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COW-T 14, quinta settimana, M2

Prompt: Uno card

Numero parole: 2157

Rating: SAFE

Note: Salvate Chuuya da Dazai, per favore






 

 

“... che cazzo significa.”

Dazai sospirò come si sospira di fronte a un bambino che ti chiede la stessa cosa per la quinta volta. Rimescolò il suo cocktail di farmaci per dormire e antigelo fissando il tutto in maniera curiosa e ridando un occhio alla ricetta che si era appuntato e che giaceva come segnalibro nella sua attuale lettura, rimasta aperta sulla scrivania di Mori. 

“Significa che” recitò, scandendo come una maestra d’asilo, “dobbiamo occuparcene noi. Cosa c’è di così complicato da capire?”

Chuuya restituì l’idea di considerarlo alla stregua di un insetto che gli gironzolava attorno. Troppo rapido per essere acchiappato, troppo scaltro per essere schiacciato. Il fastidio fatto persona, una palla al piede, il più stronzo degli stronzi… ma Chuuya non aveva davvero la concentrazione, in quel momento, per liberarsi di Dazai. Né, in realtà, poteva permetterselo. 

Essere l’ultimo arrivato all’interno della Port Mafia aveva degli enormi svantaggi, tipo dover considerare quella piaga umana con l’hobby del suicidio la propria guida agli usi e cotumi dell’organizzazione. Questo quando il Boss era fuori città. Questo quando la sua effettiva mentore, Kouyou, era troppo oberata per dargli retta. Questo quando persino Hirotsu si era defilato con una scusa e tanti salamelecchi per mollare la grana a loro. 

“Cos’è che ti turba tanto, Chuuya?”

L’ex Re delle Pecore alzò finalmente lo sguardo sull’altro ragazzo, seduto a gambe incrociate sulla scrivania del Boss, del tutto a proprio agio. Lui si sentiva ridicolmente piccolo su una delle due poltrone di cortesia. 

“Abbiamo quindici anni."

“Vuoi che ti faccia gli auguri di compleanno in ritardo?”

“Non sognarti mai di farlo!”

“Menomale…” sospirò Dazai, accantonando quella futura incombenza con un sorriso sollevato, tornando a far tintinnare il cucchiaio da cocktail con cui stava mescolando nel becker il suo Filtro per il perfetto suicidio indolore. “Non vorrei buttare dei soldi per comprarti del vino e vederti felice.”

“Sei una merda.”

“Allora? Cos’è quell’espressione piena d’angoscia? Vuoi fare tu il primo giro?” e gli mise sotto il naso il suo preparato.

Chuuya si ritrasse contro la spalliera della poltrona.

“Toglimi quella roba da davanti e crepa.”

“Ci sto provando, non lo vedi?” sbuffò l’altro. “Mi spieghi cosa non ti è chiaro di quello che dobbiamo fare? Non ho tutto il giorno per farti da balia.”

“Fottiti.”

“Chuuuuyaaaaa” si lamentò Dazai. “Parla e basta.”

Per tutta risposta, l’altro ragazzo riafferrò il comunicato che gli era stato consegnato a colazione e per cui era un’ora che era lì a cercare di capire in cosa si fosse cacciato. Ormai il foglio era del tutto stropicciato, ma il messaggio rimaneva più che leggibile.

“Non possiamo occuparci di questa cosa. Punto numero uno, queste cose non dovrebbero succedere senza il Boss presente! Punto due, non ci prenderebbero sul serio!”

“Oh. Il problema è questo?” 

Chuuya mise su il muso, odiando sentirsi stupido e odiando Dazai con ogni fibra del proprio essere perché ce lo faceva sentire.

“A te non te ne frega un cazzo, ma io non voglio far scoppiare un casino mentre il Boss è via!”

“Aaah, il senso di responsabilità, che carino che sei” cinguettò Dazai, portandosi una mano al petto e fissandolo con l’unico occhio non bendato e una teatralità commossa da prendere a schiaffi. “Hai paura che papà torni e ti sbatta fuori di casa perché gli hai rovinato il salotto?”

Chuuya avampò e gli si lesse in faccia l’istinto a volersi alzare e picchiarlo male, ma Dazai fu più svelto e lo colse impreparato, mollandogli in mano il becker e il cucchiaio e restandogli ad appena cinque centimetri dal naso, costringendolo di nuovo contro lo schienale della poltrona.

“Ora ti rispiego tutto! Lezione for dummies per un esecutivo quindicenne della Port Mafia!” cantilenò e sembrò mancare poco che piroettasse sul posto. Si schiarì la voce e alzò un indice. “Primo, ci vestiremo bene!”

“Ohi, pianta-”

“Punto due! E continua a mescolare!” lo redarguì l’altro, indicando l’intruglio. “Punto due, ci sarà comunque Hirotsu a fare gli onori di casa, non temere. Lui è avvezzo a queste cose e ci supervisionerà.”

Non si capì se Chuuya fu davvero contento e convinto di quella informazione. Nel mentre che fissava Dazai, la sua mano si mosse a mescolare il cocktail sovrappensiero. 

“Punto tre! Come ti ho già raccontato - se mi ascoltassi - questi incontri sono informali, più visite di cortesia per scambiare due chiacchiere e tenere i rapporti amichevoli! Nessuno pretende nulla di che! Faremo questa partitina a carte e poi tutti a casa!” 

L’espressione dell’altro ragazzo parlava di come sembrasse aver appena mandato giù un sorso di quel cocktail suicida. 

“Non sei ancora convinto?” 

“Quando ci sei di mezzo te, per niente.”

“Sei troppo prevenuto! Sono il tuo padroncino, non ti abbandonerei mai sul ciglio della strada!” 

L’indignazione di Chuuya tornò a colorargli le guance, ma di nuovo, Dazai fu più svelto e gli tolse di mano l’intruglio dall’odore pungente e dolciastro. 

“Ti prometto che ci divertiremo! Non darti pensiero per l’etichetta, i convenevoli, o simili! Tu segui soltanto quello che ti dico e andrà liscia!”

Nel dirlo, fece tintinnare contro il bordo del becker il cucchiaio, sgrullando le gocce rimaste. Chuuya osservò l’azione come se avesse dovuto suggerirgli qualcosa. 

“Quando ci sei tu di mezzo le cose finiscono sempre a scatafascio.”

“Dici? Allora alla salute!” Dazai fece un brindisi rivolto al rosso, per poi avvicinarsi il cocktail alle labbra.

Lo sguardo dell’altro registrò a rallentatore il gesto e l’implicazione. Con un secondo di ritardo, ma una prontezza che lo recuperò alla velocità della luce, il ragazzo si gettò sull’aspirante suicida, buttando a terra con una manata il becker. Questo rotolò sul tappeto, spargendo in giro il liquido e il suo odore sintetico. 

“Chuuya! Ci avevo messo un’ora per raggiungere l’equilibrio di ingredien-”

“Brutto stronzo, non ti suiciderai prima di questo compito del cazzo!”

 

 

L’aria nella stanza era irrespirabile. Chuuya fece di tutto per non darlo a vedere, ma continuò a trattenere il fiato. Si era già fatto scappare un mezzo colpo di tosse all’odore di fumo che appestava la sala, inspirando poi quello più dolce degli alcolici. L’enorme sala era costellata di decorazioni e suppellettili cinesi, piena di tavoli e sedie spaiati. L’ultimo luogo dove Chuuya pensava sarebbe potuto avvenire un incontro, per quanto informale, con il Boss di un’organizzazione alleata. Aveva perso il conto delle macchie in giro, nonostante il posto desse l’impressione di essere stato ripulito da cima a fondo. 

Oltre a loro, non c’era un’anima. Lui, Dazai, il Boss ospite. La guardia del corpo di quest’ultimo e Hirotsu erano alla zona bar a scambiare due chiacchiere davanti ad altrettanti bicchieri di whiskey. Chuuya sentì il desiderio profondo di mollare tutto, abbandonare il tavolo da gioco e raggiungerli. Ma come lo pensò, il veterano della Black Lizard gli lanciò un’occhiata come se avesse potuto sentire distintamente il suo pensiero. 

Chuuya tornò a fissare le carte che aveva in mano e a ingoiare una bestemmia. E poi una maledizione contro Dazai. Era sempre tutta colpa sua. Non era possibile che si ritrovasse in situazioni così assurde da quando lo conosceva. Il pensiero che tutta quella stronzata della partita amichevole con il Boss ospite fosse una sua trovata lo aveva sfiorato, fino a quando Mori stesso non gli aveva telefonato, chiedendogli se i preparativi stessero procedendo. Kouyou stessa gli aveva mandato un messaggio augurandogli di vincere - che detto da lei equivaleva a una risatina nascosta dalla manica e una pacca condiscendente sulla testa. 

Era fottuto. 

In balia di Dazai con la responsabilità della Port Mafia sulle spalle. 

Non ricordava neanche quanti giorni fossero passati da quando era stato tradito, ricattato e costretto a entrare nell’organizzazione. Dieci giorni? Due settimane? Un mese? 

“‘fanculo…”

“Pessima mano, giovanotto?”

Chuuya alzò lo sguardo come se avesse appena premuto sull’acceleratore pronto a schiantarsi contro un muro. Il suo cervello gli diede una schicchera e capì di aver dato fiato alla bocca invece di restarsene zitto. 

Fissò il Boss di fronte a lui per una manciata di secondi, poi abbassò gli occhi sulle carte. E che qualsiasi entità superiore gli fosse testimone, non riusciva davvero a credere a cosa stesse stringendo. 

“Se ci si concentra abbastanza si può intuire che carte abbia in mano.”

La voce melliflua di Dazai si infilò nel vuoto di parole del partner, facendo sorridere il Boss ospite. 

“Nuova assunzione?”

“Qualcosa del genere” commentò sempre l’aspirante suicida, per poi stirare un sorriso falsissimo al diretto interessato. “Tocca a te, da circa cinque minuti.”

Chuuya strinse le carte sentendo la carta spessa delle carte essere sul punto di accartocciarsi. 

“Non abbiamo fretta.” La risata grassa e bonaria del Boss riverberò nell’ambiente vuoto, facendo fremere Chuuya. “E’ pur sempre un gioco strategico, si starà facendo i suoi calcoli.”

Anche Dazai rise e il rosso fu sul punto di gettarsi sul tavolo per raggiungerlo al collo, strozzarlo e dargli finalmente la morte che cercava. 

“Io dubito che…”

Chuuya acchiappò una carta dalla propria mano e la sbatté sulla pila degli scarti. 

