Feb. 19th, 2021

sidralake: (Default)
 

COW-T 11, seconda settimana, M3
Prompt: Pioggia/Oscurità
Numero parole: 5709
Rating: SAFE
Warning: solo io che scopro una ship dopo 14 anni.
Note: grazie a Shiroi che trova le immagini belle a cui ispirarsi ( https://twitter.com/tantan3356/status/915596078497521664




Ghost, I see you standing there
Don't turn away, I want you to stay
Ghost, what's your name? (ooh-ooh-ooh, oh)

[Ghost - Jacob Lee]




Dire che fosse una notte buia e tempestosa era riduttivo. 

Il grande orologio sito nella sala da ballo del maniero era al settimo rintocco della mezzanotte. I dong risalivano dal primo all’ultimo i piani della villa, sovrastando persino il rumore frastornante della pioggia contro i vetri delle finestre. 

Shinichi stava correndo su qui rintocchi. 

Aveva finito la seconda rampa di scale facendo i gradini due a due, sentendo appena la fatica, nonostante il cuore in gola per la situazione. Era riuscito a fregarlo. Tenere l’euforia sotto una certa soglia non era facile, non quando poteva solo che scappare e poteva permettersi pochi errori. 

Nell’oscurità della notte che permeava non solo l’esterno, ma anche i corridoi e ogni stanza, un lembo di stoffa bianca balenò nel campo visivo del detective, dalla tromba delle scale. 

Saturo di adrenalina, Shinichi riprese a correre, contando l’ottavo tocco dell’orologio. 


Al dodicesimo rintocco,
il Cuore Blu dell’Ultima Principessa dei Romanov
si troverà nelle mie mani.
Kaitou KID 




L’avviso del ladro fantasma era arrivato tre giorni prima, dando a Shinichi tutto il tempo di decifrare il piccolo enigma disegnato sul biglietto, piombare nell’ufficio della seconda divisione, far perdere le staffe a Nakamori con le sue deduzioni, tornare a casa a preparare un borsone con un paio di cambi e partire. Destinazione: l’imponente villa in stile occidentale in cui Kaitou KID aveva annunciato il suo prossimo colpo. 

L’unico dettaglio che non gli era ancora chiaro era il quando KID avrebbe deciso di colpire, particolare che dedusse una volta messo il piede giù dal treno. La stazione era tappezzata dai manifesti che annunciavano l’imminente evento del Ballo delle Debuttanti in stile occidentale in programma per la notte successiva. Il gioiello descritto nell’avviso era lo stesso riportato sulle locandine, anche se con il nome di Lacrima Zaffiro

Shinichi avvertì la familiare sensazione di eccitazione pervaderlo. Ogni pezzo stava andando al proprio posto. Avrebbe dovuto solo pazientare, ma prima ancora trovare un passaggio per quella mastodontica villa ottocentesca che si ergeva tra le colline e dominava la valle. 

Una volta arrivato e spiegata la situazione ai proprietari del maniero, per Shinichi fu preparata una stanza extra e dato tutto il sostegno possibile per tentare di arginare il crimine che sarebbe stato commesso di lì a ventiquattro ore. 

Anche se gli organizzatori dell’evento avanzarono dello scetticismo, dichiarando che Kaitou KID fosse solo uno ladro di città snob e che l'agenzia di sicurezza ingaggiata fosse sufficiente - dando a intendere quanto l'arrivo di Shinichi fosse non solo quello di un uccello del malaugurio, ma anche poco desiderato perché a scrocco - il giovane detective liceale ascoltò a malapena tutte quelle chiacchiere. 

Shinichi non fece altro che guardarsi intorno, controllando ogni finestra, aprendola e chiudendola per carpire cigolii strani o meccanismi truccati; passò poi a ispezionare le tende, i quadri, bussò a tutte le pareti, seguito dai proprietari, il maggiordomo e i rappresentanti dello staff che continuarono a porre domande, ricevendo però soltanto risposte sbrigative o a metà. 

Il tempo era poco, gli ospiti - quasi trecento persone - stavano arrivando a ondate, e Shinichi aveva già avvertito la presenza di Kaitou KID in mezzo a tutti loro. 

Era impensabile che Shinichi si mettesse a tirare le guance a ogni singolo invitato, anche quando Nakamori si presentò con una trentina di uomini qualche ora più tardi. 

Senza chiedere se i suoi consigli fossero graditi, immerso del tutto in quella calma prima della tempesta, Shinichi iniziò a istruire alcuni agenti sui punti deboli del maniero, indicando i luoghi da controllare al centimetro in cerca di qualsiasi cosa fuori posto, fosse stato un filo, una scatola, anche un pacchetto di fazzoletti. L'ispettore Nakamori non buttò Kudou fuori a calci dalla porta principale soltanto perché fu distratto dalla preoccupazione dei proprietari, che lo condussero a visionare la Lacrima Zaffiro e le misure di sicurezza adottate. 

Nel mentre, con le mani in tasca che artigliavano la stoffa interna dei pantaloni, Shinichi riprese a contare i minuti che lo separavano dalla sera successiva, stendendo le labbra in un moto di sfida e fiducia in se stesso. 

All’oscuro in un angolo della sala, con la notte che avanzava oltre le vetrate del maniero, il ladro a cui quell’espressione era rivolta rispose a sua volta con un ghignare identico, celato dal proprio travestimento. 




Nonostante il rumoreggiare del cielo, quella che seguì fu una notte tranquilla quanto frustrante. 

Dopo una cena anche troppo ricca - a cui Shinichi era stato invitato con insistenza dalla famiglia proprietaria che voleva raccontati di prima mano alcuni dei casi a cui aveva preso parte - una volta in camera il sonno tardò ad arrivare. Immergersi nella lettura della bozza del nuovo giallo di suo padre non lo prese come sperava, perché il pensiero martellante di KID continuava a pressarlo. 

Come se fosse stato chiamato, un click sospetto fece scattare Shinichi. 

Al pari di una molla, saltò giù dal letto, precipitandosi alla porta. Abbassando la maniglia, questa rimase serrata. La chiave non era nella toppa e neanche dove il ragazzo pensava di averla lasciata. Tentò di nuovo di forzare l’uscio, ma questo non si mosse se non con qualche cigolio. 

"Manutenzione straordinaria." 

La voce giunse dall'altro lato dell’uscio, in un tono che avrebbe voluto essere profondo, camuffato, ma che si macchiò troppo facilmente di una risatina. 

