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 COW-T 14, quinta settimana, M3

Prompt: tempo

Numero parole: 100

Rating: SAFE

Note: //



 

 

"... quanto tempo ci rimane?"

"Ottanta secondi."

"Speranze?"

Shinichi non risponde, non quando la reputa una domanda sciocca ed è concentrato. Per Kaitou è tutt'altro che sciocca. La sua vita è tra le mani del meitantei, il suo cuore quasi letteralmente lo stesso. 

"Mi puoi dire qualcosa di carino?" 

"Non morirai."

"Meraviglioso. Detto da te suona come una garanzia."

Tic tac. L'orologio agganciato alla bomba non perdona alcuna parola. Shinichi fissa Kaitou Kid corrugando la fronte.

"Non ti sto addolcendo la pillola."

"Lo so" ridacchia il ladro. "Ti affiderei la vita sempre. Sessanta secondi ti bastano?"

"Certo." 

"Fai la tua magia allora!"

 

 

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COW-T 14, quarta settimana, M1

Prompt: formato copione

Numero parole: 10420

Rating: SAFE

Note: ho un gran mischione di ricordi sui capitoli vecchi di Conan. Non so di preciso che fine abbia fatto Araide, rammento tipo che lavorasse nell’infermeria della scuola di Ran… trova il tempo che trova. A me piaceva un sacco come personaggio, mi spiace che non torni mai. Per il resto… la mia self indugence dedicata di nuovo a Kaitou Kid, Ran e Conan.






INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - STANZA DI RAN - MATTINA

Kaitou Kid è da solo e osserva la rosa che ha regalato a Ran, mentre la sente trafficare fuori dalla stanza e infine chiudere la porta di casa. Il ragazzo fa sparire la rosa con un movimento della mano e recupera il cellulare dalla tasca della felpa. Osserva l’ora e la sua espressione si fa guardinga. Dopo qualche secondo, accenna un ghigno. 


KAITOU KID

È più forte di te origliare pur di sapere, eh, meitantei?


Conan spalanca la porta con un cipiglio furioso, ma controllato. Ha leggermente il fiatone.


KAITOU KID

Ti sei nascosto aspettando che Ran-hime uscisse? Sei davvero un gran attore!


CONAN

Che diavolo ti è saltato in mente di venire qui!? 


Kaitou Kid finge di mettersi più comodo. Passa una mano davanti al viso e quando la abbassa ha di nuovo il monocolo sull’occhio. Stira un mezzo sorriso irritante, anche se il resto dell’espressione ne simula una arresa. 


KAITOU KID

Non avevo molte opzioni e puoi biasimare anche te stesso se sono venuto a cercare aiuto qui. Tu e la tua ragazza vi prendeste cura della mia colomba, ora non è molto diverso.


Conan sembra sul punto di scoppiare, ma si trattiene. Gli si legge in viso il bisogno di sapere. 


CONAN 

L’altra sera ti hanno sparato.


KAITOU KID

Sì, sul tetto. Ogni tanto capita che ci sia qualche imbucato ai miei spettacoli, ma di solito riesco a occuparmene abbastanza facilmente. Stavolta li ho sottovalutati.

 

La furia sul viso di Conan sembra placarsi un poco e assomigliare di più a quella in cui il suo cervello si mette in funzione per ragionare. 


CONAN

Chi sono?

 

Si squadrano. È una domanda che implica parecchio e si guardano a vicenda perché significa mettere sul tavolo le proprie carte. 

Kaitou si rimette seduto, appoggiandosi contro la parete del letto e cercando di acquisire una posa rilassata, anche se si massaggia uno dei punti in cui si è fatto male con fare meditabondo. 


KAITOU KID

Meitantei, non pensi di avere già abbastanza problemi di tuo?


CONAN

Hai detto a Ran che avresti chiesto il mio aiuto.


KAITOU KID

Wow, dove e quando hai messo una cimice stamattina? Spii davvero la ragazza che ti coccola e ti nutre?


Conan arrossisce e fa un passo avanti minaccioso e Kaitou Kid alza le mani per scusarsi.


KAITOU KID

Ho detto a Ran-hime che avrei potuto chiedere il tuo aiuto, ma in un prossimo futuro, magari quando non avrai più questo piccolo problema


Fa un gesto che sottolinea la sua bassa statura. L’implicazione sembra cogliere Conan impreparato, ma dopo un attimo di tentennamento si riprende. Si mostra punto sul vivo e incrocia le braccia sulla difensiva. 


CONAN

Non mi serve essere grande per usare la testa e occuparmi di certe questioni.


KAITOU KID

Ah no, hai ampiamente dimostrato che sai cacciarti nei guai allo stesso modo. (ride) Anzi, forse riesci a venirne fuori anche meglio, sarà proprio perché ne sei all’altezza. Potrei provare anche io quello che hai preso tu.


CONAN

Non scherzarci!


Conan fa un ulteriore passo e ormai è arrivato al bordo del letto. È livido sul serio, tanto che Kaitou trasale e alza di nuovo le mani a difesa. 


KAITOU KID

Scusa, commento di troppo.

 

Conan cerca di calmarsi, ma la cosa gli brucia. 


CONAN

Chi ti ha ricucito? Non può essere stata Ran.


KAITOU KID

Anche lei ha i suoi complici. Alti, biondi, occhi chiari. Capisco le tue ragioni di tenerla a distanza, ma dovresti darle più credito.


CONAN

Non sono affari tuoi.


KAITOU KID

Hai ragione, ma non capisco come fai a essere indifferente alle sue lacrime.


Conan stringe i denti e i pugni. 


CONAN

Finché non sa è al sicuro.


Kaitou Kid lo squadra a lungo. 


KAITOU KID

... ne sei davvero certo? A me sembra che più affondi in questa storia, più tenerla all’oscuro finirà per farla inghiottire da quel nero a cui tanto dai la caccia.


Conan non risponde. Kaitou Kid si fa serio. 


KAITOU KID

Sai, non avevo pensato a una cosa. Se fossi io a offrirti il mio aiuto? 


CONAN

(sorpreso)

Cosa?


Kaitou Kid sorride, ma senza divertimento, più come se qualcosa nella sua mente stesse prendendo forma. 


KAITOU KID

Se fossi io a offrirti una mano per uscirne? Prima tu verrai fuori dal tuo guaio, prima potrò chiederti aiuto per il mio. Quindi sarebbe più utile, direi logico, che io aiuti te, che ne dici?


CONAN

No.


KAITOU KID

... wow, hai fatto in fretta a decidere. Almeno fingi di prendere la proposta in considerazione!


Conan distoglie lo sguardo. 


CONAN

Sei scaltro e bravo in quello che fai, ma questa gente non lascia scappare nessuno.

 

Kaitou è sorpreso.


KAITOU KID

Sei preoccupato che mi succeda qualcosa?


Conan guarda altrove. 


CONAN

Non voglio coinvolgere nessun altro.


Kaitou Kid assume un’espressione pensosa. 


KAITOU KID

Il tuo vicino di casa, quel professore, lo sa. Il Detective dell’Ovest idem. La bambina con i capelli castani ho capito che è nella tua stessa situazione… (Mentre lo dice, sta elencando sulle dita) Quel tipo che ora vive a casa tua ha un’ottima maschera addosso ed è chiaramente dalla tua parte. Se penso a chi gliel’ha applicata, questo non esclude Fujimine-san e di conseguenza tuo padre. E siamo già a sei persone a conoscenza del tuo segreto, tra cui un anziano, una bambina e i tuoi genitori. Non vorrei vantare di avere una piccola marcia in più grazie al mio hobby, ma penso che potrei esserti utile quanto loro.


Conan lo guarda scioccato e senza parole.


KAITOU KID

Non essere tanto sconvolto, anche io devo guardarmi le spalle. Sono abituato a osservare. Certo, non metto sempre insieme i pezzi in modo brillante come fai tu, quella per me è stregoneria, ma me la cavo. E lavoro di fantasia, meitantei, sennò non staremmo qui a parlare da pari (gli fa l’occhiolino). 


CONAN

(serio)

Questo non cambia niente.

 

Kaitou Kid sospira, passandosi una mano sul lato della faccia dove non ha il monocolo. 


KAITOU KID

È proprio difficile convincerti.


CONAN

Resti un criminale.


Kaitou Kid mette su un muso contrariato. 


KAITOU KID

Pensavo avessi ascoltato la conversazione che ho avuto con Ran-chan.


CONAN

Ci sono altri metodi.


KAITOU KID

Questo è il mio.

 

Si squadrano e, Kaitou Kid deve arrendersi, sono a un punto morto. Conan da a intendere che non vuole cedere sui propri principi. Kaitou Kid fa schioccare la lingua e alla fine decide di risdraiarsi a letto. 


CONAN

Ohi! Cosa credi di fare!? Devi andartene!


KAITOU KID

La prognosi dice che ho ancora qualche giorno di degenza e qui sto bene. La tua ragazza è molto premurosa.


Conan diventa rosso e si aggrappa al bordo del letto, come un cane che sta per abbaiare. 


CONAN

Non puoi restare qui!


Kaitou Kid tira più giù il bordo del cappuccio, coprendosi gli occhi, ma esibendo un sorriso scaltro.


KAITOU KID

Ammetto che il letto è stretto, ma è piacevole sentire il tepore e il buon profumo di Ran-hime circondarmi.


Conan diventa definitivamente rosso e livido al contempo, saltando sul letto e strattonandolo per una manica.


CONAN

Te ne devi andare immediatamente!


Kaitou Kid non si muove, voltando la testa verso la parete. 


KAITOU KID (modulando la voce come quella di Ran)

Conan-kun! Cosa stai facendo!?


Conan è preso alla sprovvista e trasale, voltandosi verso la porta. Quando si accorge che non c’è nessuno, si rigira verso il ladro e lo trova a sghignazzare vittorioso. Conan ha uno sguardo omicida. Kaitou Kid fischia impressionato. 


KAITOU KID

Sono fortunato che i tuoi principi ti tengano al guinzaglio.


Conan ricambia con un’espressione che non promette nulla di buono.


CONAN

Non sei l’unico che può imitare le voci. Mi basterà una telefonata a Nakamori-keibu con la voce di Kogoro-ojisan per farti arrestare! 


Kaitou Kid sbuffa e si leva il cappuccio per poi passarsi le mani nei capelli e sistemarli alla Shinichi, senza togliersi il monocolo però. 


KAITOU KID

(malizioso)

Chissà cosa dirà il tuo futuro suocero a trovarti nel letto di sua figlia?


Conan sbianca.


CONAN

Non oseresti.


KAITOU KID

Sarebbe molto divertente vedere quali ripercussioni ci sarebbero in futuro.


(fuori campo) Qualcuno si schiarisce la voce dalla porta con un colpo di tosse. Sia Conan sia Kaitou Kid saltano spaventati, per poi girarsi e trovare sull’uscio il dottor Araide. Kaitou Kid fa sparire il monocolo. 


ARAIDE

Scusate l’intrusione… 


Araide ha l’espressione di qualcuno che cerca di cogliere qualcosa oltre le apparenze, ma alla fine guarda Conan. 


ARAIDE

Me lo sentivo che non saresti rimasto all’oscuro ancora per molto.

 

Conan è preso in contropiede. 


CONAN

C-cosa fa lei qui? (dà subito l’idea di realizzare, ripensando alla battuta di Kaitou Kid (V.O.) sui complici di Ran “Alti, biondi, occhi chiari”). È stato lei ad aiutare Ka- (Kaitou Kid gli da un pizzicotto) S-Shinichi-niichan?


Araide entra e appoggia la borsa sulla scrivania di Ran. 


ARAIDE

Ran mi ha chiamato l’altra sera, era molto preoccupata e a ragione.


Araide guarda negli occhi Kaitou Kid, poi di nuovo Conan. 


ARAIDE 

Kudou-kun ha rischiato parecchio, ma Ran è stata brava a prestargli il primo soccorso. Non voleva dirti niente per non farti preoccupare.

  

Conan annuisce, anche se rigido, scambiando uno sguardo con Kaitou Kid. Poi torna a rivolgersi ad Araide.


CONAN

Come ha fatto a entrare?

 

Araide è in imbarazzo. 


ARAIDE

Ran mi ha lasciato una copia delle chiavi. Oggi intendo restituirle.


CONAN

Quindi Shinichi-niichan sta meglio? Può tornarsene a casa sua?

 

Araide accenna un sorriso divertito, mentre inizia a tirare fuori gli strumenti da medico. 


ARAIDE

Sembri quasi geloso, Conan-kun.


Conan non fa niente per nascondere la propria espressione piccata mentre Kaitou Kid sghignazza, scompigliandogli i capelli. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

Lo è davvero! Si sa come sono i bambini, si prendono queste cotte per chi è premuroso nei loro confronti.


Conan sembra sul punto di morderlo. Araide si avvicina con i guanti sulle mani, aiutando Shinichi (Kaitou Kid) a togliersi la felpa. 


ARAIDE

Ran è una brava persona, Conan-kun è fortunato che sia lei a occuparsi di lui.


Kaitou Kid annuisce, risistemandosi i capelli che sembrano voler tornare al loro stato selvaggio di base. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

Ha ragione, Conan è proprio fortunato.

 

Araide lo guarda senza capire. 


ARAIDE

Non per farmi gli affari vostri, ma da quello che ho sentito da Suzuki-san… tu e Ran vi state frequentando ufficialmente, o sbaglio?


Sulla fronte di Conan spunta una vena di avvertimento mentre guarda Kaitou Kid nerissimo. Il ladro nicchia un po’. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

Sì… be’, al momento le cose sono un po’ complicate per via dei miei casi…


Araide si fa serio mentre toglie la medicazione del giorno prima. Conan punta l’attenzione su questa, facendosi serio a sua volta mentre constata i danni e da l’idea di farsi i suoi ragionamenti mentali sulla dinamica. 


ARAIDE

Kudou-kun, so che da un po’ di tempo sei coinvolto in qualcosa di pericoloso, tanto che preferisci passare per morto… non intendo mettere in dubbio quello che stai facendo, ma è inevitabile pensare che dovresti chiedere aiuto a qualcuno.


Il dottore incrocia lo sguardo di Shinichi (Kaitou Kid), per poi riabbassarlo. È più forte di Kaitou Kid lanciare un’occhiata a Conan, che sa che quelle parole sono rivolte a lui. 


ARAIDE

Non voglio farti il discorso da persona adulta, faccio fatica anche io a considerarmi tale a volte, ma sono preoccupato per la tua salute. Qualcuno ti ha sparato e sei stato fortunato che non sia stato più grave di così… ma qualcuno lo sa cosa hai rischiato? C’è qualcuno che ti sta aiutando? Ran era sinceramente preoccupata e… addolorata di non sapere cosa stai facendo.


Conan si morde il labbro, guardando da un’altra parte. Araide è concentrato sulla ferita per accorgersi della sua espressione. Kaitou Kid invece la osserva pienamente. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

Sì, qualcuno mi sta aiutando, ma è molto complicato. Sto cercando di capire anche io quanto profonda e nera sia questa faccenda, per questo sono cauto nel chiedere aiuto. Non voglio rischiare di coinvolgere altri. Non voglio che Ran rischi, anche se…


ARAIDE

(serio)

Anche se sarebbe la tua alleata numero uno.


Kaitou Kid tace e Conan stringe i pugni, oscurando l’espressione. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

(mormora)

Ho paura di perderla.


Araide annuisce, mentre pulisce la ferita.


ARAIDE

Lo capisco e vorrei dirti che è un desiderio legittimo. Tuttavia, le cose non vanno come uno spera o si impegna a fare. Conan lo sa. Anche lui è rimasto coinvolto in un tentativo di rapimento e da parte di qualcuno che aveva preso le mie sembianze (scuote la testa). 

Mi hanno detto che anche Ran è si è trovata presa in mezzo a questa faccenda, salvando Haibara-chan. Sono state fortunate, non sapevano che pericolo stessero correndo. Non del tutto, credo.


Il dottore sospira sconsolato, guardando in viso Shinichi (Kaitou Kid).


ARAIDE 

A volte la troppa cautela rischia di fare più danni perché niente è davvero prevedibile. Non voglio spingerti a parlarle e coinvolgerla in tutto, ma se almeno sapesse che tipo di pericolo stai correndo, potrebbe, credo, sapere cosa fare nel caso si ritrovi di nuovo coinvolta in qualcosa. Saprebbe a chi chiedere aiuto o di chi fidarsi (si volta a recuperare alcune cose dalla valigetta da medico).

Io stesso sono confuso, perché a sentir parlare le persone che hanno interagito con chi si è spacciato per me non sembrava avere davvero cattive intenzioni… ma se è stato così bravo a impersonarmi, devo pensare che il pericolo non sia da sottovalutare, o anzi, che la questione sia più insidiosa di quello che uno può immaginare.


Ad Araide cade l’occhio su Conan e si accorge che il suo viso si è adombrato e si sente in colpa. 


ARAIDE

Scusami, non volevo finire col dire cose così pesanti. A volte mi dimentico che sei solo un bambino.


Conan si sforza di mettere su un’espressione più spensierata. 


CONAN

Ho avuto paura quella volta, ma per fortuna mi hanno trovato in tempo ed è finita bene.


Araide annuisce. 


ARAIDE

Già.

 

Conan poi guarda Kaitou Kid che è rimasto in silenzioso ascolto, anche se negli occhi ha la stessa proposta di aiuto di prima, ma Conan è ancora restio. 


CONAN

Sono certo che Shinichi-niichan sa quello che sta facendo, per questo… per adesso non sta dicendo niente a nessuno.


Il suo tono non è convinto, ma Kaitou Kid chiude gli occhi e torna a rivolgersi ad Araide. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

Penserò alle sue parole, Araide-sensei. Grazie.


Araide annuisce.


ARAIDE

Se avessi bisogno di aiuto… non esitare a chiamarmi. E se ti servisse qualcuno di più competente, potresti provare a cercare Jodie Saitmillion. Conan l’ha conosciuta, per un po’ è stata insegnante della classe di Ran, ma è un’agente dell’FBI ed è stata lei a smascherare chi mi stava impersonando.


Kaitou Kid rimane stupito. Conan non ha fatto in tempo a fermare Araide dal parlare. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

L’FBI è coinvolta, eh? Deve essere stato un tentativo di rapimento davvero pericoloso.


Il dottore è stupito.


ARAIDE

Ran non te ne ha parlato?


SHINICHI (Kaitou Kid)

Questo dettaglio deve esserle sfuggito.


Il dottore lo riguarda di nuovo come se non fosse convinto di qualcosa. 


ARAIDE

Avete davvero bisogno di parlare.


SHINICHI (Kaitou Kid)

Già.


Il dottore finisce di medicare Kaitou. 


SHINICHI (Kaitou Kid)

Tra quanto potrò ricominciare a muovermi?


ARAIDE

Stai guarendo piuttosto in fretta, è davvero sorprendente. Penso un paio di giorni. Ma devi continuare a riposarti.


CONAN

(sbuffando)

Secondo me è già capace di camminare.


Araide ride del tono geloso. 


ARAIDE

Sì, ma avrebbe bisogno di un aiuto e non dovrebbe sforzarsi (poi si guarda intorno). Anche se capisco che questa sistemazione non sia il massimo.


Torna a guardare Kaitou negli occhi, con una sorta di riprovero.


ARAIDE

Tra medico e paziente vige il segreto professionale e anche Ran mi ha chiesto di tacere, ma nascondere la tua presenza al detective Mouri, soprattutto il fatto che stai in camera della figlia, non è… (sospira). Non voglio farti la paternale.

 

CONAN

(indefesso)

Hai sentito Araide-sensei? Devi sloggiare da qui.


ARAIDE

Conan-kun! Non intendevo questo!


SHINICHI (Kaitou Kid)

(sbuffando)

Due giorni, nanerottolo, e poi me ne vado. Puoi avere la pazienza di aspettare che guarisca?


Conan incrocia le braccia ma non aggiunge altro. Il dottore passa lo sguardo dall’uno all'altro. 


ARAIDE

Mi ero immaginato andaste più d’accordo (poi si rivolge direttamente al bambino). Conan-kun, ti dispiace andare in bagno e far scorrere un po’ l’acqua calda? Prima di andare via vorrei aiutare Kudou-kun a lavarsi.


SHINICHI (Kaitou Kid)

Grazie, ma non c’è bisogno, posso provarci da solo.


CONAN

Vedi che allora puoi andartene?


ARAIDE

(tono più incisivo)

Ora basta. Conan, per piacere.


Conan rotea gli occhi e va in bagno. Rimasti soli, il dottore si rivolge al detective (ladro).


ARAIDE

Non lo capisco. A volte sembra un bambino, a volte un adulto, a volte-


SHINICHI (Kaitou Kid)

Un adolescente problematico.


Il dottore lo guarda sorpreso e un po’ divertito. 


ARAIDE

Come te, Kudou-kun. È molto sveglio.


SHINICHI (Kaitou Kid) 

Non c’è da fidarsi dei bambini di oggi.

 

Il dottore ride sinceramente divertito. 



(STACCO)



Araide e Conan, anche se di malavoglia, aiutano Shinichi (Kaitou Kid) a lavarsi con una spugnetta e a rivestirsi. Al termine, il ragazzo sembra molto affaticato.

 

ARAIDE

Hai davvero bisogno di riposarti. Sei riuscito a dormire con gli antidolorifici?


SHINICHI (Kaitou Kid)

Abbastanza.


ARAIDE

Continuo a essere dell’opinione che dovrei portarti in clinica per degli accertamenti. Ho uno studio anche in casa, se non ti fidi a farti vedere in giro. Possiamo combinarci nel modo che preferisci, ma vorrei essere sicuro che non ci siano ricadute.

 

Il ragazzo gli sorride grato.


ARAIDE

Lei è molto gentile. Ho il suo numero, la chiamerò.


Araide annuisce e si alza per sistemare le proprie cose, mentre Kaitou Kid si ristende. 


ARAIDE

Se dovesse venirti la febbre chiamami subito. Se è soltanto alterazione va bene, prendi l’antibiotico che ti ho lasciato, ma se si alza dovete chiamarmi, ok? (guarda anche verso il bambino)


Kaitou fa un gesto di ok con la mano. Araide fa per andarsene ma si ferma sulla porta. 


ARAIDE

Immagino che la polizia non sappia niente e non saprà, vero?

 

Kaitou Kid fa segno di no con la testa.


CONAN

Penso che Shinichi-niichan non abbia abbastanza prove da portare alla polizia per aprire un’indagine che inchiodi subito chi gli ha sparato. Rischierebbe di essere solo esposto.

 

Il dottore lo guarda, anche se dubbioso.


ARAIDE

Conan-kun, da grande vuoi davvero diventare anche tu un detective, eh?


Conan imbastisce un sorriso, portandosi le mani dietro la testa. 


CONAN

(ride, tirato)

Penso di sì.


ARAIDE

Cerca di goderti un po’ l’infanzia almeno. Intanto… se resti con Kudou-kun controlla che mangi qualcosa e chiamami in caso ci sia qualcosa che non va.


CONAN

(tono di malavoglia)

Lo farò.

 

Il dottore si fruga in tasca e poi si china per riconsegnargli il doppio delle chiavi. 


ARAIDE

Visto che ora anche tu sai, se dovessi tornare mi aprirai tu.


(STACCO)


Il dottore si congeda con un ultimo cenno di saluto. Conan sbuffa dopo aver chiuso la porta dell’appartamento. È visibilmente provato dalla conversazione indiretta. 

Mentre torna verso la camera di Ran, tira fuori il cellulare. Il display mostra un sacco di messaggi da parte degli altri Detective Boys e di Haibara che vuole sapere la situazione. Ignora tutto e se lo rimette in tasca. Varca la soglia della stanza.


CONAN

Ehi-


Conan si blocca e poi sospira. Avvicinandosi al letto, constata che Kaitou Kid si è addormentato. Il bambino si scompiglia i capelli, imprecando, spegnendo la luce e chiudendo la porta. 




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - INGRESSO/SOGGIORNO - MEZZOGIORNO

La porta di casa si apre piano piano e Ran fa per entrare, cercando di fare il minimo rumore.


CONAN

(simulando un tono sorpreso)

Ran-neechan! Sei già tornata?


Ran sobbalza e quasi le cadono le chiavi di casa. 


RAN

C-Conan-kun, cosa fai qui? Non dovevi essere dal professor Agasa? 


Conan si stringe nelle spalle.


CONAN

Mi ero dimenticato una cosa a casa… (fa spallucce) Ma! Non sapevo che Shinichi-niichan fosse tornato! 


Ran lancia un’occhiata preoccupata alla porta della propria camera, mentre Conan le gira intorno.


CONAN

Perché non me l’hai detto? Eh? Neanche a Kogoro-ojisan…


Ran si accuccia e gli appoggia il palmo sulla bocca per farlo tacere. Allunga l’orecchio per ascoltare se ci sono rumori provenienti dalla propria camera. Dopo un attimo si sente una voce.


SHINICHI (Kaitou Kid)

Sono sveglio. Conan è stato davvero un angioletto. 


La ragazza corruga la fronte fissando il bambino. 


RAN

Gli hai dato fastidio?


Conan ricambia con un’espressione testarda e un po’ offesa, portandosi le mani dietro la testa. 


CONAN

… no. (non la guarda) Ho visto che non sta bene. È venuto il dottor Araide a visitarlo.


Ran si rialza e va verso la camera. Entra facendo piano. L’ambiente è in penombra e Kaitou Kid è ancora nel suo angolo di letto. Dietro di lei, Conan la segue con aria scocciata e resta a osservare la ragazza che si libera della borsa sulla scrivania per poi raggiungere il letto e constatare le condizioni del falso Shinichi. 

Kaitou Kid ha i capelli arruffati dal sonno che spuntano dal cappuccio. Apre gli occhi con un grugnito e sembra affaticato e un po’ sofferente. Ran gli appoggia una mano sulla fronte. 


RAN

Non sembra ci sia febbre.


KAITOU KID

(non imitando davvero più Shinichi)

Nah… ma l’effetto dell’antidolorifico è finito (sbuffa, agitandosi un poco, anche se questo gli provoca delle smorfie). Non è la sensazione più piacevole del mondo.

 

Ran controlla l’orologio. 


RAN

Ti preparo qualcosa da mangiare così puoi prenderne un altro.


Kaitou tenta di dire qualcosa, ma alla fine si limita ad annuire e mormora un ringraziamento. La ragazza prende Conan per la mano e lo trascina fuori dalla camera, andando verso la cucina. 




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - CUCINA - MEZZOGIORNO

Ran ha lasciato la mano di Conan per aprire il frigo e tirare fuori qualche ingrediente. 


RAN

Sei rimasto per la visita di Araide-sensei?

 

CONAN

… sì. 


Conan la aiuta con le cose, ma ha ancora una faccia restia ad accettare la situazione. La ragazza non gli presta attenzione.


RAN

Che cosa ha detto? Come sta?


CONAN

(sbuffa)

Dice che gli ci vorranno almeno altri due giorni di riposo perché stia in piedi.


RAN

Mmmh… solo due giorni?


CONAN

(lamentoso)

Già! E non dovrebbe rimanere nella tua stanza! E se Kogoro-ojisan lo scoprisse?  


Ran diventa rossa, ma continua a tagliare le verdure. 


RAN

È meglio che papà non lo sappia, ma non possiamo spostarlo da nessun’altra parte.


CONAN

Però…! 


Ran sembra in difficoltà e anche un po’ confusa lei stessa.


RAN

È una situazione strana, lo so, ma per adesso è l’unica soluzione.


CONAN

Possiamo trovarne un’altra! 


RAN

(esasperata)

Insomma, perché a volte hai questi comportamenti così infantili, Conan-kun? Hanno sparato a… (tentenna) a Shinichi. È una situazione delicata e dobbiamo mantenere il segreto. 


CONAN

(borbotta)

Ok… ma è nel tuo letto…


Ran sbuffa e sbatte il coltello sul tagliere con frustrazione e stanchezza.


RAN

Quando insisti in questo modo proprio non ti capisco, sembri così… così adulto ogni volta che si presenta un caso! Ora invece non ti rendi conto che c’è una persona che è stata ferita e ha bisogno di aiuto e riposo!


Conan abbassa lo sguardo, mortificato.


CONAN

Scusa, Ran… Ran-neechan…


Ran lo guarda e si sente in colpa, abbassandosi alla sua altezza.


RAN

Scusami, non volevo alzare la voce. Sono solo stanca e… preoccupata.


CONAN

Non devi. Araide-sensei dice che sta guarendo in fretta.


L’espressione di Ran però non abbandona però i sentimenti negativi.


RAN

È una buona notizia. Sono contenta.


Conan le poggia una mano sulla guancia. 


CONAN

Ran-neechan?


RAN

Conan-kun… secondo te… è giusto che Shinichi abbia tutti questi segreti nei miei confronti?


Conan si sente colpito in pieno peggio di uno schiaffo. Lo sa che Ran sa che nella sua camera c’è Kaitou e non Shinichi, quindi gli fa anche più male perché sa che si sta riferendo proprio a lui stesso. 


RAN

Se venisse ferito… se venisse ferito davvero gravemente, io probabilmente non lo verrei a sapere. Andrebbe da qualcun altro, qualcuno a conoscenza di quello che sta facendo, non da me, ma io… se gli succedesse qualcosa… (singhiozza) 


CONAN

Ran…


RAN

Sarebbe facile dire che vorrei solo aiutarlo… ma la verità è che non sapere sta diventando troppo pesante. Pensi che sia egoista?

 

Conan è spiazzato e non sa cosa rispondere. La sua mano si aggrappa alla manica di Ran perché pensa di non poter reggere lui stesso. Ran lo interpreta come il gesto di un bambino alla fine.

La ragazza si asciuga le lacrime per poi prendere un respiro profondo. 


RAN

Scusa lo sfogo.


CONAN

No… non devi chiedere scusa…


CONAN (V.O.)

Sono io a doverlo fare, Ran…


RAN

Ecco, vedi? (sorride tristemente) Sembri di nuovo parlare come un adulto (ride con amarezza). Se avessi dieci anni di più verrei a farmi consolare da te e manderei Shinichi a quel paese (ride).


Prende un altro respiro profondo e riprende il controllo della situazione. 


RAN

Ora Shinichi è di là e ha bisogno che qualcuno gli stia vicino e, soprattutto, deve mandare giù qualcosa per gli antidolorifici.