“Appunto” replicò altrettanto serafico Dazai, osservando la povera carta stropicciata e di traverso sulla piccola pila.

“Un sei rosso” commentò il Boss, annuendo compiaciuto. 

“... prevedibile” liquidò Dazai, ricambiando con un sei blu. 

Toccò al loro ospite e dopo Chuuya si ritrovò di nuovo da punto a capo. E iniziò a sentire un brutto brivido lungo la schiena, di quelli da risolvere prendendo a pugni tutti e poi andarsene. Ma l’unica mascella che avrebbe potuto colpire era quella di Dazai e l’occasione non si era ancora presentata. 

“Forse Uno è un gioco troppo complicato per te, eh? E dire che volevo fosse una partitina amichevole.” 

Ok, l’occasione era lì, così lì che l’occhiataccia che Chuuya rifilò al (prossimo defunto) partner fu accolta con una seconda risata divertita del Boss. 

“Mori-san ha scelto molto bene con chi accoppiarti.” 

Dazai fece la faccia schifata di qualcuno che aveva appena mandato giù una verdura amarissima. Chuuya lo ascoltò di striscio, buttando un’altra carta che calcolò di striscio solo per matcharla di colore con quell del Boss. Non riusciva proprio a credere che fosse tutto vero e reale. 

“Uhm.” Dazai inclinò la testa di lato, come a cambiare prospettiva per osservare meglio la carta lanciata da Chuuya. “Un cambio giro? Sei sicuro?” 

“Fottiti.”

“Mi piace proprio il ragazzino.” Il Boss ormai era l’unico che si stesse divertendo. Rispose con un colore semplice e poi con un gesto lasciò la metaforica palla a Dazai. “E’ uno a cui piace il rischio.”

Dazai annuì gravemente, come se il risultato dei rischi di Chuuya lo riguardasse in maniera diretta - e non fosse lui la catastrofe ambulante. 

“Uno dei tanti problemi di Chuuya è che non pensa abbastanza” sospirò e poi lo fece. 

Chuuya non ebbe il tempo di sbroccare con una risposta sonora, che vide incombere sulla pila degli scarti la carta più odiosa di tutte. 

Un più quattro troneggiò al centro del tavolo e nel silenzio che ne seguì. Questo fino a quando il Boss non ricominciò, di nuovo, a ridere e a fare battute sulla loro chimica - qualsiasi cosa fosse, Chuuya non lo registrò di striscio. 

Il tavolo tremò per una frazione di secondo. Quella in cui la gravità si riverberò dal rosso seguendo la linea della sua vena omicida, prontamente stronzata da un buffetto di Dazai al braccio. 

“Su su, sono solo quattro carte. E siamo all’inizio.”

Chuuya si incise nella mente di ammazzarlo quella notte stessa. Un cazzo Faremo questa partitina a carte e poi tutti a casa! Dazai non avrebbe visto l’alba del giorno dopo. 

“Sei uno Sgombro morto.”

“Sei proprio una Lumaca, pesca.” 

La mano di Chuuya si abbatté sul mazzo di carte e ne tirò su alcune.

“Te ne manca una, partner.”

E Dazai la pescò per lui. 

Chuuya ebbe solo la conferma di come tutto fosse una fottuta montatura del cazzo - o uno scherzo di così pessimo gusto - quando inserì la carta tra quelle in mano. E quando si accorse del messaggio che c’era scritto. 

Era un cambia colore. 

Ammetti che sono il miglior partner del mondo o pesca 25 carte.

Sotto, ancora più piccolo.

E sappi che il Boss qui è uno che ride e che scherza anche quando taglia la gola alla gente. E che Mori conta su di te per divertirlo.

“Problemi, partner? Ti devo rispiegare le regole?”

Fu una sera che Chuuya cancellò dalla memoria, ma fu anche quella in cui iniziò ad appuntarsi tutti i metodi con cui avrebbe potuto infliggere dolore e ammazzare quello stronzo di Dazai. 

Con la risata del Boss ospite a rimbombargli nelle orecchie - e con un rossore sulle gote a rendere tutto più imbarazzante, Chuuya iniziò a pescare una carta dopo l’altra, mantenendo un savoir faire per cui Dazai avrebbe riso per gli anni a venire. 

 

 

 
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COW-T 13, quinta settimana, M3
Prompt: La quadriglia
Numero parole: 4070
Rating: NSFW (ma non esplicito)
Warning: Odasaku / Dazai / Chuuya / Ango (POV Ango). In un ipotetico futuro in cui Odasaku è (redi)vivo. 


La scrivania era un disastro. Le penne erano rotolate in terra, i fogli fuori dalle cartelline erano sparsi come foglie su un vialetto dopo una forte raffica di vento. Ango si era sentito come una di queste quando Chuuya era piombato nel suo ufficio alle quattro di notte e non aveva voluto sentire ragioni.

“… te lo avevo detto, Quattrocchi…” ansimò il rosso, sfilandosi l’ultimo dei guanti con i denti, l’altra mano già occupata sul basso ventre dell’ex spia. “… se avessi di nuovo fatto le ore piccole saremmo arrivati a questo.”

Ango gemette, inarcando la schiena e premendosi un braccio sugli occhi. Non aveva idea di dove fossero volati gli occhiali, sperava solo non si fossero rotti come l’ultima volta.

“… devo finire-”

“So io cosa devi finire” lo stroncò sul nascere il Dirigente, chinandosi a baciargli e mordicchiargli la base del collo. “Finirla di ridurti a fare questi orari assurdi e dimenticarti di mangiare.”

La risposta di Ango non fu minimamente coerente, ma un insieme di ansimi e gemiti nel sentire le mani del rosso su di sé.

Anche se il suo senso del dovere stava protestando, il resto di sé - che ormai apparteneva a Chuuya in più di una forma - accolse quell’interruzione con sollievo e una certa dose di risposta, nonostante la stanchezza.

Cercò il viso del rosso attraverso la patina con cui vedeva il mondo in quel momento e lo chiamò debolmente, conscio di star viaggiando sulla linea dell’incoerenza. I contorni di ogni cosa erano sfuocati e i colori macchie che si fondevano, ma la sua ancora rimasero quei capelli di un fuoco pallido.

“Sei con me, Quattrocchi?” gli chiese Chuuya a un passo dalle labbra, facendo resistenza a quel bisogno inconscio con cui Ango lo stava attirando come una parte essenziale di sé.

“S-Sì…” balbettò in risposta l’ex spia, nonostante si sentisse a un passo dal cedere. Voleva Chuuya, voleva il sollievo che era in grado di dargli, ma la spossatezza gli stava calando tutta insieme. Il piacere delle dita del rosso prima, e il sesso vero e proprio a seguire, diedero il colpo di grazia alle sue quasi trenta ore di veglia.

Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima che si riducevano così. A quell’ora della notte, chiusi nel suo ufficio personale, riempiendo la stanza di gemiti e ansimi e trasformando il lavoro di una giornata in una costellazione di fogli da riscrivere, umidi del loro piacere.

C’era stato un tempo in cui Ango non sarebbe riuscito a immaginare una scena del genere neanche per gioco - cominciando dal fatto che non si ritenesse una persona così fantasiosa, soprattutto in campo sessuale, per finire con un classico Non potrei mai fare una cosa del genere dove lavoro.

Poi Chuuya era tornato nella sua vita e, come in passato, più di quattro anni prima, l’aveva stravolta. Era successo tutto talmente in fretta che la spia non era neanche sicuro di come fossero arrivati a quel punto. Che era solo uno dei due più importanti sconvolgimenti degli ultimi mesi, ma Ango in quel momento aveva le facoltà mentali solo per pensare al Dirigente. E alla sua lingua.

“C-Chuuy-ah” gemette, quando il rosso lo stuzzicò, conscio della sua ipersensibilità dopo averlo portato all’estasi appena due minuti prima. Si tese per uno spasmo involontario e chiuse le dita su un braccio del più giovane, con una presa che avrebbe voluto essere serrata, ma che perse di mordente dopo pochi secondi.

Chuuya si stava ancora dedicando alla sua pelle sensibile, ma con meno malizia e più premura, sciogliendo tutta la tensione residua. Intrecciò le proprie dita alle sue e risalì fino al collo di Ango, alla mandibola, con baci insistenti, fino a quando non si trovarono l’uno nelle labbra degli altri.

Con un ghigno, il rosso rimise gli occhiali alla spia.

“Sono ancora integri” scherzò, per poi scrutarlo con un’occhiata più di rimprovero. “Hai dormito almeno un’ora?”

Ango sospirò, non sforzandosi nemmeno si alzare la testa per guardarlo meglio.

“Ho preferito farmi una lunga doccia durante la pausa” confessò, riflettendo vagamente che il suo inconscio doveva essere stato lungimirante dove Ango proprio non aveva immaginazione.

Chuuya però non risultò particolarmente contento della risposta.

“Sei un coglione” gli disse senza mezzi termini.

“Sto lavorand-aah

Il rosso non lo fece finire, mentre le sue dita sapevano dove e come toccarlo per interromperlo e farlo contorcere.

“Io so che dopo il secondo orgasmo dormi come un bambino per almeno dieci ore di fila” e a modo suo fu una minaccia. “Puoi decidere se qui o a casa.”

Sulla faccia di Ango si leggeva un chiaro Ho del lavoro da finire, ma serrò le labbra prima che una sola parola potesse firmare quella condanna. Anche se erano amanti, Chuuya rimaneva un mafioso che manteneva la parola data e la ex spia voleva evitarsi altre pessime figuracce con i colleghi (e con la fortuna che aveva, sarebbe incappato certamente in Tsujimura, la cui fantasia non aveva nessuno dei limiti che Ango percepiva della propria. Era anche l’unica persona a sapere realmente tutta quella storia e a tifare per il suo superiore).

“… a casa.”

“Ottima risposta, Quattrocchi” e gli stampò un bacio sulla guancia, prima di tirarlo su così velocemente, con la leggerezza con cui avrebbe raccolto un giocattolo rovesciato in terra, che ad Ango girò la testa. Ma Chuuya non si mosse, restando in mezzo alle sue gambe e sostenendolo. Lo guardò dal basso verso l’alto con un sospiro più pacato.

“Hai una cera orribile e il mio intervento ti ha solo ridato un po’ di colore, ma sembri sul punto di una febbre da stress” mormorò, passandogli la mano sulla fronte. Era tiepida e sudaticcia per l’attività recente, ma anche bianca come il latte. Ango chiuse gli occhi, lasciando andare la testa contro quella carezza.