"KID" replicò Shinichi, accovacciandosi per guardare attraverso il buco della serratura. Essendo una vecchia porta, questo era ampio abbastanza da dargli una discreta visuale, ma vide solo una mano salutarlo, muoversi in un gesto veloce e far apparire una rosa blu tra le dita. 

"Buonasera, meitantei."

“Sapevo che ti eri spacciato per qualcuno dello staff tecnico.”

“Ma non da chi” lo sbeffeggiò il ladro. “Mi hai fatto lavorare il doppio con tutti quei tuoi controlli scrupolosi! Ho dovuto smontare tutta la mia attrezzatura, e neanche mi pagano!”

Shinichi lo ignorò. 

"Dov'è la chiave della mia stanza?" 

"Perché non lo scopri?" lo incoraggiò Kaitou dall'altro lato. 

Un biglietto scivolò sotto la porta, finendo contro la suola delle pantofole del detective. C'era il marchio del ladro fantasma sul lato visibile. Raccogliendolo e girandolo, il ragazzo trovò un altro indovinello disegnato. 

La sua espressione fu completamente presa dal gioco di linee, forme, lettere e numeri. 

"Cos'è, il tuo modo per non farmi dormire e approfittare della mia stanchezza per fare il colpo domani?" disse, ma dimenticando il tono esasperato. Senza distogliere lo sguardo dall’indizio, cercò alla cieca carta e penna sulla scrivania della stanza. 

"Oh no, è solo per passare il tempo! Mi stavo annoiando" replicò il ladro, coronando il tutto con uno sbadiglio mentre si stiracchiava. "Sono passato anche prima, ma stavi facendo la doccia. Così ho pensato di nasconderti la chiave."

"E hai rubato il passepartout del maggiordomo." 

"Può darsi. Dai, hai già capito dove l’ho nascosta?" 

Shinichi non rispose perché non aveva risposte da dargli sul momento. Stava continuando a rileggere l'indizio, cercando di dividere gli elementi importanti da quelli disegnati solo per distrarlo. 

“Perché vuoi rubare la Lacrima Zaffiro?” cambiò discorso, avendo un’epifania sull’enigma. Doveva prendere tempo. 

“Non mi chiedi perché nel mio avviso ho chiamato la gemma Il Cuore Blu dell’Ultima Principessa dei Romanov?” 

Shinichi rimase in silenzio e KID ridacchiò. 

“Oh, una cosa che non sai!” 

“Sto risolvendo il tuo indovinello” borbottò l’altro, ma con un sorrisino sulle labbra.

Si tolse le ciabatte per non fare rumore e recuperò la chiave dal nascondiglio indicato dal rebus. Le possibilità di aprire la porta e acchiapparlo al volo non giocavano a suo favore, ma un tentativo doveva farlo. Si schiarì leggermente da gola, scrivendo la risoluzione sullo stesso biglietto a forma di carta datogli da KID. 

“Immagino che c’entri la leggenda di Anastasia” disse quindi, continuando a temporeggiare. 

“In parte” replicò il ladro serafico, per poi abbassare il tono in uno più tiepido, di chi sta per raccontare una favola. 

“Tecnicamente, anche Lacrima Zaffiro non è un nome sbagliato. Viene dalla descrizione del gioiello e dal suo taglio a forma di goccia” iniziò a illustrare e Shinichi aveva la sensazione, non potendolo vedere, che stesse gesticolando. “Nonostante il nome, non è attestato con certezza che sia legato alla famiglia degli Zar di Russia, anche se le leggende non mancano. Si dice che sia un gioiello tramandato per generazioni da madre alla figlia più piccola, come porta fortuna, e che abbia mutuato il proprio nome attuale dalla disgraziata vicenda dell’ultima zarina, che non lo indossò al suo ultimo ballo, portandole così sfortuna. Romantico, non trovi?” 

Kaitou non aspettò una risposta per riprendere. 

“Un’altra storia lo vuole come semplice tributo di un gioielliere vicino alla famiglia reale, rendendo la gemma molto più recente. Solo l’amore di un artista che ha visto spegnersi persone a lui care. Ma qualsiasi sia la storia, il valore non le manca” concluse KID, per poi ascoltare il silenzio in cui erano immersi. 

“Ohi ohi, meitantei, non era una storia della buonanotte! Ti sei addormentato?” 

Shinichi ringraziò che ci fosse la porta a separarli. 

Non avrebbe mai potuto ammettere di essersi incantato, affascinato dal modo in cui il ladro si era immerso a raccontare quella storia, come un estimatore nell’omaggiare e dare valore con le parole a un’opera d’arte. Nel mentre, tuttavia, aveva anche sfruttato quel momento di distrazione a proprio vantaggio, riuscendo a infilare la chiave della toppa in silenzio. 

“Quindi” iniziò il giovane detective, pronto a scattare col proprio piano, conscio che a separarlo dal ladro ci fossero meno di venti centimetri. “Ruberai il gioiello per un valore fittizio di cui non sei neanche certo?” 

Kaitou sbuffò. 

Meitantei, dimmi la verità: non ti sei mai chiesto davvero cosa mi spinge a rubare solo certi tipi di gemme?” sbuffò, per poi aggiungere, più piano, in uno sfogo tra sé e sé: “Ve la prendete tanto ma restituisco sempre tutto!

“So che hai le tue ragioni” riprese Shinichi, abbassandosi con il biglietto in mano da lanciare sotto la fessura della porta. “Ma rubare rimane un crimine, che differenza fa?” 

“Ed ecco il famoso koukousei tantei dell’est e i suoi preconcetti a scatola chiusa” replicò KID, con una vena sarcastica, ma anche con una punta di qualcos’altro - amarezza? - che fece contrarre le sopracciglia a Shinichi. Le dita strette sul biglietto esitarono. 

“Sottrai qualcosa che appartiene a qualcun altro, cosa dovrebbe giustificarti?” 

“Il motivo. Sarei d’accordo con te che l’azione in sé sia da condannare, ma un’azione non sussiste senza un motivo. E i motivi non sono azioni logiche, ma l’insieme delle emozioni di un individuo. Mi segui?” 

“Nel momento in cui un motivo prevarica la vita di un’altra persona è da condannare.” 

KID sospirò sconsolato. 

Ohi, ti ricordo che io non ammazzo nessuno e non ho intenzione di farlo” ci tenne a ribadire, come un maestro delle elementari con un bambino che si è impuntato. “E lo so che in fondo a te frega più riuscire a smascherare i miei giochi di prestigio e mettermi le mani addosso.”

Dall’altro lato della porta, Shinichi non raccolse la provocazione, ancora concentrato sulla discussione. 