Guarda verso Conan e gli fa una carezza tra i capelli. 


RAN

Ho capito che questa situazione non ti piace… ma mi puoi aiutare? 


Conan annuisce più accondiscendente rispetto a prima.


RAN

Grazie. Intanto gli porteresti un bicchiere e una bottiglia d’acqua? Assicurati che beva, non penso lo stia facendo abbastanza.




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - STANZA DI RAN - MEZZOGIORNO

Conan riapre la porta della camera portandosi sottobraccio la bottiglia d’acqua e in mano un bicchiere. Sa di strascinare i passi, perché non riesce del tutto ad accettare la situazione, ma il discorso di Ran gli ha fatto male. Sospira. 

Guarda verso il letto e osserva Kaitou Kid. Nonostante la poca luce, si accorge che si è rigirato di nuovo. Anche il ragazzo lo nota.


KAITOU KID

Meitantei… non sono qui per mettere zizzania tra te e la tua bella… 


Conan lo ignora. Appoggia la bottiglia e il bicchiere sul letto, per poi arrampicarsi e farsi più vicino. Poggia la mano sulla fronte del più grande, ma conferma che non c’è febbre. Poi si sposta abbastanza per afferrare il bordo della felpa indossata dal ladro e tirarla su fino a scoprire la medicazione. Il grande cerotto è sfumato di rosso. Il ragazzo mugugna contrariato.


KAITOU KID

Mi fai il solletico. 


CONAN

Il pranzo arriverà tra poco, riesci a sederti? E dove sono gli antidolorifici?


Kaitou guarda verso la testata del letto e Conan recupera le due scatole, prendendo i foglietti illustrativi. 


CONAN

Quanto dolore senti da uno a dieci?


KAITOU KID

… venti? Ma tengo duro. 


Conan ripensa alle parole di Ran.


RAN (V.O.)

C’è una persona che è stata ferita e ha bisogno di aiuto e riposo. 


Conan si scompiglia i capelli scocciato. 


CONAN

(serio)

Dovresti davvero considerare un breve ricovero.


KAITOU KID

Tranquillo, me ne andrò quanto prima. Ho capito che mi vuoi il più lontano possibile dalla tua lei.


CONAN

(sospirando)

Stupido, non intendevo quello. Se ti venisse la febbre potresti avere un’infezione e la questione potrebbe diventare più grave.


KAITOU KID

(ridacchia)

Ora ti preoccupi?


Conan tace e raccoglie i pensieri. 


CONAN

Avere le dimensioni di un bambino di sei anni fa schifo.

 

Kaitou Kid lo guarda con tanto d’occhi senza sapere cosa dire. Conan non ricambia, ma recupera la bottiglia e il bicchiere, riempiendolo e porgendoglielo. 


CONAN

Devi idratarti.


KAITOU KID

(ridacchiando)

Un bambino direbbe Oniichan, devi bere o starai ancora più male! (lo dice imitando una vocetta infantile) 


Conan non gli risparmia un’occhiataccia, pentendosi della confessione che voleva essere un po’ una mano tesa. 


CONAN

Muori.


KAITOU KID

No, che poi ti mancherei.


Il bambino prende un lungo respiro per ricalibrarsi.


CONAN

Non è che hai recuperato il proiettile o il bossolo del colpo che ti hanno sparato?


KAITOU KID

Non è stato proprio il primo pensiero che mi ha sfiorato quando mi hanno colpito. Ero un attimo impegnato a cercare di capire se sarei morto lì o in mezzo alla strada dissanguandomi.


CONAN

Non c’è bisogno di essere tanto sarcastici.


KAITOU KID

Fammi delle domande più umane allora!


Conan gli prende il bicchiere dalle mani e glielo ri-riempie.


CONAN

Bevi. Oniichan.


Kaitou Kid rischia di strozzarsi, ridendo. 


CONAN

Ricordo che era presente anche un altro detective. Hakuba-san.


Kaitou è scosso da un brivido che maschera nel sorso d’acqua. A Conan non sfugge e lo guarda con insistenza. 


KAITOU KID

Diciamo che è un tipo fissato con… me.


CONAN

(con aria pensierosa)

Ricordo che era presente al caso della Villa del Crepuscolo. Avevano chiamato lui perché non erano riusciti a reperire me. E anche un’altra volta durante una finta sfida tra detective nel risolvere un caso di omicidio…


KAITOU KID

I vostri divertimenti sono così macabri, ci pensate mai?


CONAN

Lui potrebbe aver trovato qualche indizio utile.


KAITOU KID

(sospira)

Spero non abbia seguito le mie tracce fino a qui. Non ho alcuna voglia di discuterci.


Conan lo guarda scettico. 


CONAN

Non vuoi stanare la gente che ti ha sparato?


Kaitou fa un sorriso stanco. 


KAITOU KID

Sinceramente ora vorrei solo rimettermi in piedi e lasciarmi alle spalle quello che è successo.


Conan non capisce davvero, ma quando riapre bocca per insistere, di nuovo le parole di Ran gli risuonano nelle orecchie. 


CONAN

… hai bisogno di riposo.


KAITOU KID

Ran-hime ti ha strigliato per bene, eh?


In quel momento la porta si scosta ed entra Ran con un vassoio. Sembra un po’ più tranquilla. 


RAN

Mi avete nominata? Di che parlavate?


CONAN

Nulla, nulla…


SHINICHI (Kaitou Kid)

(ghignando)

Conan mi diceva di quanto gli piace fare il bagno con te! (gli punzecchia una guancia) Lo stavo rimproverando perché ormai è un ometto e può fare da solo.

 

Conan lo fulmina con uno sguardo mentre Ran ride, anche se un po’ rossa. 


RAN

Mi piace lavargli i capelli, mi dispiacerebbe non farlo.


Conan avampa. 


CONAN

A-Anche a me piace.


Kaitou Kid lo guarda con un risolino malizioso e saputello. Intanto Ran sistema il vassoio sul letto. Ci sono tutte e tre le porzioni per il pranzo. La ragazza si rivolge al ladro.


RAN

Riesci ad alzarti?


Kaitou Kid si mette il più comodo possibile mentre Ran e Conan gli sistemano un paio di cuscini dietro la schiena. Ha ancora il cappuccio ad adombrargli il viso, ma non si preoccupa più di simulare troppo di essere Shinichi. 


KAITOU KID

Servito e riverito. Mi piace.


Ran e Conan sbuffano. La prima ride, il secondo solleva gli occhi al soffitto. I tre iniziano a mangiare in silenzio. L’atmosfera non è tesa, ma c’è qualche occhiata lanciata qui e lì. 


RAN

(mormora)

Sembra quasi di stare in campeggio (arrossisce). Insomma, stiamo mangiando dove capita… e questa penombra è rilassante e, oh? Ha iniziato a piovere? 


KAITOU KID

(sorridendole)

Non sono mai stato in campeggio, è così di solito? 


RAN

Conan ci va spesso con i suoi amici. Anche se pure in quelle occasioni si cacciano nei guai…


Il bambino incassa la testa tra le spalle e il ladro gli lancia un’occhiata divertita. 


KAITOU KID

Conan non è proprio il ragazzino più fortunato al mondo, eh?


Conan si mostra scontento, ma ha la bocca occupata a masticare e non può rispondere. 


RAN

Quella volta che sei andato in campeggio e ti hanno sparato… è stato terribile.


KAITOU KID

Decisamente un bambino sfortunato.


CONAN

È acqua passata…



(STACCO)



Hanno finito di mangiare e Kaitou riprende gli antidolorifici con un sospiro stanco. 


KAITOU KID

(sbadiglia)

Era squisito.


Ran è contagiata a sua volta, mentre si stropiccia un occhio. 


RAN

Hai bisogno di riposarti.


KAITOU KID

(ridacchia)

Senti chi parla.


Conan grugnisce, ripalesando la propria presenza anche se è andato a portare le cose in cucina. Ran gli dà distrattamente una carezza sulla testa che lo placa subito. Poi la ragazza si alza, spingendolo fuori. Si ferma sull’uscio, rivolgendosi al ladro.


RAN

Se hai bisogno di qualcosa chiamaci


Kaitou Kid si sta sdraiando e le fa un cenno di ok con la mano. Ran chiude la porta. 

Conan è di fianco a lei e le rivolge tutta la propria attenzione, ammorbidendo l’espressione al punto da sembrare dispiaciuto. Le prende una mano con la propria


CONAN 

Sei davvero stanca, Ren-neechan.


RAN

Sono state due nottate lunghe… (sussurra) Per un attimo ho temuto che sarebbe morto mentre cercavo di aiutarlo.


Il bambino le stringe la mano. 


CONAN

Starà bene (sorride rassicurante). Ha la pelle dura! (si fa serio) Ora però devi riposare! Vieni!


Conan la guida verso la stanza di Kogoro e si premura di farla stendere a letto. La ragazza sbadiglia di nuovo e si stende, già con gli occhi chiusi. Il bambino le sistema la coperta sopra. 


CONAN

Riposati, Ran-neechan. Se c’è qualcosa da fare ci penso io… 


Ran lo afferra per il polso.


RAN

Resta. 


La ragazza ha gli occhi chiusi e non nota come le guance di Conan si siano colorate di rosa. 


RAN

(sempre a occhi chiusi)

Resta qui con me…


Il bambino si guarda alle spalle, verso la porta rimasta aperta. Dal salotto non si sente nulla. C’è il vago rumore della pioggia esterna, ma il resto della casa è silente. Torna a scrutare il viso di Ran. Lei ha ancora la mano a tenerlo, anche se la presa si sta affievolendo. La sente mormorare di nuovo “Resta”. 

Facendo piano, Conan si arrampica sul letto vicino a Ran. Lei, come un gesto automatico, lo stringe tra le braccia. Il bambino sente il suo respiro farsi man mano regolare. 

Conan si sfila gli occhiali e li appoggia di fianco a sé, per poi chiedere gli occhi e ricambiare la stretta della ragazza.


CONAN (V.O)

Tornerò Ran, te lo prometto. E resterò. 



FINE PRIMA PARTE


sidralake: (Default)
 

COW-T 14, quarta settimana, M1

Prompt: formato copione

Numero parole: 10420

Rating: SAFE

Note: ho un gran mischione di ricordi sui capitoli vecchi di Conan. Non so di preciso che fine abbia fatto Araide, rammento tipo che lavorasse nell’infermeria della scuola di Ran… trova il tempo che trova. A me piaceva un sacco come personaggio, mi spiace che non torni mai. Per il resto… la mia self indugence dedicata di nuovo a Kaitou Kid, Ran e Conan. 






INTERNO - AGENZIA INVESTIGATIVA MOURI - NOTTE

Addossato al muro, seduto sul pavimento della stanza, KAITOU KID sta sanguinando per una ferita all’addome. Prende il cellulare e fa partire una chiamata. 


RAN

Pronto?


KAITOU KID

(voce impostata a imitare KUDOU SHINICHI)

Ran… sono… sono di sotto… nell’agenzia di tuo padre.


RAN

Shinichi…? È tardi, va tutto bene?


KAITOU KID

(si lamenta e si muove involontariamente per una fitta di dolore)

Scusa per… per l’improvvisata…

Ho… ho bisogno di aiuto…


RAN

(La voce è allarmata)

Shinichi! Cos’è successo?!


KAITOU KID

(voce impostata)

Sono di sotto… 

(affanno)

Ho bisogno…


RAN

Arrivo!




INGRESSO AGENZIA INVESTIGATIVA - PENOMBRA, LUCI ESTERNE DALLA STRADA

Ran apre la porta ed entra dentro guardandosi intorno. È pallida e visibilmente preoccupata. 


KAITOU KID

Ran… sono qui…


Ran volta la testa nella direzione della voce. Si precipita verso Kaitou Kid. Ran si blocca e realizza che non è SHINICHI. Momento di stasi. Si porta una mano sulla bocca, poi si inginocchia di fianco a lui.


KAITOU KID

(sorride affaticato)

Scusa per l’inganno, principessa…


RAN

(fissa il sangue)

Oddio… sei ferito! Ti hanno sparato? Devo chiamare un’ambulanza!


Ran estrae il cellulare. Kaitou Kid le blocca la mano. 


KAITOU KID

Niente ambulanza… niente polizia… 


Sguardo teso tra i due. Kaitou Kid sorride, ma la supplica di rispettare la sua volontà. Ran è molto combattuta. 

Ran si alza, esce di scena e ritorna con in mano una cassetta di pronto soccorso e un asciugamano. Preme quest’ultimo sull’addome di Kaitou Kid e lui geme. 

Ran riprende il cellulare e digita un messaggio. Kaitou le afferra di nuovo la mano prima che lo invii. 


KAITOU KID

Se avverti qualcuno… mi metti nei guai…


RAN

(voce ferma, anche se in viso è molto tesa)

Devo sapere quanto tempo abbiamo prima che mio padre e Conan tornino a casa. 


Kaitou Kid annuisce e la lascia andare. 

Risposta sullo schermo del cellulare:


CONAN

Stiamo cercando Kid. È scappato, ma era ferito.

Non so quanto ci vorrà a trovarlo. 


Ran mostra il messaggio a Kaitou Kid. Lui annuisce di nuovo, ma le trattiene la mano.


KAITOU KID

(sorride stanco)

Se non gli rispondi… si insospettirà.


Si scambiano uno sguardo di intesa. Ran digita una risposta.


RAN

Non fate troppo tardi. Domani hai la scuola.

Avvertimi quando state per tornare.


CONAN

Va bene!


Ran mette via il cellulare e apre la cassetta del pronto soccorso. Con l’aiuto di Kaitou Kid gli apre la camicia. Ran è sgomenta alla vista del sangue e del foro di proiettile. Kaitou Kid è molto pallido.


RAN

Io… io non so cosa fare… 


KAITOU KID

(stringe i denti e cerca di tirarsi su)

Non posso… togliermi la maschera così.

(tenta di ridere, ma tossisce. Torna serio.)

Non posso andare in ospedale. Ho bisogno di più tempo…


RAN

(a tratti confusa)

Rischi di morire così! Hai bisogno di un medico!

(scuote la testa, sembra sul punto di piangere)

Shinichi saprebbe cosa fare…


KAITOU KID

Ehi… Sei piena di risorse, principessa… Sono venuto qui perché mi fido di te… e… stai tranquilla… non ho intenzione di morire qui tra le tue braccia… anche se sarebbe molto romantico…


RAN

Non scherzare! Non…


Ran si blocca. Ha l’espressione di chi ha avuto un’idea. Riprende il cellulare. 


RAN

Posso chiamare il dottor Araide… lui è… è una persona affidabile.


Ran guarda Kaitou Kid in viso cercando la sua approvazione. 


KAITOU KID

(mentre le stringe la mano)

Mi fido di te. 

Ma ho una condizione… Se accetta… prima che arrivi mi devi aiutare… a sembrare qualcun altro. 




INTERNO - AGENZIA INVESTIGATIVA - NOTTE

La stanza è illuminata da una piccola lampada puntata direttamente su Kaitou Kid.

Kaitou Kid ora è ancora sul pavimento. Ha un braccio sulla fronte e respira lento, affaticato. Non ha più la giacca bianca e la cravatta, solo la camicia scura, aperta e macchiata di sangue. La tuba bianca e il monocolo sono spariti e i suoi capelli sono pettinati come quelli di SHINICHI. 

Il dottor ARAIDE TOMOAKI è in ginocchio di fianco a Kaitou Kid e sta visionando la ferita. Ran è dall’altro lato. Osserva tutto in silenzio, anche se è visibilmente preoccupata e non a suo agio. 


ARAIDE

Il proiettile è uscito… non ha colpito organi… 

(guarda verso il viso del ragazzo) 

Sei fortunato… Kudou.


Kaitou Kid annuisce.


RAN

Può aiutarlo?


ARAIDE

(guarda i due ragazzi, prima lei, poi lui)

Ci sono molte cose che possono andare male senza la sicurezza di essere in ospedale…


SHINICHI (KAITOU KID)

L’ospedale non sarebbe un posto sicuro…


Il dottor Araide corruga la fronte. Poi guarda verso Ran. 


ARAIDE

Il detective Mouri e il piccolo Conan dove sono?


RAN

Sono… sono fuori… per un caso…

(guarda verso Kaitou Kid)

Torneranno più tardi… ma non devono sapere… 


ARAIDE

È una situazione importante.


SHINICHI (KAITOU KID)

(afferra Araide per il polso)

Dottore… faccia quello che può. Ho chiesto io a Ran di aiutarmi… ma non posso farmi vedere da nessuno… non è sicuro.


Araide scuote la testa. 


ARAIDE

Va bene, ho capito. Non posso lasciarti in queste condizioni. 


Sia Ran sia Kaitou Kid sembrano più sollevati. 


ARAIDE

Ran, avrò bisogno di assistenza. Te la senti?


L’espressione di Ran si fa determinata e assentisce. Araide apre la propria valigetta e le passa dei guanti. 


ARAIDE

(guarda verso il viso di Kaitou Kid)

Non trattenere il dolore. Se senti che c’è qualcosa di strano dimmelo, intesi? 


Kaitou Kid esibisce un sorrisetto.


SHINICHI (KAITOU KID)

Agli ordini, Doc.




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - CAMERA DI RAN - NOTTE

Shinichi (Kaitou Kid) è sul letto di Ran, dal lato verso il muro, e dorme. Non è del tutto rilassato in volto. Araide lo osserva e poi scuote la testa, portando l’attenzione su Ran. 


ARAIDE

Non sono d’accordo con questa sistemazione. Al di là del fatto che non trovo etico nasconderlo in camera tua… Sarebbe meglio tenerlo in osservazione in clinica. È privata… e parlerei io con le infermiere per avere tutta la discrezione possibile. 


RAN

(guarda verso Kaitou Kid)

Mi dispiace chiederle questo… ma lui si fida di me… 

(guarda verso Araide)

Starà bene?


ARAIDE

È fuori pericolo, ma se noti che riprende a sanguinare copiosamente dovrai chiamare subito un’ambulanza…


Ran annuisce, anche se con difficoltà. 


ARAIDE

(sospira)

Ha bisogno di molto riposo e dovrò venire a controllare l’andamento della ferita. Pensi di tenere il detective Mouri all’oscuro di tutto?


Ran è davvero stanca e provata, ma raddrizza la schiena. Esce dalla stanza, seguita dallo sguardo del dottore, e torna poco dopo. Mette in mano ad Araide un piccolo mazzo di chiavi.


RAN

(guardandolo negli occhi)

Domani io e Conan saremo a scuola, mentre mio padre alle nove sarà fuori per una visita medica. Potrebbe passare domani mattina?

(abbassa il viso)

Mi dispiace averla coinvolta, ma… (tentenna) Shinichi sta lavorando a un caso davvero importante e pericoloso… e non può dire niente… 


Araide chiude le dita intorno alle chiavi e se le mette in tasca. 


ARAIDE

(abbozza un sorriso comprensivo)

Conta su di me. 

Ma se la ferita si dovesse aggravare… dovremo trovare un altro compromesso. Ok?


Ran annuisce. 

Si sente la suoneria di un cellulare. Ran estrae il proprio dalla tasca. Sullo schermo c’è la notifica di un nuovo messaggio.


CONAN

Nessuna traccia di KID. 

Appena Kogoro-ojiisan finisce di parlare con gli ispettori torniamo a casa.


Ran si mostra allarmata, guardandosi intorno. 


RAN

Mio padre e Conan potrebbero tornare a momenti. Dottor Araide… 


ARAIDE

Prendo le mie cose e vado via. Sei sicura di cavartela? 


Ran fa cenno col capo di sì. 


ARAIDE

Domani lascerò una prescrizione e i farmaci che deve assumere. Hai il mio numero per qualsiasi dubbio… e puoi venire nel mio studio a scuola, se avessi bisogno di parlare, d’accordo? 


Araide poi guarda di nuovo verso Shinichi (Kaitou Kid). 


ARAIDE

Mandami il suo numero di telefono appena puoi, così domani mattina lo chiamo prima di arrivare. 


RAN

Lo farò. 


Il dottor Araide si congeda. 




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - INGRESSO - NOTTE

Ran apre la porta portando con sé il secchio e gli stracci con cui ha ripulito il pavimento sporco di sangue dell’agenzia investigativa. Rapidamente va in bagno, svuota il secchio e butta le pezze in un sacchetto. Controlla il cellulare. La sua espressione è tirata mentre osserva l’ultimo messaggio di Conan e l’orario. 

Ran si spoglia, mette i vestiti sporchi di sangue di Kaitou Kid nello stesso sacchetto e poi si fa una doccia veloce. 

Quando esce, sente l’arrivo di un nuovo messaggio e controlla.


CONAN

Tuo padre si è voluto fermare al konbini sotto casa… 

Vuoi qualcosa? 


Ran è presa dal panico. Si guarda intorno, poi inizia a digitare velocemente. 


RAN

Servono le uova per gli obento di domani e anche i wurstel. Prendete il riso, il latte e i succhi di frutta per la tua merenda. Anche il preparato per il miso. E papà ha finito la schiuma da barba. Ricordagli che domani ha la visita medica, non vorrà andarci trasandato. E deve prendere anche le mascherine. 


CONAN

Ma le uova le abbiamo comprate ieri 


RAN

Servono. Vuoi cucinare tu? 


CONAN

Le prendiamo!


Ran respira profondamente, poi esce dal bagno con il sacchetto dei vestiti sporchi. Va verso la propria camera e si affaccia, tenendosi l’asciugamano stretto addosso. È un po’ rossa sulle guance. Vede Kaitou Kid e constata che dorme. Quindi entra, infila il sacchetto sotto il letto e recupera il necessario per vestirsi, tornando in bagno.  




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - INGRESSO - NOTTE

Ran sente il padre e Conan per le scale. Apre la porta prima che lo facciano loro. I due sobbalzano. 


RAN

Ero preoccupata, avete fatto tardissimo! 


KOGORO

(visibilmente seccato) 

Accidenti, Ran, mi hai fatto comprare mezzo konbini! E lo sai che quando c’è di mezzo un colpo di Kaitou Kid finisce sempre per essere casino! Tieni!

(le mette le sportine in mano)

Sono stanco, vado a dormire. 


Dietro di lui, Conan si sta guardando intorno con delle occhiate incuriosite. Ran lo osserva. 


RAN

C’è qualcosa che non va?


CONAN

C’è odore di candeggina?


RAN

(abbozza un’espressione esasperata)

Per la preoccupazione mi sono messa a fare le pulizie. Non so mai cosa potrebbe succedervi… avevo bisogno di fare qualcosa di utile. 


CONAN

Ok… 


RAN

(lo spinge verso il bagno)

Avanti! Io sistemo la spesa, tu vai a lavarti i denti! È davvero tardi e domani c’è scuola! Non dovresti essere ancora sveglio!


CONAN 

Sì, sì…



INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - CAMERA DI RAN - NOTTE

Ran si chiude la porta alle spalle, girando la chiave. La stanza è al buio, c’è pochissima luce esterna che filtra dalle tende tirate. Camminando piano, Ran si avvicina al proprio letto e si siede. Rimane ferma e ascolta il silenzio. Il respiro di Kaitou Kid è profondo e regolare. 

Ran sospira profondamente. Piano, si stende sul materasso, restando su un fianco e sul bordo, evitando di toccare Kaitou Kid. Chiude gli occhi. 




GIORNO DOPO

INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - CAMERA DI RAN - MATTINA PRESTO

Penombra. Ran si sveglia, ma è ancora rintontita dal sonno. Prova a rigirarsi nel letto ma sfiora Kaitou Kid. La ragazza sobbalza appena e si blocca, fissando l’interno della stanza. Stringe il cuscino ed è rossa in viso. 

Kaitou Kid è arruffato dalla notte e non assomiglia più così tanto a Shinichi. Sfrutta la penombra per nascondere il più possibile la propria fisionomia. 


KAITOU KID

(voce ovattata)

Buongiorno, principessa…


RAN

(sussurro tentennante)

Come ti senti?


KAITOU KID

Come se qualcuno mi avesse sparato…


RAN

Non è divertente… 


KAITOU KID

Hai ragione, la mattina prima del caffè il rischio di umorismo macabro è più alto. 


Ran non risponde.


KAITOU KID

Ti ho sporcato di sangue mezza casa e non mi hai ancora chiesto come mi chiamo.


RAN

Non… non era importante. Temevo che…


Ran fissa un punto del pavimento con l’espressione segnata dai pensieri e dai ricordi. Kaitou Kid si muove, ma Ran resta in silenzio e respira profondamente, immobile. 


KAITOU KID

Scusami, ti ho spaventata. Ma sei stata eccezionale.


Ran arrossisce, senza girarsi. 


RAN

Perché sei venuto qui?


KAITOU KID

Sapevo di potermi fidare. (sospira) Tristemente, non sapevo da chi andare per farmi aiutare.


RAN

I tuoi complici…?


KAITOU KID

Fuori città per una incombenza. Non mi aspettavo che ci fosse una trappola ad aspettarmi.


RAN

Sai chi ti ha sparato?


Kaitou Kid rimane in silenzio per qualche secondo. 


KAITOU KID

A questo è meglio che non risponda.


Ran sbuffa e stringe di nuovo il cuscino. Ha la fronte corrugata, ma poi stempera un po’ l’espressione in una demoralizzata.


RAN

Perché siete tutti così?


Kaitou Kid non risponde. 


RAN

Credevo che i tuoi colpi fossero per il tuo puro divertimento. 


KAITOU KID

Mi piacerebbe dire così, ma se potessi divertirmi mi darei a degli spettacoli di magia e basta…


Ran resta in silenzio e poi fa per dargli una sbirciata, ma si blocca. 


RAN

Non è che tu… sei davvero Sanada?


Kaitou Kid rimane un attimo perplesso, per poi ridere, ma geme e si tasta la zona dove il dottor Araide lo ha medicato.


KAITOU KID

No. (ride) Sanada è bravo, ma non regge il confronto con me. Perché mi associ a lui? Non sono così vecchio! 


Ran sbuffa. 


RAN

Perché ti prendi certe confidenze come se ci conoscessimo… Continui a travestirti da Shinichi…


La ragazza si zittisce e ci riflette un attimo. 


RAN

Sei davvero uguale a lui. Avete la stessa età?


KAITOU KID 

È lui che è uguale a me, prego.


RAN 

Quando sei nato?


KAITOU KID 

Giugno.


Lei ridacchia appena. 


RAN

Shinichi è di Maggio.


Kaitou Kid fa intendere una leggera irritazione permalosa. 


KAITOU KID

Chi ti dice che io non sia nato l’anno prima?


Ran dà l’idea di rifletterci su poi fa segno di diniego con la testa. 


RAN

Penso che tu abbia la nostra età…


KAITOU KID

Un attimo fa mi hai chiesto se fossi Sanada!


Ridono entrambi, quando il cellulare di Ran inizia a vibrare e si bloccano. Ran lo recupera al volo ed è solo la prima sveglia. 


RAN

Devo alzarmi… tra poco si sveglieranno anche Conan e mio padre. Devo fare avanti e indietro dalla camera il meno possibile. Ti porterò qualcosa per la colazione mentre loro saranno occupati a prepararsi, ok?


KAITOU KID

Letto comodo, colazione a letto di nascosto e bella compagnia. Penso che meriti cinque stelle.


RAN

(ridendo)

Ma finiscila.


KAITOU KID

(con tono più serio)

Sicura che il piccoletto non sospetterà nulla?


Ran si è messa seduta e lo sbircia da sopra la spalla.


RAN

Lo distrarrò… e mi dovrai anche questa.


KAITOU KID

Yes, ma’am.



INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - MATTINA

La TV è accesa e Kogoro sta borbottando qualcosa mentre fa zapping. Ran sta sistemando le cose usate della colazione, ma continua a lanciare occhiate verso Conan che si sta guardando intorno più spesso del solito. 


RAN

Non ti è piaciuta la colazione?


Conan sobbalza e agita le mani.


CONAN

No, no, era tutto buonissimo, Ran-neechan! Come sempre!


RAN

Allora sbrigati e finisci di prepararti. Vorrei arrivare con qualche minuto d’anticipo a scuola. 

(si volta verso il padre)

Papà, smettila con la TV! Farai tardi per la visita medica!


KOGORO

(sbuffa)

Seh, seh…


Tutti si muovono. Kogoro va verso il bagno, Conan verso la camera, anche se si guarda di nuovo in giro. Incrocia lo sguardo con Ran e si infila nella stanza trafelato. 

Ran guarda le porte chiuse e poi va in cucina velocemente. 



ESTERNO - AI PIEDI DEL PALAZZO DELL’AGENZIA MOURI - MATTINA

Ran, vestita con la divisa scolastica e la cartella in mano, sente il cellulare vibrare. 

Sullo schermo c’è la notifica di un messaggio. 


Numero sconosciuto (KAITOU KID)

Colazione approvata.

Potrei abituarmi.

Passa una buona giornata, principessa. 

PS: mi hai salvato la vita.


Ran digita una risposta, sorridendo. 


RAN

Se hai bisogno di qualcosa, scrivimi. 

Cerca di riposarti. 

Ti mando il numero di Araide-sensei. 

Passerà a controllare come stai.


CONAN

(solo voce)

Chi è, Ran-neechan?


Ran è colta alla sprovvista e abbassa lo sguardo sul bambino.


RAN

È Sonoko! Mi aspetta! 


Conan non sembra convinto. Guarda su in cima alla rampa di scale che porta all’appartamento Mouri. Ran tuttavia lo spinge dalle spalle perché si incammini. 


RAN

Andiamo, andiamo! 




ESTERNO - ZONA RIPARATA NEL CORTILE DEL LICEO TEITAN - MEZZOGIORNO

Ran vede arrivare il dottor Araide. È visibile la sua stanchezza e la sua aria di disapprovazione. Quando però le arriva davanti le sorride. Alza una mano e mostra la chiave di casa Mouri e l’intenzione di restituirla. 


ARAIDE

Mi sono sentito un ladro. 


Ran alza la mano, ma non per riprendere la chiave. Gli fa cenno di tenerla.


RAN

Potrebbe ancora servirle…


ARAIDE

(sospira)

Vorrei non dover sgattaiolare di nuovo in casa tua e del detective Mouri in questa maniera… Mi sono permesso di portargli dei vestiti vecchi per stare più comodo.


