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COW-T 13, quinta settimana, M3
Prompt: La quadriglia
Numero parole: 4070
Rating: NSFW (ma non esplicito)
Warning: Odasaku / Dazai / Chuuya / Ango (POV Ango). In un ipotetico futuro in cui Odasaku è (redi)vivo. 


La scrivania era un disastro. Le penne erano rotolate in terra, i fogli fuori dalle cartelline erano sparsi come foglie su un vialetto dopo una forte raffica di vento. Ango si era sentito come una di queste quando Chuuya era piombato nel suo ufficio alle quattro di notte e non aveva voluto sentire ragioni.

“… te lo avevo detto, Quattrocchi…” ansimò il rosso, sfilandosi l’ultimo dei guanti con i denti, l’altra mano già occupata sul basso ventre dell’ex spia. “… se avessi di nuovo fatto le ore piccole saremmo arrivati a questo.”

Ango gemette, inarcando la schiena e premendosi un braccio sugli occhi. Non aveva idea di dove fossero volati gli occhiali, sperava solo non si fossero rotti come l’ultima volta.

“… devo finire-”

“So io cosa devi finire” lo stroncò sul nascere il Dirigente, chinandosi a baciargli e mordicchiargli la base del collo. “Finirla di ridurti a fare questi orari assurdi e dimenticarti di mangiare.”

La risposta di Ango non fu minimamente coerente, ma un insieme di ansimi e gemiti nel sentire le mani del rosso su di sé.

Anche se il suo senso del dovere stava protestando, il resto di sé - che ormai apparteneva a Chuuya in più di una forma - accolse quell’interruzione con sollievo e una certa dose di risposta, nonostante la stanchezza.

Cercò il viso del rosso attraverso la patina con cui vedeva il mondo in quel momento e lo chiamò debolmente, conscio di star viaggiando sulla linea dell’incoerenza. I contorni di ogni cosa erano sfuocati e i colori macchie che si fondevano, ma la sua ancora rimasero quei capelli di un fuoco pallido.

“Sei con me, Quattrocchi?” gli chiese Chuuya a un passo dalle labbra, facendo resistenza a quel bisogno inconscio con cui Ango lo stava attirando come una parte essenziale di sé.

“S-Sì…” balbettò in risposta l’ex spia, nonostante si sentisse a un passo dal cedere. Voleva Chuuya, voleva il sollievo che era in grado di dargli, ma la spossatezza gli stava calando tutta insieme. Il piacere delle dita del rosso prima, e il sesso vero e proprio a seguire, diedero il colpo di grazia alle sue quasi trenta ore di veglia.

Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima che si riducevano così. A quell’ora della notte, chiusi nel suo ufficio personale, riempiendo la stanza di gemiti e ansimi e trasformando il lavoro di una giornata in una costellazione di fogli da riscrivere, umidi del loro piacere.

C’era stato un tempo in cui Ango non sarebbe riuscito a immaginare una scena del genere neanche per gioco - cominciando dal fatto che non si ritenesse una persona così fantasiosa, soprattutto in campo sessuale, per finire con un classico Non potrei mai fare una cosa del genere dove lavoro.

Poi Chuuya era tornato nella sua vita e, come in passato, più di quattro anni prima, l’aveva stravolta. Era successo tutto talmente in fretta che la spia non era neanche sicuro di come fossero arrivati a quel punto. Che era solo uno dei due più importanti sconvolgimenti degli ultimi mesi, ma Ango in quel momento aveva le facoltà mentali solo per pensare al Dirigente. E alla sua lingua.

“C-Chuuy-ah” gemette, quando il rosso lo stuzzicò, conscio della sua ipersensibilità dopo averlo portato all’estasi appena due minuti prima. Si tese per uno spasmo involontario e chiuse le dita su un braccio del più giovane, con una presa che avrebbe voluto essere serrata, ma che perse di mordente dopo pochi secondi.

Chuuya si stava ancora dedicando alla sua pelle sensibile, ma con meno malizia e più premura, sciogliendo tutta la tensione residua. Intrecciò le proprie dita alle sue e risalì fino al collo di Ango, alla mandibola, con baci insistenti, fino a quando non si trovarono l’uno nelle labbra degli altri.

Con un ghigno, il rosso rimise gli occhiali alla spia.

“Sono ancora integri” scherzò, per poi scrutarlo con un’occhiata più di rimprovero. “Hai dormito almeno un’ora?”

Ango sospirò, non sforzandosi nemmeno si alzare la testa per guardarlo meglio.

“Ho preferito farmi una lunga doccia durante la pausa” confessò, riflettendo vagamente che il suo inconscio doveva essere stato lungimirante dove Ango proprio non aveva immaginazione.

Chuuya però non risultò particolarmente contento della risposta.

“Sei un coglione” gli disse senza mezzi termini.

“Sto lavorand-aah

Il rosso non lo fece finire, mentre le sue dita sapevano dove e come toccarlo per interromperlo e farlo contorcere.

“Io so che dopo il secondo orgasmo dormi come un bambino per almeno dieci ore di fila” e a modo suo fu una minaccia. “Puoi decidere se qui o a casa.”

Sulla faccia di Ango si leggeva un chiaro Ho del lavoro da finire, ma serrò le labbra prima che una sola parola potesse firmare quella condanna. Anche se erano amanti, Chuuya rimaneva un mafioso che manteneva la parola data e la ex spia voleva evitarsi altre pessime figuracce con i colleghi (e con la fortuna che aveva, sarebbe incappato certamente in Tsujimura, la cui fantasia non aveva nessuno dei limiti che Ango percepiva della propria. Era anche l’unica persona a sapere realmente tutta quella storia e a tifare per il suo superiore).

“… a casa.”

“Ottima risposta, Quattrocchi” e gli stampò un bacio sulla guancia, prima di tirarlo su così velocemente, con la leggerezza con cui avrebbe raccolto un giocattolo rovesciato in terra, che ad Ango girò la testa. Ma Chuuya non si mosse, restando in mezzo alle sue gambe e sostenendolo. Lo guardò dal basso verso l’alto con un sospiro più pacato.

“Hai una cera orribile e il mio intervento ti ha solo ridato un po’ di colore, ma sembri sul punto di una febbre da stress” mormorò, passandogli la mano sulla fronte. Era tiepida e sudaticcia per l’attività recente, ma anche bianca come il latte. Ango chiuse gli occhi, lasciando andare la testa contro quella carezza.

“… mi prenderò un giorno di ferie…” mormorò poco convinto, come se al contempo stesse cercando di fare i conti per capire se potesse permetterselo. “… o chiederò di sbrigare qualche lavoro da casa.”

“Lo sai che non sono la stessa cosa? Vedi di prenderti almeno due giorni di ferie, così festeggeremo come si deve.”

Ango lo guardò senza capire.

“… Festeggiare?”

Era sicuro che il Capodanno fosse passato da un mese abbondante.

“Domenica? Il quattordici? Ti dicono niente?” sbuffò Chuuya, scuotendo la testa. “Hai detto che te lo sei segnato anche in agenda.”

E nel dirlo, recuperò quest’ultima dal casino sulla scrivania, mettendogliela in mano. L’agente del governo la sfogliò cercando di ricordarsi che giorno fosse. Quando vide l’appunto per quel fine settimana, anche il resto del colore sulle guance impallidì.

Abbandonò la fronte sulla spalla del rosso con un mezzo singhiozzo di miseria verso se stesso, lasciando cadere l’agenda.

Ohi! Ti senti male?”

“… portami a casa” lamentò debolmente Ango.

Non voleva pensare. Voleva dormire. Possibilmente per un mese intero, così da saltare quell’incombenza che aveva tutti i tratti distintivi di una catastrofe annunciata.

Lui non era fatto per quelle cose.

Erano eventi per persone normali e né lui né i suoi compagni lo erano.

Eppure, avevano deciso di festeggiarlo ugualmente.

Avevano deciso che avrebbero passato San Valentino tutti insieme. Il primo San Valentino in cui si sarebbero presi del tempo per loro, per quella relazione bislacca che li aveva visti avvicinarsi, pezzo dopo pezzo, disgrazia dopo disgrazia. Se avessero raccontato la loro storia - di come almeno tre di loro avessero cercato di ammazzarsi l’un l’altro, uno fosse effettivamente morto e risorto, e poi, non sapevano neanche loro come, si fossero riavvicinati, al punto che ora non si poteva fare il nome di uno senza pensare agli altri tre… be’, probabilmente qualcuno ci avrebbe scritto un film solo per come suonasse tutto inverosimile.

Nonostante tutto, quella Domenica avrebbero coronato quel legame, quell’affetto senza un nome definito. 

E Ango non era pronto.




Dazai si adagiò contro il bordo della vasca con un sospiro estatico, completamente immerso nella sensazione piacevole dell’acqua calda.

“La Lumaca aveva ragione quando ha detto che - cito testualmente - Sei un deficiente stacanovista che meriterebbe di essere licenziato in tronco e non sapere più cosa fare nella vita.” Aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e dando la chiara impressione di essere stato colto da un secondo, fugace pensiero. “Non sapevo fosse così sadico. So che a sedici anni aveva escogitato un numero inutile di torture nei miei confronti, ma… Oh!”

Si alzò d’improvviso, schizzando un po’ di acqua tutto intorno. Un’epifania.

“Allora forse è questo che significa vero amore!? Ti ama così tanto che ti augura ogni disgrazia, se fosse almeno utile a farti stare bene!” Ci ragionò su un attimo, picchiettandosi il mento con un dito. “Potrebbe essere il motivo per cui mi augura sempre di morire?” 

Ango non si mosse di un millimetro a quei discorsi insensati - come se fosse diventato un tutt’uno con l’altro lato della vasca. Strinse appena gli occhi neanche Dazai lo avesse pungolato con una forchetta in un fianco. In più, senza occhiali poteva solo immaginare l’espressione del compagno.

“È lavoro, devo farlo…”

“Ma tu ci credi nella vita dopo il lavoro?”

Ango aggrottò la fronte, guardandolo senza capire. Dazai non si spiegò e raccolse un po’ della schiuma nella vasca e ci soffiò sopra, per poi liberarsi del residuo e riscivolare nell’acqua calda. Urtò le gambe di Ango e cercarono una posizione più comoda, finché il detective non appoggiò un piede fuori, sul bordo.

“Qual è l’ultimo libro che hai letto?”

Ango emise un verso sofferto, piegando la testa di lato. Questo lo fece sentire davvero misero.

“Potresti fregarne uno di poesie alla Lumaca, se ti possono interessare i poeti maledetti. Oppure aiutarmi a capire dove Odasaku tiene i suoi appunti segreti. Voglio sapere la trama del libro che sta scrivendo.”

“Non potresti consigliarmi qualcosa da comprare?” invece di coinvolgermi in qualche illecito.

“Dove starebbe il divertimento?”

Con le dita Ango si massaggiò gli occhi. Sprimacciò le palpebre con il bisogno di mitigare la stanchezza. Anche se il bagno caldo era rilassante, non riusciva a lasciarsi andare.

Quando tornò a fissare davanti a sé, trasalì. Dazai si era spostato - possibile che anche in mezzo all’acqua riuscisse a essere tanto silenzioso? O era lui a essere totalmente tra le nuvole? - e ora era ad appena qualche centimetro da lui.

Il detective non gli diede tempo di dire nulla che gli lasciò un bacio sulle labbra.

Ne seguì un altro. E un altro ancora e a ognuno Ango sentì un nodo venire meno.

L’acqua sciabordò contro i bordi, finendo anche fuori, quando si risistemarono l’uno contro l’altro. Anche immerso quasi del tutto nella vasca, Dazai riusciva ad apparire come un gatto, riempiendo uno spazio senza occuparlo davvero e dando l’idea di fare le fusa. Quando lasciò andare la bocca dell’agente del governo si leccò le labbra, con espressione soddisfatta.

“Meglio?”

Se qualcuno, più di quattro anni prima, avesse avvertito Ango che la sua vita sarebbe stata stravolta e rivoltata e che si sarebbe trovato in quella situazione intima con un ex Dirigente della Port Mafia ora detective, un Dirigente attuale e un ex mafioso tuttofare che ora si divideva tra fare il detective occasionale e aspirava invece a essere uno scrittore… faceva già ridere così. Ed era tutto capitato a lui - in senso buono…? - un’ex spia, probabilmente la categoria peggiore tra tutti e tre.

“Meglio” sospirò arreso all’emozione calda che Dazai gli aveva fatto scivolare dentro letteralmente a suon di baci.

“Allora… il pensiero di San Valentino ti pesa così tanto?”

Ango fissò Dazai come si guarda qualcosa in bilico e lo si prega con tutte le forze di non cadere, ma è inutile. Era la costante sensazione che aveva con l’ex Dirigente e, ancora una volta, non era stato smentito. Guardò altrove.

“… non è qualcosa da me.”

“Non ti senti all’altezza di mangiare cioccolatini a forma di cuore e bere uno o due bicchieri di qualsiasi alcool comprerà la Lumaca?”

Messa in quel modo sembrava molto semplice.

“Non ne ho mai festeggiato uno” e si sentì sciocco ad averlo detto nell’esatto momento in cui Dazai ridacchiò.

“Escluso Chuuya, che ha ricevuto dei cioccolatini da presunte ammiratrici segrete…” e il suo sguardo era troppo candido per essere innocente. “Nessuno di noi l’ha mai neanche preso in considerazione credo. Ce lo vedi Odasaku a festeggiare San Valentino?”

Ango ci pensò un attimo.

“In realtà… sì. Con te.”

Si scambiarono un’occhiata. Dazai sbatté un paio di volte le palpebre come se non avesse realmente recepito le parole dell’ex spia. Ango si strinse leggermente nelle spalle.

“Be’ pensavo che, insomma, all’epoca della Port Mafia… voi due aveste già passato almeno un paio di San Valentino insieme. Davate quell’idea di… intimità.

Dazai ridacchiò di nuovo e si risistemò contro il bordo della vasca, guardando al soffitto.

“Sarebbe stato interessante…” Scosse la testa, come a liberarsi dell’idea sciocca, anche se rimase chiaramente appesa al bordo dei suoi pensieri. “Chissà se mi avrebbe preparato dei cioccolatini.”

“Credo che li avrebbe comprati. Più per questione di tempo.”

Ango rispose prima di rendersene davvero conto, seguendo quel filo di pensieri insieme a un piccolo sorrisetto all’idea.

“Avrebbe di certo cercato la cioccolateria migliore” continuò, spostandosi qualche ciocca umida dalla fronte. “Quelle che fanno anche dei bei pacchetti.”

“Sarebbe venuto a chiedere a te, uomo dell’intelligence, non credi?”

L’ex spia ci rifletté un attimo prima di annuire, troppo preso per soffermarsi sulla battuta.

“Penso che avrei stilato una lista di possibilità e alla fine gli avrei proposto la migliore tra le meno care.”

Dazai espose il labbro inferiore.

“Sempre troppo razionale.”

“Be’, anche se era nella Port Mafia il suo stipendio-”

“E perché per Domenica non segui proprio questa idea invece di farti prendere dal panico?”

Oh. Ango si sentì di nuovo uno stupido. Non aveva realizzato come quel giro di ipotesi riguardasse il suo essere restio sulla faccenda e un modo per dargli un esempio da seguire.

“Ma spero che al governo paghino abbastanza perché tu possa comprarci i cioccolatini più costosi” concluse Dazai schizzandolo con l’acqua ed esibendo un ghignetto. “Non vorrai darla vinta alla Lumaca che si presenterà solo con cose ultra lussuose per ricordarci che siamo degli scappati di casa.”

Quell’auto ironia rasserenò internamente Ango.

La vita era davvero insensata e imprevedibile, ma cercò di non pensarci finché gli scaldava il petto.




Da qualche tempo Ango stava scoprendo lati di sé che la sua mente non aveva mai preso in considerazione. Ed erano tutti aspetti che, a farne una lista, sarebbero razionalmente rientrati in Cose da non fare mai, assolutamente, piuttosto la morte. Questo per una serie di motivi che spaziavano da quella vergogna che non ti fa più incrociare lo sguardo di qualcuno, al semplice quanto radicato imbarazzo di compiere certe cose in certi luoghi totalmente inappropriati.