“… mi prenderò un giorno di ferie…” mormorò poco convinto, come se al contempo stesse cercando di fare i conti per capire se potesse permetterselo. “… o chiederò di sbrigare qualche lavoro da casa.”

“Lo sai che non sono la stessa cosa? Vedi di prenderti almeno due giorni di ferie, così festeggeremo come si deve.”

Ango lo guardò senza capire.

“… Festeggiare?”

Era sicuro che il Capodanno fosse passato da un mese abbondante.

“Domenica? Il quattordici? Ti dicono niente?” sbuffò Chuuya, scuotendo la testa. “Hai detto che te lo sei segnato anche in agenda.”

E nel dirlo, recuperò quest’ultima dal casino sulla scrivania, mettendogliela in mano. L’agente del governo la sfogliò cercando di ricordarsi che giorno fosse. Quando vide l’appunto per quel fine settimana, anche il resto del colore sulle guance impallidì.

Abbandonò la fronte sulla spalla del rosso con un mezzo singhiozzo di miseria verso se stesso, lasciando cadere l’agenda.

Ohi! Ti senti male?”

“… portami a casa” lamentò debolmente Ango.

Non voleva pensare. Voleva dormire. Possibilmente per un mese intero, così da saltare quell’incombenza che aveva tutti i tratti distintivi di una catastrofe annunciata.

Lui non era fatto per quelle cose.

Erano eventi per persone normali e né lui né i suoi compagni lo erano.

Eppure, avevano deciso di festeggiarlo ugualmente.

Avevano deciso che avrebbero passato San Valentino tutti insieme. Il primo San Valentino in cui si sarebbero presi del tempo per loro, per quella relazione bislacca che li aveva visti avvicinarsi, pezzo dopo pezzo, disgrazia dopo disgrazia. Se avessero raccontato la loro storia - di come almeno tre di loro avessero cercato di ammazzarsi l’un l’altro, uno fosse effettivamente morto e risorto, e poi, non sapevano neanche loro come, si fossero riavvicinati, al punto che ora non si poteva fare il nome di uno senza pensare agli altri tre… be’, probabilmente qualcuno ci avrebbe scritto un film solo per come suonasse tutto inverosimile.

Nonostante tutto, quella Domenica avrebbero coronato quel legame, quell’affetto senza un nome definito. 

E Ango non era pronto.




Dazai si adagiò contro il bordo della vasca con un sospiro estatico, completamente immerso nella sensazione piacevole dell’acqua calda.

“La Lumaca aveva ragione quando ha detto che - cito testualmente - Sei un deficiente stacanovista che meriterebbe di essere licenziato in tronco e non sapere più cosa fare nella vita.” Aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e dando la chiara impressione di essere stato colto da un secondo, fugace pensiero. “Non sapevo fosse così sadico. So che a sedici anni aveva escogitato un numero inutile di torture nei miei confronti, ma… Oh!”

Si alzò d’improvviso, schizzando un po’ di acqua tutto intorno. Un’epifania.

“Allora forse è questo che significa vero amore!? Ti ama così tanto che ti augura ogni disgrazia, se fosse almeno utile a farti stare bene!” Ci ragionò su un attimo, picchiettandosi il mento con un dito. “Potrebbe essere il motivo per cui mi augura sempre di morire?” 

Ango non si mosse di un millimetro a quei discorsi insensati - come se fosse diventato un tutt’uno con l’altro lato della vasca. Strinse appena gli occhi neanche Dazai lo avesse pungolato con una forchetta in un fianco. In più, senza occhiali poteva solo immaginare l’espressione del compagno.

“È lavoro, devo farlo…”

“Ma tu ci credi nella vita dopo il lavoro?”

Ango aggrottò la fronte, guardandolo senza capire. Dazai non si spiegò e raccolse un po’ della schiuma nella vasca e ci soffiò sopra, per poi liberarsi del residuo e riscivolare nell’acqua calda. Urtò le gambe di Ango e cercarono una posizione più comoda, finché il detective non appoggiò un piede fuori, sul bordo.

“Qual è l’ultimo libro che hai letto?”

Ango emise un verso sofferto, piegando la testa di lato. Questo lo fece sentire davvero misero.

“Potresti fregarne uno di poesie alla Lumaca, se ti possono interessare i poeti maledetti. Oppure aiutarmi a capire dove Odasaku tiene i suoi appunti segreti. Voglio sapere la trama del libro che sta scrivendo.”

“Non potresti consigliarmi qualcosa da comprare?” invece di coinvolgermi in qualche illecito.

“Dove starebbe il divertimento?”

Con le dita Ango si massaggiò gli occhi. Sprimacciò le palpebre con il bisogno di mitigare la stanchezza. Anche se il bagno caldo era rilassante, non riusciva a lasciarsi andare.

Quando tornò a fissare davanti a sé, trasalì. Dazai si era spostato - possibile che anche in mezzo all’acqua riuscisse a essere tanto silenzioso? O era lui a essere totalmente tra le nuvole? - e ora era ad appena qualche centimetro da lui.

Il detective non gli diede tempo di dire nulla che gli lasciò un bacio sulle labbra.

Ne seguì un altro. E un altro ancora e a ognuno Ango sentì un nodo venire meno.

L’acqua sciabordò contro i bordi, finendo anche fuori, quando si risistemarono l’uno contro l’altro. Anche immerso quasi del tutto nella vasca, Dazai riusciva ad apparire come un gatto, riempiendo uno spazio senza occuparlo davvero e dando l’idea di fare le fusa. Quando lasciò andare la bocca dell’agente del governo si leccò le labbra, con espressione soddisfatta.

“Meglio?”

Se qualcuno, più di quattro anni prima, avesse avvertito Ango che la sua vita sarebbe stata stravolta e rivoltata e che si sarebbe trovato in quella situazione intima con un ex Dirigente della Port Mafia ora detective, un Dirigente attuale e un ex mafioso tuttofare che ora si divideva tra fare il detective occasionale e aspirava invece a essere uno scrittore… faceva già ridere così. Ed era tutto capitato a lui - in senso buono…? - un’ex spia, probabilmente la categoria peggiore tra tutti e tre.

“Meglio” sospirò arreso all’emozione calda che Dazai gli aveva fatto scivolare dentro letteralmente a suon di baci.

“Allora… il pensiero di San Valentino ti pesa così tanto?”

Ango fissò Dazai come si guarda qualcosa in bilico e lo si prega con tutte le forze di non cadere, ma è inutile. Era la costante sensazione che aveva con l’ex Dirigente e, ancora una volta, non era stato smentito. Guardò altrove.

“… non è qualcosa da me.”

“Non ti senti all’altezza di mangiare cioccolatini a forma di cuore e bere uno o due bicchieri di qualsiasi alcool comprerà la Lumaca?”

Messa in quel modo sembrava molto semplice.

“Non ne ho mai festeggiato uno” e si sentì sciocco ad averlo detto nell’esatto momento in cui Dazai ridacchiò.

“Escluso Chuuya, che ha ricevuto dei cioccolatini da presunte ammiratrici segrete…” e il suo sguardo era troppo candido per essere innocente. “Nessuno di noi l’ha mai neanche preso in considerazione credo. Ce lo vedi Odasaku a festeggiare San Valentino?”

Ango ci pensò un attimo.

“In realtà… sì. Con te.”

Si scambiarono un’occhiata. Dazai sbatté un paio di volte le palpebre come se non avesse realmente recepito le parole dell’ex spia. Ango si strinse leggermente nelle spalle.

“Be’ pensavo che, insomma, all’epoca della Port Mafia… voi due aveste già passato almeno un paio di San Valentino insieme. Davate quell’idea di… intimità.

Dazai ridacchiò di nuovo e si risistemò contro il bordo della vasca, guardando al soffitto.

“Sarebbe stato interessante…” Scosse la testa, come a liberarsi dell’idea sciocca, anche se rimase chiaramente appesa al bordo dei suoi pensieri. “Chissà se mi avrebbe preparato dei cioccolatini.”

“Credo che li avrebbe comprati. Più per questione di tempo.”

Ango rispose prima di rendersene davvero conto, seguendo quel filo di pensieri insieme a un piccolo sorrisetto all’idea.

“Avrebbe di certo cercato la cioccolateria migliore” continuò, spostandosi qualche ciocca umida dalla fronte. “Quelle che fanno anche dei bei pacchetti.”

“Sarebbe venuto a chiedere a te, uomo dell’intelligence, non credi?”

L’ex spia ci rifletté un attimo prima di annuire, troppo preso per soffermarsi sulla battuta.

“Penso che avrei stilato una lista di possibilità e alla fine gli avrei proposto la migliore tra le meno care.”

Dazai espose il labbro inferiore.

“Sempre troppo razionale.”

“Be’, anche se era nella Port Mafia il suo stipendio-”

“E perché per Domenica non segui proprio questa idea invece di farti prendere dal panico?”

Oh. Ango si sentì di nuovo uno stupido. Non aveva realizzato come quel giro di ipotesi riguardasse il suo essere restio sulla faccenda e un modo per dargli un esempio da seguire.

“Ma spero che al governo paghino abbastanza perché tu possa comprarci i cioccolatini più costosi” concluse Dazai schizzandolo con l’acqua ed esibendo un ghignetto. “Non vorrai darla vinta alla Lumaca che si presenterà solo con cose ultra lussuose per ricordarci che siamo degli scappati di casa.”

Quell’auto ironia rasserenò internamente Ango.

La vita era davvero insensata e imprevedibile, ma cercò di non pensarci finché gli scaldava il petto.




Da qualche tempo Ango stava scoprendo lati di sé che la sua mente non aveva mai preso in considerazione. Ed erano tutti aspetti che, a farne una lista, sarebbero razionalmente rientrati in Cose da non fare mai, assolutamente, piuttosto la morte. Questo per una serie di motivi che spaziavano da quella vergogna che non ti fa più incrociare lo sguardo di qualcuno, al semplice quanto radicato imbarazzo di compiere certe cose in certi luoghi totalmente inappropriati.

Eppure, Ango non sentiva di avere la fermezza per dire stop a se stesso. Se si fosse visto da fuori, si sarebbe biasimato e accusato senza remore, ma vivendo il momento… la scusa più blanda era attribuire quel tipo di frenesia e irragionevolezza al quadro generale. La vita gli aveva già mostrato cosa significasse perdere tutto, per poi restituirglielo. Ma questo non implicava che, dall’oggi al domani, sarebbe potuta succedere una seconda Mimic.