Annuisce e si rimette in tasca la chiave. 


RAN

Grazie, davvero. Come sta… Shinichi?


Il dottor Araide la fissa negli occhi e si denota come fatichi a credere a quella scenata. Scuote la testa. 


ARAIDE

Sta meglio di quel che avevo previsto.  Sei stata di grande aiuto ieri. (sorride) Sei ancora intenzionata a tentare la carriera medica? 


Ran arrossisce e abbassa lo sguardo. Si nota che è ancora colpita dalla vicenda. 


RAN

Ho realizzato stamattina cos’è successo… e non pensavo ce l’avrei fatta.


ARAIDE

È comprensibile. E immagino sia inutile chiederti in cosa si è cacciato Kudou?


L’espressione di Ran è rattristata e tesa. Stringe le dita delle mani tra loro. 


RAN

Non lo so.


Il dottor Araide si mostra comprensivo. Le appoggia un palmo sulla spalla.


ARAIDE

Tornerò anche domani a vedere come sta. Per qualsiasi cosa chiamami, anche di notte. 


Ran dà l’impressione di essere sul punto di commuoversi. 


RAN

Grazie, davvero. 


ARAIDE

Dovere. Ma dimmi… Conan non lo ha scoperto? 


RAN

(sospira)

Ancora no per fortuna.


ARAIDE

Sarebbe così grave se lo sapesse? Credevo fossero parenti. 


Ran guarda altrove.


RAN

È meglio che non lo sappia. Non… non voglio farlo preoccupare.


Il dottor Araide annuisce. 

Si avvicinano alcune studentesse. 


STUDENTESSA 1

Scusate… Dottore, possiamo parlarle? La mia amica non si sente molto bene.


ARAIDE

Certamente. Andiamo in infermeria.


Il dottor Araide accenna un saluto a Ran con la testa. Lei ricambia. 


ARAIDE

(rivolto alla STUDENTESSA 2, voce che va svanendo)

Vuoi intanto dirmi come ti senti?





GIORNO DOPO

INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - STANZA DI KOGORO E CONAN - MATTINA 

Conan è sdraiato nel proprio futon, senza occhiali. Sta fissando il soffitto con la fronte contratta.


CONAN (V.O.)

L’odore della candeggina… e quella macchia di sangue sulle scale… il comportamento di Ran… Possibile che KID…


Conan scuote la testa, strizzando gli occhi. Recupera gli occhiali e si alza.


CONAN (V.O.)

Ran uscirà con Sonoko e Sera più tardi… Lo zietto ha la gita con quelli del vicinato… 


Si affaccia dalla porta della camera e osserva il resto dell’appartamento. C’è silenzio. 


CONAN (V.O.)

Ran dovrebbe già essere sveglia…


Guarda verso la porta della stanza di lei e la raggiunge. Prova ad appoggiare l’orecchio e sentire, ma non arrivano rumori. Bussa.


CONAN

Ran-neechan? Sei sveglia?


Nessuna risposta. Conan prende un respiro profondo e si attacca alla maniglia della porta, ma questa non si apre. Prova una seconda volta. 


CONAN (V.O.)

Non può essere vero…


CONAN 

(petulante)

Ran-neechan ho fame! Non fai la colazione?


Ancora silenzio dalla stanza. Conan prova a riaprire.


RAN (dalla stanza)

Conan-kun, sono sveglia! Mi devo cambiare, non tentare di entrare! Arrivo!


Conan sobbalza e lascia andare subito la maniglia. 


CONAN

O-Ok… aspetto…




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - STANZA DI RAN - MATTINA


KAITOU KID (imitando RAN)

… non tentare di entrare! Arrivo!


CONAN (da fuori)

O-Ok… aspetto…


Nel letto, Kaitou Kid è sveglio, mentre Ran ancora dorme, più rilassata della sera prima. Il ragazzo indossa una felpa scura con il cappuccio tirato su. 

Kaitou Kid impreca sottovoce, poi inizia a scuotere Ran per svegliarla. Quando lei reagisce, lui le mette il palmo sulla bocca. Sono faccia a faccia. Ran sgrana lo sguardo, ma Kaitou Kidd accenna alla porta. 


KAITOU KID

(sussurrando)

Il nanerottolo è sveglio e sta lagnando per la colazione. Ha tentato di entrare.


Ran annuisce e lui la lascia andare. Lei recupera il cellulare e vede che sono le sette. Sospira sconsolata, iniziando ad alzarsi. 


RAN

(sussurrando)

Ti porto la colazione appena possibile. 


Kaitou Kid le lancia un bacio volante che la fa arrossire. Ran scuote la testa e poi si prepara a lasciare la stanza. 




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - SOGGIORNO - MATTINA

Kogoro si sta finendo di infilare una giacca più sportiva del solito e recupera uno zainetto. 


KOGORO

Allora io vado. Torno stasera dopo cena, ok? Il cellulare forse non prenderà. 


Ran gli porge un sacchetto.


RAN

Qui c’è l’o-bento con un uovo extra. Cerca di non bere troppo come tuo solito…


Kogoro fa un gesto come a scacciare una mosca.


KOGORO

Dobbiamo parlare di questioni serie! 


Conan, mentre anche lui finisce di infilarsi la giacca, lo guarda poco convinto.


CONAN (V.O.)

Se sono le questioni serie dell’ultima volta che siamo andati a riprenderlo con l’ispettore Takagi perché era troppo ubriaco… 


Kogoro esce per primo. Ran si volta verso Conan. 


RAN

Per che ora pensi di tornare?


CONAN

(esagerando il tono allegro e allargando le braccia)

Il dottor Agasa ha detto che ha un mucchio di nuove invenzioni da mostrarci! Potrei anche cenare lì!


RAN

Se pensi di tornare per cena però avvertimi, così ti faccio trovare qualcosa.


Conan recupera il proprio skateboard.


CONAN

Va bene, Ran-neechan! A dopo! 


Ran lo saluta e rimane a fissare la porta chiusa anche dopo che Conan è andato via. Aspetta qualche secondo ancora, poi finalmente si volta e va in cucina. 




INTERNO - APPARTAMENTO MOURI - CAMERA DI RAN - MATTINA

Ran è tornata in camera propria portando un vassoio con sopra una colazione extra. Kaitou Kid si è messo seduto sul letto, la schiena contro la parete, e da l’idea di star cercando una posizione comoda, mentre con una mano si tasta l’addome all’altezza della ferita. Mantiene il cappuccio calato in testa.


KAITOU KID

Ci ha scoperti?


RAN

(sospirando)

No, aveva fame e voleva prepararsi per uscire.


KAITOU KID

(ridacchiando)

Ho imparato che non c’è mai da sottovalutarlo.


Ran rotea gli occhi. 


RAN

Mi hai costretta a diventare tua complice.


KAITOU KID

Ogni tanto qualche segreto è divertente. Puoi usarlo contro quelli del tuo ragazzo.


Ran avampa e incrocia le braccia, ma non ribatte. Cambia espressione, ammorbidendola.


RAN

Come ti senti?


KAITOU KID

Sempre come se avessi un buco nello stomaco, ma molto meglio. 


Ran annuisce, abbozzando un sorriso. 


RAN

Io esco tra poco.


Kaitou mette su il muso. 


KAITOU KID

Perché non resti a farmi compagnia?

Mi annoio.

 

RAN

Non so cosa fai di solito, o chi sei, ma… non hai nessuno che puoi contattare?


Kaitou Kid stira le labbra in un sorriso amaro, mentre continua a consumare la colazione. 


KAITOU KID

Ho dovuto dire che sono partito per Las Vegas per un’emergenza familiare. Nessuno dei miei… amici sa chi altro sono.


RAN

La tua famiglia si trova a Las Vegas?


Kaitou Kid rallenta la masticazione e lancia una lunga occhiata alla ragazza. 


KAITOU KID

Mia madre. Vive lì. Mio padre è morto anni fa. Ufficialmente è stato un incidente, ma fu assassinato.


Ran si porta una mano alla bocca.


RAN

Scusami.


Lui fa spallucce, fissando la colazione. 


KAITOU KID

È successo molto tempo fa.


RAN

(tentennante ma curiosa)

Il fatto che… ecco, sei un ladro… ha a che fare con quello che è successo?


Kaitou Kid la guarda colpito e poi sorride divertito.


KAITOU KID

Il tuo ragazzo ti sta influenzando troppo. Pensavo volessi diventare un’infermiera, non una detective.

Ran arrossisce. 


RAN

Come fai sapere che cosa voglio fare?!


Kaitou indica i libri sulla sua scrivania. 


KAITOU KID

Te l’ho detto, mi annoio. Ho sbirciato un po’ la tua scrivania. Libri di preparazione ai test d'ingresso a medicina. E la tua inclinazione a voler aiutare gli altri. Sì, è vero che anche un medico di base lo fa, ma sembri più il tipo di persona che vuole agire.


Ran si rilassa. 


RAN

Anche tu te la cavi con le deduzioni.


KAITOU KID

Sono circondato da troppi detective e cado nella trappola del loro fascino.

 

Ran ride sinceramente divertita, per poi allungarsi a togliergli un chicco di riso cadutogli sulla felpa. Il cellulare di Ran inizia a vibrare e sul display compare il nome di Sonoko.


RAN

Sonoko! Esco tra poco, ok?


Mentre parla, Kaitou Kid attira la sua attenzione con qualche trucchetto di magia che la fa ridere. 


SONOKO

Eh? Perché ridi? Cos’ho detto?


RAN

No, scusami! La TV… mio padre ha lasciato la TV accesa ed è passata una cosa buffa! Allora ci vediamo di sotto al caffè!


Kaitou Kid fa apparire una rosa mentre lei finisce la chiamata. 


RAN

(ridacchiando e accettando il fiore)

Tu vuoi che ci scoprano.


KAITOU KID

È il brivido del rischio. E poi è bello vederti ridere.


Ran sospira.


RAN

Per un po’ di tempo ho pensato che non fossi altro che un criminale approfittatore.


Kaitou Kid fa una faccia fintamente offesa.


KAITOU KID

Criminale no, approfittatore meno che mai. Sono bravo a gestire le situazioni.


RAN

Ma sei un ladro…


Kaitou per tutta risposta fa apparire la gemma dell’ultimo furto, depositandola in mano a Ran che la guarda con tanto d’occhi. 


KAITOU KID

Però restituisco sempre tutto. Anche se questa volta ci metterò un po’ più di tempo.

 

Ran gli ridà la gemma, preferendo rigirarsi tra le dita la rosa. 


RAN

Stai cercando qualcosa in particolare?

 

Kaitou Kid annuisce, facendo risparire la gemma. 


KAITOU KID

Sarebbe semplice da spiegare, ma poi saresti nel mirino come me… e il tuo ragazzo non me lo perdonerebbe.

 

Ran stringe lo stelo della rosa. 


RAN

Non dipendo da Shinichi.


Kaitou alza le mani e abbassa la testa a mo’ di scusa.


KAITOU KID

Hai ragione, era fraintendibile. Ma… vorrei evitare di inimicarmelo più del dovuto. Penso che un giorno potrei trovarmi a chiedergli aiuto per questa faccenda e già sarà difficile convincerlo, proprio perché mi vede come un criminale.


Ran prende un lungo respiro. 


RAN

Shinichi ti stima. Riesci a tenergli testa e questo stimola quel suo cervello iperattivo. E poi tu sembri abbastanza bravo con le parole da poterlo incastrare.


KAITOU KID

(ridacchiando)

Grazie del complimento.


Ran lo squadra.


RAN

Siete simili. Entrambi con questi segreti… Non lo vorresti dire a qualcuno? A qualcuno a cui tieni?


Kaitou si fa un po’ malinconico. 


KAITOU KID

Penso che potrei deluderli profondamente. Anche se prima o poi dovrò confessarlo… se questa cosa non finirà prima e bene.


Il ragazzo appoggia le bacchette sul vassoio, per poi cercare lo sguardo di lei. Gli spunta un sorriso più genuino.


KAITOU KID

Però ammetto che trovare qualcuno con cui parlarne alleggerisce la tensione. Grazie.


Ran però resta malinconica, osservando la rosa. 


RAN

Shinichi avrà qualcuno con cui parla del caso di cui si sta occupando? E che lo aiuta a… (si rabbuia) 


Ignorando il dolore, Kaitou cerca di avvicinarsi 


KAITOU KID

Ehi, non volevo metterla su questo piano. Conosci Kudou meglio di chiunque altro, avrà delle ragioni valide per tacere. Penso, ecco, che non voglia saperti in pericolo…


Ran scuote la testa, fissandosi le mani poggiate in grembo che ancora stringono la rosa. 


RAN

Probabilmente non avrei le capacità per aiutarlo, ma potrei… potrei sostenerlo. Stare dalla sua parte. Se solo me ne desse l’opportunità.


Kaitou Kid allunga la mano e le alza il mento con un paio di dita, portandola a guardarlo negli occhi. 


KAITOU KID

Ehi. Non sei da meno di nessun’altra persona là fuori che conosce i segreti di Kudou. Ho vagamente idea di cosa passi per la sua testa in questo momento e posso capirlo perché so cosa significa tacere e rischiare per il bene delle persone che amo, ma non posso ignorare neanche il tuo desiderio di essere messa al corrente di quello che gli sta succedendo… 

Non posso dire che cosa farei io perché in realtà l’ho fatto due giorni fa piombando qui, fregandoti con quella telefonata… sì, in effetti, ho approfittato di te e della tua gentilezza e non me ne pento. Ma il timore di essere stato seguito ce l’ho avuto. Di aver fatto un errore di calcolo a venire qui, rischiando di coinvolgerti… e non me lo sarei mai potuto perdonare.

Non voglio che qualcuno si faccia male per colpa mia. Non voglio che qualcuno che mi aiuta rimanga coinvolto… e credo che sia un po’ questo che Kudou pensa. 


Ran è senza parole e finisce con l’asciugarsi un paio di lacrime agli angoli degli occhi. 


RAN

Io… grazie. Anche se non sono sicura…


KAITOU KID

Non importa. Non deve esserci per forza una risposta. (muta espressione in una più allegra) Forza, Suzuki-san ti aspetta, se la fai preoccupare verrà qui e io ora non avrei la forza per resistere alle sue avance.


Ran scoppia a ridere, anche se è un mezzo singhiozzo. Si alza, ma Kaitou Kid la trattiene appena, sfilandole la rosa di mano.


KAITOU KID

A questa ci penso io, non hai bisogno di altre preoccupazioni. 


RAN

Per qualsiasi cosa chiamami, ok? Posso tornare a casa in pochi minuti. E passerà di nuovo il Dottor Araide.


Kaitou Kid si risdraia, mascherando una smorfia. 

 

KAITOU KID

Starò una pacchia. Hai un letto molto comodo e profumato.


RAN

(imbarazzata)

P-Piantala! 


KAITOU KID

(sorridendo raggiante)

Mai!


Ran sbuffa, recupera il vassoio della colazione ed esce. 




[CONTINUA NEL POST SUCCESSIVO]

sidralake: (Default)
 

COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Ghiaccio
Numero parole: 1026
Rating: Verde
Warning: //
Note: ot3 Kaitou/Ran/Shinichi



Shinichi starnutì e, per l'ennesima volta, ripensò a che pessima idea fosse stata. Fissò le schiene delle due persone che lo avevano trascinato lontano dal calduccio del suo salotto e del suo libro giallo. Era impossibile odiarli davvero, ma detestarli un pochino e continuare a tenere il muso lungo era un suo sacrosanto diritto.

“Dicono che tra un’ora ci saranno i fuochi d’artificio! Potremmo vederli dalla pista!” si esaltò Ran, tornando dal detective con in mano i biglietti per la tortura a cui volevano sopporto. 

“Wow, come se non li avessimo mai visti” bofonchiò Shinichi, cercando di mantenere il broncio anche quando Ran gli si strinse a un braccio e sentì la morbidezza del suo seno attraverso gli strati di vestiti e giacca. 

“Però non li abbiamo mai visti tutti e tre insieme!” puntualizzò Kaitou, appendendosi all’altro suo braccio e portandosi a davvero un solo centimetro dal suo viso. “Se non conti le volte in cui io facevo i colpi, tu mi rincorrevi sullo skateboard e Ran-chan si preoccupava che tu non tornassi con qualche osso rotto. Qualche fuoco d’artificio c’è stato…” aggiunse sottovoce, con un ghignetto perfido. 

Rosso in viso, Shinichi lo guardò malissimo, accostandosi di più alla ragazza, cercando una sorta di rifugio. 

“Sei pessimo.” 

“Dico solo alla verità, no?” e la frecciatina fu palesissima. 

“Smettetela di litigare” sbuffò Ran. “Siamo arrivati!” 

E davanti a loro si estendeva la pista da pattinaggio, già occupata da una discreta folla di gente, adulti e bambini, tutti chiacchierini o urlanti. 

“… perché siamo venuti?” si lamentò ancora Shinichi, infilandosi i pattini di malavoglia. “Fa un freddo cane…”

“Perché stavi facendo la muffa sul divano” intervenì Kaitou, dandogli una pacca sulla schiena che rischiò di mandarlo lungo mentre saggiava il ghiaccio con la lama. Ran impedì che finisse per terra, sospirando. 

“Perché non facciamo mai niente tutti e tre insieme! Voi due siete sempre impegnati con i vostri… hobby” definì, guadagnandosi due occhiate non contente quasi identiche, ma che ricambiò con uno sguardo che avrebbe potuto mangiarli. “E io sono stanca di avere sempre buca!” 

“Motivo per cui la Principessa mi ha pagato in natura per sequestrarti il cellulare e spegnertelo” aggiunse Kaitou, mostrando la refurtiva e facendo sobbalzare Shinichi, che si tastò le tasche, constatando che no, non aveva più il telefono. 

“Che intendi dire con pagato in natura!?” sbraitò invece, arrossendo e guardando male i due. Anche Ran divenne vagamente rosa. 

“Oh, andiamo, gliel’ho solo chiesto per favore…” 

“Con un bacio” finì Kaitou, picchiettandosi le labbra con un dito. “È stata molto persuasiva.”

Shinichi era sconvolto e tradito. Mise di nuovo il muso lungo, incrociando le braccia e facendosi solo trascinare sulla pista, scivolando sul ghiaccio come un gatto restio imbrigiato in un collare con guinzaglio. 

“Il Re fa il difficile” cantilenò Kaitou, piroettando intorno ai due. 

“Volevamo solo rilassarci e stare tutti e tre insieme, senza che qualcuno ti chiami per un omicidio… una volta tanto” cercò di spiegarsi Ran, abbattuta nel tono. Shinichi le lanciò un’occhiata, finché non si sgonfiò. 

“Basta che mi chiedi di spegnere il cellulare, senza che lui se ne approfitti.” 

“Ricevere un bacio dalla propria ragazza è approfittarsene?” ribatté il ladro, finalmente pensoso. “Puoi compensare dandomene uno anche tu.” 

“Non è questo il punto!” sbuffò Shinichi, bloccando Kaitou dal continuare a girargli loro intorno come la colomba che era, ma divenne rosso, in evidente imbarazzo per quello che avrebbe voluto dire.

“Sì?” lo incalzò Kaitou, sbattendo serafico le palpebre.

“... non lasciatemi fuori da queste cose” borbottò così piano che si perse nelle urla dei bambini, ma il ladro leggeva - e amava - benissimo le labbra. 

“Oh, anche il piccolo Re vuole partecipare ai pagamenti in natura!” 

Shinichi sbuffò esasperato. 

“Con te è tutto sempre all’estrempfhhh” 

E bacio fu, mentre Ran ridacchiava, stringendosi di nuovo al braccio di Shinichi. Il suo colorito stava per arrivare al viola. 

Cosa diavolo fai!?” sbottò rischiando di strozzarsi con le proprie parole, portandosi le mani sul volto in un imbarazzo tale che sarebbe caduto seduto sul ghiaccio, se non fosse stato per Ran. 

“Compenso” ridacchiò Kaitou, portandosi le braccia dietro la testa. “Sembrava ne avessi bisogno. Così siamo a due baci pari per me. Ora potreste essere voi a ricambiare?” 

“Non siamo venuti qui per pattinare e vedere i fuochi?” sviò Shinichi guardando altrove e passandosi le dita sulla bocca senza rendersene davvero conto. 

“Già” convenne Ran, staccandosi per scivolare un po’ sul ghiaccio, senza smetterli di fissarli. “Dopo potremmo andare a prenderci una cioccolata calda, che dite?” 

“Oh!” la raggiunse Kaitou, prendendole una mano e facendole fare una giravolta. “Quindi questo è un appuntamento serio serio! Quindi i baci alla fine, sul portico di casa?” 

Le guance della ragazza erano di un bel rosa acceso che ricordava i petali di un fiore. 

“Lo fai sembrare un telefilm!” 

“L’importante è che non mi dici di no” e le fece l’occhiolino, per poi tornare a guardare il suo detective. “Ti unisci a noi o hai bisogno di un altro incentivo? Sono molto bravo anche con le palpate, oltre ai baci!” 

Shinichi li raggiunse roteando gli occhi al cielo. 

“Tieni le mani a posto e smettila di frugare nelle mie tasche.” 

“Non c’è più niente che potrei prenderti lì” puntualizzò il ladro, mostrando a palmi aperti che gli aveva già fregato anche il portafoglio, le chiavi e un pacchetto di fazzoletti. 

Il giovane detective fissò le proprie cose e gli regalò uno sguardo esasperato, mentre la ragazza nascondeva una nuova risatina.

“Qualsiasi cosa dirai” lo precedette Kaitou, prima che Shinichi formulasse un pensiero. “Io ti risponderò che ti ho rubato il cuore e non puoi farci niente.” 

“Ma non sai mai quando smetterla di parlare?!” chiese il detective, ritrovandosi di nuovo a distogliere lo sguardo mentre sentiva ancora le guance scaldarsi. Non avrebbe mai potuto davvero provare freddo di quel passo, anche se si fosse sdraiato sul ghiaccio. 

“È più forte di me vedere che effetto ti fa!” 

“Siete impossibili” li riprese Ran, prendendogli entrambi sottobraccio e avvicinandoli a sé. “Basta chiacchiere! Voglio pattinare e poi trovare un bel posto per i fuochi!” 

“Ai suoi ordini, Principessa!” 

Shinichi non riuscì a non sorridere e lasciarsi trascinare. 


sidralake: (Default)
 

COW-T 11, settima settimana, M6
Prompt: 009. Saudade: A deep emotional state of nostalgic or profound melancholic longing for an absent something or someone that one cares for.
Numero parole: 13053
Rating: SAFE
Warning:
Note: 15 anni nel futuro o giù di lì. Haibara non ha mai trovato l’antidoto all’APTX4869 e quindi Shinichi è tornato adulto naturalmente. O meglio, sono passati degli anni, e ora lui ha circa 22 anni e Ran 32.



I know I shouldn't be here but my heart can't stop
Screaming out your name
Screaming out your name

[Try Again - Walking on Cars]



Nella grande hall del palazzo di New York che ospitava una delle società del gruppo finanziario Suzuki, le porte scorrevoli trasparenti d’entrata si erano appena chiuse. Premendo un tasto dalla consolle di controllo della reception, una delle due segretarie presenti bloccò le porte in ingresso. Erano le sei e mezza di sera ed erano già oltre l’orario per le visite. 

“Quel ragazzo proprio non si arrende. Mi fa un po’ di tenerezza” sospirò, osservando la figura che si allontanava dal palazzo a passo misurato, senza voltarsi. 

“Quale ragazzo?” 

“Dai Constance, Quel ragazzo giapponese che se ne è appena andato” spiegò Valery alla collega seduta al pc intenta a chiudere gli ultimi file della giornata. “Avrà credo… una ventina di anni? Parlo di quello che viene qui almeno una volta a settimana!” 

Aah! Intendi il ragazzo che ha sventato l’attacco bomba due settimane fa?” 

“Quello! Se ricordo bene si chiama Shinichi Kudou. È un giovane agente dell’FBI, ma non lo avrei mai detto se non fosse stato per quell’incidente… è stato davvero professionale e coraggioso, sembrava tutta un’altra persona!” 

“Che situazione deve essere stata… per fortuna ero in ferie, penso che sarei rimasta traumatizzata a vita.” 

“Se non ci fosse stato quel ragazzo non starei qui a raccontarlo!” affermò Valery con tenacia, scuotendo la testa. “Ho tenuto in mano il pacchetto con la bomba senza saperlo! Se quel ragazzo non se ne fosse accorto… e se non l’avesse disinnescata! Non voglio pensarci.” 

“Eh, ma se dici che è un agente dell’FBI è il suo lavoro, almeno credo. Forse è un artificiere?… anche se è davvero giovane.” 

Valery annuì convinta. “Sembrava uscito da un film!”

“Esagerata…” 

“Dai pettegolezzi che ho sentito è stato coinvolto in operazioni dell’FBI fin da piccolo! Forse per questo ora ne fa parte? Ho sentito dire che gli è bastato dire di voler fare domanda e ha trovato solo porte aperte… e vedessi il suo mentore! Anche lui sembra in parte giapponese, si chiama Akai qualcosa… che uomo! Quarant’anni ma non glieli daresti! Mi ha ricordato il personaggio di quel film che vinse i Macademy anni fa.” 

“Vi siete messi a fare salotto dopo l’incidente!? Come sai tutte queste cose?”

“Pare che sia il capo che la signorina Mouri li conoscano entrambi! Storie del passato in Giappone... Sono rimasti a parlare un sacco mentre gli agenti prendevano le deposizioni, così ho ascoltato un po’!” confessò Valery facendo una mezza linguaccia mentre univa le mani in un finto segno di preghiera. 

“Sei davvero pessima!” 

“Lo avresti fatto anche tu se stessi seguendo dall’inizio questa storia! Saranno quattro mesi che quel ragazzo viene qui sperando di parlare con la signorina Mouri, ma lei continua a evitarlo. È meglio di una telenovela!” 

Constance scosse la testa, spegnendo il proprio computer. 

“Ma come mai la signorina Mouri lo evita? È sempre così disponibile con tutti, riesce a sciogliere persino quelle mummie del consiglio di amministrazione. Eppure l’ho vista più volte rientrare in ufficio o andare a prendere una delle auto aziendali pur di evitarlo!” 

Valery si guardò intorno circospetta, facendo cenno alla collega di avvicinarsi. 

“Meglio se non ci facciamo sentire, ma ecco… quella volta della bomba finalmente la signorina Mouri ha ceduto e gli ha concesso un breve colloquio, credo per via anche dell’altro agente, quell’Akai-handsome che ha fatto da intermediario, e be’…”

“E? E? Non lasciarmi sulle spine!” 

“Non ho sentito e capito molto, ma si sono messi a litigare. Lei sembrava davvero ferita e arrabbiata, lui ha fatto di tutto per spiegarsi. A una certa hanno iniziato a parlare in giapponese e io sono un po’ arrugginita, ma ecco…” 

“Mi stai facendo morire di curiosità! Ecco cosa? Cosa si sono detti?

A Valery brillarono gli occhi. 

“Lui le ha detto Sono innamorato di te da quando avevamo quattro anni! Mi sono emozionata a sentirlo!”

“Oooh! Scherzi!?”

“No, per niente! Era convintissimo! Ma la signorina Mouri non ha più parlato dopo quell’uscita. È rimasta solo per dare le formalità sul caso.” 

Constance sospirò, appoggiando il viso alla mano, guardando rimuginante la collega.

“Però… sei sicura di aver capito bene? Hai detto che quel ragazzo, Shinichi, avrà una ventina d’anni, mentre la signorina Mouri, be’, è sempre bellissima, ma ne ha fatti trentadue quest’anno… È impossibile che siano cresciuti insieme.”

“Vai a capire, i giapponesi non sembrano davvero invecchiare per anni, poi lo fanno tutto di botto… La madre della signora Suzuki va per i sessanta e ne dimostra ancora quaranta!” 

Entrambe si concessero una breve risata.

“Hai ragione…” concordò Constance. “Fa solo strano pensare che quel ragazzo in realtà abbia la stessa età della signorina Mouri.”

“Comunque, non è questo il punto!” specificò Valery, facendo segno di no con l’indice. “Quello Shinichi viene qui ogni volta sperando di parlarle perché è innamorato perso! Non è romanticissimo?” 

Qualcuno si schiarì la voce alle loro spalle, facendole sobbalzare. 

“Signorine pettegole… di che state parlando invece di lavorare?” 

Constance e Valery scattarono entrambe in piedi di fronte alla donna che le aveva colte in flagrante, il capo delle risorse umane. 

“Abbiamo finito tutto per oggi! Le porte sono chiuse.” 

Rachel White le fissò con un sopracciglio inarcato. 

“Allora? Non sarà di nuovo la storia di Shinichi Kudou e Mouri-san?” 

Valery arrossì appena, gesticolando. 

“... stavo aggiornando Constance sugli ultimi avvenimenti.”  

“Quali avvenimenti?” ribatté Rachel con un sospiro. “Questa storia va avanti da due anni.”

“Come due anni!?” starnazzarono in sincrono le due segretarie. 

“Voi due non eravate ancora state assunte, ma Shinichi Kudou è sbucato dal nulla due anni fa, al compleanno di Mouri-san.”

“E? Cos’è successo?”

“Non tenerci sulle spine!” 

“Nulla.” tagliò corto la donna. “Non so i dettagli, ma ho visto quello sbarbatello arrivare verso la fine della festa, quando Mouri-san stava litigando con il compagno.” 

Entrambe le segretarie sembrarono cadere dall’albero. 

“La signorina Mouri era fidanzata!?” 

“Sì, anche se non si sarebbe detto.” 

Constance aggrottò la fronte. “Perché? La signorina Mouri è sempre così gentile ed è anche una bella donna.” 

“Ma ha il cuore spezzato” spiegò la maggiore paziente, incrociando le braccia. 

Cosa?” 

“Voi guardate troppe serie tv e non le persone negli occhi, ecco perché ci siamo ritrovati quel dinamitardo nella hall…”

Senpai, lei è qui da quando la signora Sonoko e la signorina Mouri sono arrivate, le conosce meglio di noi!” fece presente Valery, a metà tra un’adulazione e una giustificazione. 

