Feb. 21st, 2023

sidralake: (Default)
 

COW-T 13, prima settimana, M1

Prompt: Un rifugio alla fine del mondo

Numero parole: 1120

Rating: Safe

Warning: //



Alla Socia,
perché abbiamo creato
qualcosa di bello e nostro.



C’era un’unica notte dell’anno in cui la periferia di Tara diventava così priva di vita da dare l’idea di una città abbandonata. 

Era il sette di Luglio e tutti i residenti erano confluiti verso il centro e lungo la via che portava alla costa. Era la Notte delle Stelle, la festa principale del luogo e non c’era motivo per un abitante di Tara di perdersi l’evento. 

A meno di chiamarsi Esme Farrell e festeggiare il proprio compleanno quello stesso giorno.   




«Esme.»

Nonostante il buio pesto e il silenzio che permeavano la casa sull’albero, Zach non ebbe bisogno di cercare l’ex. I suoi sensi di mannaro gli avevano detto dov’era già prima di salire la scala in legno. Fissò l’angolo più buio, quello cieco, dove neanche la luna arrivava attraverso le grandi finestre. 

Zach si chiuse la porta alle spalle e ci si appoggiò stancamente, senza smettere di guardare l’altro ragazzo. Poteva delinearne il profilo anche senza luce - un confine a metà tra la capacità di vedere al buio e una memoria composta da anni di quelle scene - e sospirare nel comprendere cosa gli si agitasse dentro. 

«Perché il posto più sicuro che conosci è quello che ti fa pensare a tuo fratello?»

Esme trattenne il respiro. Non fu un rumore, ma Zach ascoltò il suo cuore accelerare i battiti. Avrebbe potuto decifrare i suoi pensieri solo contando i suoi tu-tum

Odio questa notte.

È passato un altro anno ed Ezra non è qui.

Non c’è nessuno per me.

«Io ci sono.»

Si staccò dall’uscio chiuso e fece qualche passo sulle assi scricchiolanti del pavimento. 

Erano solo loro due per almeno qualche chilometro. Raramente qualcuno girava in quella parte di bosco di solito, quella notte meno che mai. Quella consapevolezza gli diede la sensazione di non poterlo lasciare solo neanche se fosse stato respinto.

Erano solo loro due e una notte che aveva il sentore doloroso della nostalgia e della solitudine. 

Anche sforzandosi, Zach non avrebbe potuto trovare l’odore di Ezra in nessuno degli oggetti infantili che si era lasciato dietro prima di essere portato via dal padre. Eppure, era certo che Esme ce l’avesse fin troppo impresso nella memoria, nella pelle, per dimenticarlo. 

Non importava che lo odiasse. Che Ezra fosse l’inizio e la fine di ogni sua ferita, nell’animo e nelle cicatrici che si era inflitto sul braccio. 

Era un sentimento così ingombrante, spigoloso e soffocante che Zach aveva imparato attraverso Esme cosa significasse sentire la mancanza di qualcuno. 

«Ehi, scemo, ti ho portato una torta di compleanno. Andiamo a mangiarla.»

Il legno cigolò appena. Esme si chiuse di più nel proprio abbraccio, le braccia a circondare le gambe e la testa che si rifiutava di alzarsi e guardarlo. Zach si accovacciò davanti a lui. 

«Si vedono delle belle stelle stasera.»

Riempì il silenzio. Prima o poi avrebbe funzionato. Con Esme era come imparare a suonare un pianoforte. Tanti tentativi sbagliati all’inizio, finché non si iniziava ad azzeccare le note giuste. 

«Se vuoi dimenticarlo possiamo fare del sesso. Scegli tu come.» 

Il mannaro alzò lo sguardo, misurando la casetta in tutta la sua dimensione, sia fisica che emotiva. C’erano dei ricordi, troppi, per lui invisibili, eppure vagavano per quella grande stanza in legno come spettri, sfiorandogli la pelle. 

