranquillità, tanto valeva fare quattro passi senza nessuno che gli urlasse contro. 

Era una giornata tutto sommato tiepida di metà primavera. Quasi piacevole, con un paio di gradi in più, ma Dazai non se ne lamentava. Era un giorno qualsiasi di un momento di pace senza lotte e senza intrighi da sventare. Uno di quei giorni in cui iniziare a fare progetti per il futuro, o, come aveva intenzione lui, di godersi un po' di riposo. Quasi l'inizio di un film noioso, ma che intratteneva. 

Se non fosse stato per il cuore che quasi gli si fermò nel petto quando i suoi occhi si posarono su un passante casuale. Un passante immerso a leggere un libro. Un passante che Dazai sapeva morto. 

"Odasaku!" gridò senza neanche riconoscere la propria voce. 

Non successe nulla. Nessuno si voltò, men che meno quell'uomo che in tutto e per tutto era identico allo stesso amico morente che Dazai aveva stretto tra le braccia quattro anni prima. 

"Odasaku!" riprovò di nuovo, iniziando a muoversi in mezzo alla folla per riuscire a raggiungerlo. A farsi sentire. "ODASAKU!" 

Dazai non si preoccupò di essere maleducato, di spintonare e neanche di chiedere scusa. Continuò a seguire quella testa rossa, quel profilo così reali. Ma non lo raggiunse. O meglio, sì. Lo sfiorò. Per un attimo le sue dita toccarono la stoffa della sua giacca, del suo braccio, ne sentirono e ne registrarono la consistenza. Odasaku sembrò anche accorgersene, girandosi, ma com'era apparso dal nulla, così sparì e Dazai rimase a fissare un punto vuoto in mezzo alla calca della strada. 



Molto tempo dopo, quando il mondo scatenò una guerra per conquistare il Libro dalle pagine bianche capace di realizzare i desideri di chi ci scriveva sopra, Dazai seppe che esistevano altre realtà oltre a quella in cui viveva. Altre realtà dove le scelte erano preziose e avevano il valore di diamanti, dove chi da loro seminava le strade di morte, dall'altra parte salvava vite. Esistevano tante realtà, ma in ognuna Odasaku era morto. Tranne una. 

Un'unica realtà dove era vivo, aveva realizzato il proprio sogno di scrittore e lavorava nell'Agenzia di Detective. 

Una realtà che, per qualche minuto, per uno scherzo del destino, si era fusa con la sua, permettendo a Dazai di sfiorarlo di nuovo.


sidralake: (Default)
 

Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 702

Rating: SAFE


Note: alla fine.





Al Lupin Bar esistono solo serate tranquilla. La musica di sottofondo, gli avventori anonimi che fumano negli angoli della sala, il barista con un una espressione statica ma sempre cordiale, non importa la domanda, i discorsi, le promesse. 

Dazai scende la scalinata con un sorriso già preparato. Ha le mani nelle tasche del trench chiaro, un motivetto appena accennato a labbra chiuse e la tensione nelle spalle di chi non si sente padrone della situazione, ma dissimulata bene grazie ad anni di esperienza. 

"Yo, Odasaku!" saluta, passando dietro all'uomo e prendendo posto di fianco a lui. "Da quanto sei arrivato?" 

Odasaku poggia il whiskey con ghiaccio senza berlo. "Ho perso la cognizione del tempo" ammette con un'occhiata a nulla in particolare. 

"Avrai avuto la solita giornata impegnativa" ridacchia Dazai, ignorando il bicchiere che l'oste gli mette meccanicamente davanti. 

All'affermazione Odasaku replica facendo spallucce e prendendo un sorso del proprio drink. "Tu? Un altro caso all'Agenzia?" 

"Non mancano mai" cincischia Dazai, stiracchiandosi più per cercare di allentare l'irrigidimento dei muscoli che per reale stanchezza. "È sempre un treno in corso, ci si ferma raramente." 

"Non dovresti perdere tempo così allora" è il consiglio dell'altro, lanciandogli un'occhiata con la coda dell’occhio mentre continua a bere. 

"Nah, siamo nella fase in cui io non servo per adesso. Se la caveranno." 

Odasaku si volta a fissarlo apertamente con un'espressione così delle sue da fare male. Non aggiunge altro, fa spallucce, e Dazai tenta di riderne, ma fa solo un suono spezzato e molto lontano dall'allegria. 

"Dovresti stare più attento" riprende l’amico. "Tutto questo - e gli occhi spaziano il locale bloccato nel tempo - è una debolezza che potrebbero usare contro di te." 

"Stai parlando come avrebbe voluto Ango. Mi stai facendo la predica" replica Dazai con un sospiro. "Speravo potesse essere una delle nostre serate. E poi, anche se le proiezioni irrompessero dall'ingresso, mi proteggeresti, non è così?" 

Ancora una volta, con quell'innaturalezza portata avanti dal cercare di dare contorni netti ai ricordi, riempendo quei buchi di trama che Dazai si convince non possano esistere, perché sono memorie preziose e non vuole doverle mettere in dubbio, Odasaku lo fissa con un'espressione che sembra stampata da una fotografia, statica, sospesa in un momento che glitcha. Bloccata nel petto di Dazai, tanto da togliergli il respiro. 

Non replica. In realtà, non c'è bisogno di repliche. 

Quell'Odasaku, creato per metà dai ricordi, per un quarto dalla malinconia e per il resto dal desiderio, farà quello che il subconscio di Dazai gli ordinerà. 

Non agirà mai di propria volontà. Mai. Perché quello alla fine è un sogno. Un sogno simulato, il che riduce ancora di più le possibilità di speranza che soltanto uno spazio onirico genuino potrebbe regalargli. Ma tra il vivere di una menzogna che si infrangerà al mattino, aprendo gli occhi con un respiro sgretolato, e la menzogna data da un sogno simulato dove si possono comporre e vivere coscientemente i propri ricordi, Dazai ha scelto quest'ultima alternativa. Ha scelto di lasciare le briglie dell'inconscio e ricreare quello che non esiste più. 

Lo sa che sta lavorando. Lo sa che, oltre le porte del Lupin Bar, c'è un altro livello del sogno dove i suoi compagni stanno preparando tutto il necessario per la fase successiva. Tuttavia, il desiderio di essere lì, in quello spazio che potrebbe implodere su se stesso da un momento all'altro, fagocitando anche quella brutta copia di Odasaku, è più forte. 

"Dazai-san?" 

Atsushi appare in cima alle scale. Non è più titubante come la prima volta che è venuto a chiamare il proprio mentore. Ormai anche lui conosce quell'illusione. "Siamo pronti." Non può esimersi dal lanciare un'occhiata a Odasaku e fargli un cenno di saluto. Atsushi è troppo ben educato e timoroso verso i ricordi di Dazai. Ha un che di rispettoso e dolce. 

"Uffa, avete fatto prima del previsto" sbuffa Dazai, alzandosi in piedi, di nuovo le mani nelle tasche del trench, come se fosse stato seduto alla fermata dell'autobus e non nel suo posto preferito di sempre. 

Supera di nuovo Odasaku e solo quando è davanti al primo gradino per andarsene si gira verso di lui. "La prossima volta chiacchieriamo di qualcosa di più piacevole." 

Odasaku non può fare altro che annuire.



Noticina conclusiva: solo per dire che ho preso ispirazione da Inception. La base è sempre Bungo, ma con la tecnologia di Inception. 


April 2025

M T W T F S S
 1234 56
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930    

Syndicate

RSS Atom

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 18th, 2025 06:43 pm
Powered by Dreamwidth Studios