“Non chiamarmi senpai quando ti fa comodo, e ripassata il tuo giapponese o non vedrai mai una promozione. A ogni modo, sì, lavorativamente parlando le conosco dagli inizi, ma non c’entra. Basta osservare Mouri-san quando si rapporta con quelli che ci provano con lei.” 

“In effetti, da quando lavoro qui l’ho sempre vista declinare qualsiasi invito a uscire… ha lo sguardo malinconico…” rifletté Constance con gli occhi rivolti al soffitto.

Per Valery fu come avere la conferma delle proprie supposizioni. 

“Non sarà per via di quel ragazzo di dieci anni più giovane!?” 

“Non confermerò mai nulla, neanche con un assegno in bianco da parte della società” mise in chiaro Rachel anche se con un mezzo sorriso divertito. 

“Però…?” tentarono le altre due, con l’espressione di due bambine che speravano nel gelato.

La responsabile delle risorse umane si arrese, lasciando andare le spalle sconfitta.

“Siete proprio delle ficcanaso” constatò prima di continuare. “Due anni fa, dopo che quel ragazzino è apparso, Mouri-san ha cambiato atteggiamento e ha lasciato il compagno. Si parlava di fidanzamento ufficiale, ma solo Suzuki-san sa i dettagli. Da allora l’unica persona che riceve il suo affetto sincero sembra essere Momo-chan.” 

Valery si poggiò una mano sul petto come se avesse appena ascoltato le sorti di un parente. 

“Ma in due anni… non si sono più rivisti?” 

Rachel alzò le braccia in un gesto di onesta ignoranza. 

“Non conosco la loro vita privata, ma direi di no, da come Mouri-san declina ogni interazione.”

“La signora Suzuki ci ha ordinato tassativamente di non prendergli mai un appuntamento, ma anzi dirgli che l’agenda della signorina Mouri è sempre piena” rincarò Constance scoraggiata.  

“Non sono affari nostri.” 

“Ma anche stasera se ne è andato sconsolato…!” riferì Valery che ormai sembrava aver deciso per chi parteggiare. 

“E ha portato questo vaso bellissimo con questo fiore particolare…” 

Rachel squadrò il regalo in questione. Sorrise rassegnata. 

“È un’orchidea.” 

“E ha un significato romantico?” tentò speranzosa Valery.

Ricevette un’occhiata fulminante. 

“Devo proprio indicare a Suzuki-san di organizzare un corso di aggiornamento di giapponese per i dipendenti.” 

“Ah…!” Valery si illuminò. “Ho capito! Orchidea in giapponese si dice Ran!

“Il nome della signorina Mouri!” comprese Constance. 

La responsabile delle risorse umane recuperò la propria borsa e si avviò verso l’uscita con un ultimo monito. 

“Lo sapete sì che se Suzuki-san vi sente parlare di questa storia vi farà una lavata di capo?” 

“Ma come si fa a restare indifferenti? È tutto così romantico…!” sospirò Valery, accasciandosi sul bancone della reception. 

“Prima o poi dovranno parlare…!” concordò Constance annuendo. 

“Chiudete e andate a casa.” 






Nelle aspettative di Shinichi, sconfiggere l’Organizzazione avrebbe significato sia la fine dell’incubo di dover dormire a occhi aperti, sia il poter tornare adulto. 

Le cose erano andate a metà. 

L’euforia per aver debellato gli uomini in nero scemò nel momento in cui Haibara non trovò i documenti essenziali per la creazione dell’antidoto. I dati erano stati distrutti, non si potevano recuperare. 

“Se l’hai creato una volta, puoi farlo di nuovo! Tu sei un genio!” 

Shinichi doveva essere fiducioso. Credeva nelle capacità di Haibara e aveva bisogno, era fondamentale, che anche lei ci credesse. Tuttavia, nonostante il segno di assenso, glielo lesse negli occhi che non sarebbe stato così. Ignorò il brivido lungo la schiena, pensando che non sarebbe potuta finire così. 



Ci vollero un anno e due mesi affinché Shinichi iniziasse ad accettare che la condizione di Conan fosse irreversibile. 

Un anno e due mesi in cui il suo rapporto con Haibara deteriorò, arrivando al precipizio, quasi a spezzarsi del tutto, come la sua vita dopo l’ultima somministrazione di antidoto sperimentale. 

Dopo una settimana di coma, una montagna di bugie per tenere tutto nascosto sotto un tappeto che ormai aveva le dimensioni di una montagna e l’ennesimo fallimento, le speranze di Shinichi si infransero e la verità si piazzò come un monolite nel suo stomaco. 

Sarebbe rimasto Conan. Per sempre. 

Mi dispiace, Kudou-kun. È tutta colpa mia.” 

Per un attimo Shinichi lo pensò sul serio. Un attimo meschino, pieno di rabbia e di paura, ma ormai erano inutili anche quelle emozioni. 

“Grazie di averci provato, Haibara.” 

Doveva voltare pagina e andare avanti. 



Confessare tutto a Ran fu, ancora una volta, molto lontano da come lo aveva immaginato.

Shinichi avrebbe voluto farlo guardandola negli occhi, alla stessa altezza. Dirle con un sorriso rassicurante e di scuse “Sono tornato, non me ne vado più”.

Fu terribile. 

Dell’orgoglio di aver tolto di mezzo l’Organizzazione dopo un anno non era rimasto che qualche residuo e fu spazzato via come una foglia nel vento. 

“Sono io. Sono sempre stato io…”

Shinichi lo vide nel viso di Ran, nel suo sforzo, nella verità che asciugava ogni colore dal suo viso, di come ingoiò il boccone amaro. Qualcosa si ruppe definitivamente. La comprensione giunse a fatica, l’accettazione rimase sospesa sopra di loro come un cappio in attesa. 

Le ore iniziarono a diventare giorni, i giorni mesi, eppure l’orologio di Shinichi si era fermato. La leggerezza di due anni di menzogne, di Ran-neechan, fu soppiantata dal silenzio, da brevi sorrisi di circostanza, da sguardi che si evitavano, da dita sempre più lontane. 

Prima di comprendere davvero cosa stesse succedendo, si allontanarono l’uno dall’altra.

Il la lo diede Shinichi coi silenzi sempre più rumorosi, ma fu Ran a tracciare la prima linea di confine, facendo ogni volta più tardi al club di karate, o a uscire più spesso per i gruppi di studi dell’università, a trovare un motivo o un altro per passare meno tempo a casa. 

Shinichi non si sentì mai come prima incastrato nel corpo di Conan. Non riusciva a raggiungere Ran né fisicamente né a parole. 

“Resto a dormire da Sonoko. Ci sono i soldi per ordinare la cena.” 

Uh- mh. Ok… salutamela.

Assicurandosi che Kogoro non avesse bisogno di qualcosa - un altro rapporto che la verità aveva inacidito - Shinichi recuperava lo stretto necessario e tornava a casa propria, di nuovo vuota, passando la notte nella biblioteca, nell’unico ambiente che ancora non gli andava stretto e che riusciva a conservare un effetto lenitivo.

Altri due anni passarono così. 

Shinichi capì di essere il grigiore delle giornate di Ran. Rimaneva nei paraggi lo stretto indispensabile per non farla preoccupare - era bastata una discussione dopo essere andato a Osaka senza dire niente a nessuno per farlo ripiombare nei sensi di colpa più cupi - ma, per il resto del tempo, era un prigioniero nella propria mente. 

Si era reso conto di avere un problema nel gestire quando doveva comportarsi da Conan e quando da Shinichi. 

Il mondo esterno non sapeva e avrebbe continuato a non sapere. 

Con la caduta degli uomini in nero solo chi era rimasto strettamente coinvolto e pochi altri erano venuti a conoscenza della verità, ma per il resto, per i conoscenti e gli sconosciuti, Conan rimaneva solo un bambino che somigliava troppo a quel suo parente scomparso.

Tuttavia, era sufficiente che cadesse una penna in un momento di tensione perché quello stesso bambino sparisse e la finzione si infrangesse, lasciando emergere Shinichi con tutta la sua rabbia e il suo dolore per la propria condizione. Non importava che si trovasse in mezzo a persone che non avrebbero mai potuto comprendere perché un ragazzino si comportasse in quel modo.

Nessuno capiva. 

Non c’era nessuno che riuscisse a tendergli davvero una mano e dirgli, sinceramente, andrà meglio

Shinichi non aveva più un obiettivo. 

Non aveva più la propria vita. 

Non aveva più Ran

Erano momenti di crisi che esplodevano come mine in un terreno apparentemente normale, non importava che fosse con Ayumi, Mitsuhiko e Genta, oppure con i suoi o con i detective della prima divisione. 

Nessuno poteva capire quanto avesse perso. 




Chi ci aveva provato davvero a tirarlo fuori dal pozzo di oscurità in cui quella corda chiamata vita continuava a farlo scendere, era stato Heiji. Più precisamente, furono Heiji e Kazuha. 

Lo avevano fatto come avevano sempre portato avanti le loro decisioni, di impulso. 

Il tempo di una chiamata “Ehilà, vi va stasera di portarci a mangiare in un qualche posto buono di Tokyo? Offriamo noi!” e quando, in silenzio, Ran e Shinichi erano scesi in strada, li avevano trovati parcheggiati davanti all’agenzia. Parcheggiati in un minivan stracolmo di scatole. 

“Heiji mi ha convinta che a Tokyo avremo diverse opportunità!” era stata la spiegazione entusiasta, stranamente priva di ogni traccia di incertezza, di Kazuha davanti alla cena. 

“Che hai in mente?” era stato il bisbiglio poco convinto di Shinichi all’indirizzo dell’amico. 

“Ampliare i nostri orizzonti! Terrò il Kansai nel cuore, ma Tokyo ci chiamava.” 

“Piantala e parla chiaro.” 

“Sei il mio migliore amico, Kudou. Anche se dimostri dieci anni o sei alto tre barattoli io voglio esserci e continuare ad aiutarti.” 

A Shinichi passò l’appetito, ma avrebbe mentito se non avesse ammesso che solo quella dichiarazione gli rese più facile dormire la notte. 



Passò un altro anno e Shinichi ebbe l'illusione che andasse molto meglio. 

Il lato più triste, ma doveroso, dopo tanto tempo, fu tornare a vivere nella propria casa. 

Akai aveva dismesso i panni di Subaru ed era rientrato in America dalla caduta dell'Organizzazione; da allora villa Kudou era rimasta di nuovo disabitata se non per i brevi periodi in cui i suoi avevano cercato di convincerlo a tornare a vivere insieme. Shinichi si era ostinato a voler rimanere dai Mouri per una serie di motivi che non stavano in piedi li uni di fianco agli altri, ma con l'arrivo di Heiji e Kazuha la situazione cambiò. 

Come di impulso avevano scelto di trasferirsi dall’altro lato del Giappone, così non si erano preoccupati di trovare un appartamento in cui stare. 

"Tokyo è la città delle occasioni, no?" 

Era innegabile che le uscite di Heiji riuscissero a strappare a tutti loro dei sospiri e un atteggiamento spensierato che da diverso tempo non si respirava più. Fu con quello spirito che Shinichi prese la decisione che avrebbe dovuto intraprendere da diverso tempo. 

"Potete venire a stare da me. Dovrei proprio... tornare a casa mia." 

Ran aveva assentito dopo un lungo momento di silenzio in cui non aveva guardato nessuno dei presenti, le dita strette in grembo. Shinichi sentì l’ennesimo frammento di realtà farlo sanguinare dentro. 

Si era aggrappato alle apparenze fino a quel momento, con egoismo, sperando che qualcosa potesse cambiare anche quando ogni cosa sembrava solo peggiorare di giorno in giorno. 

Il suo rapporto con Ran si era stabilizzato ad alcune abitudini che si potevano contare sulla dita di una mano, ma sapeva di essere un peso sulla sua coscienza. Anni - quelli veri - di un’infanzia lontana, l'essere cresciuti insieme, l'aver provato affetto sincero l'uno verso l'altro, erano il credito che stava mantenendo in piedi tutto tra di loro. 

Ma come ogni cosa che prima o poi finisce, però, anche quei ricordi stavano iniziando a sporcarsi del veleno di accettare, giorno dopo giorno, che nulla sarebbe mai tornato come prima. 

Per questo tornare a casa, e avere come coinquilini Heiji e Kazuha, fu il risvolto che fece prendere fiato a tutti e, in parte, voltare pagina. 

In sostanza, fu l'allontanamento che, paradossalmente, li aiutò a riavvicinarsi. 

Kazuha era il motivo per cui Ran li veniva a trovare, non così spesso come Shinichi aveva sperato, ma meglio di niente. Il suo timore di non rivederla si era un po' quietato, e, in generale, il clima si era intiepidito abbastanza da permettere a entrambi di tornare a essere quella coppia, almeno di amici, capace di ridere insieme delle scenette comiche che Heiji e Kazuha erano soliti tirare sul dal niente. 



La più grande scoperta di Shinichi fu proprio la ragazza del suo migliore amico. 

Fu inevitabile non scambiare qualche chiacchiera vivendo insieme. La loro interazione era cominciata con la curiosità di Kazuha per l'enorme villa dei Kudou, per arrivare pian piano ad argomenti più personali. 

Kazuha aveva quasi rischiato la vita nel gran finale contro l'Organizzazione, seguendo Heiji senza sapere che si sarebbe ritrovata nella tana del lupo. Rivelarle di essere Shinichi era stato necessario nel rush per riuscire a proteggere tutti. Chiederle poi di mantenere il segreto con Ran, nella speranza di un antidoto, aveva incrinato un rapporto già di per sé sottile e non lo aveva messo in buona luce. 

Ciò che aiutò molto Shinichi, e che per niente si aspettava, fu di sapere di non essere odiato da Kazuha, tutt’altro: lei continuava a tifare per il lieto fine, che tra lui e Ran le cose andassero per il meglio. Kazuha fu l'amica di cui Shinichi non sapeva di aver bisogno, ma che lo aiutò a rimanere in piedi quando il terreno iniziò a incrinarsi di nuovo sotto di lui. 



Fu un anno pieno. Iniziò sul finire della primavera e, con l'arrivo di nuovo dell'estate, Shinichi riuscì a guardarsi alle spalle con un piccolo sorriso. Un'ombra del buon umore che aveva un tempo, ma meglio del vuoto costante privo di aspettative. 

Con Heiji al fianco quasi ventiquattr'ore su ventiquattro, lo spazio per l'angoscia, per gli scatti di rabbia e impotenza si erano ridotti in modo drastico, riducendosi a sporadici episodi più simili al cercare quel momento di sostegno in una persona in cui si ha fiducia. 

Insieme avevano deciso di fare da spalla a Kogoro - non senza resistenze da parte di quest'ultimo, ma ancora una volta Heiji era stato il paciere giusto - e mandare avanti l'attività dell'Agenzia Mouri, non senza fantasticare un po' di trovare un proprio studio e costruire qualcosa insieme. Kazuha si era persino sbilanciata ad aggiungere che avrebbe potuto aiutarli con i clienti, se necessario. 

Se non fosse stato per loro due, Shinichi non sarebbe sopravvissuto all'ennesimo sgambetto del destino. 



"Sonoko mi ha proposto di seguirla in America e aiutarla con la gestione di una delle società di famiglia a New York. Partiremo per la fine dell'estate." 

Ran lo annunciò durante una cena senza grandi discorsi, senza preavvisi o indizi. Tutti, compresi Kogoro ed Eri, persino Kazuha che tra i presenti era probabilmente la più vicina a Ran dopo Sonoko, rimasero senza parole. 

Shinichi ebbe una sorta di blackout per qualche minuto. Il suo cervello non riuscì a mettere insieme le parole e dare loro un significato. Non avvertì la mano di Heiji scuoterlo leggermente e richiamarlo, ma qualcosa dentro di lui scattò, si infranse quando udì le prime, incerte, felicitazioni per quella decisione. 

"Non puoi andartene."

Il suo corpo dimostrava circa dodici anni. Era cresciuto, era sempre più simile a quello Shinichi sparito una sera a Tropical Land, ma rimaneva ancora più basso di Ran, più a margine di ogni situazione. Eppure, quando parlò, nonostante la sua voce avesse ancora un timbro da pre-adolescente, scosse e zittì chiunque. 

"Non puoi andartene" ripeté, il battito del cuore in tumulto che si rifletteva nello sguardo, senza perdere di intensità. 

Ran non aveva raccolta la sua occhiata, fissando il piatto e stringendo le posate. Aveva ventidue anni e le tracce dell’insicurezza stavano sparendo dai suoi lineamenti. 

"Posso andarmene, Shinichi. Ho bisogno di andarmene." 




Perdere il conto delle volte in cui i progressi si azzerano e si ricomincia dal punto di partenza doveva essere ormai un leitmotiv a cui essersi abituati, ma Shinichi fu certo che non ci sarebbero stati altri gradini da percorrere. Non ce la faceva più. 

L'incubo più oscuro sarebbe dovuta essere l'Organizzazione, non la sua vita attuale. Non vestire ogni giorno una menzogna col mondo e una verità velenosa con chi sarebbe dovuta essere la propria quotidianità.

Shinichi non andò a salutare Ran all'aeroporto il giorno della partenza. 

Non si alzò né lasciò la propria stanza se non per lo stretto necessario. Non esisteva più il buon viso a cattivo gioco. Le parole di incoraggiamento di Heiji non filtrarono, le premure di Kazuha non avevano lo stesso tepore di prima. Non riuscì a rispondere al discorso di vita che Kogoro gli fece attraverso la porta della camera e che lo fece piangere in silenzio, un braccio sugli occhi, svuotandolo dal dolore per ritrovarsi faccia a faccia con la lucida consapevolezza che Ran avesse scelto consapevolmente di andarsene. 



Il periodo che seguì lo ricordo sfuocato. Il suo orologio si fermò di nuovo. 

Furono i suoi genitori a farlo a rimetterlo un po' in piedi col semplice affetto incondizionato che una madre e un padre possono dare a un figlio che sente la vita distrutta. 

Non si parlò più di Ran, ma solo di argomenti che interessassero Shinichi. Villa Kudou non fu mai così affollata come in quel periodo e ciò aiutò Shinichi a scandire le giornate. 

Heiji e Kazuha avevano trovato un appartamentino per loro a metà strada con l'Agenzia di Mouri, che pure aveva dovuto farsene una ragione della partenza della figlia. Ran aveva lasciato un vuoto in più di una persona, per quanto la sua decisione si incastrasse perfettamente nella fase della crescita. Tuttavia, alla fine, il rientro definitivo in Giappone di Yukiko e Yuusaku non fu un balsamo solo Shinichi, ma anche per Kogoro ed Eri. Erano quasi sempre tutti a casa Kudou per un motivo (casi) o un altro (cene, pranzi e qualsiasi ricorrenza Yukiko trovasse necessario festeggiare). 



La situazione più bislacca in cui Shinichi, quasi quattordicenne, si ritrovò coinvolto, fu la stesura di una serie di libri su "Nemori no Kogoro". 

Come raccontò durante una cena, un editore aveva fatto la corte a Mouri per avere il racconto delle sue avventure da serializzare e, sorprendendo tutti, Yuusaku si propose come ghost writer.

Anche a distanza di anni, quel "piccolo segreto" su come Kogoro avesse fatto a diventare tanto famoso era uno dei particolari che non erano ancora venuti a galla e, anche in quell'occasione, Kogoro preferì lanciarsi in resoconti strampalati piuttosto che chiedersi come avesse risolto certi misteri. Che lo fece consapevolmente o meno, nessuno indagò in merito. 

A detta di Yukiko, osservare Yuusaku, Kogoro e Shinichi tutti e tre nello studio a ricostruire e romanzare quelle avventure fu meglio di qualsiasi sceneggiato avesse mai girato. Con l'aiuto di Heiji e Kazuha, Furuya Rei quando poteva e, sporadicamente, di qualche detective o terzi coinvolti, la serie iniziò a prendere corpo e venire pubblicata. 

Il successo andò oltre ogni possibile previsione, anche se Shinichi sentì quell'euforia come ogni altra cosa: ovattata, capace solo di sbattere contro, ma non incrinare, il muro che aveva eretto e dietro cui viveva per ricordarsi, ogni giorno, chi e quanto avesse perso. 




Inevitabile fu sapere che, anche oltreoceano, a New York, Ran stava facendo parlare di sé.

Ne vennero a conoscenza durante un servizio tv sui giovani e influenti talenti giapponesi sparsi per il mondo. Sonoko e Ran figuravano nel panorama under trenta delle personalità di spicco nel loro ambiente. 

Per la prima volta da molto tempo, il nome di Ran rimbalzò sulle pareti di casa senza che qualcuno cambiasse canale o dirottasse il discorso su altri lidi. Shinichi non aveva bisogno di vedere per sapere che sua madre avesse il dito pronto sul telecomando, ma le fu grato della decisione di lasciare proseguire l’intervista. 

Ran era cresciuta. Shinichi constatò come fosse una giovane donna con solo qualche sfumatura della diciassettenne che si divideva tra casa e scuola, che si era presa cura di lui, che si spaventava alla prima storia con retroscena horror. 

Senza rendersene conto, Shinichi ricominciò a dedicarle ogni momento in cui la sua mente non fosse impegnata in altro. Non erano pensieri costanti, ma iniziarono a sedimentarsi di nuovo in manciate di se e ma che si andarono a gonfiare di giorno in giorno. 



Nell’autunno dei suoi rinnovati quindici anni nacque Kaoru, il figlio di Kazuha e Heiji. 

Shinichi sperimentò cosa significasse avere qualcosa che ti risucchia le giornate trenta ore su ventiquattro nel momento in cui fu incastrato, da sua madre e dal suo migliore amico, a essere il miglior zio del mondo. Si rivelò come un periodo movimentato fatto di tanta veglia e poco sonno, ma fu anche il modo di lasciarsi scivolare dentro della serenità grazie alla genuinità e i sorrisi di cui solo un neonato era capace. 

Di contro, Shinichi sapeva che sarebbe stato inevitabile, ma fu anche l’occasione in cui intravide di nuovo Ran. A quattro mesi dalla nascita, lei e Sonoko programmarono una vacanza di dieci giorni a casa, portando regali e tutti i successi ottenuti fino a quel momento. 

Ran e Shinichi non si incrociarono mai faccia a faccia per tutta la durata della visita e nessuno insistette perché lo facessero. Ran era sola, ma a Shinichi bastò un’occhiata per dedurre che a New York qualcuno la stesse aspettando. 

A volte si trovava a chiedersi se la sua vita precedente, quella da giovane detective liceale e poi da bambino troppo brillante per la propria età, fosse mai esistita. Se, davvero, non si fosse solo sognato di essere stato felice, un tempo, con quella persona che si chiamava Ran, che rideva e diceva cose dolci proprio come la bambina di cui si era innamorato a quattro anni. 

La sera in cui Ran ripartì per l’America, Shinichi restò coinvolto in un incidente. 

Aveva ancora l’istinto per il pericolo, qualcosa di innato che non lo avrebbe mai abbandonato, e salvò uno sconosciuto dal restare travolto da un pirata della strada. I passanti si affollarono intorno a lui, chiamando aiuto, dicendogli parole incoraggianti. Per una beffa, Shinichi, mezzo incosciente e con la consapevolezza del sangue che stava abbandonando il suo corpo, vide le luci di un aereo sopra la testa. Avrebbe potuto dedurre dalla direzione se potesse essere quello di Ran, ma fu abbastanza pensare che l’aveva lasciata andare di nuovo, che non le avesse detto neanche ciao. 

Non cercò la forza di reagire. 

Si lasciò soltanto andare, non vedendo per cosa avrebbe dovuto combattere. 





“Sei rimasto in coma per quattro mesi.” 

Come quando era tornata bambina, Ai dimostrava di avere molto più di quindici anni. Shinichi la squadrò con una lunga occhiata. Il cipiglio era rimasto, ma non c’erano più le ombre del passato sul suo viso.

“L’aria di Londra ti fa bene.” 

A differenza di lui, Ai aveva ricominciato a vivere. Un’altra vita di nuovo, con quel pezzo di famiglia di cui per tanto tempo non aveva saputo l’esistenza. Anche se incastrata nella loro stessa situazione, impossibilitata a tornare adulta, Mary Sera aveva ripreso in mano le corde della propria esistenza e aveva fatto il possibile per riottenere una quotidianità il più vicino possibile alla normalità. In questo aveva preso con sé la figlia (che con l’età adulta era, legalmente, diventata loro tutrice) e la nipote, distrutta dai sensi di colpa per aver rovinato tante vite. 

Che ci fai qui?”

Mi hanno chiamata pensando che non ti risvegliassi per qualche effetto collaterale dell’apotoxina, ma quella non c’entra. Volevi morire, Kudou-kun?” 

Dicono che è un altro tipo di viaggio.” 

Non era stata la risposta che Ai si aspettava e Shinichi glielo lesse dal modo in cui il colore abbandonò il suo viso. Non era neanche una risposta da lui. Il sapore del cinismo sulla lingua era acre e pungente, non lo pensava davvero, anche se la tentazione c’era stata. 

“Perché non vai da lei? Tu non scappi dalle situazioni.” 

“Quale situazione, Haibara? La realtà in cui sono alla mia seconda pubertà e la ragazza che amo è una donna con dieci anni più di me a cui ho spezzato il cuore? Avrei dovuto chiederle di aspettarmi?” 

“Non pensi che lo stia facendo?” 

“Vuoi che ti dica da cosa ho dedotto che ha un ragazzo in America?”

“...” 

“Ho salvato quella persona in mezzo alla strada per istinto. Qualunque fossero i principi in cui credevo una volta sono ancora nella mia testa. Non ho tentato di suicidarmi. Sono solo… stanco.” 

“Vado ad avvisare che ti sei svegliato. Tuo nipote si è fatto grandicello.” 

“Almeno lui.” 

“... mi dispiace, Kudou-kun.”

“Anche a me. Non ce l’ho con te.” 

“Forse sarebbe più facile se avessi qualcuno da odiare, tipo me.” 

“Sarebbe stato facile anche rimanere in mezzo a quella strada e farmi investire. Ci sono tante vie facili da intraprendere.” 

Nessuno aveva detto a Ran cosa gli fosse successo. Shinichi lo scoprì qualche ora più tardi, dopo le lacrime e i festeggiamenti per il suo risveglio. 

Fu Kogoro stesso a dirglielo, senza guardarlo in faccia, ma stringendo la stoffa dei pantaloni all'altezza delle ginocchia con impotenza. 

"Non avete bisogno di soffrire più di così." 

Il primo pensiero di Shinichi fu egoistico, e lo accantonò con la giustificazione che era un padre che pensava solo al bene della figlia. Tuttavia, sapeva che si stava raccontando una bugia: negli anni Kogoro era diventata una figura importante della sua vita, un secondo padre dai modi rudi e opinabili, ma di cui non poteva più fare a meno.  

Sua madre era stata il bastion contrario, in totale disaccordo con quella decisione di tacere a Ran l’accaduto, almeno dal racconto di Heiji. Non risparmiò i dettagli sull’accesa discussione che in quei quattro mesi aveva portato le persone intorno a lui a litigare. Shinichi lo ascoltò senza dire una parola, mentre giocherellava distrattamente sul letto d'ospedale con Kaoru, ancora troppo piccolo per capire, ma allo stesso tempo tanto felice di riavere il suo zio preferito.  

Shinichi non volle esprorre la propria opinione. Era davvero importante che decisione avessero preso? Se Ran avesse tenuto ancora a lui, le avrebbe dato solo un altro dispiacere per colpa della sua incoscienza. Se invece non le importava più di niente... Kogoro aveva fatto bene. 




Quattro mesi fermo lo avevano debilitato abbastanza da giustificare sua madre dal coccolarlo come se, di nuovo, fosse tornato a essere un bambino. 

Era sulla soglia dei sedici anni, l'età in cui si era cacciato nei guai, e si sentiva completamente fuori sincrono rispetto a chi lo circondava. Chi ancora non aveva realizzato che Conan fosse sempre stato Shinichi lo fece in quel periodo. 

Non c'erano più uomini in nero da cui nascondersi o fuggire, per questo Shinichi smise di fingere col mondo e quell'anno Conan Edogawa morì definitivamente. 

Non fu un’enorme perdita. Non aveva molti amici, non come quando il popolare detective liceale era stato, a tutti gli effetti, un adolescente pieno di prospettive e fascino per gli lo circondava. 

Genta, Mitsuhiko e Ayumi ormai sapevano la verità da qualche anno ed erano rimaste le persone più genuine e autentiche che Shinichi avesse mai conosciuto, conservando un tratto di ingenuità anche ora che si affacciavano al mondo vero. Erano ancora amici rumorosi e pieni di iniziativa, ma avevano imparato quando fosse lecito e quando no. Se Shinichi, dopo Ran, si fosse dovuto sentire in colpa per qualcuno, sarebbe stato nei loro confronti. Eppure, continuava a essere considerato importante, un tassello indispensabile della loro vita. 

Tuttavia, fatta eccezione per il trio dei Giovani Detective, Shinichi non aveva avuto la pazienza di sopportare altri mocciosi nel suo rinnovato percorso verso l'età adulta. 

Erano per lo più persone che aveva conosciuto o aiutato in passato che finalmente connettevano i puntini, ma davvero in pochi venivano a chiedergli come fosse possibile. Erano più sguardi che parlavano e si sentivano stupidi. A Shinichi andava bene così. 



Qualche tempo dopo, fu di nuovo una notizia in tv che disse a Shinichi qualcosa su Ran. 

Sonoko sollevò un sacco di gossip sposandosi con Kyougoku Makoto in una cerimonia molto veloce e molto intima, ma la vera notizia fu l'annuncio della coppia sull'arrivo del primo figlio entro i successivi cinque mesi. 

Nelle foto dei paparazzi compariva ovviamente anche Ran, in abito da cerimonia come testimone e prima damigella, in compagnia di quello che i giornalisti etichettarono come "fidanzato storico". 

Shinichi fu grato che il telefono fosse squillato in quel momento e Heiji gli avesse chiesto di raggiungerlo per un caso di omicidio, anche se non servì a liberarlo dall'eco di quel fidanzato storico

Sarebbe dovuto essere lui, quel fidanzato storico. 

Lui avrebbe reso il viso di Ran raggiante e non con quel sorriso abbozzato nelle foto che era l'ombra dei suoi più bei sorrisi. 