«È davvero un rifugio per te questo, Esme?» 

«

Tu non puoi capire

«Non mi interessa. Posso portarti via?»

Non era la prima volta. Non sarebbe stata l’ultima. Zach era salito in quella casetta così tante volte con la sensazione addosso di profanare un luogo dove non era stato mai invitato. Anche quando Esme lo aveva portato lì la prima volta, da bambini, per un pomeriggio di giochi. 

Era sempre mancato un secondo permesso che non sarebbe mai arrivato. E che lui non avrebbe mai chiesto al diretto interessato, a quel gemello che non aveva mai visto ma che conosceva attraverso gli sguardi assenti di Esme, in scene come quelle, nelle crepe del loro rapporto. 

Esme sgocciolava Ezra da ogni incrinatura dell’animo e Zach continuava a macchiarsi senza riuscire a lavarlo via. 

Lo detestava come si poteva detestare qualcuno di cui si conoscevano tutti i difetti e i peccati. 

Lo odiava come si poteva odiare qualcuno in grado di portarti via ciò a cui più tieni solo col pensiero. Solo col ricordo. 

«Esme…»

Lo temeva come si poteva temere qualcuno che un giorno sarebbe tornato. 

E i cocci rimasti di Esme si sarebbero rotti in modo definitivo senza che lui riuscisse a fare niente

«Voglio essere io il tuo rifugio. Dimmi cosa posso fare per te.» 

Suonò come una preghiera dal sapore acre di rassegnazione. Zach si era abituato a vedere Esme soffrire. Nel tempo, la pelle del suo cuore era diventata elastica, eppure il dolore non era cambiato. Lo assorbiva diversamente, ma lo assorbiva nella stessa misura, nella stessa quantità ed era come stringere acqua. Poteva solo tentare di travasarlo a piccole dosi. 

«Senti-»

«Zach…»

Il lupo mannaro trattenne il fiato. Trattenne il bisogno di allungare le mani e toccarlo. 

Ci sono Esme, ci sono. 

Io sono qui. 

Proprio davanti a te.

Non posso essere Ezra, non voglio essere lui.

Voglio essere-

«… a che gusto l’hai presa la torta?» 

«Vaniglia e limone.» 

Ciò che di più lontano c’è da quella di mele.

Ciò che di più lontano c’era dall’ombra di Ezra. 

La torta di mele di casa Farrell era preziosa quanto lo sarebbe stato un cimelio di famiglia tramandato di generazione in generazione. Non c’era una vera ricetta conservata da qualche parte ad avvalorarne l’autenticità, forse degli appunti in un libro di cucina, qualcosa di scarabocchiato che recitava tipo Ricordati doppia cannella!, nulla di più. 

Zach non aveva mai saputo la storia completa di quella torta - qualche racconto dalle sfumature leggendarie narrato dalla vocetta impettita di un Esme pre adolescente - ma ne conosceva fin troppo bene l’impronta nell’animo. E poteva solo tentare di esercitare una forza uguale e contraria a quella spirale discendente dal sapore dolce amaro. 

«Non voglio vedere le stelle.»

«Non è vero.» 

Esme alzò il viso per la prima volta. Aveva il broncio tipico delle sue lamentele. Zach rimase imperturbabile, ma il suo petto lasciò andare una parte di tensione. Quella macchia di nome Ezra, come un livido, si stava riassorbendo. 

«Vuoi prima il sesso o la torta?» 

Le zone buie sparirono anche dagli occhi, mentre Esme stirava un ghignetto. 

«Entrambi. Insieme.» Si leccò le labbra, ed era tornato a essere la spina nel fianco di cui Zach si era innamorato senza avere voce in capitolo. «Voglio leccarla dal tuo-»

Il mannaro gli piantò un palmo sulla bocca con una smorfia schifata. 

«Risparmiami i dettagli.»


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