Quindi, quando le mani di Odasaku lo trovarono infilandosi sotto la giacca, dopo quasi un’ora passata a girovagare per librerie alla ricerca di qualcosa per ricominciare a leggere e di un paio di regali, Ango interiormente si sciolse come se non avesse aspettato altro.

Non parlarono, non subito. Ango appoggiò il libro che aveva in mano sulla prima pila disordinata che gli capitò - era una libreria vecchia, labirintica, ordinata senza senso logico, piena solo di usato e di storie da raccontare o, nel suo caso, da vedere tramite Discorso sulla decadenza. Inclinò il collo per lasciare spazio all’ex tutto fare e ricevere i suoi baci, la barba sfatta e ispida a pizzicargli la pelle.

“Dazai mi ha detto che stai cercando qualcosa di nuovo da leggere.”

Ango sospirò, lasciando fluire un gemito altrimenti rumoroso. Le dita di Odasaku stavano conquistando parti di lui senza impegno, accendendo un desiderio inappropriato - ma la vocina si spense con un altro bacio dietro l’orecchio.

“Hai… qualcosa da consigliarmi?”

Ma la mente del quasi scrittore sembrava da tutt’altra parte e non giunse risposta, nonostante la conversazione l’avesse accennata lui. Voltò Ango e lo spinse, senza irruenza ma con decisione, contro la scaffalatura. Era inchiodata a terra e così stipata che neanche scricchiolò nel sostenere il loro peso. Le dita dell’ex spia, coperte dai guanti di pelle - una precauzione necessaria circondato com’era di ricordi impressi nei libri usati - si strinsero sulla camicia, mentre il resto di lui accoglieva quel fuori programma.

Sul serio, Ango si sarebbe auto denunciato se avesse dato retta alla ragione. Lasciò invece le redini all’istinto, alla voglia di sentire invece che di pensare. Avrebbero potuto essere beccati, ma in quel caso Odasaku lo avrebbe visto con cinque secondi di anticipo - sarebbe stata poi intenzione dell’ex tuttofare dare retta o meno a Flawless. Erano adulti da molto tempo - troppo tempo - ma in quel momento entrambi non davano l’idea di conoscere alcuna regola o pudore.

Abbandonarsi al piacere in una libreria doveva però essere uno di quei guilty pleasure che Ango non sapeva di avere. L’odore di Odasaku mischiato alla carta, all’idea della letteratura, dei manuali, della saggistica immobile lì ad accogliere i pochi e soffocati gemiti che si lasciavano sfuggire, era qualcosa che riempiva la parte di mente ancora cosciente dell’agente del governo.

Era come con Dazai, quelle rare volte che si incrociavano all’Agenzia di Detective e fatalmente l’infermeria era vuota, o come con Chuuya, quando irrompeva nel suo ufficio e la scrivania diventava l’unico sostegno a cui aggrapparsi. Luoghi e momenti del tutto inopportuni, sbagliati, scovenienti in una misura tale che, a posteriori, era meglio non pensarci o sarebbe stato addirittura peggio - emozioni che correvano libere, arrossando guance e generando un calore poco utile più in basso.

Ango aveva fatto a meno di tutto quello per la sua intera esistenza, eppure l’impressione era quella di un albero che aveva aspettato troppo per donare i propri frutti e ora ci fosse solo abbondanza, tanto, troppa. Era strano, era probabilmente un comportamento in cui ricercarne cause, eppure l’ex spia riusciva solo ad addentare quei doni insperati e lasciare che la polpa gli macchiasse anche i vestiti.

Perdere tutto ti cambia la vita.

Era banale quanto era una verità così semplice da non lasciare spazio a no, forse, ma.

Un tempo aveva vissuto quasi esclusivamente di bugie per far quadrare tutto. Era lavoro, era una missione. Il lato umano lo aveva colto alla sprovvista prima con una sequenza di graffi minimi, giustificabili, finché non era affondato un arpione. Lo squarcio era stato doloroso, netto ma dai bordi frastagliati. Aveva perso Odasaku, Dazai e Chuuya in una sequenza tanto veloce quanto ricca di errori, sbagli, di se mai realizzati.

Con quale razionalità poteva affrontare il ritorno, negli anni a seguire, di tutto quel bagaglio emotivo? Come una valigia persa in aeroporto e inaspettatamente riconsegnata dopo anni, senza neanche un bigliettino di preavviso.

Ango l’aveva accettata senza pensarci due volte. Ci sarebbe potuta essere dentro una bomba, non gli era importato. Andava bene così. Andava bene chiudere gli occhi al buio, vagare alla cieca e, semplicemente, fidarsi.

Quando Odasaku li portò entrambi al piacere, lì contro la libreria stipata di romanzi, fiabe e biografie, lasciarono entrambi un’altra storia impressa nel silenzio e nella memoria. Forse qualcosa da raccontare, un giorno, sperando di essere ancora insieme.

In quel momento, tornando in loro, si concessero soltanto una breve risata e un sospiro nel districarsi, risistemarsi e salvare le apparenze al meglio.

“Hai trovato qualcosa da leggere?” sospirò Odasaku, passandosi una mano tra i capelli e guardandosi intorno come se fosse appena entrato.

“Non ancora…”

L’ex tuttofare accennò un piccolissimo sorriso, che per chi lo conosceva voleva dire molto.

“Meglio così. Il mio regalo di San Valentino non sarà un di più.”

Ango a volte si chiedeva come meritasse tutto quello che aveva. 




Domenica - e quindi San Valentino - arrivò in un battito di ciglia.

Per Ango fu come rivivere il giorno di un esame. L’ansia di non essere all’altezza, di impappinarsi davanti al professore, ricevere un voto poco soddisfacente. Appena varcò la soglia della suite deluxe affittata per l’occasione, Chuuya pensò bene di fargli passare subito il pensiero mettendogli in mano un calice di vino.

“Bevi e cerca di rilassarti. Qui l’unico a cui può succedere qualcosa di brutto e inevitabile è lo Sgombro.”

“Sempre carino nei miei confronti” borbottò Dazai, arrivando alle spalle di Chuuya e lasciando scivolare le braccia intorno al suo collo. “A me non lo hai offerto il vino e sono qui da prima!”

“Fottiti.”

“Di già?” e il detective cercò di afferrare il suo bicchiere, ma il Dirigente si oppose in tutte le maniere, finendo col mettere su un teatrino dei loro. Ango ebbe così il tempo di appoggiare la busta con le scatole di cioccolatini sul piano della cucina e dare poi una chance al vino. Non si stupì di come scivolò sulle sue papille gustative inondandolo di un sapore inebriante e sciogliendo quei nervi annodati stretti.

“Il piano della Lumaca è farti ubriacare prima del dessert, io ci andrei piano” scherzò Dazai, arrivandogli vicino e scrutando la busta che si era portato dietro. Era trasparente ma elegante, con stampato il nome della cioccolateria in oro e dentro si potevano scorgere tre scatole incartate finemente. Le guardò con uno sguardo indecifrabile, con una storia negli occhi mai raccontata. “La consiglieresti a Odasaku la prossima volta?”

Ango ricordò la conversazione nella vasca e comprese quell’occhiata dal sapore malinconico.

“Se le vendite del suo primo libro andranno bene non avrà problemi a comprarle.”

Entrambi risero. Suonarono alla porta e Chuuya marciò verso l’uscio con un cipiglio contrito. Era Odasaku.

“Toglimi dalle scatole lo Sgombro o giuro che lo butto di sotto” minacciò il Dirigente come saluto. Nonostante questo, Odasaku si chinò a dargli un bacio mentre entrava e Chuuya sembrò calmarsi subito - e anche arrossire leggermente. 

La loro dinamica era probabilmente la più particolare, quella che lasciava sempre sia Ango sia Dazai incuriositi. Sembrava di vedere un domatore di tigri alle prese con un cucciolo particolarmente riottoso e messo all’angolo a soffiare. Ma, come tutti avevano sperimentato almeno una volta, la calma e le mani di Odasaku sapevano risolvere ogni situazione.

“Ho portato il dolce” disse quando si staccò, come se non fosse successo nulla, alzando una delle buste che aveva con sé. Ma quella che attirò di più l’attenzione fu la seconda, piena di pacchetti regalo. Fu Dazai il primo ad avvicinarsi, già ridacchiante.

“È San Valentino, non Natale.”

“Non riuscivo a decidermi.” L’ex tuttofare aggrottò la fronte, fissando lui stesso la busta. “È la prima volta che lo festeggio.”

In maniera forse sciocca, Ango si sentì meno sulle spine dopo quella confessione. Bevve il resto del vino e trovò lo spirito per avvicinarsi.

“Cosa prevede il programma? Scendiamo a cena al ristorante?”

Erano nell’hotel più lussuoso di Tokyo - era inutile soppesare l’idea che fosse la Port Mafia a pagare quella serata, visto che aveva organizzato tutto Chuuya - e sarebbe stato uno spreco non approfittare dello chef stellato per cui era ulteriormente famosa la struttura. Il vino doveva avergli messo un certo coraggio per farlo pensare così a ruota libera.

Chuuya stirò un sorrisetto molto vicino a essere un ghigno.

“Perché mescolarsi alla plebaglia quando possiamo avere il servizio in camera senza venire disturbati. Se dovessi per sbaglio ammazzare Dazai avrei pochi testimoni di cui occuparmi.”

“Odasaku, difendimi tu!” e il detective finse di svenire tra le braccia dello scrittore, che lo afferrò nonostante le mani ancora impegnate a tenere le buste.

Ango si concesse di stirare le labbra e lasciarsi trascinare dalla situazione allegra.

Era il suo primo San Valentino e ci era arrivato facendosi una serie di paranoie inutili perché sarebbe stata una serata come un’altra in compagnia delle persone su cui si reggeva il suo mondo. Cioccolatini, vino, regali, piani a parte, poteva solo rilassarsi e lasciarsi andare e godersela.


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COW-T 12, quinta settimana, M1
Prompt: Interruzione
Numero parole: 1051
Rating: Verde
Warning: me so tolta anche sto sassolino



Kunikida sospirò a niente in particolare. Era una giornata uggiosa, piena solo di pioggia e grattacapi burocratici in formato fogli da leggere e firmare. In realtà, era una giornata anche troppo tranquilla.