Fu un pensiero dettato dalla frustrazione, dalla rabbia, da sentimenti che per troppo tempo Shinichi aveva soffocato e represso, non trovando giusto provarli. Quei dieci minuti di servizio, con annessi pettegolezzi, avevano sparato dritto alla valvola con cui il neo sedicenne regolava le proprie emozioni da dieci anni. Come la ferita che erano, i suoi sentimenti ricominciarono a pulsare, senza più togliergli di testa quell'immagine di Ran che non sorrideva davvero. 





Iniziò l'insonnia pesante. Shinichi tentò di arginarla ricominciando a leggere ogni singolo giallo presente nella biblioteca di casa o andando a correre di notte, arrivando a svenire a letto e rialzarsi a orari improbabili. Non aveva un obiettivo nella vita da diverso tempo, ma, ogni volta che si fermava, quella Ran che non era Ran balenava davanti ai suoi occhi e sperimentava un livore mai provato prima che lo spingeva a buttarsi a capofitto in qualsiasi attività. 

In modo paradossale, la sua mente si svegliò dal torpore. 

Aveva continuato a ragionare al cinquanta percento delle proprie facoltà, non trovando indispensabile applicarsi in nulla, ma il suo cervello cominciò a pensare a qualcosa. Qualcosa di informe, che a volte erano flash, più simili a illazioni, desideri recalcitranti, ma che per il resto erano possibilità. Ipotesi su come raggiungerla. Piani su come tornare alla vita che il destino gli doveva. 

Ai suoi non passò inosservato quel cambiamento, ma il primo che gli diede voce fu Heiji, dopo che Shinichi risolse un caso così velocemente da avere il viso deformato da un entusiasmo feroce, grottesco. 

"Kudou, che ti è preso!?" 

Il suo migliore amico avrebbe potuto capire?

"Non pensi che quando una persona non è in grado di farti sorridere davvero ci sia qualcosa di sbagliato?"

"Che diavolo stai dicendo?!"

"... nulla, mi sono lasciato prendere dal caso. È stato facile intuire la verità." 




Ran. Ran. Ran. 

Era diventato un pensiero frenetico e costante come non lo era da anni, tanto da spingerlo a valicare quelle regole che Shinichi si era autoimposto, come il non cercarla online. Eppure, più trovava foto e video dove compariva anche quel "fidanzato storico", più si rafforzava in lui la convinzione che quell'uomo non fosse in grado di renderla felice. 

Una di quelle notti passate in bianco a vagare su internet, dissociandosi completamente da tutto, culminò con Shinichi, alle quattro di mattina, pronto per uscire. Aveva un borsone in spalla, un cappello da baseball regalatogli da Heiji calato sugli occhi e sullo schermo del cellulare la ricevuta di un biglietto aereo per New York.

Aveva organizzato tutto di fretta, ma con metodo, con una mente sfiancata dalla deprivazione di sonno, pompata però da quel rinnovato bisogno di essere lucida e scattante come un tempo. 

Una volta atterrato e riacceso il cellulare, contò cinquantasette chiamate e quasi il doppio dei messaggi da parte dei suoi, di Heiji e Kazuha, di Kogoro, persino di Haibara e Masumi. Ne trovò uno molto semplice anche di Akai - segno del fatto che suo padre avesse già intuito, se non i suoi propositi, la sua destinazione. 

Se hai bisogno chiamami. In qualsiasi momento.

Non intendeva far preoccupare nessuno, per quanto fosse conscio che le sue intenzioni gridassero tutto il contrario.

Sto bene. Ho bisogno di fare una cosa che ho rimandato da troppo tempo. Mi sono finalmente deciso. Non preoccupatevi, sapete che so cavarmela. Ci sentiamo più tardi” spiegò in un vocale mentre usciva dall’aeroporto e il sole di New York lo accecava. Aveva dormito per quasi tutto il viaggio e si sentiva rinvigorito, col triplo delle energie che non sentiva da anni. 

Energie che avrebbe usato per rivedere Ran.




Trovare un posto per dormire dove lasciare la roba e poi Individuare il palazzo della società Suzuki fu facile. Shinichi rimase all’esterno, in un piccolo parco adiacente da cui poteva tenere d’occhio chi entrava e chi usciva. 

Presentarsi di punto in bianco e chiedere di vedere Mouri Ran avrebbe solo reso le cose più tese e imbarazzanti. Dimostrava pur sempre sedici anni, un’età che gli avrebbe creato più problemi che facilitazioni nel mostrarsi in pubblico. Conan sarebbe stato in grado di svicolare, provocare sufficiente tenerezza e nessuna minaccia apparente nei dipendenti dell’azienda; raggiungere l’ufficio di Ran sarebbe stato un gioco. Ma Conan non esisteva più e Shinichi aveva bisogno di guardare la sua amica di infanzia faccia a faccia. Alla stessa altezza. 

Per questo aspettò, facendosi un giro nei dintorni per non destare sospetti, ma senza mai allontanarsi. Silenziò ogni notifica e ignorò le chiamate, finendo invece con lo scorrere di nuovo quegli account dove c’erano le foto più recenti di Ran, in attesa che il sole calasse e gli uffici si svuotassero. 

Verso il tardo pomeriggio, la sua attenzione fu attirata dall’arrivo di una Mercedes-Benz di lusso. Prima ancora di vederne il proprietario, il suo fiuto aveva già intuito e il suo sguardo si era indurito. L’uomo che nelle interviste era stato etichettato come fidanzato storico di Ran scese dalla vettura ed entrò nel palazzo. L’attenzione di Shinichi si fece massima, ignorando qualsiasi altra distrazione al cellulare, il cappellino calato sul viso e la nonchalance di un pedinatore esperto lo avevano portato il più vicino possibile all’ingresso, ma sempre senza idea l’idea di allarmare qualcuno. 

Come non succedeva da molto tempo, Shinichi avvertì il cuore battergli furiosamente nel petto. Era così vicino a Ran come non lo era stato negli ultimi anni. La sensazione di averla accanto era un ricordo indelebile che gli fece stringere le dita a pugno. Gli mancava Ran. Gli mancava tanto da farlo stare male, quasi da spingerlo a entrare dentro all’edificio e cercarla fino a che non l’avesse avuta davanti. 

Non dovette attendere a lungo. 

Prima ancora di vederla, sentì la risata di Ran. Il cuore gli si fermò nel petto e lo avvertì stringersi quando il tempo riprese a scorrere davanti ai suoi occhi. 

Ran uscì dall’edificio a braccetto con il compagno, ridendo con freschezza, il viso raggiante nonostante la lunga giornata di lavoro. Ogni secondo di quel momento si conficcò dentro Shinichi come le schegge di un’esplosione. 

Avrebbe voluto muoversi. Fare un passo, alzare il viso e farle vedere che era lì. Che dopo tanto tempo, era andato da lei. Era lì a due passi. A breve sarebbe stato superato e Ran non si sarebbe accorta di niente. Non si sarebbe accorta di lui.

Tuttavia, era inchiodato sul posto. Tremava, ma non abbastanza da essere notato. La sua determinazione era scivolata da qualche parte, insieme a tutte le idee, i pensieri, le illazioni che si era fatto su quell’incontro. Come le cose si sarebbero aggiustate, come tutto avrebbe ritrovato il proprio posto. Shinichi non credeva nel destino, in niente di mistico, ma non poteva credere che lui e Ran fossero finiti così. Finiti. 

Ran gli passò accanto, conversando con quell’uomo di cui Shinichi non aveva mai colto il nome. Gli passò a così pochi centimetri che sarebbe bastato un respiro a farli incontrare. Ma non accadde. 

Shinichi la sentì salire in macchina e andare via, mentre la realtà calava di nuovo il suo manto privo di illusioni sulla sua testa. 



Le luci di New York erano tra le più sfavillanti e affascinanti al mondo, Shinichi non lo aveva dimenticato. Furono l’unico chiarore che la sua mente riuscì a percepire mentre vagava per la città. Aveva perso la cognizione del tempo, dello spazio in cui stava camminando. Si muoveva per inerzia, riascoltando a ogni passo quella risata di Ran, balsamo e veleno nelle orecchie allo stesso tempo. 

Controllò un paio di volte il cellulare, ma la batteria era quasi scarica. Era stato sul punto di chiamare i suoi, o Heiji, ma il dito era scivolato sul display senza selezionare nulla. 

Si era illuso e aveva fatto una cazzata. Se ripensava a come era arrivato lì, a quali pensieri lo avevano attraversato, si sentiva un idiota. Volare dall’altra parte del mondo con la speranza di sanare con un incontro dieci anni di bugie, dolore, una fiducia distrutta e tutto per gelosia. 

Ora era lucido, per quanto non sentisse il terreno sotto i piedi. 

Ran aveva un altro. Ran aveva trovato qualcuno con cui essere felice e continuava a realizzarsi con le proprie forze. Se si fosse palesato davanti a lei l’avrebbe solo fatta soffrire, ricordandole promesse infrante, menzogne durate anni e che non avevano portato a nulla. Era volato a New York di impulso e solo in quel momento si rese conto di quanto il suo comportamento avesse rasentato l’ossessione. Se avesse dato retta agli impulsi che lo avevano mosso avrebbe solo finito con l’aggravare la situazione. 

Per quanto la realizzazione fosse stata dolorosa, l’aveva salvato dal distruggere anche gli ultimi pezzi rimasti sul fondo. 

Tuttavia, Shinichi non aveva ricordi chiari di quella notte, se non tramite quello che i testimoni raccontarono il giorno dopo. 

Come la volta dell’incidente col pirata della strada, tutto successe prima che se ne rendesse conto.

Un minimarket. Un rapinatore. Cinque ostaggi. Una donna a terra. Una bambina che piangeva. L’istinto di Shinichi agì contro ogni buon senso. 



“Ehi, ragazzino.”

“... Akai-san?” 

Shinichi si svegliò in una stanza di ospedale. L’ambiente era tranquillo, con dei vaghi rumori di sottofondo da oltre la porta. Si sentiva il corpo intorpidito e con un dolore ovattato. 

“La tua idea di vacanza è farti sparare due volte?” 

Gli occhi di Shinichi si spalancarono. Flash confusi si affollarono nella sua mente. Grida e parole accorate, il dolore dei colpi. 

“È stato un uomo caucasico, di venti, massimo venticinque anni, era casta-”

“Lo abbiamo preso.” 

Shinichi si rilassò, chiudendo gli occhi. 

“Yuusaku-san e Yukiko-san saranno qui tra qualche ora.”

Shinichi non protestò. Era giusto così. Anche che i suoi si arrabbiassero. Aveva ventisei anni, nonostante ne dimostrasse solo sedici, e aveva fatto una cazzata dietro l’altra. 

“Sei venuto per Ran?” 

Bruciava. Bruciava più dei colpi di pisola. 

“Mi sono illuso di poter aggiustare qualcosa. Ma sono ancora un ragazzino pieno di fantasie.” 

Shuichi incrociò le braccia, osservando l’autocommiserazione sul suo viso. 

“Cosa stai facendo in Giappone? È molto che non ci sentiamo. Avevo saputo da Masumi che eri rimasto coinvolto in un incidente.” 

Il sospiro di Shinichi fu rassegnato. 

“Fingo di essere un adolescente con problemi. Mi riesce molto bene. Per il resto… aiuto Hattori e Mouri con l’Agenzia investigativa. Non è cambiato nulla.” 

Akai accennò un sorrisetto. 

“Vieni all’FBI.” 

Shinichi ci mise qualche secondo di troppo a processare quella proposta, complice anche la morfina. Lo guardò a occhi sgranati. 

“È ora che tu ti rimetta in piedi, ragazzino. Se non fosse stato per te, l’Organizzazione sarebbe ancora a piede libero, altri agenti sottocopertura sarebbero morti, oltre a tutti i civili coinvolti. È tempo che tu riscuota il credito che il mondo ti deve.” 

“Perché…” Shinichi fece difficoltà a formulare, sbattendo contro il muro che aveva dentro e filtrava tutto, ricordandogli i propri limiti. “Forse tra qualche anno… quando almeno avrò l’aspetto di un adulto.”

“Sembrare adulto pensi che cambierà qualcosa? Hai fatto la differenza quando dimostravi sei anni.”

Non c’era qualcosa di logico con cui ribattere. Per un momento Shinichi si chiese cosa avrebbe fatto Conan e la risposta fu così limpida che parve uno schiaffo. Conan si sarebbe buttato nella situazione e avrebbe giocato ogni carta a propria disposizione. 

Tuttavia, Conan aveva un obiettivo. Il suo… il suo era solo un ricordo. 

“Quando ti sarai rimesso in sesto troverai la risposta che cerchi.” 



Fu il cambiamento più grande che Shinichi intraprese nella propria vita. Non lo fece a cuor leggero e dovette districare i sentimenti che lo perseguitavano la notte, bisbigliandogli dubbi e incertezze così estranei al suo essere.

Se da un lato sapeva che a parlare erano le radici di quel malessere che aveva coltivato per anni, dall’altro era anche conscio che stava lasciando le persone che lo avevano aiutato a sopravvivere, che avevano fatto di tutto per fargli passare una seconda adolescenza quanto il più normale possibile. 

Tuttavia, nessuno accolse quella notizia con dispiacere. I suoi furono i più entusiasti e quelli che lo aiutarono a organizzare ogni cosa. Secondo suo padre, lo scoppio di gioia di Yukiko era stato più intenso persino di quando lui le aveva chiesto di sposarlo. Vederlo decidere qualcosa per sé, con la voglia di fare, di ricominciare, era ciò che la madre stava aspettando da quando era tornata a vivere in Giappone. 

“Se Shinichi diventa un agente dell’FBI, io tornerò a recitare!” 

E Yukiko mantenne la parola. 

Chi si commosse per quella partenza, lasciando Shinichi senza parole, furono Kogoro e Heiji. 

“Non cacciarti nei guai, ragazzino. Non farti ammazzare. Mi offrirai il viaggio e da bere alla tua prima promozione.”

“Kudou giuro - giuro! - che diventerò così famoso che non avrai bisogno di chiamarmi per sapere come sto!”

Nel salire sull’aereo, Shinichi realizzò quanto quelle persone gli fossero state accanto nel momento più buio della sua vita. Quanto stessero credendo in lui ancora in quel momento. Voltò pagina, ma lo fece sapendo che, per quanto la strada fosse ancora in salita, era il momento di affrontare l’incubo che si era costruito in quegli anni. E che avrebbe sempre avuto qualcuno alle spalle pronto a fare luce intorno a lui. 



Se c’era una cosa che Shinichi aveva imparato era l’imprevedibilità della vita. 

Un pomeriggio sei a un parco di divertimenti con la persona più importante per te e nel giro di qualche ora ti ritrovi ad avere sei anni; poi di anni ne passano dieci e cerchi di riprendere in mano quella vita che ti è stata rovinata e, nel giro di una settimana, ti senti vivo come mai prima. 

L’FBI accolse Shinichi come si poteva accogliere un ragazzino prodigio, con scetticismo e scarse aspettative. Il giovane ex detective liceale dimostrò di non avere problemi ad ambientarsi, a rimettere in riga i colleghi più anziani con le proprie conoscenze e strategie, a far parlare di sé nonostante James Black e Akai stesso cercassero di fargli tenere un profilo basso. Ma era stata un’impresa impossibile con Conan e con Shinichi sarebbe stato lo stesso. Per quanto fosse stato inventato apposta per lui un programma “giovani reclute” con un quantitativo di escamotage e raggiri di regole per inserirlo nell’organico della squadra da subito, l’entusiasmo di Shinichi, la sua scaltrezza e quella dose di incoscienza che lo aveva cacciato nei guai più volte furono l’ariete con cui si fece strada senza chiedere permesso a nessuno. 

Akai non aveva davvero previsto di tenerlo al guinzaglio, ma finì col farsi coinvolgere e assorbire totalmente da Shinichi, senza rimpianti. 



Altri due anni passarono in quel modo, tra casi, trasferte, giornalisti da tenere a freno, corse in ospedale più o meno gravi e l’ultima persona al mondo che Shinichi avrebbe mai creduto di avere come collega, Kuroba Kaitou. 

In tutta quella girandola di eventi, il pensiero verso Ran non si spense mai, ma l’ex detective liceale iniziò a viverlo con meno rimorso. 

Non voleva davvero sperare, per quanto non si facesse illusioni, tuttavia, ora aveva più l’idea chiara che un giorno si sarebbero rivisti e le cose sarebbero andate meglio, in qualche maniera. 

Ciò che Shinichi non progettava era rivederla prima di sentirsi pronto, in un momento del tutto casuale, in una serata come un’altra di fine estate. 



“... e non vi siete detti niente?”

Shinichi sbuffò, scuotendo la testa. Cercò di concentrarsi per riprendere il segno della riga che stava leggendo, ma Kaitou non era intenzionato a demordere, e lo punzecchiò con un dito nel fianco, dove sapeva fosse più sensibile. 

“No, non ci siamo detti niente. Stava litigando con il suo ragazzo ed era sconvolta.”

“Tu l’hai sconvolta. Cioè, sono dieci anni che non vi vedete? Dodici!”

“Ran è partita per l’America otto anni fa. Non ci vediamo da allora.” 

“Una vita!”

Shinichi su quello doveva dare ragione a Kaitou. 

Era notte fonda e si erano ritrovati assegnati allo stesso appostamento. Non per caso. Akai aveva questa vena sadica verso i due suoi protegé migliori e non esistevano limiti. Come ritrovarsi in un edificio abbandonato, illuminati solo dai lampioni esterni, e a condividere un vecchio materasso matrimoniale, aspettando che i sospetti si palesassero. 

Kaitou stava giocherellando con delle carte, ma la sua attenzione era tutta per Shinichi. 

“Perché non ti sei fatto avanti? Se stava litigando con il tipo era il momento perfetto per entrare in scena e riconquistarla!” 

“Erano affari loro… e non era programmato che ci incontrassimo. È stato tutto… improvviso.”

Shinichi chiuse di botto il libro con un sospiro. Era stanco e quel discorso gli stava dando noia, pizzicandolo su quelle corde con cui si era rimesso insieme negli ultimi due anni stando in America. Stava meglio, si sentiva meglio. Tuttavia, il tassello di Ran era ancora da reincastrare nella sua vita e non sentiva fosse il momento. 

Kaitou non lo stava facilitando, non lo facilitava mai in nulla. 

Un anno prima Shinichi era rimasto coinvolto nell’ultimo grande spettacolo del Ladro Fantasma, quello in cui il suo vero scopo era venuto a galla, con tutte le implicazioni e i segreti taciuti. Kaitou aveva rubato per la prima volta un gioiello che non aveva restituito, sparendo nel nulla e lasciando sconvolti tutti, primo fra tutti l’ispettore Nakamori. Shinichi aveva avuto bisogno di andare in fondo a quella storia e, col senno di poi, se non lo avesse fatto, se non avesse insistito, probabilmente Kaitou sarebbe stato spacciato. 

Non era stato un periodo facile. Akai aveva lasciato che Shinichi tornasse in Giappone per indagare, aiutato da Heiji e da un Saguru che aveva vuotato il sacco sull’identità di Kaitou quando questi era sparito senza lasciare traccia. Il risultato era stato smascherare un’Organizzazione che aveva dato i flashback di guerra a Shinichi, ritrovare Kaitou in fin di vita per le torture subite, e poi, inaspettato, c’era stato l’arrivo di Akai con una proposta improssibile da rifiutare: 

“Entra nell’FBI e archivia tutta la tua vita precedente, Kuroba Kaitou. Le tue abilità saranno molto utili.” 

Furuya Rei aveva storto il naso per tutto, apostrofando Akai con parole irripetibili per continuare a venire in Giappone e fare i comodi suoi. E rubare possibili leve alla polizia giapponese.

In breve, da diversi mesi, Shinichi si era ritrovato Kuroba Kaitou e il suo sorrisetto da schiaffi - e la loro somiglianza impressionante, nonostante i dieci anni di differenza fisica - come collega di tutti i giorni. Era una scoperta continua, ma la metà del tempo Shinichi gli avrebbe messo le mani al collo per tutti gli scherzi e i discorsi insistenti di cui era capace. Per avere quasi trent’anni, Kaitou sembrava un diciassettenne mai cresciuto, o un Peter Pan, come alcuni colleghi avevano iniziato ad appellarlo. 

Anche durante quell’appostamento, l’ex Ladro Fantasma stava dimostrando tutto il suo lato adolescenziale per far passare il tempo, a suo dire. 

“Ran-chan non aspetta altro che tu la vada a prendere, meitantei.”

“Uno, non chiamarla con tanta confidenza.”

“La tua principessa sta aspettando che il suo cavaliere oscuro la vada a salvare.”

Shinichi lo guardò malissimo, ma non perse il filo del discorso. 

“Due, non ho detto che non andrò da lei, ma… è libera di rifiutarmi.”

“Non sarebbe divertente venire ad arrestarti per molestie. O forse sì. Ma insomma, non posso credere che non finisca bene tra voi due.” 

Non avrebbe voluto ammetterlo, ma Shinichi apprezzava quel pensiero.  

“Ehi! Ora che ci penso, ma Ran è sempre stata l’unica?” 

“Sì… perché?” 

Shinichi se ne pentì un istante dopo. 

“Ommioddio… tu sei vergine vero? Vi siete mai baciati?”

Il libro in mano all’ex detective liceale finì in faccia a Kaitou, ma dopo un iniziale ouch seguì solo una risatina divertita. 

“Ti stai conservando per Ran?”

“Non mi sto conservando!”

“Se ti serve un’occasione con qualcuna mi offro di portarti da qualche parte! Insomma, hai passato due - due! - pubertà! Deve essere stato tremendo!”

Shinichi si passò le mani sulla faccia, stropicciandosi gli occhi. Sarebbe stata una notte lunghissima. 

“Non mi interessa.”

“Fare qualche esperienza?”

Per rispondere, Shinichi si voltò a guardare dritto in faccia Kaitou, la fronte contratta in un cipiglio che ne aveva abbastanza, ma il risultato che si vedeva dall’esterno era per lo più di qualcuno intento a sgridare un gatto. 

“Non mi interessa cercare qualche ragazza per baciarla o… o altro, per sapere com’è.”

“E invece dei ragazzi?”

Solo Kaitou sapeva rivoltare la frittata in quel modo e cogliere il collega alla sprovvista, facendolo arrossire. “Sei serio?”

“Vuoi provare?”

“... No!”

Kaitou sporse in fuori il labbro inferiore in modo teatrale, e per quanto Shinichi sapesse che era una farsa, non era sicuro di non averlo offeso. 

“Non prenderla sul personale, ma non voglio, non-”

L’altro scoppiò definitivamente a ridere, facendo cigolare le molle del materasso su cui stavano. 

“Calmo, meitantei, l’ho capito. Solo Ran. Ti stavo stuzzicando, anzi, potrei tentarti travedendomi da lei, ma non sono così stronzo. Lo so da sempre quanto tieni a lei.”

Ancora un po’ imbarazzato, Shinichi recuperò il libro, incerto su cosa rispondere, nonostante la conversazione fosse finita. 

Più tardi, quando Shinichi fu il primo a crollare addormentato come un bimbo, Kaitou non poté fare a meno di fissarlo di tanto in tanto, mentre teneva d’occhio la situazione all’esterno dello stabile. Era in momenti di quiete come quelli, davvero rari, che l’ex Ladro Fantasma si ritrovava a fare un po’ di conti con se stesso e con i cambiamenti nella propria vita. E quella stessa vita la doveva a quel coetaneo che dimostrava dieci anni meno di lui. 

“Aaah, meitantei” sospirò, certo che stesse dormendo. “Sarebbe così facile rubarti questo primo bacio. È una tentazione immensa… se solo non fossi diventato un amico importante e non facessi il tifo per te e la tua bella…”

Nessuno lo seppe di come quella notte Kaitou si fosse chinato sul viso di Shinichi, ghignando. 

“Mi fai venire voglia di ricadere in qualche vecchia abitudine… ma, davvero, spero che tu abbia il lieto fine che meriti, meitantei.”



Passò un altro anno prima che Shinichi, dal giorno alla notte, nel suo aspetto da diciannovenne, decidesse che fosse tempo per parlare con Ran. Non aveva mai pensato che sarebbe stato facile, ma neanche quasi impossibile. 

Sonoko si era eletta mastino da guardia e ce l’aveva a morte con lui, era chiaro. Stava usando tutto quello che era in suo potere come giovane CEO di una compagnia multinazionale per ostacolarlo dall’incontrare Ran, dal segnalarlo al personale di sicurezza al far promettere alle segretarie di non prendergli mai un appunto. 

Ma Shinichi aveva aspettato più di dieci anni, aveva mancato troppe occasioni per arrendersi al primo sgambetto, e in qualche maniera il destino oscuro che lo accompagnava da sempre, facendo trovare al momento giusto nel posto giusto, lo aiutò anche quella volta. 

Bastò un ex impiegato con profondi risentimenti verso la compagnia Suzuki, una bomba infilata in un pacchetto del tutto innocente e un innato sesto senso per fiutare i pericolo a spianare la strada a Shinichi e dargli l’opportunità di parlare con Ran. 

Opportunità che non gli fece fare molti passi in avanti - visto che finirono con l’alzare i toni, ma Shinichi sapeva che sarebbe stato inevitabile. Se lo meritava. Sentiva di meritare lo sfogo di tutti quegli anni in cui aveva voltato le spalle a Ran e non aveva fatto nulla per venirle incontro. I sensi di colpa erano stati con lui giorno dopo giorno, facendolo desistere da ogni intento, da ogni approccio, annichilendolo fino a fargli spegnere il barlume della ragione e lasciarlo da solo sul fondo. 

Gli ultimi tre anni in America erano stati la prima boccata d’ossigeno dopo tanto tempo. Cambiare completamente vita gli aveva permesso di fare tesoro di tutto il sostegno ricevuto fino a quel momento da chi gli era stato accanto e rendere giustizia ai loro sforzi. Se Shinichi riusciva ad arrivare al desk d’accoglienza della società di Sonoko con il sorriso sulle labbra, le mani in tasca e la speranza che quel giorno qualcosa sarebbe cambiato e andato per il meglio lo doveva a chi non si era arreso con lui e le aveva provate tutte. Lo doveva a se stesso per essersi svegliato. Aveva bisogno di quell’ultima occasione con Ran e provare a riparare ai suoi sbagli, alle bugie e ai silenzi. 



“Quindi il ristorante italiano all’angolo è buono?” 

Valery saltò sul posto, rischiando di rovesciarsi il caffè addosso. 

“Mr.- Kudou-kun!” sospirò la segretaria, portandosi una mano al petto di fronte al sorrisetto divertito del più - in apparenza - giovane. “Non mi arrivi alle spalle in questa maniera, per favore!

Oh, sta facendo pratica con il giapponese? White-san ha deciso per i corsi di aggiornamento?

Come-” tentò Valery incerta, per poi sorridere e scuotere la testa. “Non le si può cinguettare niente.”

Shinichi la fissò sbattendo gli occhi, per poi rimettersi a ridere. Valery comprese di aver sbagliato una parola e arrossì furiosamente. 

“Nascondere! Intendevo nascondere!” 

“Possiamo parlare in inglese” celiò Shinichi sinceramente divertito. “Non dirò niente a nessuno” aggiunse facendole l’occhiolino. 

Valery sospirò, scuotendo la testa, ma più a suo agio. 

“Non tenti di corrompermi di nuovo.” 

Shinichi giunse le mani, ma con un’espressione troppo caricaturale per essere preso sul serio, dimostrando tutta la sua giovane età fisica

“Onegai?”

La segretaria scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Bevve l’ultimo sorso di caffè e buttò il bicchierino di carta nell’apposito cestino, per poi tornare dentro all’edificio, seguita dal giovane. 

Ormai era una routine. Shinichi non aveva davvero problemi a entrare dall’ingresso principale, spesso faceva così, ma di Venerdì la pausa pranzo di Valery coincideva con il turno dell’unico addetto alla sicurezza, tale Wilson, che non aveva ceduto al faccino pulito e innocente che l’ex detective liceale sfoggiava. 

“Non la racconta giusta, c’è qualcosa in lui che non mi convince.”

Shinichi non poteva dargli torto. Di contro, da dopo l’incidente con il dinamitardo, sapeva di aver guadagnato qualche punto in più e, se veniva beccato già dentro l’edificio, non gli veniva detto niente. Tanto oltre il desk dell’accoglienza non era mai riuscito a mettere piede. 

“Oh, Mr Kudou!” salutò Constance. “È sgattaiolato di nuovo dentro?” 

“Ha indovinato che siamo state al ristorante italiano” spiegò Valery rientrando alla propria postazione. 

Shinichi si sistemò con le braccia sul bancone, rilassandosi e preparandosi per le solite quattro chiacchiere di routine. Era diventata una costante da diversi mesi e aveva i suoi lati positivi. 

Indovinare non è il termine giusto” disse facendo un cenno di diniego fintamente oltraggiato, riflettendo il gesto anche nel muovere un indice ben alto. “Sono un detective. Ho spirito di osservazione. Indago e colgo la verità.” 

Le due colleghe ridacchiarono. 

“Non è un agente dell’FBI, Mr Kudou? Un giorno ci rivelerà i suoi segreti? È così giovane!” 

“A volte penso che Wilson abbia ragione e lei ci nasconda la sua vera identità! Se non l’avessi vista alle prese con quell’attentatore e poi insieme al suo supervisore non ci crederei mai che sia un agente.” 

Shinichi abbozzò, ma con serenità, quasi ridendo. Alla fine, anche quella era una verità, per quanto facesse male. 

“Se vi racconto la mia storia mi segnerete un appuntamento con Ran?” 

Conosceva già la risposta, anche se le due segretarie si scambiarono uno sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Era una proposta troppo allettante, ma non avrebbero mai contravvenuto a una disposizione di Sonoko. 

“Mr. Kudou così non è giusto! Sa che vorremmo, ma-”

“Devo provarle tutte” ridacchiò Shinichi, più divertito che davvero risentito per l’ennesimo rifiuto. Era giusto così. Da un lato, ci aveva fatto l’abitudine, dall’altro sapeva che prima o poi sarebbe riuscito a superare anche quel cavillo, ci fossero voluti altri mesi. Sperava solo non succedesse di nuovo sventando un attentato. 