Eppure, Ango non sentiva di avere la fermezza per dire stop a se stesso. Se si fosse visto da fuori, si sarebbe biasimato e accusato senza remore, ma vivendo il momento… la scusa più blanda era attribuire quel tipo di frenesia e irragionevolezza al quadro generale. La vita gli aveva già mostrato cosa significasse perdere tutto, per poi restituirglielo. Ma questo non implicava che, dall’oggi al domani, sarebbe potuta succedere una seconda Mimic.

Quindi, quando le mani di Odasaku lo trovarono infilandosi sotto la giacca, dopo quasi un’ora passata a girovagare per librerie alla ricerca di qualcosa per ricominciare a leggere e di un paio di regali, Ango interiormente si sciolse come se non avesse aspettato altro.

Non parlarono, non subito. Ango appoggiò il libro che aveva in mano sulla prima pila disordinata che gli capitò - era una libreria vecchia, labirintica, ordinata senza senso logico, piena solo di usato e di storie da raccontare o, nel suo caso, da vedere tramite Discorso sulla decadenza. Inclinò il collo per lasciare spazio all’ex tutto fare e ricevere i suoi baci, la barba sfatta e ispida a pizzicargli la pelle.

“Dazai mi ha detto che stai cercando qualcosa di nuovo da leggere.”

Ango sospirò, lasciando fluire un gemito altrimenti rumoroso. Le dita di Odasaku stavano conquistando parti di lui senza impegno, accendendo un desiderio inappropriato - ma la vocina si spense con un altro bacio dietro l’orecchio.

“Hai… qualcosa da consigliarmi?”

Ma la mente del quasi scrittore sembrava da tutt’altra parte e non giunse risposta, nonostante la conversazione l’avesse accennata lui. Voltò Ango e lo spinse, senza irruenza ma con decisione, contro la scaffalatura. Era inchiodata a terra e così stipata che neanche scricchiolò nel sostenere il loro peso. Le dita dell’ex spia, coperte dai guanti di pelle - una precauzione necessaria circondato com’era di ricordi impressi nei libri usati - si strinsero sulla camicia, mentre il resto di lui accoglieva quel fuori programma.

Sul serio, Ango si sarebbe auto denunciato se avesse dato retta alla ragione. Lasciò invece le redini all’istinto, alla voglia di sentire invece che di pensare. Avrebbero potuto essere beccati, ma in quel caso Odasaku lo avrebbe visto con cinque secondi di anticipo - sarebbe stata poi intenzione dell’ex tuttofare dare retta o meno a Flawless. Erano adulti da molto tempo - troppo tempo - ma in quel momento entrambi non davano l’idea di conoscere alcuna regola o pudore.

Abbandonarsi al piacere in una libreria doveva però essere uno di quei guilty pleasure che Ango non sapeva di avere. L’odore di Odasaku mischiato alla carta, all’idea della letteratura, dei manuali, della saggistica immobile lì ad accogliere i pochi e soffocati gemiti che si lasciavano sfuggire, era qualcosa che riempiva la parte di mente ancora cosciente dell’agente del governo.

Era come con Dazai, quelle rare volte che si incrociavano all’Agenzia di Detective e fatalmente l’infermeria era vuota, o come con Chuuya, quando irrompeva nel suo ufficio e la scrivania diventava l’unico sostegno a cui aggrapparsi. Luoghi e momenti del tutto inopportuni, sbagliati, scovenienti in una misura tale che, a posteriori, era meglio non pensarci o sarebbe stato addirittura peggio - emozioni che correvano libere, arrossando guance e generando un calore poco utile più in basso.

Ango aveva fatto a meno di tutto quello per la sua intera esistenza, eppure l’impressione era quella di un albero che aveva aspettato troppo per donare i propri frutti e ora ci fosse solo abbondanza, tanto, troppa. Era strano, era probabilmente un comportamento in cui ricercarne cause, eppure l’ex spia riusciva solo ad addentare quei doni insperati e lasciare che la polpa gli macchiasse anche i vestiti.

Perdere tutto ti cambia la vita.

Era banale quanto era una verità così semplice da non lasciare spazio a no, forse, ma.

Un tempo aveva vissuto quasi esclusivamente di bugie per far quadrare tutto. Era lavoro, era una missione. Il lato umano lo aveva colto alla sprovvista prima con una sequenza di graffi minimi, giustificabili, finché non era affondato un arpione. Lo squarcio era stato doloroso, netto ma dai bordi frastagliati. Aveva perso Odasaku, Dazai e Chuuya in una sequenza tanto veloce quanto ricca di errori, sbagli, di se mai realizzati.

Con quale razionalità poteva affrontare il ritorno, negli anni a seguire, di tutto quel bagaglio emotivo? Come una valigia persa in aeroporto e inaspettatamente riconsegnata dopo anni, senza neanche un bigliettino di preavviso.

Ango l’aveva accettata senza pensarci due volte. Ci sarebbe potuta essere dentro una bomba, non gli era importato. Andava bene così. Andava bene chiudere gli occhi al buio, vagare alla cieca e, semplicemente, fidarsi.

Quando Odasaku li portò entrambi al piacere, lì contro la libreria stipata di romanzi, fiabe e biografie, lasciarono entrambi un’altra storia impressa nel silenzio e nella memoria. Forse qualcosa da raccontare, un giorno, sperando di essere ancora insieme.

In quel momento, tornando in loro, si concessero soltanto una breve risata e un sospiro nel districarsi, risistemarsi e salvare le apparenze al meglio.

“Hai trovato qualcosa da leggere?” sospirò Odasaku, passandosi una mano tra i capelli e guardandosi intorno come se fosse appena entrato.

“Non ancora…”

L’ex tuttofare accennò un piccolissimo sorriso, che per chi lo conosceva voleva dire molto.

“Meglio così. Il mio regalo di San Valentino non sarà un di più.”

Ango a volte si chiedeva come meritasse tutto quello che aveva. 




Domenica - e quindi San Valentino - arrivò in un battito di ciglia.

Per Ango fu come rivivere il giorno di un esame. L’ansia di non essere all’altezza, di impappinarsi davanti al professore, ricevere un voto poco soddisfacente. Appena varcò la soglia della suite deluxe affittata per l’occasione, Chuuya pensò bene di fargli passare subito il pensiero mettendogli in mano un calice di vino.

“Bevi e cerca di rilassarti. Qui l’unico a cui può succedere qualcosa di brutto e inevitabile è lo Sgombro.”

“Sempre carino nei miei confronti” borbottò Dazai, arrivando alle spalle di Chuuya e lasciando scivolare le braccia intorno al suo collo. “A me non lo hai offerto il vino e sono qui da prima!”

“Fottiti.”

“Di già?” e il detective cercò di afferrare il suo bicchiere, ma il Dirigente si oppose in tutte le maniere, finendo col mettere su un teatrino dei loro. Ango ebbe così il tempo di appoggiare la busta con le scatole di cioccolatini sul piano della cucina e dare poi una chance al vino. Non si stupì di come scivolò sulle sue papille gustative inondandolo di un sapore inebriante e sciogliendo quei nervi annodati stretti.

“Il piano della Lumaca è farti ubriacare prima del dessert, io ci andrei piano” scherzò Dazai, arrivandogli vicino e scrutando la busta che si era portato dietro. Era trasparente ma elegante, con stampato il nome della cioccolateria in oro e dentro si potevano scorgere tre scatole incartate finemente. Le guardò con uno sguardo indecifrabile, con una storia negli occhi mai raccontata. “La consiglieresti a Odasaku la prossima volta?”

Ango ricordò la conversazione nella vasca e comprese quell’occhiata dal sapore malinconico.

“Se le vendite del suo primo libro andranno bene non avrà problemi a comprarle.”

Entrambi risero. Suonarono alla porta e Chuuya marciò verso l’uscio con un cipiglio contrito. Era Odasaku.

“Toglimi dalle scatole lo Sgombro o giuro che lo butto di sotto” minacciò il Dirigente come saluto. Nonostante questo, Odasaku si chinò a dargli un bacio mentre entrava e Chuuya sembrò calmarsi subito - e anche arrossire leggermente. 

La loro dinamica era probabilmente la più particolare, quella che lasciava sempre sia Ango sia Dazai incuriositi. Sembrava di vedere un domatore di tigri alle prese con un cucciolo particolarmente riottoso e messo all’angolo a soffiare. Ma, come tutti avevano sperimentato almeno una volta, la calma e le mani di Odasaku sapevano risolvere ogni situazione.

“Ho portato il dolce” disse quando si staccò, come se non fosse successo nulla, alzando una delle buste che aveva con sé. Ma quella che attirò di più l’attenzione fu la seconda, piena di pacchetti regalo. Fu Dazai il primo ad avvicinarsi, già ridacchiante.

“È San Valentino, non Natale.”

“Non riuscivo a decidermi.” L’ex tuttofare aggrottò la fronte, fissando lui stesso la busta. “È la prima volta che lo festeggio.”

In maniera forse sciocca, Ango si sentì meno sulle spine dopo quella confessione. Bevve il resto del vino e trovò lo spirito per avvicinarsi.

“Cosa prevede il programma? Scendiamo a cena al ristorante?”

Erano nell’hotel più lussuoso di Tokyo - era inutile soppesare l’idea che fosse la Port Mafia a pagare quella serata, visto che aveva organizzato tutto Chuuya - e sarebbe stato uno spreco non approfittare dello chef stellato per cui era ulteriormente famosa la struttura. Il vino doveva avergli messo un certo coraggio per farlo pensare così a ruota libera.

Chuuya stirò un sorrisetto molto vicino a essere un ghigno.

“Perché mescolarsi alla plebaglia quando possiamo avere il servizio in camera senza venire disturbati. Se dovessi per sbaglio ammazzare Dazai avrei pochi testimoni di cui occuparmi.”

“Odasaku, difendimi tu!” e il detective finse di svenire tra le braccia dello scrittore, che lo afferrò nonostante le mani ancora impegnate a tenere le buste.

Ango si concesse di stirare le labbra e lasciarsi trascinare dalla situazione allegra.

Era il suo primo San Valentino e ci era arrivato facendosi una serie di paranoie inutili perché sarebbe stata una serata come un’altra in compagnia delle persone su cui si reggeva il suo mondo. Cioccolatini, vino, regali, piani a parte, poteva solo rilassarsi e lasciarsi andare e godersela.


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COW-T 13, seconda settimana, M3

Prompt: 08. Due personaggi che si trovano ai lati opposti di un conflitto trovano un punto in comune.

Numero parole: 1221

Rating: SAFE

Note: 2 anni dopo la Dark Era, 2 anni prima del presente. 



Sai dove.

Ango lesse il sintetico messaggio in quella che, alle due e un quarto di mattina, sarebbe dovuta essere la sua pausa sonno in un turno alla Divisione che era iniziato due giorni prima.

Guardò l'orologio al polso e poi l'ultima scartoffia da firmare. 

Il trillo di un secondo messaggio gli levò ogni esitazione.

Ora.

Ango sospirò, alzandosi e recuperando la giacca. 



Yokohama era piena di magazzini abbandonati, di moli da ristrutturare e cantieri che promettevano da anni di concludere i lavori. La metà appartenevano alla Port Mafia - tramite società di facciata - mentre la metà dell'altra metà erano in subappalto ad alleati della Port Mafia. Riguardo i restanti, il municipio di Yokohama si impegnava a stanziare presto nuovi fondi - probabili futuri prestiti o gare che sarebbero finite in mano a società della Port Mafia. Non sembrava esserci scampo a quel girotondo.

Ad Ango era venuto lo sconforto la prima volta che aveva scoperto di quei giri, all'epoca del suo periodo come spia nell'organizzazione. Questo però gli aveva insegnato come muoversi in quei luoghi abbandonati, quali lo fossero realmente e quali nascondessero ulteriori segreti.

E dove lui e un certo Dirigente della Port Mafia avevano costruito una zona franca.

Perché chiamarla in altro modo sarebbe stato… imbarazzante.



Quando Ango sfilò dalla tasca la chiave rimase per qualche istante a sentirne il peso nel palmo. Era semplice, senza fronzoli e senza targhette attaccate. Se non si conosceva la porta in cui infilarla era inutile, se fosse stata lanciata in mezzo ad altre sarebbe stata impossibile da riconoscere. Era un segreto tanto quanto era una promessa.

La porta scattò docilmente. Per avere l’aspetto di un posto usurato dal tempo e dal passaggio umano, i cardini scivolarono senza nessun cigolio. L’aria fredda e odorosa di salsedine esterna si scontrò con un ambiente più mite, una luce calda e un sentore di casa. Richiuso l’uscio, ad Ango bastò un attimo per sentire gran parte della stanchezza crollargli addosso come una mensola montata male.

Non ci sarebbe stato bisogno di porre domande perché conosceva già le risposte. Anzi, la risposta.

La bottiglia vuota - e rotta - di Pétrus sul pavimento gliene diede la conferma.

«Tu lo sapevi.»

L’accusa. Un primo approccio prevedibile. 

Ango poggiò il sacchetto della spesa e la propria borsa su un tavolino di servizio. Si spinse gli occhiali sul naso in un gesto lento, per riordinare le idee. Non che ci fosse davvero molto da dire.

«Sapevi che… lo sapevo.»

Ridondante e stupido, ma uno, era la base di quella verità rampicante come edera velenosa, due, Chuuya era ubriaco. C’era una sfumatura rossastra ad avvolgerlo, un alone, quasi più il miasma della sua abilità. Un monito che non aveva bisogno di spiegazioni.

«Sapevi… che sarebbe successo oggi

«L’ho saputo ieri. Come lo ha saputo lui. I due anni sono scaduti-»

«Tre giorni fa» ringhiò il dirigente della Port Mafia.

Anche il bicchiere che aveva usato per bere andò in frantumi, accompagnato da un’imprecazione. Il silenzio che si lasciò dietro andò gonfiandosi fino a inglobare l’aria e renderla pesante.

«Vi detesto» esordì Chuuya più calmo, ma stringendo i pugni. «Voi e i vostri magheggi del cazzo. Tu e quello Sgombro del cazzo, amichetti nel continuare a fregare tutti. Un’Agenzia di Detective, eh? Che buffonata sarebbe!?»

Ango avrebbe voluto esprimere un sorrisetto, un po’ di compatimento, un po’ perché era concorde, molto perché era stanco. 

Un comune accordo tra lui e Chuuya era di lasciare fuori da quelle mura segrete qualsiasi impiccio implicasse le loro vite. Il che riduceva drasticamente gli argomenti di conversazione, ma era lo scopo di quel rifugio costruito in un antro abbandonato. Un luogo dove potevano essere loro, ma spogliati di ruoli e responsabilità.

Chuuya non era sempre stato d’accordo, ma aveva accettato quella bolla che permettesse ad Ango di respirare. Che permettesse a entrambi di… vedersi.

Rimanere scottati da qualcuno era un’esperienza che Ango avrebbe preferito evitare. L’aveva fatto quasi uccidere, gli aveva fatto male in modi che non aveva mai preso in considerazione e aveva riempito di insonnia le sue nottate.

Per fortuna o sfortuna, quella stessa scottatura si era impressa diametralmente uguale anche nella controparte.

Chuuya era andato a cercarlo dopo il caso della Mimic. Quando ogni inganno era stato svelato e la verità vagava nuda per Yokohama, il futuro Dirigente era ricorso a ogni metodo e informatore per stanarlo. Ango se lo era ritrovato davanti e non aveva tentato di reagire. Era a pezzi. Aveva ancora la morte di Odasaku fresca tra le mani e il pensiero di essere ammazzato dalla persona che amava non gli dava l’idea di un finale così tragico.