Tutti i detective erano fuori per lavoro, a cominciare dal Presidente e Ranpo convocati dalla Divisione per risolvere un problema interno, ai Tanizaki e Kenji andati a portare vari documenti ad alcune società che collaboravano con loro, per finire con Atsushi, Kyouka e Dazai impegnati con un caso della polizia. Persino le segretarie erano dimezzate, tra impegni e raffreddore stagionale.

Per quanto la zona ufficio fosse silenziosa, per Kunikida iniziava a esserlo anche troppo, senza un motivo apparente. Giornate come quelle erano rare, ma probabilmente per via della pioggia che non lasciava spazio ai pensieri, o per l’eccessiva mole di documenti tutti uguali da vagliare, Kunikida sentì il principio di un mal di testa fare capolino.

Come ogni persona ligia al dovere, detestava stare male. Stare male significava non riuscire a lavorare. Non riuscire a lavorare voleva dire accumulare scartoffie su scartoffie e rallentare tutto. Il solo pensiero bastò a fargli stringere i denti e dedicarsi ad altri due plichi.

Per circa una mezz’ora andò bene, finché, di nuovo, la pioggia non scaglionò i suoi pensieri, infilandosi tra le parole che stava leggendo e facendogli perdere il filo. Spese quasi cinque minuti pieni sulla stessa frase, prima di arrendersi.

Con un verso frustato, chiuse la cartellina dei documenti e si tolse gli occhiali, passandosi le dita sulle palpebre stanche. Le tempie gli dolevano con fastidio e sapeva che neanche una pausa forzata lo avrebbe aiutato.

Alzandosi, recuperò le lenti e uscì dalla porta dell’ufficio, prendendo il corridoio. Avrebbe chiesto a Yosano-sensei, l’unica rimasta in sede, un antidolorifico. Si sarebbe quindi steso una ventina di minuti, tempo che facesse effetto, e poi sarebbe tornato alla propria tabella di marcia.

Bussò alla porta dell’infermeria e chiamò la dottoressa, aspettando l’avanti per entrare.

Non arrivò nulla.

Kunikida lanciò un'occhiata alla finestra alla fine del corridoio, poco distante, e si convinse che lo scrosciare della pioggia avesse coperto o il suo bussare o la risposta della donna. Tentò di nuovo, con più energia.

«Yosano-sensei, sono Kunikida. Mi servirebbe qualcosa per il mal di testa.»

«S-Sì… avanti.»

Il detective rimase a fissare la porta corrucciato, anche se la mano scattò automaticamente verso la maniglia. Si chiese se fosse stato solo una sua impressione il leggero affanno nel tono della dottoressa. Ipotizzò che stesse sistemando qualcosa. Era certo che fosse arrivato qualche pacco di medicinali e un macchinario nuovo. Erano a corto di personale quel giorno, se no di sicuro Kenji le avrebbe dato una mano.

Con quei pensieri - pronto ad aiutarla nel caso - Kunikida entrò.

La sorpresa fu trovare lo studio vuoto.

«Yosano-sensei?»

«Sono qui» rispose lei, con un tono più basso del solito. Oltre alla voce, il detective fu certo di aver sentito un cigolio, il tutto proveniente da uno dei posti letto oscurati per privacy.

«Se ha bisogno di una mano a spostare qualcosa poss-»

Le parole morirono in gola a Kunikida come anche tutto il suo colorito, quando scostò la tenda e si trovò davanti qualcosa che la sua mente non avrebbe mai potuto neanche lontanamente immaginare.

Fu talmente scioccante che si dimenticò come si deglutisse, finendo con lo strozzarsi e allo stesso tempo arrossire furiosamente, portandosi un palmo davanti alla bocca per reprimere qualsiasi verso stesse per scappargli. Al contrario, il suo corpo non si mosse. La scena lo aveva inchiodato sul posto.

«Credo che una mano serva a lui» ridacchiò una terza voce che decisamente non si sarebbe dovuta trovare lì.

«T-Tu!» abbaiò Kunikida, mentre Yosano, di spalle, nuda, sospirava, giocherellando con un lembo di lenzuola, ma senza fare nulla per coprirsi. O per spostarsi da sopra quella terza presenza che non si sarebbe dovuta trovare lì.

«E-Eri uscito con Atsushi e Kyouka! I-Il c-caso!» continuò Kunikida, come se la logica, irrimediabilmente incrinata, potesse spiegare quello che stava succedendo.

Dal canto suo, Dazai si tirò su sui gomiti, muovendosi appena, ma abbastanza da far raddrizzare la schiena a Yosano, che si portò una mano alla bocca per mitigare un gemito. La donna era a cavalcioni sull’ex mafioso, ma la mente di Kunikida non avrebbe mai potuto realizzare davvero il loro incastro. Semplicemente, si rifiutò.

«Atsushi-kun e Kyouka-chan se la caveranno benissimo!» spiegò Dazai come se stesse parlando del tempo. «Non capitano mai giornate così tranquille qui! Io e Yosano-sensei ne abbiamo approfittato perché ho perso una scommessa con lei l’altra sera…» e mentre lo diceva fece qualcosa, un movimento mirato, fluido, ma appena percepibile, che, di nuovo, fece sfuggire un gemito alla donna e Kunikida se lo sentì arrivare addosso come l’onda d’urto di una bomba.

«Però ora ci hai interrotti!» concluse Dazai, ridacchiando e fissandolo da capo a piedi. «Potresti rimediare unendoti a noi.»

Fu il colpo di grazia per la psiche di Kunikida.

Yosano lo osservò mentre la sua faccia restituiva solo l’impressione che il suo cervello fosse andato in blackout. Rise, e ricambiò le attenzioni di Dazai ondulando i fianchi e provocando a entrambi diversi gemiti che finirono soltanto per inceppare ancora di più le rotelle fumanti del collega.

«I-Io… V-Voi…»

Kunikida era così rosso di imbarazzo che gli altri due non riuscirono a trattenere dei nuovi risolini.

«Puoi sgridarmi, Kunikida-kun. Se può aiutarti…» riprese Dazai, passandosi la lingua sulle labbra. «Potresti farlo mentre mi-»

«IO- VOI-!»

Kunikida scosse la testa e fece un passo indietro, abbassando lo sguardo sul pavimento.

«Devo andare» mormorò, defilandosi verso la porta così veloce che ci sarebbe potuto passare attraverso senza accorgersene. Ma il modo in cui la sbatté rimbombò per tutta l’infermeria.

«L’abbiamo rotto, temo» sospirò Yosano, ravviandosi i capelli. «Lo trascinerò a bere e cercherò di fargli elaborare l’accaduto.»

«Oh, io invece pensavo già a come farglielo rivivere domani, non voglio che se ne dimentichi! Non trovi che sia stato fantastico?»

Yosano sospirò con condiscendenza.

«Sei proprio perfido, avrà già gli incubi stanotte.»

«Magari sognerà di fare quello che si è appena lasciato sfuggire… chissà, la prossima volta sarà meno restio a unirsi…»

«Intanto… finiamo io e te» e nel dirlo, tornò a dondolare su di lui, prendendosi il premio per la propria scommessa.


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COW-T 11, sesta settimana, M3
Prompt: 004. And when our children tell our story, they’ll tell the story of tonight.
Numero parole: 668
Rating: SAFE
Warning: … major character death? Non descritta.
Note: … ma è talmente corta che non se piagne. 



And when our children tell our story,
they’ll tell the story of tonight.

[Hamilton, il musical]



«Si può sapere che cazzo hai da ridere!?»

Quello di Chuuya sembrò in tutto e per tutto un latrato, ma si fermò a essere quello. Era troppo stanco, troppo al limite, troppo arreso per poter pensare di afferrare l’ex partner per il colletto e farlo smettere. Lui, di divertente, non ci trovava proprio niente. 

Erano spacciati, nel senso letterale del termine. Il capolinea. Non c’era più alcuna via di fuga e lo avevano scelto volontariamente. 

E Dazai rideva, asciugandosi le lacrime dagli angoli degli occhi e guardandolo con un sorrisino. 

«Quando i cuccioli parleranno di noi, racconteranno la storia di questa notte.» 

Chuuya fu abbastanza certo di aver capito male per il fischio del vento, se vento si poteva chiamare. Erano al centro del ciclone, o di qualsiasi insieme di forze fosse l’agire del Libro. Non importava che fossero riusciti a fermare Kamui e Dostoevskij dai loro piani di ristrutturazione egoistica della realtà, avevano innescato l’abilità probabilmente più distruttiva al mondo ed erano rimasti anche i soli a poter mettere un freno a tutto. Non senza sacrificio. 

Chuuya lo aveva accettato nel momento in cui l’aveva letto negli occhi di Dazai. Avevano iniziato insieme e, per quanto sperasse nel contrario, avrebbero concluso fianco a fianco la loro esistenza. Quello che Chuuya avrebbe desiderato risparmiarsi era un’ultima chiacchierata non sense con quel decerebrato del suo ex partner, il tutto mentre, intorno a loro, il mondo si stava sfaldando e sgretolando come un foglio che veniva consumato dalla fiamma. 

«Ora chi diavolo sono i cuccioli?» borbottò il rosso, passandosi una mano nei capelli arruffati. Aveva perso il cappello ore prima. Avrebbe dovuto prenderlo come un presagio di cattivo auspicio. Come se avere Dazai intorno già non fosse stato abbastanza. 

Il suo ex partner lo guardò con un sorriso raggiante. Alzò l’indice. 

«Atsushi!»

Poi alzò il medio. 

«E Akutagawa!» 

Chuuya lo guardò come avrebbe guardato un clown poco divertente o un paziente fuggito da un manicomio. 

«Perché li chiami-» si interruppe. «No, non lo voglio sapere.»

«Eddai! Sono i nostri ultimi istanti! Non sei minimamente curioso neanche adesso?»

«Ho la sensazione che mi darai il tormento anche nell’aldilà. O nella prossima vita.»

«Sei uno di quelli che crede nella vita dopo la morte e nella reincarnazione!?»

Lo sguardo di Chuuya esprimeva il dubbio di rispondergli, cercando il tranello. 

«Se anche fosse...»

«Sei così romantico!» e nel dirlo, Dazai gli afferrò una mano nelle proprie, fissandolo con le stelline negli occhi. Chuuya non avrebbe mai immaginato che sarebbe morto col voltastomaco. 

«Lasciami stare, idiota! Non riesci a essere serio neanche quando stai per crepare!?»

«Che gusto ci sarebbe? Vuoi ricordare gli ultimi istanti stando in una qualche posa plastica da eroe? Non c’è nessuno ad ammirarti!» 