Se c’era una cosa che aveva imparato in anni di indagini, era che la soluzione spesso era molto semplice. A volte piuttosto piccola. Come una manina che si aggrappa ai pantaloni e tira per avere attenzioni. 

“Onii-san, sei giapponese?”

Abbassando lo sguardo Shinichi trovò due occhi pieni di curiosità fissarlo. Gli ci volle qualche secondo per identificare il bambino, ma alcuni tratti erano inconfondibili. Stirò un sorriso. 

“Ehilà, piccolo. Sonoko-okaasan lo sa che sei a spasso da solo?”

Era Suzuki Momo, il figlio di Sonoko e Makoto. Era la prima volta che Shinichi lo vedeva dal vivo e non in fotografia su social della donna stessa. 

“Kaa-san non c’è oggi” disse il bambino annuendo come se stesse insegnando qualcosa a quell’oniisan più grande. Decisamente un atteggiamento che aveva preso da Sonoko. 

“Momo-chan! Cosa fai qui?” 

Valery si sporse dal bancone guardando il piccolo. 

“Ran-neechan è occupata! Mi annoio!”

Shinichi controllò il leggero spasmo che lo colse. Quel Ran-neechan riportò a galla vecchie emozioni. 

“La signorina Mouri è in riunione al momento” constatò Constance scorrendo la lista appuntamenti dal proprio computer. “Ma è questione di un’oretta.” 

“Mi annoiooooo” replicò Momo in inglese con un’altra espressione rubata a Sonoko. 

Il suo scoppio fu interrotto da un paio di persone ben vestite che fecero un cenno in direzione del desk per attirare l'attenzione. Valery scattò subito, circumnavigando il bancone e avvicinandosi ai visitatori per chiedere loro scusa della confusione e con chi avessero appuntamento. 

"Puoi tenerlo un secondo?" bisbigliò Constance verso Shinichi con una preghiera nella voce. 

Shinichi annuì e spostò l'attenzione su Momo, sorridendo a trentadue denti. 

"Lo sai che una volta tuo padre ha picchiato una banda di pirati per salvare la tua mamma?" 

Il bambino lo guardò con due occhi sgranati pieni di curiosità e non fece storie a farsi portare un po' più in disparte e lasciare le segretarie al loro lavoro. 

"Grazie, Kudou-kun e scusa per il disturbo." 

Una volta indirizzati gli ospiti verso il piano giusto e il loro appuntamento, e constatato che non ci fossero altri visitatori in arrivo, Valery e Constance si erano riavvicinate al giovane agente dell'FBI. 

"Nessun problema. Ho una discreta esperienza coi bambini." 

Le loro espressioni curiose - morbosamente bisognose di fare domande - furono però interrotte di nuovo da Momo. 

"Oniichaaan raccontami altre storie con la mamma detective! E con papà che picchia i cattivi!"

Le due colleghe si scambiarono uno sguardo senza capire. Shinichi rise apertamente, scompigliando i capelli al piccolo. 

“Ne ho quante ne vuoi, ma non dovresti tornare su e aspettare Ran-neechan?” disse con un fondo più che udibile di malinconia, nonostante si sforzò di mantenere un tono giocoso. 

Momo lo guardò intensamente come ogni bambino che cerca di fare propri i segreti e gli atteggiamenti degli adulti, senza capirne la complicatezza. Alla fine dovette rinunciare, tirando in avanti il labbro inferiore. 

“Voglio la merenda! E altre storie!” 

Stavolta Shinichi intercettò l’occhiata delle altre due con una non più così sicura, mentre il bambino si era appeso a una delle sue mani, strattonandolo e ripetendo i propri desideri. 

“Potrei portarlo alla caffetteria qua vicino…?” propose, cercando il consenso delle segretarie. “Lo tengo finché la riunione non finisce, che dite?” 

“Ecco, uhm, la signora Suzuki ha proibito di portare Momo-chan fuori dal palazzo senza la sua autorizzazione. Ci fidiamo di te, ma se lo venisse a sapere ci licenzierebbe in un attimo…” spiegò Constance costernata, come se stesse facendo un torto personale al ragazzo. 

Tuttavia, Shinichi annuì comprendendo personalmente. Di certo, non voleva far adirare Sonoko in nessuna maniera. Alienarsela non solo per Ran, ma anche per il figlio, avrebbe significato dire addio per sempre anche alla possibilità di mettere piede nel palazzo. 

Oniiiichaaaan!” continuò a strepitare Momo in sottofondo, con i suoi quasi sei anni di voce bianca e petulante, ignorando i discorsi dei grandi. 

“C’è solo una soluzione” deliberò in autonomia Valery, battendosi un pugno sul palmo dopo essere rimasta in silenzio a pensarci su. Constance la guardò con un chiaro punto di domanda negli occhi quando la collega si voltò verso di lei, la decisione riflessa nelle sopracciglia corrugate. “Diamo a Kudou-kun un pass visitatori.” 

“Cosa!? Ma la signora Suzuki-” 

“Non potrà salire al piano degli uffici, ma accedere alla caffetteria sì” spiegò la collega stringata, nei suoi occhi si stava agitando un certo piano, anche se non sembrava volerlo comunicare a parole. Constance non sembrò carpirlo, ma si fidò, voltandosi per tornare al desk di accoglienza e attivare uno dei pass visitatori, scribacchiandoci sopra un “Shinichi Kudou” frettoloso.

Quando gli fu porso, l’agente dell’FBI lo guardò come se gli fosse appena stato consegnato un piccolo tesoro. 

“Con questo potrai salire fino al trentesimo piano e non oltre” iniziò a spiegare Valery affiatata e con una vaga inflessione da complotto nella voce che nessuno degli altri due capì davvero. “La zona degli uffici è off limits, tuttavia potrai portare Momo-chan alla caffetteria e stare con lui. Ci faresti davvero un gran favore a tenerlo!” 

Andiamooooo!” urlò entusiasta Momo, tirandolo per i pantaloni. 

“Ok…” borbottò Shinichi, facendosi trascinare verso gli ascensori dopo un’ultima occhiata alle due segretarie. 

Quando lui e il bambino furono spariti oltre le porte automatiche, Constance si girò a guardare Valery, lasciando andare tutta la propria incertezza. 

“Sei sicura che possiamo farlo? La signora Suzuki ha detto-”

“Ha detto di non prendergli appuntamenti con Mouri-san e non farlo passare per raggiungere gli uffici. Ma non ha mai detto che non potesse visitare la caffetteria” spiegò Valery con un piccolo ghignetto, mettendosi le mani sui fianchi come se fosse aperta alla sfida dei cavilli. 

Constance sembrò ancora molto dubbiosa a riguardo. 

“Sì, ma… perché sei così contenta? Potevamo tenere Momo-chan a turno, non è facile, ma l’abbiamo già fatto…” 

“Pensaci! Tra un’oretta Mouri-san terminerà la riunione e verrà a cercare Momo!” 

Di nuovo, la collega fu più allarmata che sulla strada per capire il piano. 

“Noi le diremo che Momo-chan è a fare merenda in caffetteria…” 

Constance capì, portandosi una mano alla bocca. 

“Non hai intenzione di dirle che c’è il signor Kudou!” 

“Be’, se lei non mi chiederà con chi è Momo-chan… in fondo, sappiamo che ha il permesso di andare in caffetteria per conto suo se vuole. Non sarebbe la prima volta!” 

“Valery… tu vuoi farli incontrare di… di…” Constance non riuscì a trovare la definizione giusta. 

“Sarà come nei film, una sorpresa inaspettata!” sospirò Valery, mettendosi una mano sul petto con trasporto. “Lei arriverà lì, sentirà Momo-chan tutto entusiasta… poi sentirà una voce che conosce che le metterà i brividi… e poi i loro sguardi…!” 



Andò pressapoco come Valery, trasognante, aveva descritto a Constance. 

Dopo un’ora di estenuante riunione, Ran scese a cercare Momo, per essere indirizzata dalle due segretarie - e dalla loro espressione da volpi - verso la caffetteria. Pensò che un tè e una piccola pausa con il nipote acquisito le ci sarebbero proprio volute, così non si fece troppi pensieri su come Valery e Constance l’avevano sospinta verso l’ascensore, tutte contente. 

Arrivò in caffetteria, accennò un saluto ai baristi e si fece indicare dove fosse il piccolo Momo, anche se aveva già un’idea conoscendo il suo posto preferito, una zona in disparte con un grande divano tondo e una vista mozzafiato sulla città. 

Non fu però preparata alla voce che accompagnava quella del bambino. Una voce energica, giovane, divertita nel tono con cui stava raccontando storie ed entusiasmando il piccolo ascoltatore. 

Ran si bloccò in mezzo ai tavoli vuoti, le mani strette tra loro mentre gli occhi notavano la testa che faceva capolino dai divani, un profilo che non vedeva da più di dieci anni. Non con quei connotati, non più fanciulleschi. Almeno, non lo vedeva dal vivo, perché erano stati rari i giorni in cui, anche solo per un attimo, il suo pensiero non si era perso a ricordare quell’ultima volta, quel giorno fatidico a Tropical Land che aveva cambiato ogni cosa. 

Ran-neechan!” gridò Momo accorgendosi della sua presenza e impedendole di fare marcia indietro. Di poter evitare quell’incontro. 

La verità, ma solo tempo dopo lo ammisero, fu che a Shinichi e Ran bastò incontrarsi con lo sguardo per ritrovarsi e, in una maniera che neanche loro si spiegarono, perdonarsi. 

In superficie, tuttavia, la malinconia aveva ormai consolidato uno spesso strato da grattare via. Insieme a quel loro non tanto velato temperamento di scaldarsi subito. 

“Non dovresti essere qui, Shinichi” sbottò Ran, ma piano, con un tono tutt’altro che deciso e un’espressione che in contrasto con quello che stava dicendo. Avvertiva un formicolio famigliare, per quanto dimenticato, lungo le braccia e che le risalì fino alle guance, facendogliele sentire tiepide. 

Non era la prima volta che si rivedevano davvero. Era già successo qualche settimana prima con l’incidente della bomba, ma lì si era preparata mentalmente quando le era stato detto chi avesse sventato l’attentato. Aveva avuto tempo di ripetersi quanto Shinichi l’avesse fatta soffrire e aveva potuto reggere il suo sguardo e la sua presenza.

Lì, in quel momento, era come se quell’incontro non fosse mai avvenuto. Si sentì priva di difese, ma, allo stesso tempo, nell’unico posto al mondo in cui si sarebbe voluta trovare: davanti a lui. 

“Ciao Ran” sorrise lui, quasi timidamente, riflettendo i suoi stessi sentimenti per essere stato colto alla sprovvista. “Stavo tenendo compagnia a Momo-chan” spiegò, come se bastasse a giustificarsi della presenza in un luogo che non fosse solo la reception. 

Nel mentre, il bambino passò lo sguardo dall'uno all’altro. Una lampadina sembrò accendersi nei suoi occhi e cacciò un urlo tale che entrambi gli adulti trasalirono, guardandolo allarmato. 

“Io so chi siete!” gridò entusiasta, saltando sopra il divano. “Tu sei il Cavaliere Nero!” e indicò Shinichi, per poi balzare di volata giù dal divano e correre incontro a Ran. “E tu zia sei la Principessa!” 

Entrambi lo guardarono senza parole, per poi incontrarsi di nuovo con lo sguardo. Avamparono come se qualcuno li avesse appena esposti in pubblica piazza. 

“Momo-chan, cosa stai dicendo?” 

“Okaasan mi ha raccontato questa storia! Del Cavaliere Nero” e indicò di nuovo Shinichi, che nel mentre si era alzato per raggiungerli, mani in tasca, mantenendo comunque una certa distanza. “Che combatte i cattivi! Però questo lo allontana dalla Principessa che soffre e può vederlo solo di tanto in tanto!” 

Il bambino non sembrava in grado di mitigare l’entusiasmo, come se gli eroi che vedeva nei cartoni animati fossero appena usciti dallo schermo di fronte a lui. 

“Un modo carino di raccontare quello che è successo” convenne Shinichi con un risolino spiazzato. 

“Non c’è niente da ridere” borbottò Ran verso di lui, ancora più imbarazzata nel venire a sapere come Sonoko raccontasse certe cose. “Momo-chan io non sono una Principessa…” cercò di argomentare, ma negli occhi del bambino lesse soltanto tutta la forza di credere nei propri sogni dei più piccoli. 

“Anche se non hai il vestito lo sei!” disse quest’ultimo, per poi voltarsi verso Shinichi. “Vero Oniichan? Lei è la tua Principessa, vero!? Quella che tu hai protetto dai cattivi!” 

Oh per l’amor del cielo” sbottò Ran in un sussurro, coprendosi la bocca e arrossendo ancora di più. Shinichi aveva cambiato colore, prima di scoppiare a ridere di gusto. 

Momo passò lo sguardo dall’uno all’altro, corrugando la fronte, per poi correre incontro a Shinichi e tirarlo di nuovo dai pantaloni. 

“Non è vero!? Perché ridi!? Non sei qui per Ran-neechan? Hai battuto i cattivi, non è vero?” 

Shinichi lo guardò e, per un attimo, pensò a se stesso quando si era ritrovato a quell’età, quando aveva iniziato a vestire i panni del Cavaliere Nero, in miniatura, proprio per proteggere Ran. Gli rispose, ma lo fece rialzando lo sguardo verso la donna, fissandola negli occhi. Non riuscì a mascherare la profonda malinconia che in quegli anni era stata sua compagna. 

“Sì, li ho sconfitti. Ma anche loro hanno sconfitto me. Per questo ci ho messo così tanto a tornare.” 

Ran tremò per un attimo, per poi chiudere gli occhi, serrando le dita. 

Nell’ampia caffetteria vuota calò il silenzio. Shinichi resistette all’impulso di avvicinarsi a Ran e prenderle le mani per dirle, finalmente, sono tornato. Non riuscì a muovere un passo, ma le sue labbra decisero lì dove la testa aveva ancora dei dubbi. 

“Sono tornato e non ho più intenzione di andarmene.” 

“Perché ora dovrebbe essere diverso?” sussurrò Ran, cedendo allo sconforto, bucando la bolla di dolore con cui aveva convissuto fino a quel momento, giorno dopo giorno, ingoiando l’amaro. 

Aveva indossato i panni della finzione per dirsi che andava tutto bene per così tanti anni, eppure li sentiva già cedere, scucirsi intorno a lei. Aveva sognato sognato per tutta l’adolescenza, ma quello che sperava di veder realizzato un giorno non era che un’illusione effimera. Aveva dovuto mettere da parte la ragazzina che pensava sarebbe stata felice col ragazzo di cui si era innamorata da bambina e andare avanti, andare lontano. 

Si era rifatta una vita a metà, spaccata costantemente dal guardarsi allo specchio e vedere nei propri occhi cosa si era lasciata alle spalle. Aveva combattuto tante volte la voglia di tornare indietro, di accettare le bugie, il passato, e continuare ad aspettare. Non era stata forte come pensava di essere. Non era stata tante cose. Si era dovuta reinventare e accettare diverse, troppe volte. 

Perché ora, di punto in bianco, avrebbe dovuto credere a un’altra promessa? 

“Ran-neechan... perché piangi?”

Ran sentì le manine di Momo sulle proprie e un proprio singhiozzo spezzare il silenzio. 

“Non è niente” represse un singulto, asciugandosi gli occhi con le dita. 

“Non piangere, zia. Okaasan mi ha detto che quando il tuo Cavaliere torna tu sei felice!”

I singulti di Ran si susseguirono uno di seguito all’altro, mentre nascondeva il volto nelle mani, non riuscendo più ad arginare le lacrime. 

Per qualche attimo non fu in grado di capire cosa le stesse succedendo attorno. Momo stava dicendo qualcos’altro, ma non capì. Come non capì come fosse possibile che il suo cuore riprendesse a battere, a battere sul serio, quando le braccia di Shinichi si strinsero intorno a lei. 

Non lo respinse, ma non poté impedirsi di tendere i muscoli, di irrigidirsi. Era questione di fare un metaforico passo, ma non riusciva a trovare il coraggio. 

“Non voglio andarmene.” 

“Shinichi…” 

“Ho tante cose da raccontarti.” 

“... ti prego…” 

“... ma devo accettare che tu non voglia…”

“... resta.” 

Le braccia di Shinichi si serrarono. Fu il tempo stesso a smettere di ticchettare e per qualche secondo fu il tepore a parlare, a ritrovarsi, dopo tanto tempo.

“Hai detto… resta?” chiese titubante il ragazzo, cercando di sbirciarle il viso. 

Ran annuì contro la sua spalla, molto piano, avendo bisogno lei stessa di realizzare quanto aveva appena affermato. 

Forse di lì a breve si sarebbe svegliata. Era un giorno come un altro. Un giorno come un altro da più di dieci anni. Non ricordava neanche la data, o se ricorresse qualcosa di particolare, un evento, una congiunzione astrale. 

Aveva solo capito che Shinichi era lì. Era tornato. Per davvero. Anche se con quei dieci anni di meno a vista, sentiva, in un certo senso, che era il suo Shinichi. Quello che non l’aveva mai davvero abbandonata anche quando il mondo gli si era rovesciato addosso. 

“Voglio ascoltare tutto quello che vuoi raccontarmi…” mormorò piano, staccandosi dal suo abbraccio quel tanto che bastava per guardarlo in viso. Le venne da piangere di nuovo. 

“R-Ran m-mi dispiace” balbettò lui non sapendo cosa fare. 

“Lo so.” 

“Sono stato un idiota. Io-”

Lo so.” 

Per un attimo le venne da ridere. Era assurdo. Era un giorno come un altro. Eppure era quel giorno che aspettava da troppo. 

“V-vuoi riprovarci…?” chiese piano Shinichi, facendosi serio d’improvviso, tutto tirato e rigido. Era consapevole di Momo attaccato con le manine ai suoi pantaloni, strattonandolo, ma vedeva e sentiva, percepiva, soltanto Ran. 

Ran e il suo sorriso. Piccolo, bagnato di lacrime, ma così bello

“Sì. Riproviamoci.” 


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COW-T 11, terza settimana, M1
Prompt: Age Difference
Numero parole: 1501
Rating: SAFE
Warning: Ok, anche se Conan ha in realtà diciassette anni, qui c’è comunque del fluff romantico tra un adulto e un bambino.
Note: Amuro ha 29 anni e Conan 7 (coff) (22 di differenza) 








Conan capì nel momento in cui si svegliò che c’era qualcosa che non andava. 

Non c’entrava il sentire la testa dolore - anche - ma era principalmente la grandezza del letto, e la consistenza. Non era il suo futon, sistemato di fianco a quello di Kogoro. Dormiva da mesi nella sua stanza per accorgersi subito che uno, l’ambiente era troppo silenzioso (niente russare persistente e distruggi-timpani), due, quel letto era molto, molto più comodo del proprio. 

Se si univa il dolore alla testa che non era un semplice mal di testa, ma proprio la sensazione di una ferita che tira sotto le bende, le prove parlavano da sé. Non erano deduzioni da detective, ma mera constatazione. Negli anni aveva compreso che appena sveglio il suo intuito e i suoi ragionamenti faticavano a carburare senza prima una dose di caffeina (la questione era peggiorata da da quando viveva all’Agenzia Mouri e le sue dosi di caffè erano state drasticamente ridotte per ovvie ragioni infantili). 

Tentò di rigirarsi tra le lenzuola, ma una fitta alla testa lo fece desistere. Rimase prono sul materasso, in quel tepore fuori luogo come il resto delle sue deduzioni. Allungando un po’ una mano per tastare il letto, lo sentì caldo abbastanza da dire che qualcuno che era stato sdraiato di fianco a lui si fosse alzato non meno di dieci minuti prima. 

Non riusciva proprio a ricordare cosa fosse successo il giorno prima da ridurlo così e portarlo a dormire in un letto sconosciuto, e questo lo stava frustrando insieme alla sensazione di non doversi preoccupare. Non c’era un filo logico e questo lo stava facendo agitare. 

Provò di nuovo a rialzarsi, ma quando puntò il piede destro una fitta di dolore lo fulminò, risalendogli dalla gamba al cervello come una freccia. Gemette e tremò nel tornarsene buono tra le lenzuola, mordendosi il labbro nel sentire il pulsare lancinante delle due ferite insieme. 

Senza preavviso, una mano gli si poggiò sulla schiena. Era di un adulto, calda - odorava di burro? - ed esercitò una leggera pressione, per poi iniziare a muoversi in piccoli gesti concentrici che lo confortarono dalla fitte. 

“È tutto ok, sei al sicuro.”

Furuya-san, realizzò Conan. 

Riconoscerlo diede motivo di espandersi a quella sensazione che gli sussurrava sottopelle di non preoccuparsi. Mugugnò appena in risposta, avvertendo la bocca ancora secca.  

“Cos’è successo…?” riuscì a dire. Rimase a occhi chiusi, godendosi quelle premure. 

Il materasso di fianco a lui cedette un po’. Con la coda dell’occhio, anche se sfuocato dai residui del sonno, il bambino notò Rei stendersi di fianco a lui, senza smettere di massaggiargli la schiena. Aveva il suo sorriso sempiterno, molto più genuino e morbido di quello affilato che mostrava costantemente al mondo. L’odore di burro che emanava si fece più presente, insieme ad altri aromi della cucina che risvegliarono il palato del piccolo detective. 

“Due giorni fa siamo rimasti coinvolti in un incidente.”

Gli occhi del bambino si spalancarono a fissarlo. Dei flash confusi riaffiorarono dalla sua memoria. Ricordava di essere in macchina, nella Mazda bianca del biondino. Rammentava vagamente che stessero inseguendo il colpevole di un caso in cui si erano imbattuti. Il rumore di un clacson a un incrocio e poi- 

Una fitta alla testa lo fece mugugnare di nuovo. Strusciò la guancia contro la federa del cuscino per lenire il fastidio, ma il dolore servì a svegliarlo. Osservando meglio Furuya, si accorse dei due grandi cerotti su fronte e guancia. Dove ha sbattuto contro il finestrino, realizzò. 

“Ho fatto in tempo a tirarti via dal sedile, anche se il tuo piede è rimasto in parte incastrato. Ma niente di rotto” sorrise Rei con sollievo. “Sei stato ko per quasi tutta la giornata di ieri, non ti ricordi di esserti svegliato un paio di volte, eh? Comunque i medici dell’ospedale hanno detto che hai solo bisogno di riposo.” 

Tra i ricordi confusi di Conan, un pensiero riaffiorò più prepotente degli altri, facendolo tendere. 

“Devo avvertire-”

“Tecnicamente no” lo precedette Furuya. “Questo weekend avevi detto che saresti stato fuori col professor Agasa.” 

“Ah…” Conan si sforzò a rimettere insieme i pezzi. L’odore di colazione lo stava distraendo. “Sì… ricordo.” Guardò Furuya con un vago senso di colpa rimarcato dai suoi grandi occhi da bambino. 

“Questo sarebbe dovuto essere il nostro weekend insieme.” 

Furuya ridacchiò appena. 

“Ma lo è, in un certo senso. L’importante è che tu stia bene.” 

Conan nascose il viso nel cuscino per non lasciar trapelare il vago rossore. Abituarsi all’idea che tra lui e Furuya fosse in corso qualcosa di più di una semplice collaborazione su due fronti contro l’Organizzazione era ancora una situazione che lo lasciava incerto, per quanto piacevolmente preso. 

Avergli rivelato di essere Kudou Shinichi era stato un passo necessario sul fronte della fiducia, ma anche per andare a riparare a quelle attenzioni che Furuya stava provando nei suoi confronti ma che, a buon ragione, lo stavano mettendo in crisi, pensando di star facendo qualcosa di profondamente sbagliato. L’ultima cosa che voleva Shinichi era far sentire Furuya in colpa per via della propria età fisica apparente. 

Sospirò. Quello sarebbe dovuto essere un weekend di stacco per entrambi, per passare un po’ di tempo insieme lontano dalle preoccupazioni di tutti i giorni e dalle loro doppie vite. 

“Hai fame?” lo distrasse Rei e Conan tornò a guardarlo. Il suo stomaco confermò che sì, ho fame. Una nuova sfumatura di rosso si aggiunse sulle gote del ragazzino. 

L’appartamento di Rei dava l’idea di essere più grande di quello che sembrava per l’assenza di mobilio superfluo. Il bianco delle pareti aiutava a darle un aspetto luminoso, insieme alle superfici che non avevano un colore più scuro del betulla. 

Conan si guardò intorno curioso, sbadigliando in braccio a Furuya mentre raggiungevano la cucina. 

“È la tua vera casa?” chiese, anche se sapeva già la risposta. 

Rei annuì. 

“Anche se dopo più di quattro anni è solo un appartamento come un altro.” 

Fu il turno di Conan di assentire. 

Casa era un concetto che da qualche mese gli era diventato estraneo, da quando viveva con Ran e il padre. Non si sentiva più sicuro da nessuna parte, con quelle ombre nere in agguato, e l’unico luogo che gli mancasse veramente era la biblioteca con lo studio di suo padre. Poteva tornarci quando gli pareva, ma non poteva rimanerci. Si sentiva un po’ un nomade, un posto al momento valeva l’altro. 

“Dopo ti segnerò l’indirizzo preciso e ti darò una chiave di scorta. Potrai venire qui ogni volta che vorrai o se ne avrai necessità. Oltre me, solo Kazami e il mio capo sanno dove abito davvero.”

Conan arrossì di nuovo. Sia per la fiducia tra le righe, sia perché Rei si era appena seduto al tavolo della colazione tenendolo ancora in braccio. Aveva apparecchiato per due in un solo posto. Due tazze, due paia di posate, un unico grande riempito con le porzioni per entrambi.  

“Ti piace la colazione occidentale?” 

“Non credo ci sia qualcosa che tu non riesca a non far piacere” commentò Conan decidendo di dare voce a un pensiero di pancia, accompagnandolo con uno sguardo eloquente e scaltra che non rispecchiava minimamente la sua età esteriore. 

Rei rise, allungandosi a versare il caffè per entrambi. 

“Lo dici per deduzione o per dati alla mano?” 

“Non è un po’ la stessa cosa, Furuya-san?” ribatté Conan, prendendo finalmente la fonte dell’odore buono che impregnava i vestiti del più grande. Una fetta di pane tiepida dove era stato fatto sciogliere il burro. 

“Chiamami Rei.” 

Il boccone quasi andò di traverso a Conan, ma riuscì a mantenere un discreto contegno. 

Rei.” 

“Shinichi.”

Si scambiarono un’occhiata complice che li avvicinò più di quanto avessero mai fatto le indagini che stavano portando avanti entrambi. 

“Una volta ogni tanto è bello sentirsi chiamare col proprio nome” sospirò Furuya. 

Mh mh” concordò il minore, godendosi un altro pezzo di pane col burro, lasciandosi andare contro il petto del biondino come se fosse stato il vero schienale di una poltrona. 

Emanava un tepore confortevole, lo stesso del letto dove aveva dormito. Aveva quasi voglia di richiudere gli occhi e riposarsi. Avevano meno tempo di quello che avevano preventivato progettando quel weekend insieme, ma quella sensazione tiepida lo stava vincendo. 

Qualche minuto più tardi, Rei aveva finito di bere il proprio caffè e aveva dato due morsi a una fetta di pane imburrata, per poi alzarsi piano, assicurandosi il piccolo detective tra le braccia mentre tornava verso il letto. Con attenzione, si stese tenendoselo contro il petto e recuperando le coperte con una mano per coprire entrambi. 

Prese un libro dal comodino, abbandonato lì da chissà quando, e andò alla pagina col segnalibro. Non ricordava di cosa parlasse la storia, ma aveva tempo per recuperarla, finché Shinichi non si fosse svegliato di nuovo. Sorrise tra sé e sé, squadrando il suo viso completamente perso nel sonno. 

Il weekend non aveva seguito il programma previsto, eppure Rei ora lo sentiva perfetto, senza il bisogno di chiedere altro.  


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COW-T 11, seconda settimana, M2
Prompt: Un giorno di attesa
Numero parole: 2424
Rating: SAFE
Warning: //
Note: //



Erano le undici di mattina e l’atmosfera mite di inizio primavera fu interrotta quando Heiji entrò in casa del professor Agasa come un tornado. 

“Ohi Kudou! Kudou! Dove sei!? Cos’è successo!?”

Ad accoglierlo furono otto paia di occhi interdetti da quell’arrivo trafelato, tra cui quelli dello stesso Shinichi. 

“Cos’è successo?” fece eco quest’ultimo all’amico, mentre sua madre sceglieva una delle carte che aveva in mano, contenta di non aver pescato l’uomo nero

Il giovane detective dell’ovest marciò a passi pesanti verso l’amico. 

“Succede che devi guardare il cellulare!” sbottò tenendo ben in vista il proprio cellulare e indicando l’elenco chiamate e poi switchando alla loro chat comune. “È un’ora che ti chiedo come stai e non mi rispondi! Né tu né la scienziata pazza-neechan lì! Ero preoccupato!” 

Haibara sbadigliò, stropicciandosi un occhio e tornando a sfogliare la rivista che aveva sulle ginocchia, seduta di fianco a Kudou. Nel mentre, Akai pescò una carta dalla mano di Yukiko, sorridendo tra sé e sé per la buona sorte. 

“Kudou-kun sta bene, i valori sono stabili” bofonchiò la ragazzina, prendendo un sorso di caffè dalla tazza sul tavolino. “E dopo il secondo messaggio in meno di un quarto d’ora non sognarti che ti risponda” aggiunse con una smorfia. 

Hattori mise il broncio, tornando a fissare l’amico con una faccia che diceva e la tua scusa per avermi fatto preoccupare quale sarebbe? 

“Ran continua a chiamarmi a entrambi i cellulari” spiegò quest’ultimo mesto, allungando una mano ma tentennando nello scegliere una carta tra quelle di Shuichi, riflettendo nel gesto i propri pensieri. 

“La tentazione di risponderle è tanta, quindi ho silenziato tutto, notifiche comprese” continuò in tono un po’ di scuse, scegliendo l’ultima carta a sinistra e guadagnandoci un ghigno dall’agente dell’FBI che si era appena liberato dell’uomo nero. Shinichi sbuffò, maledicendo la propria sfortuna mentre, con con le dita, si massaggiava il petto. 