Le cose non erano andate in quel modo. Nulla sembrava più seguire i binari della logica. Sì, qualche urla, una piccola contusione e diversi lividi, ma niente era andato come chiunque avrebbe potuto prevedere. Come Ango aveva quasi auspicato e come Chuuya aveva minacciato.

Quello che ne era nato quella notte era un segreto e una promessa. Con poche parole, molti sguardi e troppe riserve. Eppure, erano ancora lì. Sotto gli occhi di tutti, ma con una chiave anonima ciascuno e un posto sicuro dove andare, quando le cose andavano storte. Quando avevano bisogno l’uno dell’altro.

«Lo hai già incontrato?»

Chuuya lo occhieggiò schifato, passandosi un palmo sulla guancia accalorata dall’alcool.

«Diavolo, no! E non intendo incrociarlo nemmeno per sbaglio finché non sarà lui a tornare in ginocchio! Ci ha traditi!»

Mi ha tradito, dicevano i cocci del Pétrus sul pavimento.

«Anche io l’ho fatto.»

L’istinto di conservazione di Ango adorava giocare partite a carte scoperte con masochismo, punzecchiando Chuuya e facendogli arricciare la labbra con un retrogusto di pentimento.

«Seh e dovresti solo baciare dove cammino per non averti spaccato la faccia.»

La spia del governo lasciò andare quel sorrisetto stanco trattenuto fino a quel momento. Era svuotato dal lavoro, dalla mancanza di sonno e dalla prospettiva di riavere Dazai Osamu a spasso sotto la luce del sole. Sarebbe successo presto qualcosa. Forse non subito subito, ma di lì a qualche mese sicuramente… qualcosa sarebbe andato storto.

La mancata discussione con Chuuya gli aveva fatto scendere di colpo tutta la tensione. Non che avesse preferito litigarci, ma si sentì una gelatina incapace di stare in piedi.

Il Dirigente dovette accorgersene dal passo che fece e da come barcollò, perché in un attimo gli andò incontro, sorreggendolo.

«Ohi. Da quant’è che non dormi?»

Da quant’è che non stacco la testa?, sarebbe stata la domanda appropriata.

«Ho portato degli onigiri» sviò l’altro, stringendosi il ponte del naso e strizzando gli occhi per una leggera fitta alla tempia. Era esausto, ma non vedeva Chuuya da troppo per cedere proprio in quel momento.

Lo sguardo del Dirigente fu colmo di scetticismo, con un barlume di comprensione solo sul finire.

«Spero almeno tu abbia preso quelli al salmone» borbottò, mentre si chinava leggermente. Con una presa sicura e agile, strappò un Ah! sorpreso all’ex spia e se lo caricò in braccio. «Prima voglio il dessert però. Ho troppa incazzatura da sfogare.»

«C-Chuuya io non credo di-»

«Dormirai come un angioletto morto dopo, promesso. O forse sverrai. Ma ti fidi, no?»

Ango non fu sicuro di quale parte di quella prospettiva dovesse rassicurarlo. 


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COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Oscurità
Numero parole: 1006
Rating: Verde
Warning: //
Note: cose indefinite 




Avevano stretto un patto, ma quella notte entrambi stavano giocando col fuoco.

Entrambi lo erano. Fiamme con tonalità diverse.

C’era un’ironia di fondo, marcia, che rideva nell’ombra - come se lui fosse ancora lì a farsi beffe di un mondo tenuto all’oscuro, che non aveva minimamente intuito che cosa avesse avuto intenzione di fare. O quando tutto fosse cominciato. O perché.



La prima volta che Chuuya aveva incontrato Oda Sakunosuke dopo l’accaduto gli erano state chiare diverse cose, nessuna davvero con un senso se non l’intuizione base che combaciassero anche senza avere bordi precisi, definiti da una spiegazione. Aveva imprecato, bestemmiato, aveva insultato quel rivale, quel Boss che non era più che un nome ormai. Dazai non esisteva più in una forma fisica per poter essere picchiato e per fargli passare la voglia di giocare con la vita della gente, anche - soprattutto - dopo il suo suicidio.

Era troppo tardi e Chuuya non si era accorto di nulla. Non aveva capito un cazzo.

La verità era arrivata dopo.

Per bocca del White Reaper, così traumatizzato che riuscire a cavargli di bocca qualcosa senza ucciderlo era stata un’impresa.

Dal racconto di quel pulcino nero letale dell’Agenzia, incapace anche lui di scendere nei dettagli. Dettagli che, alla fine, si nascondevano nelle pieghe di tutto ciò che era rimasto taciuto.

Chuuya aveva dovuto indagare per conto proprio per formulare un’ipotesi quanto più vicina a dargli pace.

Aveva frugato in note confuse, appunti a margine di documenti che parlavano di altre vite, di altri mondi, di altri sé.

E poi quel nome, ripetuto in solitaria, scritto dove nessuno lo avrebbe cercato, ma ovunque per essere trovato.

Odasaku.

Odasaku.

Odasaku. Odasaku. Odasaku.

Un’ossessione.

Un quadro rubato. La morte di Mori. Il ragazzo tigre.

A Chuuya era venuto il vomito a comprendere quanto in profondità le radici di quella follia affondassero. Come Dazai avesse non previsto, ma orchestrato ogni singolo giorno delle loro vite da anni, anni, anni. Erano stati pedine su una scacchiera costantemente tirata a lucido, eppure immersa nell’oscurità. Ogni mossa, ogni pedone mangiato, ogni pezzo conquistato non era stato un caso.

E la cosa più terrificante era che Dazai aveva avuto come avversario solo se stesso.

Non c’erano altri antagonisti in quella storia. Più scavava, più Chuuya comprendeva di avere avuto al fianco, per sette anni, una persona che non conosceva davvero.

Per questo aveva cercato il Re per cui tutte quelle mosse erano state realizzate.

L’unico pezzo bianco sulla scacchiera.

Il solo che avesse avuto reale valore agli occhi di Dazai.

La persona per cui si era lasciato cadere nel vuoto dal palazzo più alto della Port Mafia.

Odasaku.



Anche Odasaku lo aveva cercato.

O meglio, aveva cercato delle risposte a quel miasma oscuro che era seguito al singolo incontro avuto con Dazai Osamu al Bar Lupin.

Qualcosa si era incrinato, ma non se ne era accorto.

Aveva sentito dell’odio per quel Boss che si era seduto di fianco a lui chiamandolo con una familiarità fuori luogo - con una disperazione e una felicità miscelate in uno sguardo tremante.

Qualche ora dopo era morto. Aveva terminato la propria esistenza. 

Dopo aver voluto bere un’ultima volta con lui, uno sconosciuto.

Ma più Odasaku riguardava quel coccio di ricordo recente, più aveva la sensazione che da qualche parte ci fosse un vaso rotto, e che la colpa fosse anche sua, ma non aveva idea di dove cercare gli altri pezzi per rimetterlo insieme e capire.

Essere un detective nell’Agenzia di punta della città aveva i suoi vantaggi, soprattutto quando si aveva bisogno di affondare le mani nella melma dei bassifondi.

Quello che non si era aspettato di incontrare erano due occhi come i suoi, un po’ più chiari, in caccia di verità come lui.

Nakahara Chuuya, il braccio destro del Boss suicida.

Con tante domande quante le sue.

Con delle risposte macchiate da anni di sangue e ombre.

Ciò che entrambi non avevano calcolato era come l’uno stesse cercando nell’altro lo stesso fantasma.

Che Dazai avesse previsto o meno l’incontro di quelle fiamme, l’incendio divampò senza che se ne rendessero conto.



Chuuya aveva posto poche condizioni e Odasaku le aveva accettate.

Non avrebbero parlato.

Non avrebbero mai detto, per nessuna ragione, il suo nome.

Tutto sarebbe nato e morto nell’oscurità di una stanza.

Sarebbe bastato un messaggio, un luogo, sempre diverso, e prima dell’alba ognuno sarebbe tornato alla sua vita.

Il tutto mentre quella forma inconsistente, eppure permanente, che aveva assunto Dazai sarebbe rimasta a fissarli - dal fondo delle loro anime, dagli angoli negli specchi dove non guardavano, nei respiri che si toglievano a vicenda.

Chuuya aveva imparato a riconoscere gli spigoli del viso e del corpo di Odasaku e Odasaku aveva compreso presto quanto Chuuya potesse essere possessivo anche solo per una notte.

Non c’erano ruoli, non c’era clemenza e non c’era decenza. Quello che volevano se lo prendevano l’uno dall’altro.

Dazai avrebbe voluto lasciare una parte di sé sulle labbra di Odasaku e Chuuya le torturava di morsi ringhiando a quello stronzo morto che gli stava bene non averle. Odasaku subiva, per poi prendersi tutto ciò che il corpo di Chuuya poteva offrirgli, nel tentativo di arrivare più vicino a quello sconosciuto che aveva pronunciato il suo nome rendendolo una maledizione echeggiante.

Erano diventate due bestie assetate di rimpianti che non sarebbero mai state capaci di dissetarsi, non finché avessero continuato a ringhiarsi nel buio, come due randagi che si litigavano un osso. 

Dazai si era tolto dall’equazione, eppure ogni sospiro, ogni tocco, ogni morso, ogni urlo invocavano la sua presenza. 

Troppo tardi

Troppo tardi. 

Troppo tardi. 

Era l’unica cosa che rimbombava in quelle stanze sempre diverse. 

Insieme ai se, rintocchi così nitidi da ferire le orecchie. 

Era soltanto una storia con un fine scritto in calce, ma nessuno dei personaggi se ne era accorto. 

E continuavano a brancolare nelle profondità della notte, senza neanche più chiedersi che forma avesse la luce. 


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COW-T 12, sesta settimana, M3
Prompt: Road trip
Numero parole: 3204
Rating: Verde
Warning: Spoiler su Strombringer!!!
Note: oh, un’altra Ango/Chuuya! 

 

I think he did it but I just can't prove it
I think he did it but I just can't prove it
I think he did it but I just can't prove it
No, no body, no crime
But I ain't letting up until the day I die

[no body, no crime - Taylor Swift]


Non era propriamente il tipo di canzone che Ango avrebbe associato a Chuuya, ma tradusse le parole e deglutì il vuoto, guardando la radio della macchina, ma con la coda dell’occhio continuando a fissare il rosso alla guida. 

“C’è qualcosa che devi… comunicarmi?” 

Optò per una parola più formale del semplice dirmi, cercando, in maniera vana, di rallentare qualsiasi presagio di sventura fosse lì in macchina con loro.

Il giovane mafioso sbadigliò emettendo un verso seccato di gola e non rispose.

Alzò invece il volume e continuò a guidare senza dargli retta.

Il ritornello della canzone - No, no body, no crime - tornò a rimbombare nell’abitacolo.



Ango era stato buttato giù dal letto da una telefonata alle sei scarse del mattino.

Quattrocchi” aveva esordito la voce dall’altra parte, senza dare adito a dubbi a chi appartenesse, anche con la persistente patina di sonno e stanchezza che annebbiavano i sensi della spia. “Sarò sotto il tuo hotel tra mezz’ora. Fatti trovare pronto. Andiamo nel Kansai. Non perdere tempo a preparare la valigia.

Non era niente di inusuale, Ango lo aveva capito dopo qualche settimana da infiltrato. Nella Port Mafia esistevano agende da rispettare, e anche se lui era stato inserito in quel sistema dell’intelligence per cui una rigida schedule era sempre prevista, i fuori programma erano all’ordine del giorno come tutto il resto.

Come volevasi dimostrare, mentre era in bagno a ricordarsi come si chiamava fissando pateticamente il proprio doppio nello specchio, il suo cellulare ricevette più di un messaggio da alcuni colleghi e notifiche di aggiornamento ai loro calendari. Nel giro di dieci minuti, i suoi compiti di quel giorno erano stati presi in carico da altri, ma un dettaglio gli fece aggrottare la fronte. Anche gli impegni dei due giorni a seguire erano stati rischedulati.

Questo fu il primo campanello d’allarme per Ango.

Non perdere tempo a preparare la valigia.

Così aveva detto Chuuya e questo, solitamente, equivaleva a una missione di massimo ventiquattro ore. Tuttavia, il fatto che per tre giorni gli fossero stati spostati tutti gli impegni non era un buon segno. Ci perse sopra quasi cinque minuti buoni, indeciso se notificare all’istante alla Divisione quel cambio di programma e metterli in allerta.

L’arrivo di un nuovo messaggio lo distrasse.

Era di nuovo Chuuya.

Fatti preparare un caffè a portar via.

Ango sospirò, non sapendo se interpretare positivamente la nuova richiesta del rosso, ma fu distratto da un altro breve trillo.

Era Dazai.

Yo, sono appena stato informato. Non me lo aspettavo, Ango, ma quando Chuuya scopre queste cose non lo ferma nessuno… Non disturbarti a dirlo a Odasaku, ci penserò io. Brinderemo a te stasera. Peccato che non ci sarai. Buon viaggio.

Tra la mancanza di sonno e una naturale inclinazione a vedere nera ogni situazione, Ango avvertì uno sgradevolissimo vuoto nello stomaco.

Era stato scoperto?

Il pensiero gli rimbalzò dentro come la pallina impazzita di un flipper, rimescolandogli le viscere. Sentì il bisogno di sedersi, mentre ogni ricordo recente gli passava davanti agli occhi, in una sequenza in cui la sua mente cercava di pesare ogni gesto o azione compiuta, ogni parola detta, tentando di capire cosa avesse potuto tradirlo.

Era stato a colloquio con il Boss della Port Mafia più di una volta nelle ultime settimane, ma non trovò nulla fuori dal normale. Aveva visto poco Dazai e non si erano neanche ubriacati, col rischio di farsi scivolare di bocca qualcosa di inopportuno. Per la maggior parte del tempo erano stati solo lui e i chili di scartoffie che smaltiva ogni giorno. Non si era neanche incontrato con nessun agente della Divisione per aggiornamenti.

Fissò il cellulare, iniziando seriamente a panicare e chiedendosi se fosse il caso di uscire dal retro dell’albergo e correre fino al primo checkpoint della Divisione, mandando a monte tutta l’operazione sotto copertura.

Chuuya lo chiamò in quel momento.

“P-Pronto?”

Lascia perdere il caffè, l’ho recuperato lungo la strada. Ti ho preso un macchiato, ma se vuoi lo zucchero devi fartelo dare prima di uscire. Aspettami nel parcheggio.

“Certo…”

Ango si alzò come un automa, tentando di ricomporsi. Non poteva permettersi scelte azzardate basate solo su - davvero pessimi - presentimenti o quel lavoro lo avrebbe mandato all’aria molto tempo prima.

Recuperò la giacca, infilò la pistola principale nella fondina e quella piccola di scorta nella cavigliera, per quanto inutili contro un utilizzatore del calibro del rosso. Digitò per scaramanzia la frase concordata per richiedere un’estrazione immediata e lasciò la bozza nelle email, preparandosi ad affrontare quel viaggio che, dalle premesse, era senza ritorno.



See the dogs come running
Smelling blood now
To an open sore
On the parasite
Countless hunts have fallen
Hard to number
Damnation's whore
Is looking for a victim tonight

[Serpentine - Disturbed]


Se avesse dovuto misurare la situazione in base alle canzoni che la playlist di Chuuya stava riproducendo, Ango si sentiva spacciato.

Erano in viaggio da appena quaranta minuti - il suo macchiato, per quanto buono, era rimasto abbandonato dopo due sorsi di circostanza - e Chuuya non aveva ancora spiccicato parola su niente.

Non gli aveva consegnato alcun incartamento che spiegasse cosa stessero andando a fare, e il fatto che fossero solo loro due non lasciava molto spazio a fantasie rosee.

La Port Mafia aveva parecchi affari nell’area del Kansai, sebbene subordinati a diverse organizzazioni del luogo in un mutuo scambio dove nessuno pestava i piedi a nessuno. Non era raro che gente del loro rango - Chuuya non era ancora Dirigente ma la promozione era dietro l’angolo, e Ango era tenuto molto in conto - vi andasse in visita, ma solitamente erano incontri pre organizzati da tempo, calcolati con dovizia per non permettere spiacevoli incidenti diplomatici. Se c’era qualche faccenda sporca da sistemare sarebbe stata inviata una squadra di assassini o qualche tuttofare sacrificabile. 

