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COW-T 12, seconda settimana, M2
Prompt: La Tigre e l’Acrobata
Numero parole: 1162
Rating: Verde
Warning: il contesto è l’omegaverse, con Omega!Dazai in dolce attesa. 




“Tio Sushi! Tio Sushi! Quetto sei tu!”

Michiko agitò il foglio con la manina come fosse stata una bandiera, piena di orgoglio e di entusiasmo. Al contrario, lo zio Atsushi fu preso in contropiede e continuò a fissare il disegno muoversi, ma senza coglierne l’essenza. Dazai, dalla sua posizione irremovibile sul divano del salotto, in una dolce attesa che stava per superare la linea degli otto mesi, rise della scena.

“Atsushi-kun sembri proprio un gatto che segue una di quelle cannette con piuma giocattolo!”

Il Ragazzo Tigre sbuffò, guardando il mentore con la fronte corrucciata. Michiko non gradì essere ignorata.

“Guadaaa! Sei tu! Sei tu!” insistette, tentando di arrampicarsi sul ragazzo con la sola mano libera - e rischiando invece di lasciarlo in mutande.

“M-Miko-chan aspetta!” balbettò Atsushi, riuscendo a placare la bambina e abbassandosi alla sua altezza per ovviare alla situazione. Finì col mettersi direttamente seduto sul pavimento, in mezzo ai vari giocattoli e peluche. “Avanti, mostrami il disegno!” disse con un rinnovato sorriso, accarezzando i morbidi e buffi boccoli rossi della piccola.

“Qui! Quetto sei tu!” trillò orgogliosa la piccola, con una manata sulla propria opera d’arte, rischiando di strapparla. L’Atsushi del quadro era una macchia grigio chiara con la forma astratta di un gatto ornato di righe nere. Un’ideale di tigre.

“Oh… sì, sono io” commentò e constatò insieme il ragazzo un po’ scettico, fissando la bambina e poi di nuovo il disegno, mentre la sua mente viaggiava a mille per cercare di ricordarsi quando Michiko avesse potuto vederlo nella sua versione mannara. La sua attenzione si spostò quindi sull’altra macchia di colore, corredata di quelli che sembravano arti e quindi più umanoide. Era tutto nero, salvo per la faccia che spiccava rosa, ma era inconfondibile dall’espressione accigliata.

Ad Atsushi scappò un mezzo risolino.

“Questo è zio Ryuu?”

“Acobata!”

“Eh?” il Ragazzo Trigre cercò lo sguardo di Dazai, sentendone la risata.

“Perché non racconti la favola della Tigre e l’Acrobata a zio Atsushi, tesoro?”

Dallo scoppio di entusiasmo di Michiko, corredato di urletto spacca timpani, sembrò la cosa più bella richiesta alla bambina quel giorno.

“La Tigheee è cappata dal cicco!” iniziò la piccola, facendo grandi gesti e finendo sempre con l’indicare la versione disegnata di Atsushi sul proprio disegno. “E l’Acobata l’ha colpita mette fugge!”

Nel dirlo, Michiko recuperò un altro disegno da sotto alcuni giocattoli, cacciandolo tra le mani di Atsushi, il quale lo fissò a occhi sgranati riconoscendo chiarissima la scena. Era qualcosa accaduto diversi anni prima che non avrebbe mai potuto dimenticare.

Nel disegno, c’era lui, sempre versione Tigre Mannara, ma tagliato a metà da qualcosa di nero che partiva dall’Acrobata. Nonostante gli occhi a x disegnati sulla faccia del felino, Atsushi si sentì rincuorato che il foglio non fosse cosparso di scarabocchi rosso sangue. Questi erano invece di un particolare verde brillante, che doveva evidentemente richiamare il potere di Tanizaki, Sasame Yuki.

Atsushi non poté esimersi dal fissare il proprio mentore con esasperazione, sottolineando il tutto con un sospiro di chi la sa lunga.

“Dazai-san, cosa hai raccontato a Michiko?”

“Tighe e Acobata!”

“L’hai sentita” scherzò Dazai, per incorniciarsi il mento con indice e pollice in un’espressione furba. “La storia di come la Tigre e l’Acrobata si sono conosciuti. C’è del romanticismo di fondo, se ci pensi.”