A Heiji il gesto non passò inosservato. Dimenticò il motivo per cui era arrivato lì correndo, recuperò una sedia e si unì al tavolino dove stavano gli altri. 

“Sei sicuro di stare bene bene? Che tutto proceda come dovrebbe andare?” 

“È inutile rivolgere queste domande al paziente, Hattori-kun” lo riprese Haibara, leggermente piccata. “Ribadisco, i valori sono nella norma. Si massaggia il petto come riflesso condizionato. Sta per terminare la seconda dose di somministrazione dell’antidoto” e nel dirlo, pizzicò il tubicino della flebo tra lei e Shinichi, appesa a un’asticella mobile. “La sua temperatura è scesa a 37.6 ed è stabile da circa un’ora, come da programma.” 

Heiji lanciò un’altra occhiata critica a Shinichi, studiandolo meglio. Era pallido, con le occhiaie e imbacuccato in una felpa pesante nonostante il clima caldo-tiepido che si respirava da qualche giorno, però non sembrava sofferente.  

Il detective del Kasai sospirò arrendevole, togliendosi il cappello e facendosi aria contemplando il soffitto. 

“Sei uno straccio” commentò, recuperando un po’ di leggerezza. “Mary-obachan scalpitava per muoversi e uscire. Potresti andare in giardino e prenderti un po’ di sole, ti farebbe bene.” 

“Grazie, ‘kaasan, sto bene qui.” 

“Mia madre non ha mai imparato a stare ferma neanche con quaranta di febbre, ecco perché si caccia nei guai” replicò Akai pacato, rimescolando le carte a fine partita e ridistribuendole includendo anche Heiji. Guardò Haibara, ma lei fece segno di diniego, controllando dal tablet i valori degli elettrodi che Shinichi aveva addosso. 

“Non sei molto diverso da lei, Shuu-chan” ridacchiò Yukiko, controllando la propria mano. “Anzi, credo che tu in famiglia sia quello che le somiglia di più, dico bene?”

Akai fece spallucce, iniziando a pescare dal mazzo di Shinichi. “La testardaggine è un nostro tratto genetico.” 

“C’è qualcosa di fresco in frigo? Anche qualcosa da mangiare, muoio di fame” si intromise Heiji, guardandosi in giro. “Hakase dov’è finito? E tuo padre?” 

“Il professore sta dormendo, ha fatto la notte con noi” spiegò Ai, stiracchiandosi e saltando giù dal divano per raggiungere il frigorifero. 

“Yuusaku è a casa, nel suo studio a scrivere. È il suo modo di esorcizzare l’ansia” spiegò Yukiko con il sorriso di chi conosceva bene certi atteggiamenti. Pescò una carta da Heiji e fece una faccia poco convinta, per poi riprendere a parlare. “Uno dei suoi racconti brevi più famosi, L’Undicesima Ora, l’ha scritto nelle mie undici ore di travaglio per avere Shin-chan. Ha imparato a scrivere con una mano sola quella volta, mentre io gli stringevo l’altra” ridacchiò, dando un buffetto a Shinichi, che, imbarazzato, le scacciò le dita come con una mosca. 

Non c’è bisogno sempre di raccontare tutto” puntualizzò il figlio, fulminando l’amico che se la stava ridendo. 

“Se vuoi mangiare vieni a darmi una mano, Hattori-kun. Non sono una cameriera” lo richiamò Ai da oltre il bancone al centro della sala. 

Oltre a Heiji, anche Akai si alzò, sfilando di mano alla ragazzina la bottiglia di tè verde freddo e i bicchieri. Haibara non la prese benissimo, assottigliando lo sguardo. “Non sono neanche una principessa.” 

“Ma sei in piedi da ieri pomeriggio” gli ricordò l’uomo, che se avesse avuto due mani in più probabilmente l’avrebbe riportata a sedere in braccio. “Ed è già la seconda volta in meno di una settimana che somministri l’antidoto e segui la procedura dall’inizio alla fine.” 

“Non obbligarti a essere gentile con me” sbuffò Haibara, superandolo. 

Il fatto che gli arivasse appena a metà coscia non sembrava costituire un problema nel tenergli testa. 

“Sto rimediando al mio passato” si lasciò poi sfuggire a mezza voce, abbastanza piano perché gli altri non la sentissero. Si fermò a fissare come Shinichi stesse cercando di tirarsi indietro dal tramezzino che Heiji cercava di cacciargli in bocca. 

“Allora a breve dovrai decidere come incasinarti di nuovo la vita.”

Akai si liberò una mano e le scompigliò i capelli con un ghigno.

Non sono una bambina” ribatté lei stizzita, risistemandosi le ciocche finitele davanti agli occhi. 

“La mia proposta di venire in America è ancora valida” cambiò discorso Shuichi, ritrovando una parvenza di serietà. Avevano già toccato quell’argomento, ma non aveva avuto una risposta concreta. E dubitava l’avrebbe avuta per ancora del tempo.  

Lei distolse lo sguardo. 

“Ci penserò” borbottò, per poi aggiungere, ancora più piano, più come un pensiero fugace che stava mettendo radici. “Magari per le vacanze estive.” 

Un attimo dopo si schiarì la voce, mettendosi le mani sui fianchi e puntando lo sguardo al resto della combriccola. In particolare verso il loro ospite più rumoroso. 

Hattori-kun, cosa non ti è stato chiaro di quando ieri sera ho specificatamente ordinato che Kudou rimanesse a stomaco vuoto per l’intero ciclo di somministrazione dell’antidoto!?” 

Heiji si rizzò in piedi, il tramezzino maltrattato in una mano, ma lo stomaco di Shinichi a brontolare in sottofondo fu la giustificazione migliore per ribattere a quella sgridata. 

“Non fare la strega, neechan. Sentilo! Sta morendo di fame.”

“Sto bene” si difese Shinichi, anche se, di nuovo, il suo stomaco marciò nella direzione opposta. 

“Punto numero uno, ha una flebo con i nutrimenti essenziali. Ci ho messo mesi a selezionare quelli che non avrebbero interferito con i processi dell’antidoto” ringhiò Haibara, guardando il detective dell’ovest come una persona senza ore di sonno avrebbe voluto sopprimere una evidente fonte di disturbo. 

“Punto numero due” riprese, mentre faceva il giro del divano e si sedeva di nuovo di fianco al suo paziente. “Tu sei l’ultima persona al mondo che dovrebbe dare da bere o da mangiare a Kudou. Finisci sempre con incasinare tutto con qualche rimedio strampalato e nocivo.”

“Ehi” si offese Heiji, incrociando le braccia e sporgendo il labbro inferiore. “I miei rimedi sono stati efficaci meglio di qualsiasi miscuglio di droghe o medicine! E prima che tu arrivassi!” 

“I tuoi rimedi lo hanno esposto, quasi fatto scoprire e hanno messo a dura prova il suo fisico!”

“Ehi, Kudou, amico, diglielo anche tu che-”

Stop!” 

Yukiko batté le mani, mettendo fine a quel battibecco. 

“Al termine di questa lunga giornata d’attesa organizzeremo una festa e ci assicureremo che Shin-chan spazzoli ogni portata” disse, strizzando l’occhio a Heiji, per poi tornare seria e annuire nei confronti della piccola scienziata. “Fino ad allora seguiremo esclusivamente le direttive di Ai-chan. Se Shin-chan dovrà stare a stomaco vuoto fino alla fine del trattamento, sarà nostra premura non indurlo in tentazione.”

Nel dirlo, afferrò un tramezzino e lo mangiò di gusto, mentre Shinichi, rimasto a patire quei discorsi, si massaggiava le tempie con le dita. Si lasciò scappare un “Vi odio tutti” tra i denti, mentre gli altri quattro si riempivano la bocca. 

“Ma, Hei-chan, non ci hai detto com’è andata stamattina?” riprese Yukiko più tardi, alzandosi per aiutare Akai a sparecchiare. 

Shinichi si era appoggiato allo schienale del divano per riposare, la testa riversa all’indietro, ma aprì gli occhi alla domanda. Di fianco a lui, Heiji scrollò le spalle, continuando il solitario con le carte che aveva iniziato mentre mangiava. 

“Sveglia alle sette e mezza come da programma. Alle otto eravamo al Poirot per la colazione con Sonoko-neechan e Masumi-neechan e alle nove le ho portate all’Haido City Center. Mi devi un grosso favore, amico” borbottò lanciando un’occhiata all’altro detective liceale. “Da solo con quelle quattro per due ore a fare shopping. Già Kazuha è difficile da sopportare quando gira con quindici stampelle in mano.” 

“Come sta Ran?” chiese piano Shinichi, ignorando il resto e tornando a massaggiarsi il petto. 

Heiji rimase a fissare un po’ la carta che gli era appena capitata in mano, proiettandoci i propri rimuginamenti. 

“Ieri sera ha di nuovo pianto parecchio per Conan. Kazuha ha finito per piangere anche lei nel tentare di consolarla. Ammetto che mi stavano quasi convincendo che, insomma, te ne fossi andato sul serio…” borbottò, buttando la carta sul tavolo e pescandone un’altra.

“Quando racconterai tutta la verità a neechan credo che continuerà a starci male lo stesso. Non so se esiste un termine adatto in psicologia per chiamare questo trauma, ma si era sinceramente affezionata alla tua versione da marmocchio.” 

Shinichi sbuffò sonoramente, le mani abbandonate ai lati del corpo sul divano, mettendo ben in vista i punti dove le tre flebo erano state applicate. Tornare bambino era stato doloroso, per prima cosa fisicamente, poi la realizzazione di quanto fosse stato incastrato in qualcosa di molto più grande di lui non era stata da meno. Tuttavia, si era abituato. 

Anche se non gli era mai piaciuto vedere soffrire Ran, era stato alle regole del gioco. 

Bugie, fughe improvvise, sfruttare tutte le possibilità e, talvolta, anche le pedine che finivano per caso o per propria volontà sulla scacchiera. Erano stati giorni, mesi intensi. Aveva la sensazione che fossero trascorsi degli anni, di essere stato risucchiato in un loop dove tornava costantemente a zero e doveva ripartire con una carta in più o in meno contro quegli uomini in nero da incubo. 

Ma era finita. Appena qualche settimana prima, il grosso del caso era stato chiuso. Avevano vinto e la possibilità di tornare adulto si era concretizzata nel momento in cui erano riemersi tutti i documenti relativi all’APTX4869. 

Mary Sera era stata la prima a testare l’antidoto, conscia che sarebbe potuta andare male, ma si era imposta di essere la prima per ragioni che cominciavano da “sono la più grande qua dentro” a “stai zitto, ragazzino”. 

Shinichi difficilmente si sarebbe opposto alla madre di Akai, anche quando a separarli c’erano solo pochi centimetri e non fisicamente trentasei anni. Gli era bastato vederla in azione per capire che non avrebbe avuto comunque chance. 

Il test era stato però un successo, per quanto estenuante e ogni effetto collaterale (febbre, vomito, dolori muscolari e ossei continuati, insonnia, per citarne alcuni) li aveva tenuti sulle spine per ventiquattro ore, il tempo stimato da Haibara perché l’antidoto facesse effetto e si stabilizzasse. 

Mary era stata stoica, forse più impaziente e recalcitrante alle attenzioni (soprattutto dei figli minori) che le venivano date. 

Sorprendentemente, Heiji era stato quello con cui era andata più d’accordo durante tutto il processo. Si erano conosciuti per il rush finale contro l’Organizzazione, poche parole e solo azione spalla contro spalla, ma il detective dell’ovest si era guadagnato la sua stima e simpatia. 

Su un altro versante, invece, Haibara si era preparata mentalmente al fatto che Shinichi le avrebbe chiesto di ripetere la somministrazione dell’antidoto neanche due minuti dopo che avesse stabilito che nell’organismo di Mary non sussistessero più tracce di APTX4869. 

Per una volta, con alle spalle più di trenta ore di veglia, Ai aveva ceduto e aveva chiesto aiuto: tirando Akai per una manica per avere la sua attenzione, lo aveva guardato negli occhi e gli aveva detto un semplice “Tienimelo lontano” indicando Conan. 

L’”Aspett-” del detective rimpicciolito era stata l’ultima cosa che Haibara aveva sentito, andandosene sbadigliando e concedendosi mezza giornata di dormita. Ascoltare da Heiji e Yukiko come Akai avesse portato via per la collottola Conan era stata la sua iniezione di buon umore quando era riemersa dal coma. 

Ed ora eccoli lì, con un programma a tappe serrate diviso su due fronti: da un lato lo step definitivo per uscire dall’incubo dell’Organizzazione, ossia far tornare Shinichi adulto (Haibara non aveva ancora dichiarato apertamente la propria decisione in merito), dall’altro un piano di intrattenimento per Ran che la tenesse fisicamente e mentalmente occupata per l’intero giorno che ci sarebbe voluto a restituirle il suo ragazzo. 

“Non posso dimenticare nemmeno io cosa ho provato a starle vicino come Conan” disse piano Shinichi, attirando l’attenzione di tutti con quella piccola confessione. 

“È stato frustrante, ma anche divertente a volte” sorrise, richiamando alla mente qualche ricordo in cui si era cacciato nei pasticci e ne era uscito con scuse al limite dell’accettabile. “Ma almeno sono riuscito a restarle accanto, in un modo o nell’altro. Sono pronto ad aspettare tutto il tempo che ha dovuto aspettare lei se la aiuterà a metabolizzare questa storia. Anche di più. Non voglio più lasciarla.” 

“Oh, Shin-chan” singhiozzò sua mamma, mollando i bicchieri che aveva in mano e andando ad abbracciarlo. “Sei diventato proprio un ometto.” 

Mi stai strozzando-” 

“Wow, Kudou” borbottò Heiji col broncio, anche se sembrava essersi un po’ emozionato dal rossore sulle gote. “Piantala di fare sempre il super eroe anche quando tutto è finito.”

Haibara, di fianco a quest’ultimo, annuì con una smorfia, trovandosi concorde. 

“Smettila di essere melodrammatico. Andrà tutto bene, questa volta” sbuffò, ammettendo della positività necessaria. 

Sarebbe stato un lungo giorno di attesa, ma prima o poi sarebbe finito. 


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COW-T 11, seconda settimana, M2
Prompt: Una semplice domanda
Numero parole: 1204
Rating: SAFE
Warning


Il modo migliore per fare una sorpresa a Furuya era andare dritti al punto. 

Saper organizzare qualcosa alle sue spalle senza lasciargli sospettare nulla era un’impresa che richiedeva tempo, una strategia e persone fidate che avessero una faccia di bronzo inossidabile. Tutte cose che Shuichi e Shinichi non avevano a portata di mano, quindi puntarono sull’improvvisazione. 



“Non è il mio compleanno.”

Fu la prima cosa che Rei tenne a specificare quando mise piede nell’androne di casa Kudou, dove le luci erano state spente e quei due idioti se ne stavano in piedi. Akai sorreggeva con le mani una torta che sopra aveva - con un calcolo a colpo d’occhio - circa trenta candeline. 

“Non lo è ancora” lo corresse Shinichi con un sorriso che inneggiava al più basso istinto di prenderlo a schiaffi. “O potremmo anche dire che è passato.” 

“Questione di punti di vista” concluse Akai, sfoggiando un’espressione uguale a quella del più giovane. 

Rei aveva davvero voglia di colpirli quando lo fissavano così. Non c’era mai nulla di buono da aspettarsi. Per questo rimase fermo sulla porta, la giacca ancora addosso, una busta di carta con dentro i grembiuli del Poirot da mettere in lavatrice. Li studiò per capire le intenzioni, ma loro, consci di quel suo gesto, rimasero fermi in attesa, le ombre sui loro volti che mutavano seguendo il baluginio delle candele. 

Rei sbuffò arrendendosi, iniziando a togliersi le scarpe.

“Perché?”

Shinichi e Shuichi si scambiarono uno sguardo, come se non avessero preso in considerazione il perché. Per avere quasi quindici anni di differenza somigliavano più a due fratelli dispettosi che a un agente dell’FBI e a un giovane detective liceale con la vita incasinata. 

Rei si soffermò soprattutto su quest’ultimo, con una seconda occhiata. Arrivare a prendere l’antidoto per l’APTX4869 e farsi trovare adulto doveva per forza presupporre qualche guaio in vista. 

Allora? Cosa significa?” incalzò con un tono che avrebbe usato per spronare uno dei tuoi sottoposti, tipo Kazami. 

“Non ci avevi detto del tuo compleanno” buttò lì Shinichi con un’alzata di spalle e niente di più. “Scoprirlo non è stato facile come pensavamo.”

“E coglierti con la guardia abbassata non è cosa da poco” aggiunse Akai, il cui sguardo sembrava intendere diverse altre cose. 

Rei si impose di non abboccare, avvicinandosi finalmente agli altri due e venendo illuminato in volto da quelle trenta candeline. 

“Non c’era bisogno di festeggiare” sospirò, cercando di sciogliersi un po’, allentando un po’ l’irrigidimento delle spalle. 

Non era più abituato a ricordarsi un evento come il compleanno o a pensare di celebrarlo. Era solo un modo per tenere il conto di quanti anni il suo lavoro gli stesse succhiando via come un vampiro. Non che se ne lamentasse davvero. Avrebbe dato la vita per quello che faceva. Voleva solo dei risultati concreti, trovare il modo di chiudere quel pozzo oscuro e profondo in cui si era calato più di cinque anni prima e che gli aveva portato via troppe persone e occasioni importanti. 

“Dai, spegni le candeline!” lo incoraggiò Shinichi. 

“Ed esprimi un desiderio” continuò Akai, ma sempre con quel suo modo di fare un po’ ambiguo. 

“Perché?” 

“Porta fortuna” spiegò il giovane detective con un ampio sorriso. 

L’espressione di Furuya era quella di chi è abituato alle ultime parole famose. Con un sospiro che fece tremolare le piccole fiammelle, prese un respiro più profondo - pensò qualche secondo a cosa potesse desiderare, magari a una svolta positiva - e soffiò sulle candeline. 

In un attimo fu solo buio. 

Seguì un altro sospiro, spazientito ma anche rassegnato. 

“Non avevate pensato al dopo?” 

“Eh-” iniziò Shinichi, per poi ridacchiare e tastarsi i fianchi. “Ho lasciato il cellulare in cucina.” 

“Il mio è scarico” puntualizzò Rei. 

“Il mio è nella tasca destra” istruì Akai, girandosi di tre quarti verso Furuya, facendo attenzione a reggere la torta. 

Rei infilò le dita nella tasca destra, ma la trovò vuota. 

“Ah, devo averlo lasciato anche io in cucina” ridacchiò a mezze labbra Shuichi.

“Quanto sei spiritoso” replicò la spia a denti stretti per esserci cascato. Gli rifilò una pacca sul fianco, ma questo non fece che aumentare la sommessa risata dell’altro. 

“Sto reggendo la torta” gli ricordò, anche se non sembrava davvero un problema. 

“Non la terrai per sempre” fu la minaccia non tanto blanda. 

La luce si accese sulle loro teste, cogliendoli un attimo impreparati.  

“Ma guardatevi” commentò Shinichi, giudicandoli da lontano. “Siete proprio una coppietta imbarazzante.” 

“Solo perché Ran non è in giro” lo rimbeccò Akai, voltandosi e superandolo per tornare in cucina. Il giovane detective gli fu subito dietro per protestare, rosso sulle gote, mentre Rei scosse la testa, seguendoli a distanza. 

Non si aspettava di trovare degli striscioni colorati alle pareti, qualche palloncino, un piccolo buffet sul tavolo insieme a tovaglioli colorati, una bottiglia di ottimo vino e tre cappellini a cono. 

Fu con uno di questi in mano che Akai gli si ripresentò davanti, un angolo della bocca inarcato in un’espressione che non prometteva nulla di buono. 

Perché?” richiese Rei, impuntandosi su quell’unica domanda, ma caricandola di tutta l’assurdità di quella situazione. Iniziò a pensare di aver battuto la testa e di stare a immaginarsi tutto, ma la faccia tosta di Shuichi era troppo reale, insieme allo sghignazzare di Shinichi poco distante, già seduto su una delle sedie alte intorno al bancone della cucina. 

“Puoi frenare le congetture” gli rispose Akai, infilandogli il cappellino da festeggiato. Furuya glielo permise solo per farlo continuare a parlare. “Volevamo regalarti un po’ di stacco da tutto il lavoro che stai facendo.” 

“Mi state facendo venire i brividi.” 

Shinichi rise sinceramente e Akai fu sul punto di fare altrettanto. 

“Furuya-san, rilassati!” tentò il giovane detective, facendo cenno agli altri due di raggiungerlo al tavolo. 

Rei ci mise ancora qualche istante prima di provare, solo provare, a distendere i nervi. Poteva credere che fosse davvero il loro modo per sollevarlo dalle preoccupazioni e dalle incombenze che tre vite diverse gli davano. Fosse anche stata solo una trappola per qualche scherzo, per quella sera avrebbe pensato ad altro. 

“Mangia, voglio sapere che ne pensi.”

Akai lo riportò coi piedi per terra offrendogli un piatto con diversi stuzzichini assortiti. L’aspetto non era quello patinato del cibo comprato, ma più quello casalingo di chi ci aveva messo particolare cura. 

“Hai fatto tutto tu?” lo scetticismo di Rei era vagamente divertito. L’alter ego di Akai, Okiya Subaru, stava conquistando sempre più territorio, almeno dal punto di vista culinario. L’Akai che ricordava lui - Rye - era capace appena di mettere insieme due fette di pane e una farcitura commestibile. 

“Sono stato in videochiamata con Yukiko-san per tutto il pomeriggio. Non rischi l’avvelenamento.” 

“Confermo, sono buoni” si intromise Shinichi, afferrando qualcosa a sua volta e iniziando a mangiare senza aspettare il festeggiato. 

Rei si arrese, definitivamente, con un piccolo sorriso. 

Prese una tartina, la squadrò per bene fingendo ancora dello scetticismo lungi dal provare, lanciò un’occhiata sottile a quell’agente dell’FBI che ormai gravitava nella sua mente e nella sua vita troppo insistentemente, e alla fine diede un morso. Il suo carattere puntiglioso precisò che un margine di miglioramento era fattibile, ma quello che Furuya espresse fu un mmmh soddisfatto. 

“Ti piace?” 

“Sì.” 



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COW-T 11, seconda settimana, M3
Prompt: Pioggia/Oscurità
Numero parole: 5709
Rating: SAFE
Warning: solo io che scopro una ship dopo 14 anni.
Note: grazie a Shiroi che trova le immagini belle a cui ispirarsi ( https://twitter.com/tantan3356/status/915596078497521664




Ghost, I see you standing there
Don't turn away, I want you to stay
Ghost, what's your name? (ooh-ooh-ooh, oh)

[Ghost - Jacob Lee]




Dire che fosse una notte buia e tempestosa era riduttivo. 

Il grande orologio sito nella sala da ballo del maniero era al settimo rintocco della mezzanotte. I dong risalivano dal primo all’ultimo i piani della villa, sovrastando persino il rumore frastornante della pioggia contro i vetri delle finestre. 

Shinichi stava correndo su qui rintocchi. 

Aveva finito la seconda rampa di scale facendo i gradini due a due, sentendo appena la fatica, nonostante il cuore in gola per la situazione. Era riuscito a fregarlo. Tenere l’euforia sotto una certa soglia non era facile, non quando poteva solo che scappare e poteva permettersi pochi errori. 

Nell’oscurità della notte che permeava non solo l’esterno, ma anche i corridoi e ogni stanza, un lembo di stoffa bianca balenò nel campo visivo del detective, dalla tromba delle scale. 

Saturo di adrenalina, Shinichi riprese a correre, contando l’ottavo tocco dell’orologio. 


Al dodicesimo rintocco,
il Cuore Blu dell’Ultima Principessa dei Romanov
si troverà nelle mie mani.
Kaitou KID 




L’avviso del ladro fantasma era arrivato tre giorni prima, dando a Shinichi tutto il tempo di decifrare il piccolo enigma disegnato sul biglietto, piombare nell’ufficio della seconda divisione, far perdere le staffe a Nakamori con le sue deduzioni, tornare a casa a preparare un borsone con un paio di cambi e partire. Destinazione: l’imponente villa in stile occidentale in cui Kaitou KID aveva annunciato il suo prossimo colpo. 

L’unico dettaglio che non gli era ancora chiaro era il quando KID avrebbe deciso di colpire, particolare che dedusse una volta messo il piede giù dal treno. La stazione era tappezzata dai manifesti che annunciavano l’imminente evento del Ballo delle Debuttanti in stile occidentale in programma per la notte successiva. Il gioiello descritto nell’avviso era lo stesso riportato sulle locandine, anche se con il nome di Lacrima Zaffiro

Shinichi avvertì la familiare sensazione di eccitazione pervaderlo. Ogni pezzo stava andando al proprio posto. Avrebbe dovuto solo pazientare, ma prima ancora trovare un passaggio per quella mastodontica villa ottocentesca che si ergeva tra le colline e dominava la valle. 

Una volta arrivato e spiegata la situazione ai proprietari del maniero, per Shinichi fu preparata una stanza extra e dato tutto il sostegno possibile per tentare di arginare il crimine che sarebbe stato commesso di lì a ventiquattro ore. 

Anche se gli organizzatori dell’evento avanzarono dello scetticismo, dichiarando che Kaitou KID fosse solo uno ladro di città snob e che l'agenzia di sicurezza ingaggiata fosse sufficiente - dando a intendere quanto l'arrivo di Shinichi fosse non solo quello di un uccello del malaugurio, ma anche poco desiderato perché a scrocco - il giovane detective liceale ascoltò a malapena tutte quelle chiacchiere. 

Shinichi non fece altro che guardarsi intorno, controllando ogni finestra, aprendola e chiudendola per carpire cigolii strani o meccanismi truccati; passò poi a ispezionare le tende, i quadri, bussò a tutte le pareti, seguito dai proprietari, il maggiordomo e i rappresentanti dello staff che continuarono a porre domande, ricevendo però soltanto risposte sbrigative o a metà. 

Il tempo era poco, gli ospiti - quasi trecento persone - stavano arrivando a ondate, e Shinichi aveva già avvertito la presenza di Kaitou KID in mezzo a tutti loro. 

Era impensabile che Shinichi si mettesse a tirare le guance a ogni singolo invitato, anche quando Nakamori si presentò con una trentina di uomini qualche ora più tardi. 

Senza chiedere se i suoi consigli fossero graditi, immerso del tutto in quella calma prima della tempesta, Shinichi iniziò a istruire alcuni agenti sui punti deboli del maniero, indicando i luoghi da controllare al centimetro in cerca di qualsiasi cosa fuori posto, fosse stato un filo, una scatola, anche un pacchetto di fazzoletti. L'ispettore Nakamori non buttò Kudou fuori a calci dalla porta principale soltanto perché fu distratto dalla preoccupazione dei proprietari, che lo condussero a visionare la Lacrima Zaffiro e le misure di sicurezza adottate. 

Nel mentre, con le mani in tasca che artigliavano la stoffa interna dei pantaloni, Shinichi riprese a contare i minuti che lo separavano dalla sera successiva, stendendo le labbra in un moto di sfida e fiducia in se stesso. 

All’oscuro in un angolo della sala, con la notte che avanzava oltre le vetrate del maniero, il ladro a cui quell’espressione era rivolta rispose a sua volta con un ghignare identico, celato dal proprio travestimento. 




Nonostante il rumoreggiare del cielo, quella che seguì fu una notte tranquilla quanto frustrante. 

Dopo una cena anche troppo ricca - a cui Shinichi era stato invitato con insistenza dalla famiglia proprietaria che voleva raccontati di prima mano alcuni dei casi a cui aveva preso parte - una volta in camera il sonno tardò ad arrivare. Immergersi nella lettura della bozza del nuovo giallo di suo padre non lo prese come sperava, perché il pensiero martellante di KID continuava a pressarlo. 

Come se fosse stato chiamato, un click sospetto fece scattare Shinichi. 

Al pari di una molla, saltò giù dal letto, precipitandosi alla porta. Abbassando la maniglia, questa rimase serrata. La chiave non era nella toppa e neanche dove il ragazzo pensava di averla lasciata. Tentò di nuovo di forzare l’uscio, ma questo non si mosse se non con qualche cigolio. 

"Manutenzione straordinaria." 

La voce giunse dall'altro lato dell’uscio, in un tono che avrebbe voluto essere profondo, camuffato, ma che si macchiò troppo facilmente di una risatina. 

"KID" replicò Shinichi, accovacciandosi per guardare attraverso il buco della serratura. Essendo una vecchia porta, questo era ampio abbastanza da dargli una discreta visuale, ma vide solo una mano salutarlo, muoversi in un gesto veloce e far apparire una rosa blu tra le dita. 

"Buonasera, meitantei."

“Sapevo che ti eri spacciato per qualcuno dello staff tecnico.”

“Ma non da chi” lo sbeffeggiò il ladro. “Mi hai fatto lavorare il doppio con tutti quei tuoi controlli scrupolosi! Ho dovuto smontare tutta la mia attrezzatura, e neanche mi pagano!”

Shinichi lo ignorò. 

"Dov'è la chiave della mia stanza?" 

"Perché non lo scopri?" lo incoraggiò Kaitou dall'altro lato. 

Un biglietto scivolò sotto la porta, finendo contro la suola delle pantofole del detective. C'era il marchio del ladro fantasma sul lato visibile. Raccogliendolo e girandolo, il ragazzo trovò un altro indovinello disegnato. 

La sua espressione fu completamente presa dal gioco di linee, forme, lettere e numeri. 

"Cos'è, il tuo modo per non farmi dormire e approfittare della mia stanchezza per fare il colpo domani?" disse, ma dimenticando il tono esasperato. Senza distogliere lo sguardo dall’indizio, cercò alla cieca carta e penna sulla scrivania della stanza. 

"Oh no, è solo per passare il tempo! Mi stavo annoiando" replicò il ladro, coronando il tutto con uno sbadiglio mentre si stiracchiava. "Sono passato anche prima, ma stavi facendo la doccia. Così ho pensato di nasconderti la chiave."

"E hai rubato il passepartout del maggiordomo." 

"Può darsi. Dai, hai già capito dove l’ho nascosta?" 

Shinichi non rispose perché non aveva risposte da dargli sul momento. Stava continuando a rileggere l'indizio, cercando di dividere gli elementi importanti da quelli disegnati solo per distrarlo. 