Non che viaggi improvvisi non fossero previsti. La spia del governo aveva sentito da Dazai alcune storie su come i bordelli di Osaka e Kyoto fossero un rifugio allettante per svignarsela dal caos di Yokohama e Tokyo, ma dubitava che Chuuya lo stesse portando in qualche quartiere di piacere tradizionale.

“Avrei bisogno di sapere cosa stiamo andando a fare.”

Dopo tanti tentennamenti, Ango si decise a dare voce, in maniera più vivida, a quello che alla fine era un suo diritto sapere. Aveva cercato, casualmente, di toccare qualche oggetto per vedere attraverso la propria abilità - Discorso sulla decadenza - uno spiraglio di motivo legato a quella storia. I risultati, ovviamente, a parte avere una visione di Chuuya scazzato per qualcosa in piena notte, dandogli a intendere che non fosse neanche andato a dormire, non erano stati incoraggianti.

“Se mi riguarda direttamente, mi servirebbero dett-”

“Non ti riguarda.”

Ango sobbalzò come se qualcuno avesse appena punto e fatto scoppiare un palloncino con uno spillo. Il caffè che ancora stringeva sobbalzò con lui all’interno del bicchiere usa e getta, ma il coperchio impedì che facesse un disastro sui suoi pantaloni.

Nel giro di pochi secondi, i timori della spia persero il volume assordante avuto fino a quel momento nella sua testa, permettendogli di tornare a pensare in maniera più analitica - per quanto le poche ore di sonno glielo concedessero.

Tuttavia, un “Oh” fu la cosa più intelligente che rispose a quella prima dichiarazione.

“Credevo-” si schiarì la voce. Doveva essere professionale. “Perché serve che venga io?”

Chuuya prese a tamburellare con un dito sul volante, crucciando l’espressione come un ragazzino restio a vuotare il sacco. Anche se Ango si era dovuto abituare all’idea che il rosso fosse a tutti gli effetti un adolescente di diciassette anni - con dei documenti che gliene segnavano venti, permettendogli di guidare anzitempo - non riusciva a fare invece i conti con la sensazione che, tirate in ballo certe faccende, fosse decisamente più adulto di lui.

“Saprai cos’è successo l’anno scorso” esordì il giovane mafioso, lanciandogli un’occhiata significativa.

Per quanti eventi fossero capitati, Ango non aveva dubbi a cosa si stesse riferendo. L’incidente con Verlaine e la Guivre e, prima ancora, con Rimbaud e la storia dell’Arahabaki erano due fascicoli che aveva redatto personalmente per la Divisione.

“Conosco i fatti e qualche dettaglio” replicò, sentendosi improvvisamente a proprio agio nel maneggiare una materia a lui più vicina.

Chuuya sbuffò sarcastico.

“Non è per te” precisò, mentre con la mano che non aveva sul volante si frugava in tasca. Recuperò un pacchetto di sigarette e, in pochi gesti abituati, ne estrasse una con le labbra. Dalla stessa tasca recuperò anche un accendino. L’odore del fumo aiutò Ango a rilassarsi.

“Non so quanto ne sai di questa storia, ma Mori-san mi ha detto che sei solito trattare le vittime con riguardo. Non ti limiti a segnare i nomi e i loro ruoli. Pure lo Sgombro dice che ci tieni a non farli sembrare soltanto dei numeri.”

Era l’ultima cosa che Ango si sarebbe mai aspettato di sentire. Annuì, come se quella fosse stata una domanda, salvo rendersi conto che gli occhi di Chuuya erano fissi solo sulla strada e non lo stesse guardando.

Anche se l’atmosfera si era distesa e non temeva più di finire in un sacco seppellito in una buca anonima su qualche collina del Kansai, le nuove informazioni non gli stavano fornendo alcun quadro specifico. Non aveva sentito di massacri recenti e vittime tra le file della Port Mafia, men che meno nel Kansai. E cosa questo potesse avere a che fare con quanto avvenuto un anno prima con la Guivre.

“Non fare come lo Sgombro, Quattrocchi” lo riprese Chuuya, ciccando nel posacenere della macchina. “Non tirare conclusioni senza ascoltare. Sei più…” aggrottò la fronte, lanciandogli un’occhiata da capo a piedi, valutando cosa dire. “Decente, se paragonato a quello stronzo.”

“Grazie?” replicò Ango, senza capire se fosse realmente un complimento o solo un paragone triste. Evitò di soffermarcisi e restò in attesa della spiegazione - con una terribile voglia di accendersi una cicca a propria volta.

“Tra le vittime di Verlaine dell’anno scorso c’erano cinque miei amici” raccontò Chuuya senza mai scostare lo sguardo dalla strada. Dava l’idea di essere profondamente concentrato, ma ad Ango diede invece l’impressione di vedere altro. Si era accorto della rigidezza della sua postura e di come avesse smesso di fumare la sigaretta, lasciandola a consumarsi da sola.

“Erano agenti tra i più forti. Erano già un'élite e avrebbero potuto diventare Dirigenti con qualche anno in più. Verlaine li ha spazzati via come foglie” continuò, il tono piano di chi stava leggendo un articolo di giornale, eppure Ango avvertì l’ondata di rabbia, di impotenza, che irradiava di fondo, nonostante il tempo passato. Non si era mai definito una persona empatica, ma neanche stupida.

Sapeva di dover avere una faccia da Mi dispiace ma lo tenne per sé.

“Pianoman. Lippmann. Doc. Iceman. Albatross” su quell’ultimo, la spia avvertì una nota particolarmente amara. “Ti dicono niente, Quattrocchi?”

“Sì, ricordo i loro nomi” assentì Ango, fissando anche lui il paesaggio come modo per proiettarci la propria memoria. Dimenticarsi di qualcuno, anche se non l’aveva mai conosciuto, era qualcosa che la sua mente non era in grado di fare. Una volta toccato un oggetto per ripercorrerne i ricordi, quelli finivano per diventare parte di un archivio personale nella sua mente. Probabilmente era un effetto collaterale della sua abilità, non aveva mai indagato.

“Sono loro il motivo per cui stiamo andando nel Kansai?” ragionò più quieto, senza più alcuna ansia. A ripensare a cosa lo avesse agitato tanto un’ora prima si sentì quasi uno stupido.

“Per Albatross” specificò Chuuya, cambiando marcia per superare un camion. “Si occupava dei mezzi della Port Mafia, di qualsiasi tipo, fossero di strada, cielo o d’acqua.”

Ango annuì, ricordando i propri appunti in merito.

Sul viso del rosso si aprì una smorfia simile a un ghigno.

“Albatross era un casinista della peggior specie” ridacchiò, per quanto la spia sentì un’amarezza senza fondo. “Prima abitavo nell’appartamento sotto al suo. Alle tre di notte si metteva a pestare i piedi di proposito finché non salivo a urlargli di smetterla. Aveva la faccia tosta di chiedermi di giocare ai videogames insieme fino all’alba o di uscire a farci un giro in moto. Era iperattivo e la notte faceva fatica ad addormentarsi. Poi magari si faceva venire un colpo di sonno alla guida. Siamo finiti in un fosso una volta, non sono stato abbastanza attento da evitarlo. Abbiamo fatto l’autostop per tornare a Yokohama.”

Non capì quando la metamorfosi fosse avvenuta, ma Ango avvertì l’atmosfera completamente diversa da quando erano partiti. E conobbe un lato del Dio della Distruzione che non aveva mai visto.

Chuuya si riportò la sigaretta alle labbra e ne tirò un’ultima boccata, prima di spegnerla nel posacenere. Tornò serio, quasi incazzato.

“Non hanno ancora trovato qualcuno alla sua altezza capace di rimpiazzarlo e hanno continuato ad arrabattarsi. Questo però ha finito col ritardare e bloccare alcune transazioni del Settore 4. La settimana scorsa ho ritrovato dei suoi vecchi appunti… un macello, era un disastro anche a tenere in ordine i conti e i clienti, non so come facesse a fare tutto” nel dirlo, pigiò ulteriormente sull’acceleratore, svicolando tra un paio di macchine. “Ho ricavato però delle info che mi hanno portato ad alcuni container stoccati che Albatross aveva preparato per delle vendite di cui… be’, si sarebbe dovuto occupare la settimana dopo la sua morte.”

La bocca di Ango era una o perfetta di stupore, mentre la sua mente ricollegava i pezzi.

“Mi era arrivata una richiesta per la rendicontazione del Settore 4, quindi era da parte tua?”

“Già” Chuuya si accese un’altra sigaretta e la spia ebbe l’impulso di chiedergliene una. Si fermò con le sillabe in gola, avendo la sensazione di invadere un territorio troppo nuovo di confidenza. “Avevo il presentimento che qualcosa non tornasse” proseguì il rosso, sfregandosi il dorso della mano occupata dalla cicca contro uno zigomo, senza perdere un secondo l’andamento dell’auto. “E infatti ho trovato una ventina di container svuotati.”

Ango fu scosso da un brivido poco felice. Non erano molte le opzioni da associare a quella mancanza e per nessuna ci sarebbe stata clemenza.

“Qualcuno ha rubato alla Port Mafia?”

Anche solo supporlo metteva i brividi. La spia del governo non aveva ancora idea di quale fosse la loro destinazione ultima, ma ora sapeva che almeno un morto li stava aspettando. Le persone graziate dopo aver sottratto qualcosa all’organizzazione mafiosa si contavano su una mano - e quella dopo sarebbe stata tagliata loro comunque. Deglutì.

“Secondo le annotazioni di Albatross c’erano delle Ferrari, delle Lamborghini e delle Maserati, più una dozzina di moto da corsa. Qualcuno ha ben pensato di approfittare del casino in cui versavamo dopo la carneficina di Verlaine e fare il colpo grosso… e idioti noi ce ne siamo accorti quasi un anno dopo.”

Ad Ango ora era anche chiaro cosa avesse visto nei ricordi di Chuuya attraverso Discorso sulla decadenza. Doveva aver ricevuto conferma dei suoi sospetti quella notte stessa.

“Sai chi è stato?”

Il motore della macchina andò su di giri mentre il giovane mafioso stringeva il volante della macchina con una presa che in un altro contesto avrebbe spezzato il collo a qualcuno, come sembrava essere sua intenzione fare una volta giunti a destinazione.

“Ho dei sospetti. Mori-san mi ha dato carta bianca per indagare e per usare le risorse che preferivo” e nel dirlo, gli scoccò un’occhiata eloquente.

“Farò quello che posso…” replicò Ango, sinceramente stupito di rientrare nella lista delle persone utili a uno dei due prodigi della Port Mafia. Questo gli fece salire però un dubbio lecito. “So che tu e Dazai non andate propriamente d’accordo, ma lui probabilmente sarebbe stata la persona più indicata a cui rivolgersi, no… ?”

Chuuya ringhiò mostrando i denti e la spia se ne pentì, aderendo di più contro il sedile come se avesse potuto sparirci.

“È una questione in cui non voglio che quello Sgombro del cazzo ficchi il naso, soprattutto ora che gongola per essere diventato Dirigente.”

Si sfogò mandando l’auto quasi al massimo e Ango ebbe solo la percezione delle macchine che superavano come macchie di colore. Non era per niente tipo da alta velocità, ma la certezza che, in caso di incidente, Chuuya avrebbe potuto manipolare la gravità per evitare che si ammazzassero non lo portò a pigolare di rallentare.

“Dazai non ha rispetto per i morti e questa cosa mi fa incazzare. Le Bandiere erano miei amici. Sono morti per colpa mia. Qualsiasi cosa li riguardi non la metterò in mano a quel bastardo perché giochi a fare il detective propinandomi indovinelli invece di soluzioni.”

Esclusi gli epiteti e gli insulti, Ango convenne che fosse un descrizione in buona sostanza accurata di ciò che sarebbe successo se il più giovane Dirigente della Port Mafia avesse preso in carico quel mistero.

“E io come posso aiutarti?” era l’ultimo dubbio che doveva togliersi e che, ricevendo risposta, avrebbe fatto collimare i perché di quel viaggio fuori programma.

“Mi serve la tua abilità.”

Chuuya andò dritto al punto senza girarci intorno, ma questo non tolse il pallino ad Ango di volere più chiarezza.

“Mori-san - e pure quell’idiota di Dazai - mi hanno spiegato che puoi vedere i ricordi degli oggetti. Scavare a fondo se necessario.”

“Sì…” assentì Ango.

“Il Boss mi ha chiesto di non fare casino” sbuffò Chuuya, mettendo la freccia per svoltare a un bivio e riprendere a incalzare sul pedale dell’acceleratore. Finì di fumarsi anche la seconda sigaretta e riportò entrambe le mani sul volante, visibilmente più rilassato, quasi scocciato. “I miei uomini hanno trovato traccia di alcune delle auto dalle parti di Osaka e Kyoto. Sembra sia in corso una sorta di showroom della malavita e noi siamo diretti lì. Non stiamo andando in veste di rappresentanti della Port Mafia per non alzare polveroni inutili e pestare i piedi ai nostri alleati. Non so ancora se sono coinvolti. Tu dovrai limitarti a toccare quelle macchine e cercare tracce di Albatross, tutto qua.”

Ango prese un respiro molto profondo, elaborando le implicazioni insite in quel riassunto striminzito di piano che annunciava più catastrofi che una riuscita indenne. Il passo per scatenare una guerra tra organizzazioni malavitose di regioni diverse era davvero molto, troppo breve. E Chuuya, decisamente, era l’ultima persona al mondo in grado di trattenersi e saper ricorrere alla diplomazia per risolvere una qualsiasi questione. Una tanto personale meno che mai.

“Non mi hai fatto portare dei cambi perché presumo dovremo interpretare degli alias?”

Chuuya gli diede una pacca sulla coscia con un ghigno. Un gesto goliardico che fece sussultare però la spia. Ebbe la sensazione che la zona dove era stato toccato scottasse, nonostante non gli avesse fatto male. 

“Vedi? Sei decisamente più decente di Dazai! Capisci al volo, ma senza fare il saccente.”

“In realtà” puntualizzò Ango, sentendo infine tornare la stanchezza per il sonno interrotto. “Ci sono diversi punti lacunosi che dovremmo colmare prima di intraprendere qualsiasi farsa…”

Il rosso cambiò varie canzoni della playlist, senza lasciarne davvero nessuna per più di cinque secondi.

“Vedila così Quattrocchi, abbiamo tutto il viaggio per definire i dettagli che non ti tornano. Appena arriviamo passiamo a comprare qualcosa che non ti faccia sembrare un contabile e nel pomeriggio si va in scena. Cosa può andare storto?”

Tipo tutto era ciò che Ango avrebbe voluto rispondere di cuore.


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COW-T 12, terza settimana, M4
Prompt: Beautiful Dreamer
Numero parole: 500
Rating: Verde
Warning: ot3


«Ohi, Sgom-mmpfhh»

Chuuya alzò gli occhi crucciati sul viso di Odasaku, domandandogli solo con questi un Che diavolo fai!?

Con la mano non impegnata a tappare la bocca a Chuuya, Odasaku si portò un dito alle labbra per ribadire il concetto di fare silenzio. Il più giovane non fu d’accordo, non subito, e si agitò un poco - avrebbe potuto liberarsi facendo più pressione, ma si limitò a scuotere la testa.

Odasaku lo lasciò andare quando fu certo che non ci sarebbero state ulteriori rimostranze.

«Non svegliamolo» si limitò ad aggiungere, accennando a Dazai addormentato sul divano del salotto del loro appartamento.

Perché!?

Fu ciò che lo sguardo di Chuuya chiese con insistenza.

«Abbiamo una prenotazione per la cena» ribadì a parole, sottovoce, più simile a un sibilo, ma buttando un occhio che Dazai non si muovesse. Sapeva di avere problemi a regolare i toni di voce, però in quella situazione gli sembrava ridicolo.