«Deficiente, non intendevo questo!» brontolò l’altro, incrociando le braccia con stizza e cercando di nascondere il rossore. 

Dazai gli punzecchiò un fianco, facendolo saltare ed evitando al volo un morso, tornando a ridere. Questo ricordò a Chuuya della frase senza senso per cui avevano iniziato a battibeccare. 

«Stavi pensando a Jinko?»

La piega delle labbra di Dazai si ammorbidì e si fece più sincera. 

«Può darsi.»

«Ti sei sacrificato per lui.»

Chuuya non era scemo. Lo aveva capito nel momento in cui aveva tacitamente accettato di seguire Dazai in quella follia. Atsushi, o meglio, la Tigre Mannara, da sola, con quei suoi artigli, probabilmente avrebbe messo fine a tutto, ma allo stesso prezzo che stavano pagando ora loro. E Dazai aveva preferito andare avanti al suo posto e permettergli di vivere. 

«Mi dispiace» mormorò il suo ex partner, così piano che il frastuono intorno a loro rubò le sue parole quasi per intero. Tuttavia, Chuuya non aveva bisogno davvero di sentirle. 

«È stata una mia scelta, e preferirei che mi chiedessi scusa per altro.»

Dazai lo guardò senza capire. 

«Tipo?»

«Avermi reso la vita un incubo.»

L’ultima cosa che Chuuya sentì prima della fine fu, di nuovo, quella risatina che neanche la morte poteva cancellare. 

«Prego, partner.»
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COW-T 11, sesta settimana, M3
Prompt: 009. I imagine death so much it feels more like a memory.
Numero parole: 568
Rating: SAFE
Warning: //
Note: Dark Era o giù di lì ~



I imagine death so much
it feels more like a memory.
[Hamilton, il Musical]



«Ormai immagino la morte così tanto che sembra più un ricordo.»

Ango e Odasaku rimasero col bicchiere sospeso a un soffio dalle labbra. Si voltarono a guardare sorpresi il Dirigente della Port Mafia seduto tra di loro. Erano al Lupin Bar da ore, la mezzanotte era passata ed era innegabile che anche loro avessero ormai superato la soglia della sobrietà. 

«Ricordi di essere morto?» domandò Odasaku piano, per non spezzare l’atmosfera che si era appena creata. Il tempo sembrava essere scivolato fuori dal limbo in cui erano immersi, fatto di odore di tabacco, whiskey e musica leggera di sottofondo. 

«È ubriaco» sussurrò Ango in risposta, inclinandosi appena per adocchiare il più grande oltre le spalle del Dirigente. Tuttavia, il rossore sulle gote della spia era più accentuato rispetto agli altri due, benché sembrasse mantenere meglio il suo classico aplomb

Dazai fece spalluce, tirando una schicchera al bicchiere davanti a lui. Una goccia dell’alcolico schizzò sul bancone e lui la recuperò col polpastrello dell’indice, portandosela alle labbra. 

«So cosa si prova con una corda al collo che ti toglie il respiro un secondo alla volta. So com’è avere i polmoni come spugne pieni d’acqua. La sensazione di freddo per un quasi dissanguamento.»

Le parole di Dazai riempirono il piccolo spazio delimitato solo dalla loro presenza. Gli avventori intorno non si sarebbero mai avvicinati a gente che puzzava di Port Mafia lontano un miglio e questo dava loro tutta la privacy che, spesso, i discorsi sconclusionati del più giovane richiedevano. 

«Hai visto la luce in fondo al tunnel?» 

O la discrezione che le domande un po’ stravaganti di Odasaku necessitavano. 

Dazai scoppiò in una piccola e genuina risatina. Al suo fianco, Ango sospiro pesantemente, poggiando il bicchiere come se si fosse accorto in quel momento di bere la stessa cosa degli altri due e potesse finire contagiato dalla medesima stupidità. 

«Non c’è alcuna luce da nessuna parte» celiò Dazai, scivolando sul bancone per la stanchezza, la testa appoggiata sulle braccia incrociate. Fissò Odasaku dal basso verso l’alto con quell’unico occhio non bendato, ammorbidito da quella battuta che aveva spezzato la tensione del suo discorso. 

«È sempre tutto molto buio» aggiunse con un sospiro. «Non penso sia sbagliato quando si dice che la morte sia nera. Non posso assicurare sul genere, non mi sembra di aver mai visto una Signora. Tu che ne pensi, Ango?» concluse, voltando la testa nella sua direzione e strusciando la guancia sulla manica. 

«Io che ne so» borbottò il quattrocchi, massaggiandosi le tempie con le dita di una mano. Erano arrivati a degenerare come al solito. 

«Ogni giorno cerco di immaginare un nuovo modo per farla finita, perché non provi anche tu?» propose Dazai, riacquistando un po’ della sua verve per gli argomenti insensati. 

«A che pro?» 

Ango stette al gioco, ma non tardò a pentirsene. 

«È un ottimo esercizio. Prima o poi moriamo tutti, no? Se lo immagini, forse sarà meno doloroso. Io non voglio una morte dolorosa.»

La spia scelse di tacere e tornare a bere. Era l’ora di stordirsi. 

«E tu Odasaku? Immagini mai di morire?» 

Dazai tornò all’attacco, girandosi di nuovo verso il maggiore. 

«Non per il momento» sospirò l’uomo, ordinando un altro giro di whiskey. 

Il Dirigente si tirò su a sedere, stiracchiandosi. 

«Prima vuoi scrivere il tuo romanzo?»

«Già.»

«Non vedo l’ora di leggerlo! E voglio l’autografo!»

Era una di quelle serate


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COW-T 11, prima settimana, M2
Prompt: Threesome
Numero parole: 1467
Rating: SAFE
Warning: domestic fluff scemo
Note: io e la mia convinzione che in qualche maniera Odasaku sia ancora vivo. 



Chuuya fu il primo a mettere piede dentro casa e tirò un sospiro di sollievo tra sé e sé. Pace, tranquillità e soprattutto nessuno che gli facesse notare di essere in ritardo e questionasse sul motivo, mettendolo alle strette - e in imbarazzo - nel cavargli di bocca che, sovrappensiero, si era sbagliato ed era tornato in automatico al proprio vecchio appartamento. 

Era questione di abituarsi. Un’abitudine nuova che non si era ancora radicata dentro di lui. 

Fece cadere le chiavi nella ciotola dell’ingresso, buttò il cappotto sull’appendiabiti e, una volta toltosi i guanti, liberò dalle asole i primi due bottoni della camicia, prendendo un respiro più ampio. 

A ogni passo, una luce si accendeva, regolata a un’intensità bassa, tenue, non fastidiosa, dandogli un’intrinseca soddisfazione. Partì anche della musica - una delle sue playlist serali - e le note riempirono l’ampio salotto mentre lui raggiungeva la cucina a vista e, precisamente, lo sportello più grande con la sua piccola cantina personale, quei vini che preferiva tenere a portata di mano. 

Mentre la musica cambiava e lui, rilassato, le stava dietro canticchiando a bocca chiusa, scelse una bottiglia secondo l’inclinazione di quella serata. Era stata una giornata lunga, non pesante in modo particolare, ma si sarebbe bacchettato volentieri tra sé e sé per il continuo sovrappensiero che non l’aveva mai abbandonato, distraendolo in continuazione e finendo col dovergli far mettere qualche pezza quando qualcuno (Kouyou, Hirotsu, Kajii, persino Akutagawa…) glielo aveva fatto notare. 

Chuuya stappò il vino e lo versò sempre con la testa altrove, mentre gli occhi spaziavano il salone senza vederlo davvero, ma restituendogli la sensazione di qualcosa di compiuto, nuovo da scoprire, eppure, allo stesso tempo, di cose messe a posto correttamente, senza riferirsi nel concreto al mobilio o agli oggetti circostanti. Un pezzo della sua vita era cambiato radicalmente e - non lo avrebbe mai ammesso - totalmente in positivo, uno standard a cui non era abituato. 

Il Dirigente della Port Mafia si spostò dalla penisola della cucina per appoggiare calice e bottiglia sul tavolino davanti al divano e lasciarsi cadere su questo con un sospiro del tutto liberatorio e anche troppo sonoro, come a saggiare come questo rimbalzasse tra le pareti, dissipandosi tra le note musicali. 

Sorrise. Tra sé, all’ombra di quella solitudine momentanea che sarebbe potuta durare minuti quanto ancora delle ore, ma che non sarebbe più stata - se non occasionalmente - permanente. 

Sempre col sorriso, si dimenticò del vino e della musica, scivolando più comodo tra i cuscini del divano. Come per le luci intelligenti, la maggior parte del mobilio lo aveva scelto lui stesso e si diede una metaforica pacca mentale per quelle decisioni azzeccate, mentre la coscienza scivolava verso l’inconsistenza dei pensieri, facendolo addormentare. 



Uffa.” 

Non ci fu un reale seguito a quella lamentela, se non una sequenza di rumori bassi e calcolati in modo da non risultare fastidiosi, differenti dall’ennesimo sbuffo da parte di Dazai. Il detective era appollaiato su una delle sedie della cucina, braccia conserte, guance gonfie per far notare meglio il proprio muso lungo. Si voltò di tre quarti verso i fornelli, fissando accusatorio Odasaku. 

“Sei noioso” sottolineò per la terza volta, ricevendo solo un sospiro distratto, mentre quest’ultimo, maniche arrotolate ai gomiti, improvvisava la cena. 

“Ancora dieci minuti” replicò il più grande, concentrato nel non bruciare nulla e lasciando intendere un pacato Stai buono

Dazai levò le mani al soffito in un gesto melodrammatico e frustrato, ma non lo accompagnò con alcuna battuta. Rivolse un altro sguardo al soggetto del suo doversene stare buono, senza riuscire però a trattenere un tch.

Avevano finito il turno in Agenzia con un’ora di ritardo grazie alla brillante idea di Dazai di inviare tutti i propri report in formato aeroplanino di carta. Kunikida aveva rincorso il partner per l’intero ufficio, mentre Odasaku e Atsushi si erano messi a dispiegare tutti i fogli di carta, tentando di salvare il salvabile. 

Se Dazai si era fatto quasi trascinare a casa perché aveva finito le energie, queste erano tornate all’improvviso quando, una volta varcata la soglia - non senza una sensazione strana addosso, era tutto nuovo anche per loro - si era accorto di come Chuuya si fosse addormentato totalmente abbandonato e indifeso sul divano. La sua espressione beata aveva fatto scattare in Dazai la molla della malizia, prontamente bloccata da una mano di Odasaku sulla spalla, prima che potesse fare danni. 