“Perché vuoi rubare la Lacrima Zaffiro?” cambiò discorso, avendo un’epifania sull’enigma. Doveva prendere tempo. 

“Non mi chiedi perché nel mio avviso ho chiamato la gemma Il Cuore Blu dell’Ultima Principessa dei Romanov?” 

Shinichi rimase in silenzio e KID ridacchiò. 

“Oh, una cosa che non sai!” 

“Sto risolvendo il tuo indovinello” borbottò l’altro, ma con un sorrisino sulle labbra.

Si tolse le ciabatte per non fare rumore e recuperò la chiave dal nascondiglio indicato dal rebus. Le possibilità di aprire la porta e acchiapparlo al volo non giocavano a suo favore, ma un tentativo doveva farlo. Si schiarì leggermente da gola, scrivendo la risoluzione sullo stesso biglietto a forma di carta datogli da KID. 

“Immagino che c’entri la leggenda di Anastasia” disse quindi, continuando a temporeggiare. 

“In parte” replicò il ladro serafico, per poi abbassare il tono in uno più tiepido, di chi sta per raccontare una favola. 

“Tecnicamente, anche Lacrima Zaffiro non è un nome sbagliato. Viene dalla descrizione del gioiello e dal suo taglio a forma di goccia” iniziò a illustrare e Shinichi aveva la sensazione, non potendolo vedere, che stesse gesticolando. “Nonostante il nome, non è attestato con certezza che sia legato alla famiglia degli Zar di Russia, anche se le leggende non mancano. Si dice che sia un gioiello tramandato per generazioni da madre alla figlia più piccola, come porta fortuna, e che abbia mutuato il proprio nome attuale dalla disgraziata vicenda dell’ultima zarina, che non lo indossò al suo ultimo ballo, portandole così sfortuna. Romantico, non trovi?” 

Kaitou non aspettò una risposta per riprendere. 

“Un’altra storia lo vuole come semplice tributo di un gioielliere vicino alla famiglia reale, rendendo la gemma molto più recente. Solo l’amore di un artista che ha visto spegnersi persone a lui care. Ma qualsiasi sia la storia, il valore non le manca” concluse KID, per poi ascoltare il silenzio in cui erano immersi. 

“Ohi ohi, meitantei, non era una storia della buonanotte! Ti sei addormentato?” 

Shinichi ringraziò che ci fosse la porta a separarli. 

Non avrebbe mai potuto ammettere di essersi incantato, affascinato dal modo in cui il ladro si era immerso a raccontare quella storia, come un estimatore nell’omaggiare e dare valore con le parole a un’opera d’arte. Nel mentre, tuttavia, aveva anche sfruttato quel momento di distrazione a proprio vantaggio, riuscendo a infilare la chiave della toppa in silenzio. 

“Quindi” iniziò il giovane detective, pronto a scattare col proprio piano, conscio che a separarlo dal ladro ci fossero meno di venti centimetri. “Ruberai il gioiello per un valore fittizio di cui non sei neanche certo?” 

Kaitou sbuffò. 

Meitantei, dimmi la verità: non ti sei mai chiesto davvero cosa mi spinge a rubare solo certi tipi di gemme?” sbuffò, per poi aggiungere, più piano, in uno sfogo tra sé e sé: “Ve la prendete tanto ma restituisco sempre tutto!

“So che hai le tue ragioni” riprese Shinichi, abbassandosi con il biglietto in mano da lanciare sotto la fessura della porta. “Ma rubare rimane un crimine, che differenza fa?” 

“Ed ecco il famoso koukousei tantei dell’est e i suoi preconcetti a scatola chiusa” replicò KID, con una vena sarcastica, ma anche con una punta di qualcos’altro - amarezza? - che fece contrarre le sopracciglia a Shinichi. Le dita strette sul biglietto esitarono. 

“Sottrai qualcosa che appartiene a qualcun altro, cosa dovrebbe giustificarti?” 

“Il motivo. Sarei d’accordo con te che l’azione in sé sia da condannare, ma un’azione non sussiste senza un motivo. E i motivi non sono azioni logiche, ma l’insieme delle emozioni di un individuo. Mi segui?” 

“Nel momento in cui un motivo prevarica la vita di un’altra persona è da condannare.” 

KID sospirò sconsolato. 

Ohi, ti ricordo che io non ammazzo nessuno e non ho intenzione di farlo” ci tenne a ribadire, come un maestro delle elementari con un bambino che si è impuntato. “E lo so che in fondo a te frega più riuscire a smascherare i miei giochi di prestigio e mettermi le mani addosso.”

Dall’altro lato della porta, Shinichi non raccolse la provocazione, ancora concentrato sulla discussione. 

“Rubare è un reato” si limitò a ribattere, trincerato nelle proprie convinzioni. 

“Rubare può essere anche divertente, come adesso, no?” rincarò riferendosi alla chiave nascosta. 

“Rubare gioielli non può essere un passatempo” si intestardì il giovane detective. “Anche se dopo restituisci la refurtiva o fai in modo che nessuno si faccia davvero male. Ci sono però altre strade. A te piace dare spettacolo.” 

“E a te non dispiace. Di la verità, se non ci fossi io a lanciarti queste sfide almeno una volta al mese sarebbe tutto più noioso, eh?” 

“Perché lo fai?” 

Stavano girando intorno al reale motivo e Shinichi, distratto da quel chiacchierare, era rimasto a fissare il marchio di Kaitou KID sulla carta, continuando a esitare. 

Esitare non era buono. Esitare significava incertezza, ed essere incerti, nella maggior parte dei casi, lo faceva scivolare nell’errore. Ebbe bisogno di essere diretto. 

Ciò che non si aspettò, fu la risposta altrettanto diretta del ladro. 

“Perché hanno ucciso mio padre.” 

In sé fu un sussurro, ulteriormente mitigato dalla presenza della consistente porta in legno tra di loro. Non più di un leggero refolo che arriva a solleticare l’orecchio, se non fosse stato per la pesantezza che scivolò nella gola di Shinichi con la spigolosità di un frammento di pietra. 

“Lo fai… per vendicarti?” riuscì a dire il giovane detective, sentendo di dover rimanere aggrappato a quel filo sottile tra di loro. 

“I motivi sono come le persone, meitantei. Un insieme di emozioni” rispose KID con una leggerezza ben mascherata e scaturita da anni di accettazione. 

“Anche quando troverò il gioiello che cerco, la mia vendetta sarà solo distruggere il motivo alla base che ha spinto quella gente a prendersi la vita di mio padre. Non mi interessa macchiarmi le mani o uccidere qualcuno. Se non avranno un motivo per cui continuare a fare del male, allora dormiremo tutti sogni più tranquilli.” 

“Esiste un’indagine sul caso di tuo padre?” chiese piano Shinichi. In cuor suo sapeva che non era la domanda appropriata, forse quella che una persona normale si sarebbe aspettata. 

Tuttavia, KID sorrise paziente, accondiscendente, scuotendo la testa. 

“Sì, immagino, archiviata otto anni fa come incidente. Gente pericolosa, sai? Con diversi agganci e metodi definitivi, di quelle organizzazioni che non vorresti mai incrociare” sbuffò con un’alzata di spalle. “Anche se dopo domani andassi a cercare il caso e trovassi un indizio che lo faccia risultare un omicidio, non cambierebbe nulla.” 

“Non posso restituirti tuo padre.” 

KID rise con sincerità, stavolta senza amarezza. 

“Grazie del pensiero, meitantei, ma non intendevo quello. C’è un’altra cosa che le persone riescono a rendere unico e inestimabile come i motivi.” 

“Di che stai parlando?” 

“Dello stile” sghignazzò Kaitou, battendo con le nocche sulla porta. “Arriverò in fondo a questa faccenda col mio stile. Se vuoi indagare, nel tuo stile, sei libero di farlo. Potremmo fare a gara a chi arriva prima, che ne pensi?” concluse, lasciando scemare il divertimento con cui aveva alleggerito la conversazione per farsi venire un dubbio. 

“Prima però dovresti uscire da qui, eh?” 

Non ricevette risposta. 

“Ci sei ancora, meitantei? Spero per te che tu non abbia scelto di uscire dalla finestra perché è un volo di almeno dieci metri.” 

“Ho risolto il tuo enigma” esordì Shinichi neutro. Nello stesso istante, senza più tentennare, lanciò il biglietto che aveva scribacchiato sotto la fessura. 

“Oooh, che bravo, questa è la soluzione?” 

Shinichi registrò il passo con cui Kaitou si scostò dall’uscio per chinarsi a prendere il biglietto. Sfruttò il momento e con precisione e rapidità girò la chiave già inserita e abbassò la maniglia, spalancando la porta con forza. 

Anche se ci aveva solo sperato, imprecò tra sé quando si ritrovò nel corridoio vuoto. Per tutta la lunghezza, sia da una parte sia dall’altra, non c’era anima viva. Ciò che era rimasto di KID era solo la rosa blu e un altro biglietto. 

Buonanotte, meitantei. Prova a prendermi nei tuoi sogni!




Le nuvole coprivano il sole.

C’era aria di pioggia, ma il tempo sembrava ancora reggere, permettendo di svolgere le attività all’aperto come da programma. La mattinata e i preparativi per il Ballo delle Debuttanti stavano quindi procedendo a ritmo spedito, nonostante un intoppo - come qualcuno dello staff esterno aveva apostrofato l’accaduto - durante la colazione. 

Il giovane detective aveva faticato a svegliarsi, ma quando alla sua finestra erano giunte le grida dal giardino sottostante, ci aveva messo meno di due minuti ad arrivare, finendo di abbottonarsi la camicia. 

Allontanatevi dalla vittima! Chiamate un’ambulanza e la polizia!” 

Una giovane donna, con le mani strette sulla bocca, era riversa sul prato, tra i tavoli e i buffet allestiti per tutti i partecipanti. Shinichi ne constatò i segni vitali, trovando un battito debole ma ancora presente. Nel suo campo visivo riconobbe in breve tutti gli elementi collegati all’avvelenamento, dalla tazzina di tè sull’erba, al piattino con i biscotti, al bricco del latte che sgocciolava dal bordo del tavolo. 

“Che nessuno tocchi niente!” abbaiò quando alcune persone si fecero avanti. “Tu!” puntò lo sguardo su una cameriera che si irrigidì, presa in contropiede. “Avvisa quelli della sicurezza che nessuno deve lasciare la proprietà fino al termine delle indagini!” e la ragazza corse trafelata verso l’ingresso. 

“Posso esserti di aiuto anche io?” 

Un’altra cameriera si fece avanti, con un atteggiamento più deciso. Shinichi le dedicò appena un’occhiata, distratto dal suono delle sirene in avvicinamento. 

“Serve di tenere gli invitati a distanza.” 

“È possibile che anche il resto del cibo sia avvelenato?” 

“No.”

Shinichi lo disse con sicurezza, mentre la sua mente lavorava spedita per dare un senso a tutte le prove come se fosse alle prese con un cubo di Rubik. Si sfilò un fazzoletto dalla tasca e, delicatamente, scostò una delle mani dalla bocca della vittima, osservandone le dita. Un’espressione sicura si aprì sul suo viso. 

“Ne sono certo. Il cibo non è contaminato. Il resto dei partecipanti può riprendere a fare colazione.” 

La cameriera, non vista, roteò gli occhi al cielo, con la faccia che diceva un chiaro Come se non ci fosse appena passato l’appetito a tutti quanti

“C’è altro in cui posso aiutare?” 

“Sotto i tavoli” continuò Shinichi, ancora preso dai propri pensieri per prestare attenzione al contesto. “Tra l’erba. Il colpevole deve essersi liberato di una certa prova…” 

“Ok.” 

Nel mentre, lo scalpiccio di una dozzina di persone annunciò l’arrivo dei soccorso e della polizia. 

“Megure ha ragione quando dice che dove ci sei tu qualcuno rischia la pelle” borbottò Nakamori guardando male Shinichi, che con espressione innocente fece spallucce. L’attenzione dell’ispettore fu poi per la vittima che veniva caricata sulla lettiga e portata via dai paramedici. “Che brutto modo di iniziare la giornata. Spero se la cavi.”

“Se la caverà” lo rassicurò il giovane detective, ritrovando la propria serietà. “Il colpevole era alle prime armi, ha dosato male il veleno. O non voleva davvero uccidere, ma questo ce lo faremo dire a breve.” 

Il suo sguardo corse verso alcune persone in particolare. 

“Nakamori-keibu, isoli quei tre. Hanno qualcosa da raccontarci.”

“Ehi ragazzino, smettila di atteggiarti, e ricordati che io e il mio dipartimento ci occupiamo di truffe e rapine. Dobbiamo aspettare la divisione della omicidi.” 

“Arriveranno solo per ufficializzare l’arresto immagino, vero, meitantei?” 

La cameriera riapparve al fianco di Shinichi, strizzandogli l’occhio e alzando la prova che aveva appena trovato, avvolta in un fazzoletto. 

“Era stata nascosta sotto a quel tavolo laggiù, tra l’erba, come avevi detto.” 

L’iniziale attenzione del giovane detective per la donna in livrea fu presto catalizzata dall’oggetto che aveva in mano e che avvalorava la sua tesi su come la vittima fosse stata avvelenata. Prese la prova con attenzione, rigirandola e osservandola con cura. Aveva quel che gli serviva per chiudere il caso. Ora doveva solo capire il movente e quindi il colpevole. 

I motivi sono come le persone, meitantei. Un insieme di emozioni. 

Un brivido corse lungo la schiena di Shinichi. Si voltò di scatto verso il proprio fianco, realizzando in ritardo chi fosse la cameriera. 

La ragazza se ne era già andata. 

“Se hai avuto un colpo di fulmine, la moretta si è diretta verso la cucina a preparare dell’altro caffè caldo perché dice che non ti sei ancora svegliato. La conosci?” chiese Nakamori, sbadigliando. “Del caffè ora ci starebbe proprio bene. Vedi che tornerà tra poco.”

“Tornerà stasera” disse a mezza voce Shinichi, occhieggiando l’ingresso della villa, ma, come per la sera prima in corridoio, non c’era chi si aspettava di trovare. 

“Stasera?” fece eco l’ispettore senza capire. 

“Lasci perdere. Torniamo all’avvelenamento…” 




Shinichi passò al vaglio ogni cameriera dello staff, tentando di essere il meno invadente possibile per non venire accusato di essere un pervertito. Parlò con circa una ventina di ragazze, ma nessuna ricordò la donna alta e mora da lui descritta. Non che davvero ci sperasse di beccare KID ancora in quella mise, ma in qualche modo dovette far passare il tempo, soprattutto con addosso la sensazione persistente che il ladro fosse lì, a pedinarlo con lo sguardo, chissà camuffato da chi. 

L’evento del Ballo delle Debuttanti iniziò intorno alle cinque del pomeriggio. In accordo con la divisione omicidi, sopraggiunta solo per le formalità - come KID aveva previsto - il programma della giornata sarebbe potuto proseguire, lasciando alla scientifica il tempo di fare gli ultimi rilevamenti e permettere poi all’unità di Nakamori di presidiare il resto in attesa del furto. 

Shinichi aveva ipotizzato fino a quattro scenari diversi dagli elementi che aveva raccolto. Quattro possibili modus operandi che Kaitou KID avrebbe potuto utilizzare per mettere le mani sul Cuore Blu o Lacrima Zaffiro - il nome continuava a essere un dettaglio per un secondo momento. 

In ognuno di quei casi, sarebbe stato pronto a contrastarlo, doveva solo sopravvivere alla serata senza morire di noia. Si concesse delle chiacchiere amichevoli, conobbe qualche personalità grazie alla nomea dei propri genitori, rivide con Nakamori i punti essenziali e le possibili criticità che il ladro avrebbe potuto creare - anche se l’ispettore continuò a sbuffare e rispondergli male a ogni affermazione. 

Per tutto il tempo seppe di avere gli occhi di KID addosso. La pelle d’oca sulle braccia non lo abbandonò un singolo minuto, ma più si guardava intorno, più vedeva persone perfettamente a loro agio e immerse nell’evento in corso. 

Arriverò in fondo a questa faccenda col mio stile. Se vuoi indagare, nel tuo stile, sei libero di farlo. Potremmo fare a gara a chi arriva prima, che ne pensi?

Ammettere che fosse intrigante sarebbe stato come sminuire la profondità dei fatti. 

KID si era aperto con lui come lo si sarebbe fatto con una persona in cui si ripone fiducia, ma Shinichi non era un suo amico, era una delle persone che voleva mettergli le manette ai polsi. 

Tuttavia, ora che sapeva il motivo, qualcosa sarebbe cambiato? Il suo atteggiamento sarebbe stato diverso? KID stava minando le sue fondamenta per crearsi una via di fuga sicura? Ma lo avrebbe fatto arrivando persino a mettere in mezzo l’omicidio di suo padre? 

Shinichi non dubitava della sua sincerità. Aveva sentito quella confidenza. Era autentica, tanto da avergli bloccato qualcosa dentro. Tuttavia, i suoi principi rimanevano saldi. Rubare era sbagliato, anche quando KID restituiva il tutto. Cosa stava cercando in quelle gemme? 

Mani in tasca, lo sguardo di Shinichi finì sulla teca dove il Cuore Blu era conservato, per poi spostarsi sulle coltri di nubi che non avevano mai lasciato uno spicchio di cielo sereno.

Pioveva ormai da due ore, eppure la festa andava avanti, con la musica che sovrastava il picchiettio costante. Avrebbe potuto coglierne una metafora per spiegare lo strano sentimento che gli si stava insinuando nel petto, ma rinunciò. 

Era una di quelle notti. 

Le notti di KID, anche se, senza luna piena, era solo una notte a metà. Questo però non avrebbe fermato il ladro. 

Quando la luce andò via, Shinichi vestiva già il proprio ruolo, pronto ad andare in scena.




“Mantenete la calma” esordì, sovrastando il cicaleccio tra i partecipanti. 

Senza corrente si era interrotta la musica, e il rumore frenetico della pioggia aveva invaso l’ambiente quanto l’oscurità, in un umido sentore di presagio. 

Shinichi controllò il proprio orologio da polso con le lancette luminose. 

“Mancano cinque minuti a mezzanotte.” 

“Al dodicesimo rintocco” recitava il primo biglietto inviato dal ladro fantasma. KID era puntuale con le sue istruzioni o l’arroganza non sarebbe stato un suo tratto distintivo. 

Gli occhi attenti del giovane detective spaziarono la grande sala, ma salvo per qualche lampo lontano che ogni tanto illuminava gli astanti attraverso le grandi vetrate, non c’era alcuna fonte di luce. Distinguere i movimenti sospetti non era facile. 

“Ce la facciamo con questo generatore di emergenza!?” abbaiò Nakamori, dall’altra parte della sala. 

“Signore! I cavi sono stati tranciati!” 

Shinichi prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. Quattro minuti.  

Scenario tre. 

“Le torce allora! Datevi una mossa!” 

“... s-signore” tentennò uno dei poliziotti. “Q-Qualcuno ha colorato di nero i vetri delle torce-” 

Che cosa stai dicendo!?”

Shinichi si corresse. 

Scenario quattro. La notte eterna. Tre minuti. 

“Nakamori-keibu” chiamò, avvicinandosi al gioiello e illuminandolo con una piccola torcia montata su una penna stilo. Lo zaffiro gli rimandò un riflesso blu che, in un altro momento, sarebbe rimasto ad ammirare, ma che in quell’attimo gli diede solo la certezza, ispezionando velocemente il piedistallo, di essere l’originale. “Scelga quattro uomini - quelli con i riflessi più veloci - e li faccia sistemare intorno alla Lacrima Zaffiro, a una distanza di un metro. Veloce.” 

“Senti, ragazzin-” 

Due minuti.” 

Nakamori imprecò, chiamando quattro nomi che, seguendo il puntino luminoso tenuto dal giovane detective, si posizionarono come richiesto. 

“Indossate le maschere anti-gas” disse Shinichi dimezzando il tono di voce in modo che solo i pochi uomini scelti e l’ispettore lo sentissero. “Ma state pronti a levarvele, potrebbero seguire la sorte delle torce. E rilassatevi” aggiunse con un mezzo sorriso, cercando di stemperare la tensione. “Non è nello stile-” si interruppe, mordendosi un labbro. “KID non uccide. Più siete nervosi, più vi fregherà.” 

Guardò l’orologio. 

“Un minuto.” 

Nonostante le trecento e più persone presenti, per quell’unico minuto ci fu solo silenzio. L’attesa attanagliò tutti, serpeggiando tra gli invitati e mordendo loro il respiro. Il ticchettio dell’orologio incastonato nel muro in fondo alla sala risuonò anche più forte dei tuoni e direttamente nelle vene degli astanti. 

Shinichi avvertì l’inconfondibile sbattere del mantello di Kaitou KID a dieci secondi dalla mezzanotte e la tensione raggiunse il culmine. 

Qualcuno gridò il nome del ladro, molti altri urlarono e basta, ma il primo rintocco della mezzanotte, in un suono cupo e vibrante, mise a tacere tutti e fece da padrone su qualsiasi altro rumore. 

L’azione si consumò in pochi battiti di ciglia. Un soffio che spegne una candela.

La piccola torcia cadde di mano a Shinichi, colpita da una carta, facendo tornare il buio assoluto. Nello stesso momento, la teca in vetro andò in frantumi, mentre gli uomini di Nakamori e l’ispettore stesso si lanciavano nel tentativo di afferrare il ladro. 

Secondo rintocco. 

Il giovane detective dell’est non si fece abbindolare dal manichino bardato come KID assaltato dalla polizia, ma seguì lo scintillio blu dello zaffiro che, nell’urto degli agenti contro il piedistallo, stava rotolando in terra. Si affrettò, chinandosi per afferrarlo.

Al terzo rintocco, Shinichi si trovò accucciato, faccia a faccia con KID, nascosto da un mantello nero che lo rendeva invisibile.  Si ritrovò a fissare quel suo sorrisetto smaliziato, sempre due passi davanti a tutti. 

Perché hanno ucciso mio padre.

Shinichi diede retta a quell’emozione senza forma che si entra incastrata nel suo petto. Disse una cosa di pancia, ma la confusione e il quarto rintocco coprirono le sue parole. 

Non fu minimamente calcolato, ma quell’imprevisto gli diede un doppio vantaggio: l’espressione sorpresa - impagabile - di KID e sentire con le dita di aver afferrato il Cuore Blu, sfilandolo dal guanto del ladro. 

Fu il battito del cuore di Shinichi a risuonare in quel momento, come un ordine.

Bloccando il respiro nei polmoni, il detective si voltò e cominciò a correre verso l’uscita della sala. 




Devo resistere ancora quattro rintocchi, pensò Shinichi correndo per uno dei lunghi corridoi della villa. 

Suonò il nono dong e la sensazione di vittoria si fece strada tra i muscoli tesi del detective, ma lui la ricacciò indietro per non distrarsi. 

Gli bastò voltare appena la testa indietro per sapere di avere KID alle calcagna. Il bianco del suo completo rifletteva la minima fonte di luce, rendendolo etereo e facendolo risplendere come un fantasma nell’oscurità della notte. 

Al decimo rintocco, Shinichi fu sfiorato alla spalla da una delle carte sparate dalla pistola di KID. Non si lasciò intimorire e tentò di accelerare, nonostante avvertisse le gambe consumate dalla tensione. 

Altre due carte sfrecciarono intorno a lui. Una di queste colpì la vecchia chiusura di una delle finestre. Il vento del temporale fece il resto. 

All’undicesimo tocco della mezzanotte, la finestra davanti al detective si spalancò e lui fu costretto ad alzare il braccio per pararsi dal battente. Strinse più forte la Lacrima Zaffiro nel palmo della mano, a costo di farsi male, ma sapeva di aver perso nel momento in cui incespicò nei propri piedi e perse l’equilibrio. 

Al dodicesimo rintocco Shinichi finì a sbattere contro la parete del corridoio. 

KID lo aveva afferrato per un polso e il detective aveva sfruttato quella presa per cercare di bilanciarsi, ma erano finiti col fare un mezzo volteggio, finché il muro non li aveva fermati. 

Shinichi tese d’istinto il braccio al massimo, la mano una gabbia intorno al gioiello, mentre le dita del ladro gli solleticavano il palmo. 

Anche se le possibilità di fuga si erano drasticamente ridotte, Shinichi non se la sentì di riprendere a respirare. Non quando Kaitou KID gli era addosso, nel senso più conciso del termine. 

“Corri davvero molto veloce, meitantei” ansimò il ladro e il detective sentì il respiro sulle labbra serrate. I suoi occhi erano blu. Come la rosa. Come la Lacrima Zaffiro. 

“Hai perso” sussurrò Shinichi, stringendo sicuro la gemma, nonostante l’insinuarsi delle dita dell’altro tra le proprie. 

Il sorrisino scaltro di KID si ampliò e il suo corpo premette quello del detective contro il muro con più decisione, togliendogli il fiato. 

“Lo sappiamo solo io e te” ridacchiò il ladro e Shinichi sentì la risata vibrare nel petto. Si chiese se pure il battito del proprio cuore, che lui sentiva pulsare con prepotenza nelle orecchie, lo avvertisse anche KID. Se possibile, il detective tentò di allungare il braccio ancora un po’. Era così teso e concentrato sul ladro da non poter lasciare spazio alla stanchezza. 

“Dove pensi di andare?” chiese Kaitou, piegando leggermente la testa di lato e cambiando angolatura con cui fissarlo. Se possibile, per Shinichi fu anche più intimo di averlo completamente spalmato addosso. 

Tentò un colpo di reni improvviso per liberarsi e coglierlo alla sprovvista, ma non funzionò. KID, più fresco e all’apparenza per nulla nervoso, quasi a proprio agio, lo trattenne contro il muro senza mutare espressione di una virgola. 

“Hai detto una cosa prima, nella sala del ballo, al quarto rintocco.” 

Shinichi serrò la bocca in una linea sottilissima come risposta, guardandolo allo stesso modo in cui avrebbe giudicato l’ultimo dei criminali. KID roteò gli occhi al soffitto con pazienza. 

“Ti ho letto le labbra.”

Lo sguardo del detective si assottigliò, non credendogli. Non c’era però modo di incrinare quella poker face che KID sfoggiava abitualmente durante i suoi colpi, anche quando la situazione sembrava precipitare. 

Per un istante fugace, Shinichi si chiese se fosse così anche tutti i giorni. Si chiese chi fosse KID tutti i giorni

Perché era un ragazzo. Della sua età su per giù. Uno studente? Un liceale? 

“Ohi ohi, meitantei, lo so cosa stai facendo. Non ti distrarre” lo richiamò il ladro, per poi avvicinarsi, la testa ancora inclinata, superando il suo viso e parlando direttamente al suo orecchio. 

Se ti interessa così tanto conoscermi, perché non esci con me una volta?” 

Il cervello di Shinichi smise di funzionare. In mezzo secondo fu certo anche che qualcosa nel proprio petto si fosse arrestato. Nello stesso istante, le dita di Kaitou forzarono la sua mano, ma non si chiusero sul Cuore Blu. Si intrecciarono con le sue, tenendo la gemma premuta tra i loro palmi. 

“Terra chiama il grande detective?” lo dileggiò il ladro con un’occhiata vittoriosa. 

Si schiacciò di nuovo, per un’ultima volta, contro il suo corpo immobile, per rendere la sua mossa successiva ancora più efficace. Alzando leggermente il viso, premette le labbra contro la sua guancia, osservando deliziato la reazione. 

Shinichi spalancò gli occhi, arrossì all’istante ed ebbe un leggero spasmo dovuto alla sorpresa. KID sfruttò interamente quel lungo attimo per fare un passo indietro e, allo stesso tempo, sflilare il gioiello dalla mano del detective. 

Non ci furono scatti improvvisi, contrattacchi o qualsiasi tipo di reazione. Il giovane detective lo fissò sgomento, il viso acceso dall’imbarazzo. Il muro sembrava il miglior supporto dopo quella mossa destabilizzante. 

“Sembra che stanotte io abbia rubato più di un cuore” celiò Kaitou KID, facendo sparire la Lacrima Zaffiro nel palmo. 

“A-Aspetta.” 

KID rimase di schiena alla finestra, ignorando la pioggia e le folate di vento che gli animavano il mantello. Il suo sorriso sicuro gli attraversava il viso, ma nei suoi occhi il detective vide qualcosa di diverso. Se lo stava immaginando…? 

“Ti aiuterò.” 

Con una mano guantata, il ladro fantasma si afferrò la falda della tuba, abbassandola abbastanza da celare il proprio sguardo. 

“Lo so, meitantei. Ti avevo letto le labbra.” 

Con un balzo, il ladro fu sul davanzale della finestra quando un lampo illuminò per un attimo l’oscurità e fece risaltare il bianco che indossava. 

“Vediamoci all’acquario di Beika domenica prossima. Puntuale alle cinque.” 

Cosa?” 

Il mantello di KID si tese all’improvviso, trasformandosi nel suo aliante. Kaitou lo guardò in faccia per un’ultima volta, levando poi la mano in cui teneva lo zaffiro. 

“Vieni, se vuoi che ti restituisca il cuore.” 

Prima che il detective potesse afferrarlo, Kaitou KID si lasciò andare all’indietro, sfruttando una raffica di vento a proprio favore e volando via. Sparì in pochi secondi, inghiottito dall’oscurità della notte. 

Shinichi tentò di seguirlo con lo sguardo, ma le frustate di pioggia contro il viso gli resero l’impresa difficoltosa. Quando si arrese, seppe di aver perso su tutta la linea. 

Eppure qualcosa, dentro di lui, batteva in modo diverso. Si appoggiò una mano sulla guancia ancora calda, dove KID lo aveva baciato. 

Dovette ripeterselo una seconda volta per allineare la parola al gesto e alla realtà. 

Gli aveva chiesto di uscire

“E sentiamo” disse a nessuno in particolare, ma col bisogno di buttare fuori il pensiero. “Come dovrei riconoscerti, ladro fantasma?” 

La risposta l’aveva già. Tuttavia, pensare a quegli occhi così espressivi, fissi nei suoi, lo fece avvampare di nuovo, stupidamente. 

Non poteva dargliela vinta. Sarebbe andato all’appuntamento. 

E avrebbe recuperato entrambi i cuori


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