Odasaku si strinse nelle spalle, posando a propria volta lo sguardo sul bell’addormentato.

«È stata una giornata lunga in Agenzia.»

Chuuya sbuffò, sempre contenendosi, e incrociando le braccia.

«Devo credere che abbia lavorato sul serio tutto il giorno?» ribatté scettico, continuando a guardare il partner, senza riuscire a staccargli davvero gli occhi di dosso.

Odasaku si sedette sulla poltrona davanti al divano, massaggiandosi un po’ il collo, ma anche lui incapace di discostare lo sguardo dall’ex Dirigente della Port Mafia.

«Abbiamo inseguito un ladro con abilità, individuato una bomba in un ufficio e cercato un bambino in grado di trasformarsi a piacere in qualsiasi tipo di rapace, ma senza controllo. La madre era disperata.»

Chuuya lo fissò sbattendo le palpebre.

«Ed è successo tutto oggi!?» si lasciò scappare, in un tono normale che provocò una reazione in Dazai, che arricciò il naso e sbuffò appena. Gli altri due si irrigidirono, ma dopo qualche secondo constatarono fosse ancora nel mondo dei sogni.

«… ok, possiamo andare più tardi, o farci portare la cena a casa» sospirò il rosso, sedendosi a propria volta. Non prese il cellulare subito per avvertire, rimase invece a fissare il viso placido dello Sgombro, in silenzio, insieme a Odasaku.

Non era più così raro vedere Dazai dormire - non da quando condividevano quell’appartamento e passavano la maggior parte delle nottate insieme - ma doveva ammettere che quel sonno così abbandonato e totale non lo vedeva tanto spesso. Di solito sarebbe bastato un piccolo rumore, una parola, un colpetto accidentale per destarlo. Dazai viveva di sonni leggeri - a meno che non fosse dopo una nottata di sesso e allora lì era più comprensibile - e sempre con la guardia alta.

In quel momento, invece, dava l’idea di essere completamente in pace. Stanco da una giornata impegnativa, comodo in una casa dove stava coltivando delle nuove radici, vegliato dalle persone che si erano fatte carico di quel vuoto che si portava dentro.

Chuuya capì perché Odasaku non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era certamente lo stesso motivo per cui non ci riusciva neanche lui.


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COW-T 12, seconda settimana, M1
Prompt: Punto di non ritorno
Numero parole: 3440
Rating: Verde
Warning: non fatelo a casa?



Chuuya era nervoso e questo si rifletté sul dito che continuava a tamburellare sul display del cellulare, cambiando canzone su spotify in continuazione. Anche se aveva le cuffiette wireless premute nelle orecchie e un volume indecente - tanto da meritarsi un’occhiataccia dalla signora di fianco per gli scorci di metal che le stava facendo ascoltare - Chuuya riusciva perfettamente ad ascoltare i propri pensieri. E c’erano campanelli d’allarme ovunque.

La metropolitana si fermò, le porte si aprirono e per un attimo il corpo di Chuuya fu sul punto di prendere il comando e la decisione che lui non sembrava in grado di intraprendere: tirarsi indietro. Gli sarebbe bastato varcare quella soglia e non arrivare a destinazione. Una sorta di sliding doors ma volontario. Come salvare il proprio (non ancora ufficiale) lavoro. Un terapista di coppia che si lasciava coinvolgere sentimentalmente dalla coppia in analisi, davvero un’ottima presentazione.

Si passò una mano sulla faccia mentre le porte della metro si chiudevano, la corsa ripartiva e lui ricominciava il conto alla rovescia delle possibilità che ancora gli restavano.

Avrebbe potuto ripetere quel teatrino mentale per ancora sette stazioni. Era come avere tra le mani una margherita e giocare con i suoi petali, salvo che lì si trattava di prendere una decisione che avrebbe finito col cambiargli la vita. O forse stava solo tirando fuori una tragedia esagerata.

Cambiò di nuovo canzone col bisogno di sentire qualcosa raschiargli le orecchie e magari dargli una svegliata. Si stava comportando come se fino a quel momento non avesse scelto lui stesso di ficcarsi in quella situazione e rimanerci incastrato.

Avrebbe dovuto capirlo dal primo momento: accettare un lavoro da Dazai Osamu era di sicuro una trappola. Con lui non esistevano mezze misure, non esistevano cose che accadevano per caso. Aveva avuto la riprova che lo Sgombro lo avesse contattato solo dopo aver architettato tutto da tempo, con il finale di quella storia già in mente. A meno che non stesse puntando a rovinargli una carriera non era ancora a tutti gli effetti iniziata, il che era un’altra possibilità da non scartare.

Sospirò così forte che sembrò un’imprecazione e la signora di fianco a lui decise di alzarsi e cambiare posto. Chuuya neanche si accorse di come il suo dramma solitario stesse attirando più di uno sguardo. Era troppo occupato a ricollegare insieme per l’ennesima volta i pezzi.

Tutto era iniziato qualche tempo prima tramite il suo instagram. Era poco più di due anni che portava avanti quell’esperimento per pagarsi gli studi e anche fare ricerche per la tesi di laurea, e fino a prima di ricevere la telefonata di Dazai era filato tutto anche troppo bene.

Chuuya aveva scelto di fare il terapista di coppia alternativo. Era nella sua natura un approccio diretto e, già dalla prima seduta, aveva capito che non sarebbe riuscito a restare con le mani in mano semplicemente ascoltando la coppia. Così si era creato un profilo fittizio su instagram e aveva iniziato a riempire le didascalie delle fotografie e le stories più disparate con le proprie frustrazioni lavorative sul voler cambiare metodo di approccio, anche se questo minava molti fondamenti dell’etica e della distanza coi pazienti. Tuttavia, aveva sorprendentemente funzionato.

La prima coppia che l’aveva contattato - Yosano Akiko ed Edogawa Ranpo - lo avevano fatto più con curiosità per capire cosa intendesse con “terapia alternativa” ed era stato grazie a loro se lo aveva capito anche lui, vivendolo in prima persona. Eticamente parlando, mescolarsi a una coppia come terzo incomodo sarebbe dovuto essere fuori discussione, ma era successo. Da lì era diventato più un “terzo comodo”, un nomignolo che gli faceva storcere il naso, ma che, grazie a un bislacco passaparola, aveva iniziato a funzionare.

Nel mentre, Chuuya si accorse che un’altra fermata metro era passata, le porte si erano chiuse e le possibilità di salvarsi erano diminuite di una. Era sempre più vicino al punto di non ritorno.

Riprese a ricordare, nel tentativo di sedare l’agitazione. Dopo Yosano e Ranpo c’erano stati Mori Ougai e Fukuzawa Yukichi, i padrini della coppia. Gli era anche stata raccontata tutta la storia, di come Fukuzawa fosse in effetti il padre adottivo di Ranpo, mentre Mori era stato il mentore di Yosano - anche se i rapporti non erano rosei. Tralasciando i loro trascorsi, la prima impressione che aveva avuto Chuuya era che il suo esperimento sarebbe finito ancor prima di iniziare.

Di certo, quello che era successo con Yosano e Ranpo - a letto - non si sarebbe ripetuto con la coppia più veterana. Non per una questione di età o pregiudizi, ma più perché i loro problemi erano di natura prettamente intellettuale (sfiorando l’illegale, ma non aveva voluto ficcanasare più del necessario a rinsaldare i rapporti). Dopo tre mesi Chuuya era sfibrato, ma si era conquistato, cosa non da poco, la fiducia di Mori, insieme a qualche cenno di intesa da parte di Fukuzawa per il proprio operato, il tutto coronato da alcune cene in ristoranti tanto chic che neanche con uno stipendio fisso si sarebbero potute permettere.

Quello che non aveva previsto era stato come Mori, una sera, se ne fosse uscito con una frase all’apparenza del tutto casuale, ma che aveva ribaltato lo stomaco a Chuuya nel giro di due battiti di ciglia.

Sei decisamente diverso da come ti descriveva Dazai. Dovevi stargli molto antipatico.

Il tutto corredato da una risatina che la diceva chilometricamente lunga.

Era stato l’inizio della fine. Chuuya aveva scoperto quella sera che Mori era stato il tutore di Dazai Osamu, un suo vecchio compagno del liceo, la sua nemesi numero uno, il ragazzino allampanato che gli aveva appestato l’adolescenza spingendolo a una precoce crisi di nervi. La cosa più bella di finire il liceo era stata quella di levarsi lo Sgombro dai piedi, ma non di certo per ritrovarsi anni dopo a gravitare intorno al suo ex tutore.

Chuuya in breve aveva deciso di accettare un’altra richiesta di consulenza per staccare la testa e prendere momentaneamente le distanze, mentre frammenti di incubi dei suoi quindici, sedici, diciassette e diciotto anni tornavano a imperversargli nella mente come se qualcuno avesse lasciato aperte delle finestre e tutte le foglie avessero iniziato a invadere i suoi spazi; tempo di spazzarne via alcune, eccone altre arrivare e infilarsi ovunque.

La coppia a cui aveva deciso di dedicarsi avrebbe dovuto svuotargli la mente, e in realtà ci era riuscita, oltre a togliergli ogni briciolo di pazienza ed energia. Aveva dovuto ricredersi nel cacciarsi in mezzo a Nakajima Atsushi e Akutagawa Ryuunosuke, due ragazzini - non importava che avessero poco più di vent’anni - che non sapevano passare mezza giornata senza litigare… per poi saltarsi addosso come gli (ex) adolescenti che erano. A Chuuya c’erano voluti due mesi solo per capire quali fossero le incomprensioni di base - esperienze simili, ma approcci molto diversi - e aveva anche intuito che il litigare fosse parte integrante della loro relazione e non c’era molto da farci. Ci aveva ricavato del sesso niente male, una volta messi a cuccia entrambi, e aveva anche insegnato loro come prendersi un po’ di tempo senza essere totalmente distruttivi. A conti fatti, era stata una soddisfazione a trecentosessanta gradi. Se non fosse stato per uno spiacevole finale.

Dazai-san è davvero un bugiardo. Diceva che eri inaffidabile, Chuuya-san.

Eccolo lì, di nuovo. Lo Sgombro. Lo stronzo che riappariva nel discorso a cose fatte. Quasi strozzandosi con il vino all’happy hour a cui aveva portato i cuccioli per festeggiare la fine della terapia, Chuuya aveva appreso da Atsushi che Dazai era stato l’insegnante di entrambi - motivo per cui si erano conosciuti.

Dazai insegna!?” era stato il primo pensiero sconvolto di Chuuya. Quale persona sana di mente avrebbe affidato la formazione delle giovani menti del paese a uno scellerato come lo Sgombro?

Nel giro di una serata Chuuya aveva appreso quale fosse la nuova vita della sua nemesi, dettagli che non avrebbe davvero voluto sapere. Prima delle nove era già ubriaco perso e, senza pensarci due volte, era stato ospitato sul divano di Atsushi e Ryuunosuke che non se l’erano sentita di mandarlo a casa da solo. Ebbro di alcool e di ricordi che voleva cacciarsi dalla mente, aveva accettato un nuovo incarico da una coppia che spendeva davvero troppe parole a tergiversare su come non avessero davvero bisogno del suo aiuto, ma che provare alla fine non costava (e quella affermazione sarebbe invece costata ai due una tariffa maggiorata).

Non l’avesse mai fatto. Se Chuuya pensava di avere avuto problemi con Mori e Fukuzawa, sopportare anche solo una settimana Kunikida Doppo e Sakaguchi Ango fu la vera sfida.

Mentre ripensava a quei due pali in culo si accorse che mancavano solo due stazioni al capolinea e sentì le mani sudate e nelle cuffiette era partita un’inaspettata Avril Lavigne con Head Above Water che sembrava perfettamente in tema con la sua situazione interiore. Deglutì e imprecò di nuovo, tornando a concentrarsi sul come fosse in quel pasticcio.

Anche se interamente la colpa non era di Kunikida e Sakaguchi, a Chuuya piaceva pensare che fossero stati la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ovviamente l’aveva scoperto a conti fatti, solo alla fine dei quattro mesi di terapia spesi con loro.

Si chiedeva ancora come fosse sopravvissuto al loro percorso di coppia con i continui rimbrotti di quel biondastro con un OCPD parzialmente diagnosticato che non passava dalla porta. Non che Sakaguchi fosse meglio, con la la sua vena depressiva, vittimistica e stacanovista altrettanto ingombrante. Le giornate con loro terminavano solo quando Chuuya raggiungeva e si scolava in solitaria un’intera bottiglia di vino senza neanche farci caso, ma solo col bisogno di affogare i pensieri. Far capire a entrambi che, oltre al lavoro, esistevano anche le loro esigenze affettive, motivo per cui avevano finito col contattarlo, era stato come insegnare a un bambino che due più due faceva quattro e non tre. Era elementare, ma non ci arrivavano.

La parte più divertente di quell’ABC della vita di coppia era stato però insegnare ai due come dare dei baci decenti. Perché ne avevano avuto davvero bisogno. A detta di Chuuya, sembravano due bastoncini Findus quando si baciavano. Lo smacco li aveva fatti arrossire come ragazzini. A pensarci, ci rideva ancora di gusto. Kunikida pretendeva di dargli lezioni con quel suo tono arrogante e giudicante, quando non riusciva neanche a esprimere l’affetto che provava per il proprio compagno. Chuuya si era chiesto più volte da dove derivasse la propria pazienza - anche se esteriormente non sembrava possederne, ma per aiutare quei due casi umani ne aveva dovuta tirare fuori davvero parecchia.

Peccato che, ancora una volta, era arrivata la stangata inaspettata - e sempre mentre sperava di rilassarsi al termine di una terapia e si stava gustando una ricompensa culinaria a gratis, una benedizione per le sue tasche da studente squattrinato. Ma come si diceva, non c’era due senza tre, e il concetto non gli era entrato in testa. 

Era successo fuori a cena con i due Quattrocchi, durante il secondo. Kunikida aveva ricevuto una telefonata che era cominciata con uno sbuffo davvero troppo pesante - un presentimento che aveva già lasciato intuire anche Ango chi dovesse esserci dall’altro capo del telefono, ma non di certo a Chuuya.

… che significa che domani non vieni a scuola!? Ti sei stirato la schiena facendo cosa!?”

Chuuya aveva scelto il momento sbagliato per mettersi in bocca un boccone del filetto costoso che riempiva il suo piatto.

Giuro che domani alle sei e mezza sarò davanti a casa tua e butterò giù la porta se necessario per portarti al lavoro, Dazai!”

Era una persecuzione ed era sempre più vicina, capì Chuuya dopo che ebbe ingollato un intero bicchiere di vino per non strozzarsi. Fissò il cellulare di Kunikida come fosse stata una bomba, o come fosse stato Dazai stesso. Aveva ignorato volutamente l’occhiata di Ango, che sembrava saperne molto, ma che stava volutamente tacendo. 

Gli eventi avevano subito un’impennata quando Kunikida aveva spostato lo sguardo sul rosso, fissandolo dritto negli occhi, ancora al telefono a sentire il collega blaterare - Chuuya si era sentito un cretino per non aver pensato alla possibilità che, in quanto professore di matematica, il biondastro potesse conoscere Dazai, ma sarebbe stato davvero un mondo troppo piccolo. Kunikida gli aveva quindi allungato il proprio cellulare, sbuffando dalle narici.

Vuole parlare con te.”

Chuuya aveva osservato lo smartphone come se si fosse dimenticato come si usava. Una voce, che purtroppo conosceva bene, trillò contenta dall’altra parte.

Ehi? Lumaca? Ci sei? Mi senti? Terra chiama Lumacaaa!”

Lumaca.

Erano anni che non sentiva quel nomignolo.

Sgombro di merda, che cazzo stai combinando!?”

Perché il nocciolo era sempre lo stesso con lui. C’erano stati dei puntini nella mente del rosso e tutti si stavano unendo per indicare quello stronzo spilungone come il burattinaio dietro le quinte. Chuuya si era massaggiato la fronte, ignorando gli sguardi sorpresi di Kunikida e Ango.