Un quarto d’ora dopo, Dazai era ancora seduto dove Odasaku gli aveva chiesto di aspettare, fissando Chuuya e fremendo dalla voglia di avvicinarsi e combinargli qualcosa; quella sua faccia così beatamente nel mondo dei sogni gli stava ispirando gli scherzi peggiori.

“Ci sono così tante cose che potrei sussurrargli all’orecchio, non so da quale iniziare” borbottò Dazai, mentre con un dito si tamburellava una guancia. 

Alle sue spalle, Odasaku aveva spento i fornelli e stava riepiendo le ciotole col riso saltato. 

“Oh, oppure” riprese a ponderare Dazai, mettendosi dritto con la schiena. “Potrei andare a prendere quella piccola bacinella sopra la lavatrice e farglici scivolare dentro le dita…” 

Odasaku gli appoggiò davanti la ciotola col riso, accompagnandola con uno sguardo che sarebbe parso per lo più dubbioso, ma che Dazai avvertì addosso come una blanda pressione, qualcosa che diceva Non essere così pestifero

Il compagno spostò l’attenzione sul cibo, poi di nuovo su Chuuya e infine su Odasaku, ancora in piedi. 

“Non lo svegliamo?” e aggiunse, sbattendo le palpebre con una mano davanti alla bocca. “Vuoi che muoia di fame?” 

Un fugace guizzo del sopracciglio di Odasaku stanò senza riserve tutta quella finta innocenza con cui Dazai stava ammantando il proprio discorso. 

“Se non mangia non potrà sperare di crescere.”

Dazai.” 

“Sono solo preoccupammphh-”

Odasaku aveva iniziato a essere più concreto ed espansivo nei gesti, ma soprattutto inaspettato. Come fu il cucchiaio pieno di riso che infilò in bocca a Dazai, mantenendo la stessa impassibile espressione, per poi voltarsi e avvicinarsi al divano. 

Chuuya non diede segni di averli sentiti. Il petto si alzava e abbassava con regolarità e le ciglia ogni tanto fluttuavano per un movimento improvviso delle palpebre. Con una mano sullo schienale del divano e una sul bordo, Odasaku si chinò su di lui. 

Il bacio fu lieve, sulla guancia, più un premere le labbra per saggiare la reazione del Dirigente. 

Il corpo di Chuuya ebbe appena uno spasmo, minimo, ma sembrava troppo rilassato per scattare, quasi consapevole di non essere in pericolo, tutt’altro. Mugugnò appena, inclinando il viso e permettendo a Odasaku di lasciargli un altro bacio, all’angolo della bocca, e un altro scenendo sul mento. La musica in sottofondo era una carezza quanto le labbra che stavano svegliando Chuuya. 

Schiuse gli occhi, ma il tanto che gli bastò a trovare il viso di Odasaku e guidarlo con una mano verso di sé per un contatto più serio. 

Aaaw, il bacio del vero amore che svegliò la principessa” belò una voce sopra le loro teste, anche se il tono canzonatorio fu inquinato dal ciancicare della mandibola. 

Dazai era appoggiato allo schienale della poltrona, con una mano teneva la ciotola del riso mentre con l’altra si era armato dello stesso cucchiaio con cui Odasaku l’aveva messo a tacere e che ora stava pulendo di ogni chicco di riso. 

Allungando appena il collo per poterlo fulminare con lo sguardo, Chuuya disse addio a quel bel risveglio, ma la mano trattenne Odasaku dall’alzarsi, anche se la sua attenzione fu tutta per quello che non poteva davvero più chiamare ex partner. 

Non mangiare sul divano nuovo” abbaiò e gli scappò davvero un ringhio. “Ti ammazzo.”

Dazai si portò alla bocca una cucchiata particolarmente ricca, consapevole che un paio di chicchi gli scivolarono dalle labbra, finendo però nella ciotola. Il suo sguardo non lasciò quello di Chuuya un solo attimo, anche quando avvertì quello vagamente esasperato di Odasaku. 

Due contro uno? pensò con un sorrisetto Dazai, continuando a masticare. 

Fu inevitabile quanto volontario il chicco di riso che cadde dalla successiva cucchiata e che, a rallentatore, seguito dagli occhi di Chuuya, scivolò su uno dei cuscini di quel divano appena comprato che non aveva neanche una settimana di utilizzo. 

Io. Ti. Ammazzo. DAZAI!” 

Odasaku fece appena in tempo a tirarsi indietro prima che Chuuya scattasse, così rapidamente che Dazai gli sfuggì per una prontezza di riflessi davvero invidiabile, il tutto tenendo la ciotola saldamente tra le mani. 

La musica d’atmosfera fu soppiantata dallo scalpiccio con cui i due si inseguirono per casa, rischiando di coinvolgere una piantana, un poggiapiedi e uno scatolone ancora non aperto del trasloco. 

Odasaku recuperò il chicco della discordia e si alzò per tornare in cucina, sedersi e inziare a consumare la propria cena, seguendo con gli occhi le due calamità naturali che aveva accettato di avere come compagni di vita. 


sidralake: (Default)
 

Cow-t, settima settimana, M6

Prompt: Sorrisi enigmatici

Numero Parole: 1117

Rating: NSFW

Warning: tematiche delicate e graphic description. 

Note: un missing moment post Fifteen… con un vaghissimo riferimento a una cosa. 



Il più delle volte Chuuya desiderava solo dare un pugno a Dazai e cancellargli il sorrisetto che aveva in faccia. Se dal loro primo incontro aveva capito che non c'era da fidarsi delle sue espressioni da volpe, nel giro di qualche mese all'interno della Port Mafia, Chuuya era già saturo di ogni virgola quel viso fosse in grado di proporre. Ogni volta significava una magagna, ogni volta significava che lui ci finiva in mezzo. 

Non si trattava solo dei traffici soliti della mafia, scontrarsi con qualche indipendente o altre organizzazioni, bagni di sangue o salvataggi in extremis. Dazai aveva diversi tipi di sorrisetti enigmatici per ogni occasione, fosse per preparare la cena o prima di un tentativo di suicidio. Nel primo caso - e c'era cascato solo una volta - Chuuya si guardava dall'assaggiare il cibo per non incappare in avvelenamenti fuori programma o un mix di droghe ricreative sciolte nello stufato; nel secondo caso... 

Nel secondo caso Chuuya detestava ammettere di aver sviluppato un sesto senso sgradevole. 



C'erano giornate in cui Dazai spariva. 

La prima volta, Mori aveva chiesto a Chuuya, dopo avergli elencato tutte le disposizioni della giornata, di dare un'occhiata in giro e recuperare Dazai. Con un sospiro che rasentava lo sconsolato, il Boss aveva accennato al fatto che capitavano giorni in cui Dazai non dava notizie di sé ed era meglio tenerlo d'occhio.  

Il rosso non aveva preso bene l'idea di fare da balia all'idiota del suo partner, né di andare a ficcanasare in giro per capire dove si fosse cacciato. Ne aveva fatto una questione di principio quando l'idiota aveva risposto ai suoi messaggi in modo vago per mezza giornata, ignorando le telefonate ma continuando ad assillarlo quando aveva deciso di silenziare il volume del cellulare. 

Era quasi il tramonto e Chuuya ancora non era riuscito a scovare dove il partner si fosse rintanato. 

"Sei un bravo cane a eseguire gli ordini del Boss" stava ridacchiando Dazai al telefono. Alla fine aveva risposto, ma il tono di voce aveva messo addosso a Chuuya un pessimo brivido. 

"Mi hai fatto perdere tutta la giornata, dove cazzo ti sei infilato!? Ti vengo a prendere." 

Dazai aveva riso senza allegria, come una carezza fredda sotto i vestiti. 

"Ti stai atteggiando a fratello maggiore. Hai fratelli Chuuya? Ah no, è vero, non ricordi nulla del tuo passato. Vuoi fare il cane fedele e il fratello maggiore insieme?" 

Chuuya iniziò a dubitare di aver inquadrato del tutto Dazai. Anche se il discorso lo irritava (ma cosa non lo irritava di Dazai?), il suo tono continuava a insinuarglisi sotto pelle, scendere nello stomaco a dargli una brutta sensazione. 

"Dove. Cazzo. Sei." scandì a denti stretti. 

Dazai rimase in silenzio e il rosso controllò che non avesse attaccato. 

"Ohi-" 

"Ti propongo una sfida! Vediamo chi arriva prima!" esordì di nuovo Dazai. 

"Che cazzo stai dicendo!?"

"Ricordi il locale da cui si vedeva la ruota panoramica e che abbiamo estorto a quel gruppo di wannabe spacciatori? Penso ci sia proprio una bella vista col tramonto e le prime luci della sera. Vediamo chi fa prima!"

"Chi fa prima!? Chi altro cazzo deve arrivare!?" sbraitò Chuuya iniziando a correre e maledire tutto e tutti. Si trovava non proprio dalla parte opposta ma quasi, e aveva solo un vago ricordo di dove il posto menzionato fosse. 

Dazai continuò con quei suoi suoni di gola che somigliavano a vetri rotti strofinati tra loro finché non riagganciò la telefonata, lasciando il partner con uno sgradevole sentore e un'imprecazione che fece girare i pochi passanti presenti. 




Chuuya detestava sentire il cuore pompare a mille. Detestava l'incertezza alla basa di quel battito accelerato. Odiava che fosse per colpa di Dazai. 

Aveva trovato il posto; aveva superato i cartelli Vietato l'ingresso - stabile in ristrutturazione che gli agenti della Mafia avevano sistemato dopo aver occupato il posto, e si era diretto di corsa verso l'ultimo piano. 

Il sole era già scomparso dietro l'orizzonte e la luce che illuminava l'ultimo piano dalle immense finestre era rosso sangue, un ricordo di quanto ne era stato versato la settimana prima. Il luogo era già stato ripulito e l'arredamento era già a buon punto, tanto da costringere Chuuya a fare lo slalom tra divani, mobili, casse e scatoloni ancora da aprire e teli per la pittura. 

"DAZAI! Dove cazzo sei!?" urlò Chuuya con una nota troppo incazzata e troppo alta. 

Ripensò alla chiamata e alla menzione della ruota panoramica, così corse nella stanza successiva, ricordando che la vista fosse diversa. 