“Rubare è un reato” si limitò a ribattere, trincerato nelle proprie convinzioni. 

“Rubare può essere anche divertente, come adesso, no?” rincarò riferendosi alla chiave nascosta. 

“Rubare gioielli non può essere un passatempo” si intestardì il giovane detective. “Anche se dopo restituisci la refurtiva o fai in modo che nessuno si faccia davvero male. Ci sono però altre strade. A te piace dare spettacolo.” 

“E a te non dispiace. Di la verità, se non ci fossi io a lanciarti queste sfide almeno una volta al mese sarebbe tutto più noioso, eh?” 

“Perché lo fai?” 

Stavano girando intorno al reale motivo e Shinichi, distratto da quel chiacchierare, era rimasto a fissare il marchio di Kaitou KID sulla carta, continuando a esitare. 

Esitare non era buono. Esitare significava incertezza, ed essere incerti, nella maggior parte dei casi, lo faceva scivolare nell’errore. Ebbe bisogno di essere diretto. 

Ciò che non si aspettò, fu la risposta altrettanto diretta del ladro. 

“Perché hanno ucciso mio padre.” 

In sé fu un sussurro, ulteriormente mitigato dalla presenza della consistente porta in legno tra di loro. Non più di un leggero refolo che arriva a solleticare l’orecchio, se non fosse stato per la pesantezza che scivolò nella gola di Shinichi con la spigolosità di un frammento di pietra. 

“Lo fai… per vendicarti?” riuscì a dire il giovane detective, sentendo di dover rimanere aggrappato a quel filo sottile tra di loro. 

“I motivi sono come le persone, meitantei. Un insieme di emozioni” rispose KID con una leggerezza ben mascherata e scaturita da anni di accettazione. 

“Anche quando troverò il gioiello che cerco, la mia vendetta sarà solo distruggere il motivo alla base che ha spinto quella gente a prendersi la vita di mio padre. Non mi interessa macchiarmi le mani o uccidere qualcuno. Se non avranno un motivo per cui continuare a fare del male, allora dormiremo tutti sogni più tranquilli.” 

“Esiste un’indagine sul caso di tuo padre?” chiese piano Shinichi. In cuor suo sapeva che non era la domanda appropriata, forse quella che una persona normale si sarebbe aspettata. 

Tuttavia, KID sorrise paziente, accondiscendente, scuotendo la testa. 

“Sì, immagino, archiviata otto anni fa come incidente. Gente pericolosa, sai? Con diversi agganci e metodi definitivi, di quelle organizzazioni che non vorresti mai incrociare” sbuffò con un’alzata di spalle. “Anche se dopo domani andassi a cercare il caso e trovassi un indizio che lo faccia risultare un omicidio, non cambierebbe nulla.” 

“Non posso restituirti tuo padre.” 

KID rise con sincerità, stavolta senza amarezza. 

“Grazie del pensiero, meitantei, ma non intendevo quello. C’è un’altra cosa che le persone riescono a rendere unico e inestimabile come i motivi.” 

“Di che stai parlando?” 

“Dello stile” sghignazzò Kaitou, battendo con le nocche sulla porta. “Arriverò in fondo a questa faccenda col mio stile. Se vuoi indagare, nel tuo stile, sei libero di farlo. Potremmo fare a gara a chi arriva prima, che ne pensi?” concluse, lasciando scemare il divertimento con cui aveva alleggerito la conversazione per farsi venire un dubbio. 

“Prima però dovresti uscire da qui, eh?” 

Non ricevette risposta. 

“Ci sei ancora, meitantei? Spero per te che tu non abbia scelto di uscire dalla finestra perché è un volo di almeno dieci metri.” 

“Ho risolto il tuo enigma” esordì Shinichi neutro. Nello stesso istante, senza più tentennare, lanciò il biglietto che aveva scribacchiato sotto la fessura. 

“Oooh, che bravo, questa è la soluzione?” 

Shinichi registrò il passo con cui Kaitou si scostò dall’uscio per chinarsi a prendere il biglietto. Sfruttò il momento e con precisione e rapidità girò la chiave già inserita e abbassò la maniglia, spalancando la porta con forza. 

Anche se ci aveva solo sperato, imprecò tra sé quando si ritrovò nel corridoio vuoto. Per tutta la lunghezza, sia da una parte sia dall’altra, non c’era anima viva. Ciò che era rimasto di KID era solo la rosa blu e un altro biglietto. 

Buonanotte, meitantei. Prova a prendermi nei tuoi sogni!




Le nuvole coprivano il sole.

C’era aria di pioggia, ma il tempo sembrava ancora reggere, permettendo di svolgere le attività all’aperto come da programma. La mattinata e i preparativi per il Ballo delle Debuttanti stavano quindi procedendo a ritmo spedito, nonostante un intoppo - come qualcuno dello staff esterno aveva apostrofato l’accaduto - durante la colazione. 

Il giovane detective aveva faticato a svegliarsi, ma quando alla sua finestra erano giunte le grida dal giardino sottostante, ci aveva messo meno di due minuti ad arrivare, finendo di abbottonarsi la camicia. 

Allontanatevi dalla vittima! Chiamate un’ambulanza e la polizia!” 

Una giovane donna, con le mani strette sulla bocca, era riversa sul prato, tra i tavoli e i buffet allestiti per tutti i partecipanti. Shinichi ne constatò i segni vitali, trovando un battito debole ma ancora presente. Nel suo campo visivo riconobbe in breve tutti gli elementi collegati all’avvelenamento, dalla tazzina di tè sull’erba, al piattino con i biscotti, al bricco del latte che sgocciolava dal bordo del tavolo. 

“Che nessuno tocchi niente!” abbaiò quando alcune persone si fecero avanti. “Tu!” puntò lo sguardo su una cameriera che si irrigidì, presa in contropiede. “Avvisa quelli della sicurezza che nessuno deve lasciare la proprietà fino al termine delle indagini!” e la ragazza corse trafelata verso l’ingresso. 

“Posso esserti di aiuto anche io?” 

Un’altra cameriera si fece avanti, con un atteggiamento più deciso. Shinichi le dedicò appena un’occhiata, distratto dal suono delle sirene in avvicinamento. 

“Serve di tenere gli invitati a distanza.” 

“È possibile che anche il resto del cibo sia avvelenato?” 

“No.”