Ci stava arrivando finalmente.

Sei stato tu, fin dall’inizio, non è vero?”

Non so di cosa tu stia parlando” e il tono era stato così falsamente innocente che avrebbe anche potuto credergli, perché la realtà lo faceva solo che incazzare.

Tu… cazzo, chi dei due conosci!? Yosano o Ranpo!?

Dazai aveva fatto finta di pensarci un poco.

In effetti entrambi, ma prima Yosano. Prendeva lezioni dal mio tutore.”

Ed eccolo lì, il collegamento. Yosano e Mori, e poi…

Atsushi e Ryuunosuke. Perché?

Perché no? Atsushi era davvero entusiasta del tuo aiuto, mi ha anche rimproverato per come ti avevo dipinto.

Chuuya non era riuscito a trovare l’insulto più appropriato. Aveva scelto però di alzarsi e allontanarsi dal tavolo, sordo ai richiami di Kunikida per riavere indietro il proprio cellulare.

E la coppia di stacanovisti, invece?

Ah, su di loro sono innocente.”

Dazai.”

Chuuya aveva capito dal proprio tono di essere stanco. Aveva corso tanto lontano dallo Sgombro che aveva finito col ritrovarsi di nuovo allo stesso punto. Il destino doveva odiarlo.

Sul serio. Quasi innocente, diciamo.

Chuuya aveva sbuffato esasperato.

E allora chi!? Sembra che tutti i miei ultimi pazienti siano collegati a te!

È stata un’idea di Odasaku. È amico di Ango - anche io, ma dettagli. Ha spinto lui affinché ti contattassero.

Il nome aveva vibrato nella memoria del rosso come un ricordo archiviato nella catasta che gli stava piovendo addosso da mesi, ma non lo aveva riafferrato sul momento. Dazai doveva averlo intuito, perché gli era andato incontro.

Il nostro insegnante di letteratura al liceo, ricordi? Oda Sakunosuke, capelli rossi, occhi color del mare.

Certo” aveva mentito l’altro, sbuffando. “Cosa siete ora, un’associazione a delinquere che plagia le giovani menti? Chi è la testa bacata che ti ha dato la licenza per insegnare!?

Dazai aveva riso e lo stomaco di Chuuya si era contratto, facendo una specie di capriola. Era stato un suono che Chuuya aveva archiviato nella memoria, ma si era fatto molto meno cattivo, sempre con un fondo di presa per il culo, ma decisamente più leggero e orecchiabile.

Qualcosa del genere.” Poi Chuuya aveva sentito un’altra voce di sottofondo e Dazai si era allontanato un attimo dal ricevitore. “Parli del diavolo. Odasaku ti saluta.

Siete ancora a scuola a quest’ora?” aveva chiesto Chuuya confuso.

Dazai aveva riso di nuovo, in maniera davvero troppo morbida per non entrargli nelle vene.

Siamo a casa. Conviviamo da un anno e un po’.

La vetrata del ristorante aveva restituito a Chuuya il proprio riflesso con la bocca spalancata e lo sguardo smarrito. Il suo cervello aveva messo insieme i pezzi con qualche difficoltà, non perché non si incastrassero - aveva tutto perfettamente senso, Dazai aveva sempre spasimato per il professore di letteratura - ma per tutte le implicazioni di sottofondo.

Ti sei fatto il prof!?” e Chuuya era tornato ad avere diciassette anni.

Dazai era stato così cristallino nella risata che si era potuto avvertire totalmente la sua felicità. Un altro nodo si era chiuso alla bocca dello stomaco del rosso. Avrebbe dovuto dire addio a quel filetto nel piatto, ormai freddo.

È più corretto dire il contrario, ma sì. Vuoi farmi le congratulazioni?”

“Ma strozzati, Sgombro. Dimmi invece che cazzo vuoi da me? Perché mi stai dando il tormento?”

Ma se è la prima volta che parliamo da anni?

Non voglio stare ancora al tuo gioco, che vuoi?

Dazai era rimasto in silenzio qualche secondo, ma non perché fosse a corto di parole. Chuuya aveva invece passato il peso da un piede all’altro, ripetendosi di non essere nervoso. Aveva una quasi laurea in psico-drammi e tutta la sfera del genere, eppure Dazai sarebbe rimasto il suo più grande mistero.

Vorrei i tuoi servigi come terapeuta di coppia” iniziò lo Sgombro con un tono quasi convincente, tanto che Chuuya restò zitto aspettando la cazzata. “Io e Odasaku non abbiamo propriamente dei problemi tra noi, ma non viviamo benissimo la vita scolastica col fatto che io sono un suo ex allievo e be’, il nostro rapporto non è ufficiale, ma non è neanche un segreto. Questa via di mezzo non fa per noi.

Chuuya aveva atteso ancora. O, più precisamente, aveva cercato di elaborare la richiesta per quella che era. Ma era stato surreale.

Ora che hai finito con Kunikida e Ango dovresti essere libero? Che ne dici?

Sei… serio?

Perché non dovrei esserlo? I feedback che ho avuto da tutti sono stati entusiasti, anche troppo considerando che sei tu, Lumaca. Sei come il vino che ti piaceva bere di nascosto a scuola, eh? Stai invecchiando bene. Ieri Kunikida pareva una persona nuova a scuola - ho sgamato subito che dovesse aver sperimento del sesso decente come probabilmente non gli è mai capitato prima. Che gli hai fatto?”

Chuuya si era schiaffato una mano sulla faccia, lanciando un’occhiata alle proprie spalle, dove Kunikida e Ango stavano continuando la cena senza di lui, dando l’idea a tutti gli effetti di una coppia felice e contenta.

Non ero con loro l’altra notte” aveva precisato, ma un lato di lui era contento di sapere che le sue lezioni avessero aiutato i due. Era sempre la parte più soddisfacente del proprio lavoro.

Mh, mh. Vedi? Vuol dire che sei affidabile. Potrei accontentarmi dei feedback di Yosano, Atsushi, anche di Mori, ma vedere Kunikida rilassato e appagato li batte tutti.”

Senti” lo aveva fermato Chuuya, sospirando e guardando verso il soffitto elegante del ristorante, ingoiando un insulto. “Io e te abbiamo dei trascorsi, non puoi chiedermi una cosa del genere.”

Si era appellato all’etica per la prima volta da quando aveva iniziato quel lavoro e si era dato dell’ipocrita da solo un attimo dopo.

Ti pago tre sedute in anticipo e avrai tutte le cene gratis, tanto cucina Odasaku. Ti sorprenderai di scoprire quanto è bravo non solo a parlare di autori morti e sepolti.

Sgombro, non è così che funziona-

E ho un Romanée-Conti da aggiungere alla tariffa. Se però non lo vuoi, penso che proverò a rovesciarlo nel prossimo stufato di Odasaku.”

Cristo, tu hai bisogno di un esorcista, non di uno psicologo” aveva imprecato Chuuya. “Va bene, accetto. E se hai mentito sul vino ti uccido.

È bello sapere che le tue minacce non sono cambiate. Facciamo Domenica alle sedici? Ti mando l’indirizzo per messaggio, se il tuo numero non è cambiato. Vengo a prenderti in stazione.”

Suddetta stazione fu quella che la voce pre-registrata annunciò come la successiva e Chuuya scattò in piedi, interrompendo la musica nelle cuffiette di colpo insieme al viale dei ricordi recenti. I famigliari rumori dei vagone lo colpirono rimportandolo alla realtà.

Era arrivato al capolinea. Varcata quella soglia non si tornava indietro. Avrebbe riallacciato i rapporti con la persona che più aveva odiato in vita sua e lo avrebbe persino aiutato con la sua vita sentimentale.

Deglutì il vuoto, pensando a com’era andata fino a quel momento. Esclusi Mori e Fukuzawa, con tutte le altre coppie che aveva seguito Chuuya era finito a letto come parte, in un certo senso, del percorso terapeutico. Il solo pensiero che potesse arrivare a un punto del genere anche con Dazai e con il suo ex professore di letteratura gli diede una sensazione molto strana, perché non fu un totale rifiuto. Ingoiò il brivido e il pensiero insieme. 

Tuttavia, sul suo viso doveva esserci del disgusto vero perché Dazai gli scoppiò a ridere in faccia appena lo vide.

“Sei davvero contento di incontrarmi di nuovo, eh? Sei ancora in tempo per rifiutare…”

“Ma piantala, Sgombro. Da qui in poi non si torna indietro. Avanti, fai strada. Ho accettato per il vino, ne avrò bisogno e una sola bottiglia non ti basterà per sopportarti e farmi restare.”


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COW-T 12, prima settimana, M2
Prompt: Zaffiro
Numero parole: 3453
Rating: Verde
Warning: … stupidità?




Chuuya entrò come un uragano nel piccolo ufficio di Ango. 

I libri tremarono sullo scaffale come se si fosse appena verificata una scossa di terremoto e la spia stessa si aggrappò al bordo della propria scrivania, portando di istinto una mano alla pistola fissata sotto il ripiano. Quando capì che si trattava solo di Nakahara, la sua espressione mutò in una estremamente seria; non ritirò però la mano dall'impugnatura dell'arma.

"È successo-"

"Voglio la contabilità dell'ultima settimana del Settore 2: compravendite, trasporti e qualsiasi altro cazzo relativo. Ora."

Ango sbatté le palpebre, disorientato. Lasciò perdere l’eventualità di doversi difendere da qualcosa e si concentrò su quella richiesta repentina. 

"Ti servono i registri delle gemme?" tradusse confuso. "Dobbiamo ancora definire la rendicontazione-"

Chuuya marciò verso la scrivania del Quattrocchi come un toro che aveva puntato il bersaglio e sbatté le mani sul legno scuro e pregiato.

"Tira fuori tutto quello che hai e-" 

Chuuya si bloccò - parve quasi strozzarsi - esitando su come chiudere la richiesta. Quell'unico attimo di incertezza fece cogliere ad Ango una verità sconvolgente: Chuuya stava sudando freddo e non poco.

"E… ?" 

Gli fece eco la spia, non sapendo più come interpretare la situazione.

"... e dammi una mano."




"Hai perso i due zaffiri della collezione Valeryevich che vanno all’asta dopo domani!?"

"Io non ho perso proprio un cazzo! Qualcuno li ha presi!"

"E quando dici presi intendi rubati? Qualcuno ti ha rubato due zaffiri russi a due giorni dalla vendita!?"

"Quattrocchi, ascoltami bene: se non vuoi che ti rompa naso e occhiali in un colpo solo smettila di sottolineare quello che è successo!" abbaiò Chuuya, sbattendo il pugno sulla scrivania per essere più incisivo. "Cerca in questi cazzo di libri contabili le informazioni che mi servono e piantala!"

Ango optò per il silenzio e sfogliò il faldone che aveva davanti alle pagine che potevano essere loro utili.

"Ho la bolla di trasporto, la lettera della dogana, i certificati di autenticazione… ovviamente tutto falsificato per passare i controlli."

"Allora traduci e dimmi se la merce è arrivata al deposito come prestabilito!"

"Senza che tu ti arrabbi ulteriormente, posso farti notare che se qualcuno ha rubato questi zaffiri, falsificare dei documenti già falsi rende inutile questa ricerca?"

“Che cazzo facciamo a fare ‘sti documenti se allora chiunque può fotterci sotto il nostro stesso naso!?”

Ango sospirò con pazienza, preparandosi a dire un’ovvietà scontata. 

“Non ci fottono sotto il nostro naso,” fece una smorfia di autocommiserazione per aver ripetuto quella dubbiosa e prosaica sequenza di parole, “perché ci sono agenti della Port Mafia come te o Akutagawa a incutere paura nei possibili ladri. Fidati, il novanta per cento dei furti di questi valori li evitiamo semplicemente facendo i vostri nomi. Chiunque sano di mente ci penserebbe due volte.” 

Chuuya tacque, assimilando l'informazione come un’epifania. Ango restò in attesa, ma quando capì che l'espressione del più giovane era gravata più dall'ansia che dal ragionamento, si concentrò sui documenti che aveva davanti.

"Ascolta, codificando quello che è riportato qui, c'è scritto che è andato tutto secondo il programma e la merce è arrivata a destinazione."

"Merda, merda, merda! Ma quegli zaffiri sono spariti! E io ne ero responsabile! Il Boss mi ammazzerà se non saltano fuori."

Ango chiuse il librone e fissò il giovane agente. Non aveva quasi mai a che fare con Nakahara Chuuya direttamente, ma le rare volte che succedeva - e probabilmente quella era la terza volta da quando si era infiltrato nella Port Mafia - non era mai per due chiacchiere formali o informali che fossero. Ci scappava quasi sempre almeno un morto e il bisogno di alcool a fine giornata. Non si conoscevano se non, almeno da parte di Ango, per informazioni apprese tramite Dazai o da ricerche personali. 

In quel momento, Ango aveva la bislacca sensazione di avere di fronte una sfaccettatura di Chuuya che in pochi conoscevano davvero. 

“Per il modesto parere di un membro dell’intelligence della Port Mafia con pochi-”

Falla breve, Quattrocchi.

Ango strinse le labbra, facendosi scappare un’espressione contrariata, ma andò al succo. 

“Sei più importante di quegli zaffiri agli occhi del Boss, quindi respira. E ascoltami.”

Si spinse gli occhiali sul naso, girando completamente la propria poltrona verso Chuuya. 

Uhm, Dazai aveva ragione a descriverlo come basso... 

Si schiarì la gola, cancellando il pensiero. 

“Chiunque abbia rubato gli zaffiri non sarà andato lontano e ti sei accorto in poco tempo della scomparsa, quindi il ladro non ha molto vantaggio. Sono poche le organizzazioni in grado di far uscire dal paese gioielli di tale valore senza suscitare neanche un controllo. E il prezzo per farlo sarebbe esorbitante e bisogna fare le cose con calma-”

Noi non abbiamo tempo!” sbraitò Chuuya fuori di sé, passandosi le mani sulla faccia. “Dimmi qualcosa di utile!” che equivalse a dire Dimmi qualcosa che mi tranquillizzi

Ango era un profondo conoscitore dello stress e poteva sentirlo a pelle tutto quello che il futuro Dirigente stava provando in quel momento. Un po’ dilettantistico e molto scenico, ma era pur sempre stress. 

“Di utile c’è il fatto che nessuna di quelle organizzazioni opera a Yokohama se non per concessione della Port Mafia stessa. Quindi, se è stata qualcuna di queste, lo sapremo in breve.”

Chuuya annuì più di una volta, come se ci fosse bisogno di approvare le parole della spia. 

Tuttavia, c’era qualcosa che ad Ango non tornava e si prese il mento tra le dita, cercando di portare a galla l’incongruenza che sentiva ma non afferrava.

“Che c’è ora!?” si allarmò il rosso.

“O si tratta di un ladro con tendenze suicide che non ha un vero piano, oppure è qualcuno dotato di abilità e in grado di fotterci sotto al naso anche senza bisogno di documenti per lasciare il paese…”

“Cristo” e, per una volta nella vita, Chuuya sembrò davvero intenzionato a invocare un intervento divino. “Hai appena finito di dire che eravamo in vantaggio! Non sono venuto qui per farmi dire quanto sono nella merda!”

Ango fece una smorfia.

“Non riesci a parlare in maniera più consona?”

“Mi sembra che il mio modo di parlare sia perfettamente consono a questa fottuta situazione!” lo rimbeccò il rosso praticamente a un palmo dalla faccia, dando a intendere che alla successiva sillaba storta riguardo il suo vocabolario lo avrebbe morso.

Ango alzò le mani in difesa.

“Va bene, raccontami di nuovo da capo cos’è successo, senza tralasciare dettagli, neanche quello più-”

“Sono andato a controllare la merce al caveau, le telecamere erano offline e gli zaffiri erano spariti! Fine della storia!”

La spia raccolse tutta la propria pazienza, che per loro fortuna era davvero tanta. 