Atsushi guardò di nuovo il disegno dove era stato tagliato a metà. Il concetto di romanticismo non sembrava insito da nessuna parte.

“Akutagawa aveva tentato di ucci-”

Il ragazzo si morse la lingua, lanciando un’occhiata alla bambina, che però aveva appena agguantato due peluche e li stava facendo interagire tra loro continuando a esclamare “tighe” e “acobata” e suoni vari inarticolati.

“Akutagawa ha tentato di fare tu-sai-cosa la prima volta!”

Dazai scoppiò a ridere, per poi massaggiarsi un fianco per un calcetto.

“Chuuya passa le serate a insegnarle le parolacce, puoi parlare normalmente. Non dirai mai nulla di sconveniente che Chuuya non le abbia già detto.”

Atsushi sospirò così forte che sembrò un singhiozzo.

“Non è questo il punto! Perché racconti certe cose a Miko-chan?! Non credo siano… educative.”

Un tentativo vano di fare l’adulto responsabile, ma ripensando al fatto che il rosso Dirigente della Port Mafia stesse insegnando alla figlia gli insulti più coloriti, lo dipinse come un proposito da tempo sprecato.

“Come no!” scherzò Dazai con un ghigno. “La favola di come i suoi zii preferiti hanno cominciato la loro lunga e travagliata storia d’amore! Squartamenti, incomprensioni, gelosie e, alla fine, grazie al mio inestimabile contributo, la collaborazione!” si entusiasmò l’ex mafioso, interpretando con un’espressione diversa, e altamente teatrale, ogni parola pronunciata.

“In effetti una favola è limitante, quasi banale, servirebbe un film d’azione e d’amore, un blockbuster. Dovrei scrivere un copione e venderne i diritti, che ne pensi? Oppure preferisci uno spettacolo teatrale? Certe emozioni le sa trasmettere solo il palcoscenico…”

“Dazai-san…” sospirò di nuovo Atsushi, arrendendosi. Però su una cosa ancora intendeva avere una spiegazione e corrugò la fronte. “Perché hai intitolato la favola La Tigre e l’Acrobata?”

L’uomo fece spallucce e aggiunse anche un gesto minimizzante della questione.

“Come definiresti Akutagawa, con tutte quelle appendici serpentesche che usa per volteggiare in aria nei combattimenti, alle orecchie di una bambina di quasi tre anni? Aggiungi una tigre bianca, un po’ di effetti scenici che creano l’illusione per gentile concessione di Tanizaki, et voilà! Un circo!”

“Ci siamo quasi ammazz-” Atsushi si rimorse la lingua. Qualcuno, in quella famiglia, doveva fingere che gli importasse del linguaggio che Michiko avrebbe sfoggiato a lungo andare. “Non è una storia adatta ai bambini! Sai quanto male mi ha fatto Akutagawa quella volta!?”

La recriminazione di Atsushi restò senza replica, ma attirò l’attenzione di Miko.

“Tio Sushi, Acobata ti fa la bua?”

Il ragazzo le passò di nuovo le mani nei boccoli, trovandoli troppo morbidi per non scompigliarli, e li usò per placarsi, lasciando andare i rimproveri con cui avrebbe potuto ricoprire Dazai. Come sempre, aveva ragione. Anche se in parte ed era dura da ammettere. La loro era proprio una storia che non poteva non essere raccontata.

“Una volta mi faceva la bua” disse soltanto e furono poche parole cariche di ricordi, ma senza più dolore. Era come sfogliare vecchi giornali dalle pagine ingiallite. C’erano cose del passato che erano state archiviate, etichettate per quello che erano, un lungo e tortuoso percorso per arrivare a qualcosa di talmente importante e bello da far dimenticare la sofferenza.

“Ora è diverso” aggiunse con un bel sorriso. “Zio Ryuu mi vuole bene.”

Michiko emise un verso di gioia agitando le braccia, per poi prendere un pennarello rosso e ricominciare a scarabocchiare sul proprio disegno.

“Acobata vuole bene a Tighe” disse orgogliosa, regalando ad Atsushi la sua nuova opera d’arte: una tigre da una parte e un acrobata imbronciato dall’altra, con tanti cuori tutti intorno.

Quella sera, Atsushi avrebbe convinto Akutagawa a incorniciarlo e ad appenderlo nella loro camera.


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