Shinichi lo disse con sicurezza, mentre la sua mente lavorava spedita per dare un senso a tutte le prove come se fosse alle prese con un cubo di Rubik. Si sfilò un fazzoletto dalla tasca e, delicatamente, scostò una delle mani dalla bocca della vittima, osservandone le dita. Un’espressione sicura si aprì sul suo viso. 

“Ne sono certo. Il cibo non è contaminato. Il resto dei partecipanti può riprendere a fare colazione.” 

La cameriera, non vista, roteò gli occhi al cielo, con la faccia che diceva un chiaro Come se non ci fosse appena passato l’appetito a tutti quanti

“C’è altro in cui posso aiutare?” 

“Sotto i tavoli” continuò Shinichi, ancora preso dai propri pensieri per prestare attenzione al contesto. “Tra l’erba. Il colpevole deve essersi liberato di una certa prova…” 

“Ok.” 

Nel mentre, lo scalpiccio di una dozzina di persone annunciò l’arrivo dei soccorso e della polizia. 

“Megure ha ragione quando dice che dove ci sei tu qualcuno rischia la pelle” borbottò Nakamori guardando male Shinichi, che con espressione innocente fece spallucce. L’attenzione dell’ispettore fu poi per la vittima che veniva caricata sulla lettiga e portata via dai paramedici. “Che brutto modo di iniziare la giornata. Spero se la cavi.”

“Se la caverà” lo rassicurò il giovane detective, ritrovando la propria serietà. “Il colpevole era alle prime armi, ha dosato male il veleno. O non voleva davvero uccidere, ma questo ce lo faremo dire a breve.” 

Il suo sguardo corse verso alcune persone in particolare. 

“Nakamori-keibu, isoli quei tre. Hanno qualcosa da raccontarci.”

“Ehi ragazzino, smettila di atteggiarti, e ricordati che io e il mio dipartimento ci occupiamo di truffe e rapine. Dobbiamo aspettare la divisione della omicidi.” 

“Arriveranno solo per ufficializzare l’arresto immagino, vero, meitantei?” 

La cameriera riapparve al fianco di Shinichi, strizzandogli l’occhio e alzando la prova che aveva appena trovato, avvolta in un fazzoletto. 

“Era stata nascosta sotto a quel tavolo laggiù, tra l’erba, come avevi detto.” 

L’iniziale attenzione del giovane detective per la donna in livrea fu presto catalizzata dall’oggetto che aveva in mano e che avvalorava la sua tesi su come la vittima fosse stata avvelenata. Prese la prova con attenzione, rigirandola e osservandola con cura. Aveva quel che gli serviva per chiudere il caso. Ora doveva solo capire il movente e quindi il colpevole. 

I motivi sono come le persone, meitantei. Un insieme di emozioni. 

Un brivido corse lungo la schiena di Shinichi. Si voltò di scatto verso il proprio fianco, realizzando in ritardo chi fosse la cameriera. 

La ragazza se ne era già andata. 

“Se hai avuto un colpo di fulmine, la moretta si è diretta verso la cucina a preparare dell’altro caffè caldo perché dice che non ti sei ancora svegliato. La conosci?” chiese Nakamori, sbadigliando. “Del caffè ora ci starebbe proprio bene. Vedi che tornerà tra poco.”

“Tornerà stasera” disse a mezza voce Shinichi, occhieggiando l’ingresso della villa, ma, come per la sera prima in corridoio, non c’era chi si aspettava di trovare. 

“Stasera?” fece eco l’ispettore senza capire. 

“Lasci perdere. Torniamo all’avvelenamento…” 




Shinichi passò al vaglio ogni cameriera dello staff, tentando di essere il meno invadente possibile per non venire accusato di essere un pervertito. Parlò con circa una ventina di ragazze, ma nessuna ricordò la donna alta e mora da lui descritta. Non che davvero ci sperasse di beccare KID ancora in quella mise, ma in qualche modo dovette far passare il tempo, soprattutto con addosso la sensazione persistente che il ladro fosse lì, a pedinarlo con lo sguardo, chissà camuffato da chi. 

L’evento del Ballo delle Debuttanti iniziò intorno alle cinque del pomeriggio. In accordo con la divisione omicidi, sopraggiunta solo per le formalità - come KID aveva previsto - il programma della giornata sarebbe potuto proseguire, lasciando alla scientifica il tempo di fare gli ultimi rilevamenti e permettere poi all’unità di Nakamori di presidiare il resto in attesa del furto. 

Shinichi aveva ipotizzato fino a quattro scenari diversi dagli elementi che aveva raccolto. Quattro possibili modus operandi che Kaitou KID avrebbe potuto utilizzare per mettere le mani sul Cuore Blu o Lacrima Zaffiro - il nome continuava a essere un dettaglio per un secondo momento. 

In ognuno di quei casi, sarebbe stato pronto a contrastarlo, doveva solo sopravvivere alla serata senza morire di noia. Si concesse delle chiacchiere amichevoli, conobbe qualche personalità grazie alla nomea dei propri genitori, rivide con Nakamori i punti essenziali e le possibili criticità che il ladro avrebbe potuto creare - anche se l’ispettore continuò a sbuffare e rispondergli male a ogni affermazione. 

Per tutto il tempo seppe di avere gli occhi di KID addosso. La pelle d’oca sulle braccia non lo abbandonò un singolo minuto, ma più si guardava intorno, più vedeva persone perfettamente a loro agio e immerse nell’evento in corso. 

Arriverò in fondo a questa faccenda col mio stile. Se vuoi indagare, nel tuo stile, sei libero di farlo. Potremmo fare a gara a chi arriva prima, che ne pensi?

Ammettere che fosse intrigante sarebbe stato come sminuire la profondità dei fatti. 

KID si era aperto con lui come lo si sarebbe fatto con una persona in cui si ripone fiducia, ma Shinichi non era un suo amico, era una delle persone che voleva mettergli le manette ai polsi. 

Tuttavia, ora che sapeva il motivo, qualcosa sarebbe cambiato? Il suo atteggiamento sarebbe stato diverso? KID stava minando le sue fondamenta per crearsi una via di fuga sicura? Ma lo avrebbe fatto arrivando persino a mettere in mezzo l’omicidio di suo padre? 

Shinichi non dubitava della sua sincerità. Aveva sentito quella confidenza. Era autentica, tanto da avergli bloccato qualcosa dentro. Tuttavia, i suoi principi rimanevano saldi. Rubare era sbagliato, anche quando KID restituiva il tutto. Cosa stava cercando in quelle gemme? 

Mani in tasca, lo sguardo di Shinichi finì sulla teca dove il Cuore Blu era conservato, per poi spostarsi sulle coltri di nubi che non avevano mai lasciato uno spicchio di cielo sereno.