“Non hai notato nulla fuori posto? Una guardia sospetta? Hai controllato il registro di ingresso e uscita?”

La bocca di Chuuya era già spalancata nell’atto di urlargli ancora contro, ma si bloccò prima di scatenare l’ennesima bufera. Abbassò lo sguardo sulla propria giacca e ci infilo le mani dentro, frugandosi nelle tasche e tirandone fuori diversi fogli accartocciati e appallottolati. Li fece cadere sulla scrivania e iniziò a distenderli.

“Che cosa sarebbero?” chiese Ango, incerto di volerlo sapere, perché un sospetto ce l’aveva.

“I documenti del caveau degli ultimi giorni, li avevo presi al volo prima di venire qui” spiegò sbrigativo Chuuya, continuando la sua opera di spianamento, controllo e poi buttando via i fogli che risultavano inutili. “Dammi una mano, ci sono i cambi guardia, le visite, i consulenti, le solite cazzate utili.”

Cazzate utili” ripeté Ango, più per il gusto di dire una cosa senza senso che per comprenderla davvero. Prese una delle palle di carta ed ebbe pietà per quel povero documento.

“Conosci tutte le guardie che prestano servizio?”

“Certo” rispose secco Chuuya. “Mi occupo del commercio delle gemme da quando sono entrato nella Port Mafia, conosco ogni figlio di puttana che è passato da lì. Tutta brava gente. Ne ho silurati solo tre in due anni.”

Un mmmh fu il commento dubbioso di Ango alla questione. Continuò a leggere righe su righe di nomi di guardie, firme nelle calligrafie più disordinate, in kanji, metà in katakana e in hiragana, la maggior parte giapponesi, ma c’erano anche diversi cinesi e coreani tra il personale, qualche filippino e notò persino dei nomi occidentali.

La scrivania tremò per l’ennesima volta e la spia sobbalzò al colpo che il rosso diede al legno, questa volta facendolo scricchiolare davvero male.

“Maledetto ladro di merda, ti ho trovato!” ululò, tenendo uno dei fogli spiegazzati tra le mani, prima di sbatterlo in faccia ad Ango, o quasi.

Riaggiustandosi gli occhiali, l’agente sotto copertura lo analizzò con occhio critico. Aveva la data del giorno prima e c’erano registrati gli accessi della sera e della notte.

“Chi dovrebbe essere?”

“L’ultimo! È chiaramente un ladro! Pensa di prendermi per il culo!” e si batté il pugno contro il palmo nel dirlo, buttando fuori l’aria in uno sbuffo e mostrando i denti come in un ringhio. “Appena capisco dov’è lo riduco a una marmellata.”

Ango fissò per un tempo molto lungo e in silenzio quel nome palesemente falso. La sua testa stava cercando un motivo che le grinze del documento non potevano spiegargli.

“Chuuya-kun” iniziò con il tono che avrebbe usato in una contrattazione, ma a cui seguì una pausa riflessiva sulle parole da usare. Abbassò il foglio e lo guardò dritto in faccia.

“Domani mattina ti riporterò gli zaffiri. Ti pregherei di non farmi domande-”

Tu sai-

“Perché non ti risponderò” finì, mantenendo la compostezza e la sicurezza del proprio ruolo, un intermediario in grado di gestire situazioni diplomaticamente esplosive.

Chuuya restò interdetto, neanche Ango lo avesse appena colpito in faccia dal nulla con uno dei suoi libri contabili. Quest’ultimo ne approfittò per piegare il foglio in quattro con le firme delle guardie e infilarselo nella tasca interna del completo. Roteò sulla propria poltrona e iniziò a sistemare il macello sulla scrivania con apparente noncuranza, anche se la sua mente stava ancora cercando di capire i motivi dietro quel furto - se di furto si poteva parlare.

“Sei serio?” chiese Chuuya a corto di insulti e minacce. Fece il giro della scrivania e tornò a guardarlo in faccia. Il riflesso nelle lenti tonde della spia restituì quello di un ragazzo che dimostrava i suoi diciassette anni, spaesato e che tentava di riaccendere la miccia dell’incazzatura senza successo. “Hai capito chi è e mi molli così!? Dimmi dove si trovano gli zaffiri! Ti ho detto che sono una mia responsabilità!”

Ango rifletté bene un attimo su cosa dire.

“Sono ancora all’interno della Port Mafia e non lasceranno né la città né il paese, puoi stare tranquillo. Devo capire il motivo, ma sono abbastanza certo ci sia una ragione plausibile dietro. Prendila per una svista.”

Tentò di suonare ragionevole alle proprie orecchie, ma se si fosse trovato nella posizione del futuro Dirigente - e col suo temperamento - non sarebbe rimasto tranquillo ad aspettare.

Per quanto avesse capito il quadro generale e fosse sicuro che non ci sarebbero stati davvero incidenti diplomatici o punizioni per Chuuya, rimaneva sempre quella esigua percentuale di probabilità che si stesse sbagliando e ci fosse in arrivo qualcosa di catastrofico. Questo gli fece aggrottare la fronte e non passò inosservato al nervosismo del rosso.

“Sei preoccupato!” lo stanò, puntandogli un dito contro. “Porca puttana, dimmi che cazzo sta succedendo o io-”

Il suo cellulare prese a squillare e quando lo prese imprecò di una bestemmia che lasciò Ango a chiedersi quanta fantasia avesse nel formularle. L’attimo successivo il futuro Dirigente era assolutamente padrone di sé e composto.

“Buongiorno, Boss. Sì. Sì. Ah… sì, certo, sono libero.”

Ango lo vide aggrottare la fronte e poi passarsi una mano sulla faccia, ma senza che il suo tono venisse influenzato dall’evidente grattacapo.

“Certamente, me ne occupo io. Sì, contatto io la Black Lizard. Grazie, Boss.”

Chuuya chiuse la chiamata e un attimo dopo imprecò una seconda volta, così sonoramente da lasciare l’eco nella piccola stanza.

“Problemi?” chiese piano Ango.

Il rosso lo inchiodò con un’occhiata, ma senza insulti. Stava pensando e l’intensità di rotazione degli ingranaggi del suo cervello era evidente.

“Senti,” iniziò, cedendo evidentemente a un compromesso, “io devo andare a pestare degli stronzi di un’organizzazione nemica che stanno facendo casino giù al porto. Nessuno sa di questa storia degli zaffiri tranne i miei uomini al caveau e te. Li rivoglio entro domani mattina come hai detto o l’intelligence avrà un posto vacante da rimpiangere, chiaro?”

“Cristallino” rispose Ango, chiedendosi ancora una volta perché avesse scelto quella vita e dovesse farsi minacciare da un adolescente.

“Sappi che domani ti farò anche sputare chi cazzo c’è dietro quel nome falso!” sbraitò un’ultima volta, prima di chiudersi la porta dello studio alle spalle e sparire, facendo tremare di nuovo l’intera stanza. Ci fu il tonfo leggero di qualche libro lasciato in equilibrio, ma in breve tornò la quiete.

Ango finalmente si lasciò andare contro la poltrona, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi le palpebre. Erano solo le dieci di mattina e lui aveva appena tenuto testa a, letteralmente, un Dio del caos e della distruzione.

Ripescò dalla tasca interna del completo il documento con quella firma scarabocchiata in caratteri occidentali. Avrebbe davvero voluto trovarsi nella posizione di ridere di quella assurdità.

“Che diavolo ti sta passando per la mente, Dazai-kun?”




Da quando Ango lavorava sotto copertura all’interno della Port Mafia aveva dovuto rivedere molti dei propri standard. Non gli avevano di certo dipinto l’incarico come una passeggiata legata solo al reperimento di informazioni, ma al primo regolamento di conti per cui era tornato a casa con gli schizzi di sangue sui vestiti aveva capito quale fosse la realtà in cui si era calato. Aveva iniziato a fare dell’aplomb la propria maschera in ogni occasione, tenendo per sé anche i rari momenti in cui avrebbe potuto lasciarsi andare a qualsiasi altra emozione.

Poi, una notte, Dazai Osamu e Oda Sakunosuke erano piombati nel suo ufficio e il suo scudo si era incrinato. L’ultima cosa che credeva avrebbe trovato all’interno della Port Mafia erano delle persone da chiamare amici. Non conoscenti, non lavoro, ma amici come, tristemente, non ne aveva mai avuti.

C’era sempre ad accompagnarlo un latente senso di colpa e una prematura malinconia mentre scendeva le scale del Lupin, nonostante trovarsi lì significasse avere una di quelle serate, i momenti che gli davano ossigeno per continuare la farsa.

Quella sera, tuttavia, arrivò al bancone con un sospiro che riempì tutta la sala vuota. Mentre l’oste sistemava al suo solito posto un whiskey senza neanche chiedere - probabilmente traducendo la sua disillusione e stanchezza - la spia osservò i due zaffiri che gli avevano rovinato la giornata risplendere alla luce calda dell’ambiente. Erano vicini a un bicchiere pieno e intoccato.

Di fianco, Dazai aveva la testa appoggiata alle braccia e lanciò uno sguardo, dall’unico occhio libero di bende, all’amico, dopo un sorso dal proprio drink.

“Yo, Ango. La giornata è finita?”

“Non direi proprio, Dazai-kun” sospirò di nuovo Ango, per poi indicare le due pietre preziose. “Lo sai vero che questa storia potrebbe finire molto male? Il responsabile del Settore 2 era-”

Come avrebbe potuto definire la disperazione iraconda del futuro giovane Dirigente che era piombato nel suo ufficio quella mattina?

“Era veramente angosciato dalla sparizione” concluse, trovandosi in realtà molto vicino a quell’aggettivo.

Dazai produsse solo un lamento, stiracchiandosi sul bancone ma senza muoversi, per poi buttare fuori l’aria dai polmoni con qualcosa che non era solo stanchezza, ma Ango fu incerto su come definirlo. Gli ricordò uno sceneggiato visto per sbaglio qualche tempo prima, una specie di commedia sentimentale piena di pene d’amore e non capì cosa c’entrasse.

“Quindi il microbo è venuto a cercare te per farsi aiutare” constatò Dazai, giocherellando con il ghiaccio del proprio bicchiere. “Non è così stupido allora. Pensavo avrebbe iniziato a setacciare la città come un cane a cui hanno rubato l’osso” e sorrise del proprio paragone. Ango lesse chiaramente nei suoi occhi che stava immaginando la scena.

“Perché gli hai fatto questo dispetto?” domandò, dando sfogo alla curiosità che si portava appresso da quella mattina. Si sistemò di fianco all’altro mafioso, lanciando un’occhiata alle pietre preziose e al terzo bicchiere intonso. Un’intuizione strana si fece largo nella sua mente, ma, conoscendo Dazai, attese a trarre conclusioni.

“Non stavo pensando a lui” replicò Dazai, lamentoso una seconda volta. “Mi ci sarei impegnato di più se fosse stato un dispetto contro Chuuya.”

Ango scelse di non approfondire e ringraziò di non essere (ancora) nella lista nera del Demone Prodigio. Tuttavia, mentre lo pensava si ritrovò a essere fissato da quello stesso giovane demonio e il sorso di whiskey gli bruciò la gola.

“… che c’è?” chiese titubante. Sperava di non aver pensato le ultime parole famose.

“Hai capito che ero stato io dalla firma sui registri? La Lumaca non ci sarebbe mai arrivata.”

Ango assentì, lasciandosi andare a un sorrisetto.

“Ho pensato che fosse uno scherzo proprio per quello… B. Lupin è semplice e geniale allo stesso tempo?” rifletté a voce alta, strappando una leggera risatina al mafioso. “Potevi essere stato solo tu, chiunque altro avrebbe scritto A. Lupin se avesse voluto fare uno scherzo e attribuire il crimine a un fittizio ladro gentiluomo.”

“Non mi è passato neanche per la testa” ammise Dazai con una leggerezza che la spia poteva vedergli esprimere solo durante quelle serate. “Ero annoiato ed è la prima cosa che mi è venuta in mente. Questo posto” specificò, alzando un indice e roteandolo a intendere l’ambiente. “La Lumaca non ci sarebbe arrivata da sola neanche tra un milione di anni.”

Ango scosse la testa.

“Ho promesso che gli farò riavere gli zaffiri domani mattina” spiegò, tornando serio sulla questione, ma poi aggrottando la fronte. Non aveva ancora posto la domanda fondamentale.

“Perché l’hai fatto?” ed era così semplice. “Se non era uno scherzo ai danni di Chuuya-kun, cosa te ne fai con due zaffiri la cui sparizione scatenerebbe un putiferio nella Port Mafia e una guerra con i compratori?”

Si accorse che stava di nuovo lasciando fluire i propri ragionamenti e sentì uno spiacevole brivido nel figurarsi i possibili e sanguinosi scenari. Fissò direttamente in faccia l’amico, cercando tracce di malizia, un qualche sinistro guizzo che gli dicesse che stava per succedere lo scenario peggiore.

Tuttavia, per la seconda volta, Dazai gli ricordò solo una di quelle attrici dei drama televisivi che si struggevano col pensiero del loro amato.

La sua mente fece un due più due stravagante. Fissò l’amico, spostò l’attenzione sugli zaffiri vicino al terzo bicchiere di whisky intoccato posto davanti allo sgabello vuoto a fianco al mafioso e capì.

“Dazai-kun… ti manca Odasaku?”

Il diciassettenne si lamentò di nuovo e fu più palese di un sì.

“Il lavoretto veloce che doveva fare a Osaka si è rivelato più complicato e lungo, non tornerà prima della prossima settimana. Mi annoio. È tutto noioso quando non c’è Odasaku in giro.”

Ango mandò giù un sorso di whiskey e ci soffocò una leggera risatina. Quei due erano proprio un mondo a parte per lui ed erano capaci di perdersi ore a chiacchierare delle cose più insensate, ma erano piacevoli da ascoltare. Un po’ Odasaku mancava anche a lui, ma non gli sarebbe mai passato dalla mente di rubare due pietre preziose prima di un’asta così importante.

“Cosa c’entrano gli zaffiri con Odasaku?”

Dazai lo fissò con il broncio e Ango fu preso in contropiede, cercando di capire cosa avesse detto di sbagliato. Nel mentre, il giovane mafioso recuperò entrambe le gemme, portandosele davanti al viso. Le fissò per lunghi attimi, per poi piegare le labbra in un sorriso morbido.

“Mi ricordano il colore dei suoi occhi.”

Nella propria testa e nelle azioni della propria bocca, Ango fu sul punto di replicare, ma si fermò al primo mezzo suono gutturale, ripensandoci, ma senza essere certo dei propri stessi pensieri o supposizioni. Ritirò anche la mano che era partita ad accompagnare la replica con un gesto, ma che si era persa a mezz’aria insieme a quello che avrebbe voluto dire.

Il punto era che non c’era proprio nulla di intelligente da rispondere.

Si passò la mano sulla faccia e fissò Dazai ancora perso nel rigirare gli zaffiri e coglierne i diversi bagliori, chiacchierando in maniera insensata e usando il nome di Odasaku ogni tre parole.

Ango archiviò con un altro sorso di whiskey quella serata e quel piccolo incidente interno sul furto degli zaffiri come un ricordo personale, senza mai riportare una singola nota scritta. Il giorno dopo fece recapitare la refurtiva a Nakahara e ignorò volutamente ognuna delle sue chiamate.

B. Lupin divenne uno dei tanti misteri irrisolti della Port Mafia.

sidralake: (Default)
 

Cow-t, quinta settimana, M1

Prompt: Colpo di scena

Numero Parole: 1052

Rating: SAFE


Nota 1: ispirata a https://twitter.com/kumori_nochi123/status/1232710044002598913  




Le cose non cambiavano mai davvero. Potevano passare gli anni, ma a volte non ce ne si accorgeva. Succedevano casini, quelli non mancavano mai. Rovesciamenti di potere momentanei, nemici che sfondavano la metaforica porta di Yokohama e venivano a fare il bello e il cattivo tempo. Tuttavia, a conti fatti, sempre a una scrivania si finiva, a compilare rapporti, firmare verbali, approvare budget per ricostruzioni, rimborsi, scartoffie su merci varie e certificati per questo o quello. Insomma, a volte non importava che fino al giorno prima ci si era massacrati per le strade della città, si era rischiata l'apocalisse o la cancellazione del paese dalle mappe geografiche. Anche se si era un membro della Mafia - e in particolare uno dei Dirigenti - il dovere veniva prima di ogni altra cosa. 