Se il rosso detestava avere il cuore in gola, aggiunse alla lista anche la sensazione di ritrovarselo improvvisamente alle caviglie, col respiro che non entrava più nei polmoni. 

Dazai penzolava dal soffitto con una corda intorno al collo. 

Chuuya ebbe l'impressione di muoversi a scatti. Un attimo prima era sulla porta del grande salone, che presto avrebbe ospitato un lounge bar con gioco d'azzardo, e l'attimo dopo, con un balzo e l'uso della gravità, recideva la corda col proprio pugnale, per poi ricadere col corpo di Dazai sul divano incellofanato sottostante. 

"Uh." 

Il suicida emise un gemito di dolore nel ritrovarsi un ginocchio del partner nella schiena. Di contro, Chuuya, terreo, sentì l'aria tornare nei polmoni come se avesse aperto una valvola a pressione. Prese un respiro che fece male, ma afferrò ugualmente Dazai per il bavero e con dita rigide strattonò il cappio per allentarlo. 

"... mi fai male! Mi graffi!" lamentò Dazai. 

Chuuya emise un verso come se quello che avrebbe voluto dire si fosse appena schiantato contro i denti serrati. Finché non ebbe lanciato via il pezzo di corda oltre lo schienale del divano non si sentì padrone del proprio corpo e della situazione. 

"... ah ah, hai visto? Hai fatto prima te" ridacchiò Dazai, riverso di traverso sulle gambe del rosso, una mano a massaggiarsi la zona dolente del collo dove la corda aveva lasciato profondi segni rossi. 

Se c'era qualcosa che Chuuya avrebbe voluto dire, non ne trovò più l'utilità. Avrebbe potuto seppellire di bestemmie il partner, ma dal sorrisetto enigmatico del cazzo di Dazai una vocina nella testa gli diceva che ne avrebbe ricavato solo un ulteriore rodimento allo stomaco. 

Si frugò in tasca e tirò fuori un accendino a una sigaretta. Il primo tiro diede un iniziale senso di anestesia ai nervi, ma la boccata che soffiò in faccia al compagno fu più d'aiuto di qualsiasi tranquillante o bestemmia. 

"Cough. Ehi! Vuoi soffocarmi dopo avermi appena salvato?" 

Chuuya rincarò la dose con una seconda nuvola di fumo. 

"Prima o poi io ti ammazzo" promise. 

Purtroppo fu solo la prima di numerose altre volte a cui Chuuya fece il callo, riuscendo a decifrare dalla piega delle labbra di Dazai quale tipo di giornata sarebbe stata.


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Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato / Cuccioli

Numero Parole: 1186

Rating: SAFE



Sul documento che Dazai aveva ricevuto da Ango qualche ora prima c'era chiaramente scritto "Merce di lusso. Valore stimato per pezzo: 100,000 yen. Numero pezzi: 90 ca. Massima priorità ricerca compratori", ma nessuna voce riportava che i suddetti pezzi avessero la coda o abbaiassero. 

Dazai sospirò pesantemente, guardando di nuovo il documento e poi il magazzino in cui era stata "scaricata" la merce del container. O meglio, era stato lo stoccaggio più veloce di cui avesse memoria, essendo che ogni "pezzo", per citare il documento, fosse sceso di propria spontanea volontà dal trasporto. 

"Dazai" iniziò Odasaku, attirando l'attenzione su di sé. Era seduto al centro del magazzino e aveva un numero imprecisato di musi che lo annusavano e facevano a gara a riceverne le coccole. "Hai mai visto la Carica dei 101?" 

Era serio e Dazai sospirò di nuovo, incrociando le braccia. Abbassando lo sguardo, si ritrovò a fissare un altrettanto imprecisato numero di musetti e code scodinzolanti. "Dovrei?" 

"No" replicò l'altro, con un tono molto più morbido e sovrappensiero del solito. "Sakura e i bambini lo adorano" continuò, mentre i cuccioli conquistavano sempre più terreno sopra di lui, arrampicandosi ovunque. "Credo abbiano fame." 

Il giovane Dirigente della Mafia sospirò una terza volta e tirò fuori il cellulare, iniziando a digitare un numero a memoria. 

"Boss, sono Dazai. Ha presente la partita di merce di lusso in arrivo oggi con richiesta di stoccaggio urgente? Ah ah, quella, apparentemente. Con la stessa urgenza ci servirebbe un camion di cibo, un paio di veterinari e venti agenti col pomeriggio libero." 


Dazai non aveva mai visto Odasaku così imbronciato come quando ebbero finito di contare i cuccioli di dalmata e risultarono essere cento precisi. Non uno di più, come sembrava desiderare il più grande. In compenso, mangiarono per il doppio del loro numero. 

Nel mentre, Dazai chiuse l'ennesima chiamata e decise anche di spegnere il cellulare, facendolo scivolare in una delle tasche del giaccone. 

"Che storia" esordì esausto. "Ango era inferocito. Pare che ci sia stato un qui pro quo con il proprietario della merce. Ci sarebbero dovute arrivare statuine pregiate a forma di cane, non cento cuccioli di razza." 

Odasaku stava supervisionando alcuni dei cagnolini che si erano affollati alle ciotole per mangiare, mentre con un biberon sfamava i più piccoli non ancora svezzati. Un po' in ogni angolo del magazzino era lo stesso, con agenti che sembravano tornati bambini mentre giocherellavano con i vari quadrupedi. Il più serio apparentemente era Hirotsu, che stava ascoltando il resoconto dei veterinari, ma era anche intento a tenere in braccio e accarezzare uno dei vari cuccioli. 

"Cosa ha deciso il Boss?" domandò Odasaku senza però distogliere l'attenzione dal piccoletto che si abbeverava con ingordigia. Altri tre cuccioli, piccoli e ancora senza macchie, erano in mezzo alle sue gambe, già con lo stomaco pieno e il musino sonnacchioso. "Serviranno delle cucce e delle coperte. E qualcuno che rimanga a supervisionarli" continuò, senza aspettare risposte. Sembrava come in trance, preso da tutti quei musi in cerca di attenzioni. 

Dazai non aveva più la forza di sospirare o borbottare. A lui neanche piacevano i cani, ma vedere Odasaku così preso gli stava facendo sopportare meglio tutto il casino all'interno del magazzino. 

"Ha già incaricato Ango e altri intermediari di piazzarli. Sembra che l'equivoco lo abbia divertito abbastanza da chiudere un occhio e non li rispedirà indietro. Anche perché non credo sopravvivrebbero a un secondo viaggio. Comunque, ha bloccato i pagamenti. Alla fine valgono quanto dichiarato, anche se le spese extra da qui a quando riusciremo a sbarazzarcene non sono coperte" Dazai finì ugualmente di sbuffare, prendendo su uno dei cuccioli più piccoli e facendosi passare un biberon da Odasaku. "Hirotsu ha già predisposto un presidio notturno. Sarà un miracolo se non avremo un blitz della polizia militare o di qualche ente per la protezione animali." 

"Posso rimanere anche io stanotte."

Dazai lo guardò per nulla convinto. "Ti piacciono davvero i cani, eh?" 


Alla fine Odasaku non rimase nel magazzino per la notte. In compenso, ottenne da Dazai il permesso di portarsi dietro uno dei cuccioli, con la promessa di riportarlo indietro il giorno dopo. 

"Siete impossibili" li apostrofò Ango quando quella sera scese le scale del Lupin. Gli bastò un'occhiata per individuare il cucciolo in braccio a Odasaku, con le zampette sul bancone mentre si sbaffava tutto il latte di una ciotolina. "Le chiedo scusa a nome dei miei amici" disse Ango al barista mentre si sedeva. 

"Ehi, io non c’entro, non ero neanche d'accordo" puntualizzò Dazai lamentoso, le braccia incrociate sul piano in legno e la testa abbandonata su queste, vicino al suo bicchiere di whiskey serale appena finito. Era esausto. Non pensava che badare a una carica di cuccioli di dalmata fosse così sfiancante. 

"Dovrei crederti?" Ango lo guardò con una di quelle occhiate che significavano si tratta di Odasaku, gliele fai passare tutte lisce come lui fa con te. Dazai mise su il broncio, ordinando un altro giro di bevuta. 

"Lo sai che non puoi tenerlo?" continuò Ango, guardando verso il più grande. 

"Io sarò permissivo, ma tu sei proprio cattivo. Che poi il danno lo hai fatto tu, no?" rincarò Dazai. 

Ango si spinse gli occhiali sul naso con espressione così seria da rasentare l'omicidio. Mai mettere in dubbio il suo lavoro. "Il compratore ha pensato di fare il furbo. Ho passato la mattinata a ricontrollare tutte le conversazioni e gli accordi e si è sempre e solo parlato di statuine e non cani reali. Per colpa di questo ho dovuto passare poi il pomeriggio a cercare acquirenti di cani di razza, e ci tengo a precisare che non è un target che la Mafia tratta." 

"Ma sicuramente sei riuscito già a piazzarne la metà, non è vero?" ridacchiò Dazai. 

"Sessantasette di quei cuccioli partiranno entro le prossime quarantotto ore per cinquantatre adozioni" fu la replica concisa della spia, neanche fosse stata un'informazione scritta appena stampata. 

"Efficientissimo come al solito."

"Mi piacerebbe tenerne uno" esordì Odasaku di punto in bianco, interrompendo il battibecco e attirando l'attenzione degli altri due. Aveva un accenno di sorriso sulle labbra che era una vera rarità, questo mentre il cucciolo di Dalmata gli leccava tutta una mano e cercava coccole contro il suo palmo. "Ma non posso permettermelo. Ho già le spese dei bambini e non sono mai a casa. Non è il momento giusto per prendere un cane." 

Ango e Dazai si scambiarono un'occhiata complice. 

"Sono certo che se chiedo al Boss di tenerne uno me lo sconta. Sono pur sempre uno dei Dirigenti della Mafia" iniziò Dazai, battendo il pugno sulla mano. 

Ango si risistemò di nuovo gli occhiali accennando un segno di ok con le dita. "Posso contribuire con la metà delle spese e trovare un buon addestratore e un dogsitter. Oggi ho dovuto fare diverse ricerche per piazzare i cuccioli, sarà uno scherzo." 

"Però poi voglio scegliere il nome!" proseguì il giovane Dirigente della Mafia con più foga.

"Penso che un collare bordeaux sarebbe davvero carino” gli andò dietro Ango, annuendo con convinzione. 

Odasaku li lasciò parlare. Pensare a quel cucciolo adottato da loro tre era un’idea tanto strana quanto piacevole. 


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