Pioveva ormai da due ore, eppure la festa andava avanti, con la musica che sovrastava il picchiettio costante. Avrebbe potuto coglierne una metafora per spiegare lo strano sentimento che gli si stava insinuando nel petto, ma rinunciò. 

Era una di quelle notti. 

Le notti di KID, anche se, senza luna piena, era solo una notte a metà. Questo però non avrebbe fermato il ladro. 

Quando la luce andò via, Shinichi vestiva già il proprio ruolo, pronto ad andare in scena.




“Mantenete la calma” esordì, sovrastando il cicaleccio tra i partecipanti. 

Senza corrente si era interrotta la musica, e il rumore frenetico della pioggia aveva invaso l’ambiente quanto l’oscurità, in un umido sentore di presagio. 

Shinichi controllò il proprio orologio da polso con le lancette luminose. 

“Mancano cinque minuti a mezzanotte.” 

“Al dodicesimo rintocco” recitava il primo biglietto inviato dal ladro fantasma. KID era puntuale con le sue istruzioni o l’arroganza non sarebbe stato un suo tratto distintivo. 

Gli occhi attenti del giovane detective spaziarono la grande sala, ma salvo per qualche lampo lontano che ogni tanto illuminava gli astanti attraverso le grandi vetrate, non c’era alcuna fonte di luce. Distinguere i movimenti sospetti non era facile. 

“Ce la facciamo con questo generatore di emergenza!?” abbaiò Nakamori, dall’altra parte della sala. 

“Signore! I cavi sono stati tranciati!” 

Shinichi prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. Quattro minuti.  

Scenario tre. 

“Le torce allora! Datevi una mossa!” 

“... s-signore” tentennò uno dei poliziotti. “Q-Qualcuno ha colorato di nero i vetri delle torce-” 

Che cosa stai dicendo!?”

Shinichi si corresse. 

Scenario quattro. La notte eterna. Tre minuti. 

“Nakamori-keibu” chiamò, avvicinandosi al gioiello e illuminandolo con una piccola torcia montata su una penna stilo. Lo zaffiro gli rimandò un riflesso blu che, in un altro momento, sarebbe rimasto ad ammirare, ma che in quell’attimo gli diede solo la certezza, ispezionando velocemente il piedistallo, di essere l’originale. “Scelga quattro uomini - quelli con i riflessi più veloci - e li faccia sistemare intorno alla Lacrima Zaffiro, a una distanza di un metro. Veloce.” 

“Senti, ragazzin-” 

Due minuti.” 

Nakamori imprecò, chiamando quattro nomi che, seguendo il puntino luminoso tenuto dal giovane detective, si posizionarono come richiesto. 

“Indossate le maschere anti-gas” disse Shinichi dimezzando il tono di voce in modo che solo i pochi uomini scelti e l’ispettore lo sentissero. “Ma state pronti a levarvele, potrebbero seguire la sorte delle torce. E rilassatevi” aggiunse con un mezzo sorriso, cercando di stemperare la tensione. “Non è nello stile-” si interruppe, mordendosi un labbro. “KID non uccide. Più siete nervosi, più vi fregherà.” 

Guardò l’orologio. 

“Un minuto.” 

Nonostante le trecento e più persone presenti, per quell’unico minuto ci fu solo silenzio. L’attesa attanagliò tutti, serpeggiando tra gli invitati e mordendo loro il respiro. Il ticchettio dell’orologio incastonato nel muro in fondo alla sala risuonò anche più forte dei tuoni e direttamente nelle vene degli astanti. 

Shinichi avvertì l’inconfondibile sbattere del mantello di Kaitou KID a dieci secondi dalla mezzanotte e la tensione raggiunse il culmine. 

Qualcuno gridò il nome del ladro, molti altri urlarono e basta, ma il primo rintocco della mezzanotte, in un suono cupo e vibrante, mise a tacere tutti e fece da padrone su qualsiasi altro rumore. 

L’azione si consumò in pochi battiti di ciglia. Un soffio che spegne una candela.

La piccola torcia cadde di mano a Shinichi, colpita da una carta, facendo tornare il buio assoluto. Nello stesso momento, la teca in vetro andò in frantumi, mentre gli uomini di Nakamori e l’ispettore stesso si lanciavano nel tentativo di afferrare il ladro. 

Secondo rintocco. 

Il giovane detective dell’est non si fece abbindolare dal manichino bardato come KID assaltato dalla polizia, ma seguì lo scintillio blu dello zaffiro che, nell’urto degli agenti contro il piedistallo, stava rotolando in terra. Si affrettò, chinandosi per afferrarlo.

Al terzo rintocco, Shinichi si trovò accucciato, faccia a faccia con KID, nascosto da un mantello nero che lo rendeva invisibile.  Si ritrovò a fissare quel suo sorrisetto smaliziato, sempre due passi davanti a tutti. 

Perché hanno ucciso mio padre.

Shinichi diede retta a quell’emozione senza forma che si entra incastrata nel suo petto. Disse una cosa di pancia, ma la confusione e il quarto rintocco coprirono le sue parole. 

Non fu minimamente calcolato, ma quell’imprevisto gli diede un doppio vantaggio: l’espressione sorpresa - impagabile - di KID e sentire con le dita di aver afferrato il Cuore Blu, sfilandolo dal guanto del ladro. 

Fu il battito del cuore di Shinichi a risuonare in quel momento, come un ordine.

Bloccando il respiro nei polmoni, il detective si voltò e cominciò a correre verso l’uscita della sala. 




Devo resistere ancora quattro rintocchi, pensò Shinichi correndo per uno dei lunghi corridoi della villa. 

Suonò il nono dong e la sensazione di vittoria si fece strada tra i muscoli tesi del detective, ma lui la ricacciò indietro per non distrarsi. 

Gli bastò voltare appena la testa indietro per sapere di avere KID alle calcagna. Il bianco del suo completo rifletteva la minima fonte di luce, rendendolo etereo e facendolo risplendere come un fantasma nell’oscurità della notte. 

Al decimo rintocco, Shinichi fu sfiorato alla spalla da una delle carte sparate dalla pistola di KID. Non si lasciò intimorire e tentò di accelerare, nonostante avvertisse le gambe consumate dalla tensione. 

Altre due carte sfrecciarono intorno a lui. Una di queste colpì la vecchia chiusura di una delle finestre. Il vento del temporale fece il resto. 