Così, prossimo ai venticinque anni, ma dimostrandone ancora forse sedici o diciassette, Chuuya stava finendo di controllare l'ennesimo plico di documenti, con una penna tra le dita con cui giocherellava indolente e una tazza di caffè vuota che già faceva sentire la propria mancanza. 

E mentre stava apponendo la propria firma per approvare quanto aveva letto - tre volte per la noia, continuando a dimenticarsi cosa ci fosse scritto - un'ombra si proiettò sopra i fogli e sopra di lui. 

C'erano poche regole nel suo ufficio: mai entrare senza prima aver bussato, anche fosse in atto una rivolta; mai nominare Dazai per nessun motivo che non fosse questione di vita o di morte; mai ergersi sopra di lui. 

Tolta la clausola su Dazai, le altre due regole erano appena state ignorate del tutto. La penna nella mano di Chuuya rischiava di fare una pessima fine, anche se a entrare era stata Kouyou, accompagnata da qualcun altro di cui non riconobbe la voce. 

"Non fare quella faccia" disse la donna, ridendo da dietro la manica del kimono. "Puoi prenderti una pausa. Guarda chi è venuto a trovarti, ha insistito così tanto!" 

L'ultima persona al mondo che Chuuya poteva aspettarsi nel proprio ufficio era Dazai e, per fortuna, la persona in questione non era il suo ex partner. Ma se Dazai era all'ultimo posto, e a salire c'erano un po' tutti i membri dell'Agenzia, di certo sempre in fondo a quella ipotetica lista c'era anche quel "chi" che ora lo guardava dall'alto verso il basso. 

Già. Dall'alto verso il basso. Una costante nella vita di Chuuya. Ma in quel momento il pensiero passò in secondo piano. 

"È uno scherzo" si lasciò sfuggire, facendo cadere la penna sui documenti. 

"Ciao Chuuya" salutò il nuovo arrivato con una voce più profonda di quanto il Dirigente ricordasse, e che chiariva una volta per tutte diversi interrogativi pregressi. Gli anni passavano, alla fine. Se Chuuya era rimasto uguale, non si poteva dire lo stesso per altri. Come in quel caso. 

"Q!?" 

Il tono della voce con cui Chuuya lo chiamò era completamente esterrefatto. L'ultima volta che aveva visto il bambino (e doveva sottolineare bambino, perché ora era meno confondibile) era stato circa tre anni prima durante lo scontro con la Gilda. Da allora sapeva fosse stato prima rinchiuso e poi trasferito, ma non aveva indagato. 

Di certo non si aspettava di ritrovarselo davanti così cresciuto, soprattutto in altezza. E anche di carattere. Da come sembrava imbarazzato, Q dava l'idea di essere un'altra persona, anche se era difficile fidarsi. 

"Hai visto quanto è diventato? E alto?" ridacchiò ancora Kouyou, ripalesando la propria presenza e mettendo il dito nella piaga. "Potreste sembrare fratelli! Poi ora si controlla molto di più, non è vero, Yumeno-kun?" 

Q si grattò la nuca con le dita, assentendo, le gote rosse. 

Chuuya, nel mentre, non sapeva se essere spaventato o chiedersi se si fosse attivato il potere Dogra Magra e fosse tutta un'illusione. Non riusciva a pronunciarsi. 

"Avanti, digli perché sei qui." Kouyou incoraggiò il ragazzo a parlare e lui si schiarì la voce. 

"Ecco..." Q cercò con gli occhi quelli di Chuuya e il giovane uomo cercò di ricomporsi davanti al neo sedicenne. "Non ricordo molto dall'ultima volta che Mori-san mi ha permesso di uscire. So di aver creato molti problemi... ma ho saputo che siete stati tu e Dazai a salvarmi quella volta. Volevo ringraziarti" e lo disse con un inchino davvero molto profondo, quasi da fargli sbattere la fronte contro la scrivania. "Ho delle questioni in sospeso con Dazai e so che è ancora dalla parte del nemico... però con te, Chuuya-kun, posso sdebitarmi" proseguì il ragazzo con convinzione e una punta di allegria. Cosa che spiazzò ancora di più il Dirigente, tanto da farlo annuire con espressione smarrita, finché un'occhiata di Kouyou non lo riportò coi piedi per terra. 

"Dovere" gracchiò Chuuya, per poi schiarirsi la voce. "Sei... cresciuto davvero un sacco" aggiunse, ed era l'unico pensiero intelligente che gli venne. 

"Sì" annuì Q, ridacchiando, ma non con quella risatina tipica di qualcuno che ha dei secondi fini. Un riso più tranquillo e contento. "Mori-san ha trovato chi poteva aiutarmi e ora riesco a controllare meglio il mio potere... e la mia mente, soprattutto. Potrà essere d'aiuto!" 

"È... grandioso?"

Se a Chuuya avessero detto che Babbo Natale esisteva veramente forse sarebbe stato meno scioccato da tutto quell'incontro totalmente inaspettato e destabilizzante. Era un giorno qualsiasi, nessuno lo aveva preparato.

"Chuuya-san, vorrei offrirti un caffè!" continuò Q, speranzoso, guardandolo con quegli occhi e le pupille così particolari. 

"Io dovrei-" 

"Dovresti proprio prenderti una pausa dalle scartoffie!" esclamò Kouyou giuliva, spingendolo ad alzarsi quasi rovesciandolo dalla sedia. "Un caffè sarà un'ottima occasione per ricominciare! Avete tanto da raccontarvi!" 

Chuuya guardò la donna malissimo, sapendo che si stava divertendo come una volpe in quel teatrino surreale. Ma quando poi rialzò lo sguardo, ritrovò di nuovo Q a guardarlo con quella faccia nuova, più matura - era pur sempre nel pieno dell'adolescenza - ma anche molto meno inquietante di tre anni prima. Dava l'idea si essere proprio qualcun altro. Qualcun altro però che era cresciuto in altezza un po' troppo. 

Chuuya sbuffò, mettendosi il cappello e recuperando la giacca. Si avviò alla porta con Q alle calcagna, che si muoveva come se fosse stato ancora un ragazzino, ma con decisamente centimetri in abbondanza su braccia e gambe e risultando un po' invadente. 

"Dovreste smetterla di superarmi tutti in altezza, è frustrante" borbottò Chuuya, ma Q stava già raccontando la sua storia, senza prestargli ascolto.


sidralake: (Default)
Cow-t, quinta settimana, M2

Prompt: Francia

Numero Parole: 1305

Rating: SAFE

Warning: SPOILER! SPOILER! SPOILER!


Nota 1: storiella nata da un headcanon sugli ultimi capitoli usciti del manga. Sappiamo che Dazai (e Dostoevskij) sono stati arrestati e portati in una prigione di massima sicurezza per dotati di abilità a Meursault, un comune della Francia. 

Ora, dato che Chuuya non si vede dal capitolo dell’elicottero in cui salva Kunikida&Co, e Akutagawa in questo arco narrativo ancora non ha messo piede, con la socia ce li siamo immaginati spediti in Francia da Mori per recuperare Dazai, visto anche il patto che il Boss della mafia ha stretto con Fukuzawa sul salvare i membri dell’Agenzia. 

Ovviamente non andrà così, vero Asagiri? 





Uno sbadiglio occupò la bocca di Chuuya per la quarta volta, questo mentre tentava di godersi il croissant ancora tiepido e buttava un occhio al giornale aperto sul tavolino del bar. Il cambio di fuso orario si faceva ancora sentire, nonostante fossero passati già tre giorni. 

Era una mattinata calda ed erano i primi di Aprile. Il cielo era sgombro, i fiori lungo le strade della città avevano colori vividi e il chiacchiericcio generale era un sottofondo tutto sommato sopportabile. Anche se non era una vacanza, Chuuya sentiva nei muscoli la pigrizia tipica delle ferie, col sonno derivato dal jet lag e quell'atmosfera tranquilla che si respirava a Parigi. 

Lui e Akutagawa erano atterrati all'aeroporto Charles de Gaulle con qualche giorno di anticipo rispetto ai piani iniziali. Piani che, sbuffò prima di sorbirsi un sorso di caffè, continuavano a mutare di ora in ora, irritandolo. Non che non avesse dovuto aspettarsi qualcosa del genere: dietro a tutto quel ribaltamento di parti, a orchestrare parte dei giochi, c'era Dazai. 

Così alla fine, tra un tira e molla infinito, e visto che continuavano a non esserci certezze sulle mosse da fare, il Boss aveva deciso di farli partire in anticipo e rimanere in attesa più vicini all’obiettivo. Motivo per cui erano a Parigi e non si erano ancora mossi alla volta di Meursault, aspettando il via libera per agire. 

Da un certo punto di vista sarebbe potuta essere una vacanza, se non fosse stato per l'irrequietezza che Chuuya sentiva serpeggiargli addosso. 

Nel giro di quarantottore scarse, l'Agenzia Armata di Detective era passata dall'essere caposaldo della giustizia giapponese a primo gruppo terroristico ricercato al mondo. Quelle stesse persone con cui la Port Mafia si era trovata invischiata e ai ferri corti più volte, tra traffici illeciti smantellati dal loro ficcanasare, la taglia di sette miliardi sulla Tigre Mannara finita in niente, fino alla guerriglia sul predominio nella città di Yokohama. 

Ma per Chuuya il mondo si era bevuto il cervello. Sarebbe diventato astemio prima di ammettere che i detective dell'Agenzia fossero davvero dei terroristi. Sì, aveva visto anche lui i filmati; sì, il loro capo, quel Fukuzawa, aveva stretto un patto con il loro Boss per la protezione dei suoi uomini, e questo non sarebbe parso innocente a nessuno. Il tutto era però una barzelletta che faceva anche molto ridere. Come lo era Dazai, rinchiuso nella prigione per dotati di abilità più sicura al mondo. E chi era stato mandato lì per tirarlo fuori? 

Altroché vacanze. Dopo quell'inferno, Chuuya avrebbe chiesto la pensione anticipata. Poi perché avessero mandato proprio lui e Akutagawa a recuperare quel mentecatto del suo ex partner ancora non gli era chiaro. Da un lato sì, il patto era ancora valido e l'Agenzia era stata decimata e di certo non sarebbe stata in grado di auto-salvarsi. Dazai era recluso e sorvegliato ventiquattr'ore su ventiquattro lì in Francia, quattro degli altri membri erano dispersi, gli altri quattro sotto la custodia dei Cani da Caccia erano appena spariti, secondo le notizie sottobanco della Mafia e l’ultimo - quello che per poco non aveva fatto andare di traverso il caffè a Chuuya quella mattina - Edogawa Ranpo, lo stronzo che lo aveva incastrato in un libro per quasi un mese, era appena stato arrestato in diretta nazionale e i giornali non parlavano d'altro. 

Un quadro più disastroso non poteva esserci. 

E parlando di quadri, Chuuya occhieggiò con un sospiro al cellulare, senza però scorgere alcuna notifica per lui. 

Visto che avevano "del tempo in avanzo" - per quanto dovessero tenersi pronti a ogni evenienza - Mori-san aveva suggerito loro di fare un po' i turisti. Senza dare nell'occhio e seminando eventuali seccatori, soprattutto senza spargimenti di sangue. Che era come mettere la museruola e la camicia di forza ad Akutagawa - anche se paradossalmente avrebbe funzionato di più mandarlo in giro nudo. Tuttavia, Chuuya aveva notato un inaspettato, quanto inquietante, cambio d'umore nel suo lugubre compagno di missione: Parigi gli piaceva e aveva anche fatto un programma di visite in giro. 

Il giovane dirigente aveva sentito dire che Akutagawa fosse interessato all'arte, ma da qui a trovarselo a studiarsi la cartina della città, gli orari dei musei, comprare i biglietti come una persona normale, era come avere davanti il gemello buono del cane della Mafia più sanguinario che la storia ricordasse. 

Quanto a se stesso, Chuuya era passato dal ritenersi un babysitter al fare quasi l'accompagnatore scomodo. Non che Akutagawa gli avesse detto di no nell'andare con lui, ma non l'aveva neanche interpellato, spingendo il giovane dirigente a dirgli esplicitamente di considerare anche la sua presenza nel comprare biglietti o andare a spasso, per non rimanersene con un palmo di naso. 

A differenza del più giovane, era già stato a Parigi più di una volta, sia per lavoro sia per piacere; avrebbe anche potuto barricarsi nella loro stanza d'albergo e aspettare l'ok a procedere con l'estrazione tra un bicchiere di vino e uno zapping compulsivo alla televisione. Tuttavia, non riusciva a mettere a tacere la sensazione che una qualche trappola dovesse scattare di lì a poco e inghiottirli tutti. C'erano troppe cose che non gli tornavano, troppe pedine in bilico e forze in gioco con cui non avrebbero dovuto abbassare la guardia. Oltre al fatto che, da quello che aveva capito, tutto era opera di un'abilità legata al Libro. 

Chuuya non era tipo da dare retta alle chiacchiere di corridoio su cose che per lo più erano miti, ma essere stato il partner di Dazai aveva implicato ascoltare una serie di informazioni e deliri che, purtroppo, tolte le stronzate sui suicidi, troppo spesso si erano rivelate vere. Conosceva la storia di quel Libro da diverso tempo, in una delle tante confidenze senza né capo né coda di Dazai, ed era una di quelle cose rimaste tra loro, nate e morte in una notte di insonnia che Chuuya aveva archiviato. 

Ma il resoconto sugli ultimi giorni - l'Agenzia di Detective sembra sia stata incastrata attraverso l'uso di un’abilità derivata da un Libro - aveva fatto riaprire quel cassetto all'istante. 

Mori-san non aveva fatto una piega e questo aveva suggerito a Chuuya che primo, sapesse, secondo, non fosse così stupito. Per lui, pensare che bastasse scrivere su un fottuto pezzo di carta qualcosa per poter creare tutto quel macello, lo faceva incazzare come poche cose. Non che si sentisse più magnanimo verso l'Agenzia - considerando anche che su di lui l'effetto era stato qualcosa di più simile a un solletico fastidioso che non se ne va, quindi doveva esserci un inghippo per non cadere nella trappola - ma di sicuro aveva voglia di prendere quelli che stavano dietro a quella pantomima e piantarli metri sotto terra. Perché ciò che stava succedendo all'Agenzia sarebbe potuto succedere a chiunque, inclusa la Mafia. Chuuya questo non l’avrebbe permesso. 

Il suo cellulare squillò in quel momento, distraendolo. 

Era un messaggio di Akutagawa. 

Sono quasi all’ingresso

Chuuya sbuffo, tentando di distendere i nervi, mentre si alzava e abbandonava la colazione non finita. Odiava che gli passasse l’appetito durante una missione, era sempre un cattivo presagio. Lo era anche però sapere di essere lì in terra straniera per salvare il culo a Dazai. Dopo la storia della Gilda e del Cannibalismo pensava che il peggio lo avessero già toccato, ma doveva essere stato un ingenuo a pensarlo. 

“Ripigliati Chuuya” si disse, uscendo al sole caldo della giornata, gli occhiali scuri di nuovo sul naso, un cappello da baseball scomodissimo a sostituire il suo, troppo appariscente, e la voglia di pestare qualcuno repressa nelle spalle rigide. Poteva solo sperare che la visita al Louvre lo rilassasse, anche se la distrazione migliore sarebbe stata quella di ricevere dal Boss l’ok a procedere, andare a prendere Dazai per la collottola e rivolarsene a casa. 

Ogni minuto che passava aveva sempre più la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto. 

“Vaffanculo.” 


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