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COW-T 11, sesta settimana, M3
Prompt: 006. You and your words flooded my senses, your sentences left me defenseless, you built me palaces out of paragraphs, you built cathedrals.
Numero parole: 778
Rating: SAFE
Warning:
Note: Una teoria vuole che BEAST sia una realtà alternativa creata da Dazai (dopo la Dark Era) attraverso il Libro per “far rivivere” Odasaku.
Chi sono io per non dare credito a questa angst-issima teoria e non scriverci su?

PS: il riferimento alla voglia di fumare viene dalla novel della Dark Era. 





You and your words flooded my senses,
your sentences left me defenseless,
you built me palaces out of paragraphs,
you built cathedrals.

[Hamilton, il musical]



Svegliati. 

Ehi, Odasaku, svegliati. 

E…

vivi.



Oda aprì gli occhi e si riempì i polmoni con una boccata di aria violenta. Le sue mani andarono automaticamente al proprio petto, tastandolo, ma il pensiero successivo bloccò quel selvaggio frugare contro la maglietta che usava per dormire. 

Cosa stai cercando?

Con un lungo sospiro, Oda regolarizzò il respiro, passandosi le mani sul viso e fermandole sulle tempie. Aveva un vago mal di testa, eppure era sicuro di aver dormito. Tentò di fare mente locale per ricordarsi se avesse bevuto troppo la sera prima, ma non riusciva proprio a rammentarlo. Per un attimo fugace ebbe la sensazione sbagliata di non doversi trovare lì. 

Alzò lo sguardo e si guardò intorno. 

Il suo appartamento era silenzioso e in penombra, anche se il brivido di qualcosa fuori posto non lo abbandonò. Adocchiò una bottiglia di whiskey e un bicchiere sulla scrivania e si convince di aver alzato troppo il gomito. 

Buttò fuori dal letto le gambe, poggiando i piedi sul pavimento; il freddo delle mattonelle gli trasmise una sensazione reale, dandogli un brivido più concreto che lo spinse ad alzarsi e lasciar perdere i pensieri senza capo né coda. 

L’aroma del caffè appena fatto e una nota appuntata sul frigorifero lo aiutarono a fare mente locale. Aveva il giorno libero, anche se Kunikida non aveva approvato, perché voleva dire lasciare l’Agenzia da sola a gestire Akutagawa. 

Kunikida. Akutagawa

Oda ebbe bisogno di ripetere quei nomi, come se si fosse dimenticato del loro suono.

Kunikida era il suo partner in Agenzia. Akutagawa il ragazzino che aveva salvato da se stesso qualche anno prima. Le pensò come informazioni didascaliche, come un altro appunto trovato per caso nella memoria. Concluse che era meglio non toccare il whiskey per un paio di giorni se era arrivato a quel punto. 

Mandò giù il caffè e si concesse una merendina, constatando di avere la dispensa vuota. Un altro dei motivi per cui doveva aver preso il giorno libero. Con uno sbadiglio si spostò verso la scrivania, passandosi ancora la mano sulla faccia e, inconsciamente, sul petto. Aveva una vaga voglia di fumare, come quando interrompeva una sigaretta sul più bello, se non fosse stato che aveva smesso da anni. Eppure aveva il sapore lì, sulle labbra. 

Sbuffando, nel tentativo di liberarsi di tutte quelle sensazioni sconclusionate, si sedette sulla sedia e prese i suoi quaderni di appunti, sfogliandogli pigramente. 

Una villa occidentale abbandonata.

Dei mercenari, morti. 

Un uomo coi capelli argentei e il sorriso folle di chi non ha nulla da perdere.

Odasaku si portò le mani alle tempie, strizzando gli occhi e prendendo un’altra boccata d’aria, sentendo il petto dolore. Non capiva cosa fossero quei flash. Sembravano le scene di un qualche film, ma non aveva visto nulla di recente, non le riconosceva, eppure le aveva impresse in prima persona. 

Due spari, troppo precisi. 

Un ultimo sguardo. 

Un addio.



Il vibrare del cellulare lo svegliò di nuovo. Oda aprì gli occhi sentendo il collo indolenzito. Tirandosi su, notò gli appunti sparsi sulla scrivania, la penna caduta in terra, il bicchiere di whiskey rovesciato di fianco al braccio. 

Con una smorfia, premendosi le dita sul setto nasale nel vano tentativo di mitigare il fastidio alla testa, Oda recuperò il cellulare e rispose. 

«Pronto?»

Dall’altra parte riattaccarono. Oda guardò il display, ma c’era solo la dicitura Numero sconosciuto

Stanco - ed era solo prima mattina - riappoggiò il cellulare sulla scrivania, dando una panoramica al tutto. Ricordava di essersi seduto, di aver iniziato a sfogliare gli appunti, e poi aveva avuto delle fitte alla testa, ma non ricordava per cosa. Era come se avesse sognato e il tutto fosse sparito al primo barlume di coscienza.

Aprì uno dei quaderni, il più vicino, dove aveva lasciato il segno con la penna. Il suo sguardo si assottigliò, leggendo le ultime quattro righe che aveva scritto: 


Tu e le tue parole avete inondato i miei sensi,
le tue frasi mi hanno lasciato indifeso,
hai costruito per me palazzi dai paragrafi,
hai costruito cattedrali


Oda si ritrovò a leggere e rileggere quelle poche parole senza trovarne il senso, eppure sentendole nel profondo. Con le dita di una mano si stava stringendo il petto, mentre l’altra passava su quegli ideogrammi vergati con la sua calligrafia, ma che non sentiva propri. 

Non capiva. 

Ma il telefono ricominciò a vibrare, distraendolo. 

«Pronto?»

«Abbiamo un problema con Akutagawa. Non vuole uscire da sotto la scrivania.»

Oda riconobbe Kunikida e, senza capire il perché, trovò confortante quell’appiglio che gli era appena stato lanciato. Era troppo frastornato, troppo pieno di sensazioni che non capiva, per passare una giornata da solo. 

«Mi vesto e arrivo.»


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