All’undicesimo tocco della mezzanotte, la finestra davanti al detective si spalancò e lui fu costretto ad alzare il braccio per pararsi dal battente. Strinse più forte la Lacrima Zaffiro nel palmo della mano, a costo di farsi male, ma sapeva di aver perso nel momento in cui incespicò nei propri piedi e perse l’equilibrio. 

Al dodicesimo rintocco Shinichi finì a sbattere contro la parete del corridoio. 

KID lo aveva afferrato per un polso e il detective aveva sfruttato quella presa per cercare di bilanciarsi, ma erano finiti col fare un mezzo volteggio, finché il muro non li aveva fermati. 

Shinichi tese d’istinto il braccio al massimo, la mano una gabbia intorno al gioiello, mentre le dita del ladro gli solleticavano il palmo. 

Anche se le possibilità di fuga si erano drasticamente ridotte, Shinichi non se la sentì di riprendere a respirare. Non quando Kaitou KID gli era addosso, nel senso più conciso del termine. 

“Corri davvero molto veloce, meitantei” ansimò il ladro e il detective sentì il respiro sulle labbra serrate. I suoi occhi erano blu. Come la rosa. Come la Lacrima Zaffiro. 

“Hai perso” sussurrò Shinichi, stringendo sicuro la gemma, nonostante l’insinuarsi delle dita dell’altro tra le proprie. 

Il sorrisino scaltro di KID si ampliò e il suo corpo premette quello del detective contro il muro con più decisione, togliendogli il fiato. 

“Lo sappiamo solo io e te” ridacchiò il ladro e Shinichi sentì la risata vibrare nel petto. Si chiese se pure il battito del proprio cuore, che lui sentiva pulsare con prepotenza nelle orecchie, lo avvertisse anche KID. Se possibile, il detective tentò di allungare il braccio ancora un po’. Era così teso e concentrato sul ladro da non poter lasciare spazio alla stanchezza. 

“Dove pensi di andare?” chiese Kaitou, piegando leggermente la testa di lato e cambiando angolatura con cui fissarlo. Se possibile, per Shinichi fu anche più intimo di averlo completamente spalmato addosso. 

Tentò un colpo di reni improvviso per liberarsi e coglierlo alla sprovvista, ma non funzionò. KID, più fresco e all’apparenza per nulla nervoso, quasi a proprio agio, lo trattenne contro il muro senza mutare espressione di una virgola. 

“Hai detto una cosa prima, nella sala del ballo, al quarto rintocco.” 

Shinichi serrò la bocca in una linea sottilissima come risposta, guardandolo allo stesso modo in cui avrebbe giudicato l’ultimo dei criminali. KID roteò gli occhi al soffitto con pazienza. 

“Ti ho letto le labbra.”

Lo sguardo del detective si assottigliò, non credendogli. Non c’era però modo di incrinare quella poker face che KID sfoggiava abitualmente durante i suoi colpi, anche quando la situazione sembrava precipitare. 

Per un istante fugace, Shinichi si chiese se fosse così anche tutti i giorni. Si chiese chi fosse KID tutti i giorni

Perché era un ragazzo. Della sua età su per giù. Uno studente? Un liceale? 

“Ohi ohi, meitantei, lo so cosa stai facendo. Non ti distrarre” lo richiamò il ladro, per poi avvicinarsi, la testa ancora inclinata, superando il suo viso e parlando direttamente al suo orecchio. 

Se ti interessa così tanto conoscermi, perché non esci con me una volta?” 

Il cervello di Shinichi smise di funzionare. In mezzo secondo fu certo anche che qualcosa nel proprio petto si fosse arrestato. Nello stesso istante, le dita di Kaitou forzarono la sua mano, ma non si chiusero sul Cuore Blu. Si intrecciarono con le sue, tenendo la gemma premuta tra i loro palmi. 

“Terra chiama il grande detective?” lo dileggiò il ladro con un’occhiata vittoriosa. 

Si schiacciò di nuovo, per un’ultima volta, contro il suo corpo immobile, per rendere la sua mossa successiva ancora più efficace. Alzando leggermente il viso, premette le labbra contro la sua guancia, osservando deliziato la reazione. 

Shinichi spalancò gli occhi, arrossì all’istante ed ebbe un leggero spasmo dovuto alla sorpresa. KID sfruttò interamente quel lungo attimo per fare un passo indietro e, allo stesso tempo, sflilare il gioiello dalla mano del detective. 

Non ci furono scatti improvvisi, contrattacchi o qualsiasi tipo di reazione. Il giovane detective lo fissò sgomento, il viso acceso dall’imbarazzo. Il muro sembrava il miglior supporto dopo quella mossa destabilizzante. 

“Sembra che stanotte io abbia rubato più di un cuore” celiò Kaitou KID, facendo sparire la Lacrima Zaffiro nel palmo. 

“A-Aspetta.” 

KID rimase di schiena alla finestra, ignorando la pioggia e le folate di vento che gli animavano il mantello. Il suo sorriso sicuro gli attraversava il viso, ma nei suoi occhi il detective vide qualcosa di diverso. Se lo stava immaginando…? 

“Ti aiuterò.” 

Con una mano guantata, il ladro fantasma si afferrò la falda della tuba, abbassandola abbastanza da celare il proprio sguardo. 

“Lo so, meitantei. Ti avevo letto le labbra.” 

Con un balzo, il ladro fu sul davanzale della finestra quando un lampo illuminò per un attimo l’oscurità e fece risaltare il bianco che indossava. 

“Vediamoci all’acquario di Beika domenica prossima. Puntuale alle cinque.” 

Cosa?” 

Il mantello di KID si tese all’improvviso, trasformandosi nel suo aliante. Kaitou lo guardò in faccia per un’ultima volta, levando poi la mano in cui teneva lo zaffiro. 

“Vieni, se vuoi che ti restituisca il cuore.” 

Prima che il detective potesse afferrarlo, Kaitou KID si lasciò andare all’indietro, sfruttando una raffica di vento a proprio favore e volando via. Sparì in pochi secondi, inghiottito dall’oscurità della notte. 

Shinichi tentò di seguirlo con lo sguardo, ma le frustate di pioggia contro il viso gli resero l’impresa difficoltosa. Quando si arrese, seppe di aver perso su tutta la linea. 

Eppure qualcosa, dentro di lui, batteva in modo diverso. Si appoggiò una mano sulla guancia ancora calda, dove KID lo aveva baciato. 

Dovette ripeterselo una seconda volta per allineare la parola al gesto e alla realtà. 

Gli aveva chiesto di uscire

“E sentiamo” disse a nessuno in particolare, ma col bisogno di buttare fuori il pensiero. “Come dovrei riconoscerti, ladro fantasma?” 

La risposta l’aveva già. Tuttavia, pensare a quegli occhi così espressivi, fissi nei suoi, lo fece avvampare di nuovo, stupidamente. 

Non poteva dargliela vinta. Sarebbe andato all’appuntamento. 

E avrebbe recuperato entrambi i cuori


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COW-T 11, seconda settimana, M2
Prompt: Una semplice domanda
Numero parole: 1204
Rating: SAFE
Warning


Il modo migliore per fare una sorpresa a Furuya era andare dritti al punto. 

Saper organizzare qualcosa alle sue spalle senza lasciargli sospettare nulla era un’impresa che richiedeva tempo, una strategia e persone fidate che avessero una faccia di bronzo inossidabile. Tutte cose che Shuichi e Shinichi non avevano a portata di mano, quindi puntarono sull’improvvisazione. 



“Non è il mio compleanno.”

Fu la prima cosa che Rei tenne a specificare quando mise piede nell’androne di casa Kudou, dove le luci erano state spente e quei due idioti se ne stavano in piedi. Akai sorreggeva con le mani una torta che sopra aveva - con un calcolo a colpo d’occhio - circa trenta candeline. 

“Non lo è ancora” lo corresse Shinichi con un sorriso che inneggiava al più basso istinto di prenderlo a schiaffi. “O potremmo anche dire che è passato.” 

“Questione di punti di vista” concluse Akai, sfoggiando un’espressione uguale a quella del più giovane. 

Rei aveva davvero voglia di colpirli quando lo fissavano così. Non c’era mai nulla di buono da aspettarsi. Per questo rimase fermo sulla porta, la giacca ancora addosso, una busta di carta con dentro i grembiuli del Poirot da mettere in lavatrice. Li studiò per capire le intenzioni, ma loro, consci di quel suo gesto, rimasero fermi in attesa, le ombre sui loro volti che mutavano seguendo il baluginio delle candele. 

Rei sbuffò arrendendosi, iniziando a togliersi le scarpe.

“Perché?”

Shinichi e Shuichi si scambiarono uno sguardo, come se non avessero preso in considerazione il perché. Per avere quasi quindici anni di differenza somigliavano più a due fratelli dispettosi che a un agente dell’FBI e a un giovane detective liceale con la vita incasinata. 

Rei si soffermò soprattutto su quest’ultimo, con una seconda occhiata. Arrivare a prendere l’antidoto per l’APTX4869 e farsi trovare adulto doveva per forza presupporre qualche guaio in vista. 

Allora? Cosa significa?” incalzò con un tono che avrebbe usato per spronare uno dei tuoi sottoposti, tipo Kazami. 

“Non ci avevi detto del tuo compleanno” buttò lì Shinichi con un’alzata di spalle e niente di più. “Scoprirlo non è stato facile come pensavamo.”

“E coglierti con la guardia abbassata non è cosa da poco” aggiunse Akai, il cui sguardo sembrava intendere diverse altre cose. 

Rei si impose di non abboccare, avvicinandosi finalmente agli altri due e venendo illuminato in volto da quelle trenta candeline. 

“Non c’era bisogno di festeggiare” sospirò, cercando di sciogliersi un po’, allentando un po’ l’irrigidimento delle spalle. 

Non era più abituato a ricordarsi un evento come il compleanno o a pensare di celebrarlo. Era solo un modo per tenere il conto di quanti anni il suo lavoro gli stesse succhiando via come un vampiro. Non che se ne lamentasse davvero. Avrebbe dato la vita per quello che faceva. Voleva solo dei risultati concreti, trovare il modo di chiudere quel pozzo oscuro e profondo in cui si era calato più di cinque anni prima e che gli aveva portato via troppe persone e occasioni importanti. 

“Dai, spegni le candeline!” lo incoraggiò Shinichi. 

“Ed esprimi un desiderio” continuò Akai, ma sempre con quel suo modo di fare un po’ ambiguo. 

“Perché?” 

“Porta fortuna” spiegò il giovane detective con un ampio sorriso. 

L’espressione di Furuya era quella di chi è abituato alle ultime parole famose. Con un sospiro che fece tremolare le piccole fiammelle, prese un respiro più profondo - pensò qualche secondo a cosa potesse desiderare, magari a una svolta positiva - e soffiò sulle candeline. 

In un attimo fu solo buio. 

Seguì un altro sospiro, spazientito ma anche rassegnato. 

“Non avevate pensato al dopo?” 

“Eh-” iniziò Shinichi, per poi ridacchiare e tastarsi i fianchi. “Ho lasciato il cellulare in cucina.” 

“Il mio è scarico” puntualizzò Rei. 

“Il mio è nella tasca destra” istruì Akai, girandosi di tre quarti verso Furuya, facendo attenzione a reggere la torta. 

Rei infilò le dita nella tasca destra, ma la trovò vuota. 

“Ah, devo averlo lasciato anche io in cucina” ridacchiò a mezze labbra Shuichi.

“Quanto sei spiritoso” replicò la spia a denti stretti per esserci cascato. Gli rifilò una pacca sul fianco, ma questo non fece che aumentare la sommessa risata dell’altro. 

“Sto reggendo la torta” gli ricordò, anche se non sembrava davvero un problema. 

“Non la terrai per sempre” fu la minaccia non tanto blanda. 

La luce si accese sulle loro teste, cogliendoli un attimo impreparati.  

“Ma guardatevi” commentò Shinichi, giudicandoli da lontano. “Siete proprio una coppietta imbarazzante.” 

“Solo perché Ran non è in giro” lo rimbeccò Akai, voltandosi e superandolo per tornare in cucina. Il giovane detective gli fu subito dietro per protestare, rosso sulle gote, mentre Rei scosse la testa, seguendoli a distanza. 

Non si aspettava di trovare degli striscioni colorati alle pareti, qualche palloncino, un piccolo buffet sul tavolo insieme a tovaglioli colorati, una bottiglia di ottimo vino e tre cappellini a cono. 

Fu con uno di questi in mano che Akai gli si ripresentò davanti, un angolo della bocca inarcato in un’espressione che non prometteva nulla di buono. 

Perché?” richiese Rei, impuntandosi su quell’unica domanda, ma caricandola di tutta l’assurdità di quella situazione. Iniziò a pensare di aver battuto la testa e di stare a immaginarsi tutto, ma la faccia tosta di Shuichi era troppo reale, insieme allo sghignazzare di Shinichi poco distante, già seduto su una delle sedie alte intorno al bancone della cucina. 

“Puoi frenare le congetture” gli rispose Akai, infilandogli il cappellino da festeggiato. Furuya glielo permise solo per farlo continuare a parlare. “Volevamo regalarti un po’ di stacco da tutto il lavoro che stai facendo.” 

“Mi state facendo venire i brividi.” 

Shinichi rise sinceramente e Akai fu sul punto di fare altrettanto. 

“Furuya-san, rilassati!” tentò il giovane detective, facendo cenno agli altri due di raggiungerlo al tavolo. 

Rei ci mise ancora qualche istante prima di provare, solo provare, a distendere i nervi. Poteva credere che fosse davvero il loro modo per sollevarlo dalle preoccupazioni e dalle incombenze che tre vite diverse gli davano. Fosse anche stata solo una trappola per qualche scherzo, per quella sera avrebbe pensato ad altro. 

“Mangia, voglio sapere che ne pensi.”

Akai lo riportò coi piedi per terra offrendogli un piatto con diversi stuzzichini assortiti. L’aspetto non era quello patinato del cibo comprato, ma più quello casalingo di chi ci aveva messo particolare cura. 

“Hai fatto tutto tu?” lo scetticismo di Rei era vagamente divertito. L’alter ego di Akai, Okiya Subaru, stava conquistando sempre più territorio, almeno dal punto di vista culinario. L’Akai che ricordava lui - Rye - era capace appena di mettere insieme due fette di pane e una farcitura commestibile. 

“Sono stato in videochiamata con Yukiko-san per tutto il pomeriggio. Non rischi l’avvelenamento.” 

“Confermo, sono buoni” si intromise Shinichi, afferrando qualcosa a sua volta e iniziando a mangiare senza aspettare il festeggiato. 

Rei si arrese, definitivamente, con un piccolo sorriso. 

Prese una tartina, la squadrò per bene fingendo ancora dello scetticismo lungi dal provare, lanciò un’occhiata sottile a quell’agente dell’FBI che ormai gravitava nella sua mente e nella sua vita troppo insistentemente, e alla fine diede un morso. Il suo carattere puntiglioso precisò che un margine di miglioramento era fattibile, ma quello che Furuya espresse fu un mmmh soddisfatto. 

“Ti piace?” 

“Sì.” 



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COW-T 11, seconda settimana, M1
Prompt: Soldi - Mahmood
Numero parole: 2142
Rating: SAFE
Warning: accenni ad abuso di alcool e menzioni di suicidio. 


Penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai
Non ho tempo per chiarire perché solo ora so cosa sei

[Soldi - Mahmood]




Il Boss la attende per un colloquio questa sera, Chuuya-san. Ci sono dei cambiamenti improrogabili che richiedono la sua presenza. 

Hirotsu era stato un ambasciatore impeccabile, freddo e distaccato. Anche col senno di poi, con la calma di chi, dopo anni, ripensa a certi avvenimenti, Chuuya non avrebbe saputo stabilire se, dalla sua espressione o dai suoi gesti, sarebbe stato in grado di comprendere di quali cambiamenti improrogabili si stesse parlando. Lo aveva seguito e, quello che aveva trovato - o meglio, quello che non aveva trovato - non gli era piaciuto.

Tuttavia, il punto era un altro. 

Chuuya era venuto a sapere cosa fosse successo contro la Mimic circa quarantotto ore dopo che la Port Mafia aveva mandato gli Spazzini a ripulire la villa occidentale teatro dell’ultimo scontro. La notizia, l’intera vicenda, gli era arrivata in faccia come uno schiaffo, non lasciandogli il tempo di assimilare i dettagli. 

Non aveva mantenuto lo stesso aplomb di Hirotsu, neanche vagamente. Alcuni pavimenti del quartier generale della Mafia, anche a distanza di anni, conservavano intatte delle crepe a ricordo della sua esplosione di emozioni.

Nessuno ne parlava apertamente, ma tutti bisbigliavano sul colloquio tra Mori-san e il Dirigente più giovane - l’ultimo rimasto - della Port Mafia. Sussurri che si rincorrevano, ipotizzando cosa ne sarebbe emerso. Si parlava della sparizione del pupillo del Boss, del suo erede. Tutti sapevano, ma nessuno, neanche sotto tortura, avrebbe mai ammesso una verità simile.

Nulla era mai facile quando di mezzo c’era Dazai Osamu. Le circostanze riguardo la sua scomparsa - che, in breve, era diventata la notizia del suo tradimento, ma guai ad alzare troppo la voce - aveva già fatto il giro di ogni rango della malavita. 

In pochi sapevano davvero cosa fosse successo, ma bastava una mano sola a contarli. 

Uno di loro, quello sulla bocca di tutti, si era volatilizzato e non aveva lasciato tracce di sé. Uno aveva tradito, rivelandosi una spia. Uno vagava per la città come il cane randagio che era, alla ricerca dei nemici superstiti e del proprio orgoglio. Uno era seduto sul trono del vincitore, nell’ufficio all’ultimo piano della Port Mafia, girando il cucchiaino in un caffè ormai freddo ascoltando la frustrazione di un appena diciottenne. Uno era morto e la sua tomba non era ancora stata eretta a parlare per lui. 

Chuuya non era tra questi, ma aveva appena ereditato tutta la loro storia sulle spalle. 



Ci avrebbe messo diverso tempo ad ammettere di avere un problema. 

Il consumo continuo di vino che stava facendo in quel periodo era un effetto collaterale, ma il sapore di questo era l’unico in grado di sciacquare la bocca di Chuuya e annegare parte dei pensieri che giornalmente lo stavano ossessionando. 

Raramente si ubriacava in pubblico, che fosse con i suoi uomini o con i suoi colleghi. Gli era bastato vedere il disappunto e la delusione negli occhi di Kouyou, una volta che aveva toccato pesantemente il fondo, per imporsi di limitare il consumo di alcolici al privato. Solo lui, la bottiglia, le sigarette e una parete a vetro da cui contemplare le profondità più oscure e beffarde della verità.

Come quella notte. 

Erano le tre del mattino e Chuuya stava aspettando una telefonata, osservando il mondo attraverso il rosso un calice di vino. La skyline di Yokohama, delineata dalle luci della città, era un percorso che gli occhi del giovane Dirigente avevano iniziato a tracciare ogni sera. Dei punti fissi capaci di restituirgli un senso di stabilità. 

Un tempo le aveva odiate. 

Erano passati tre anni da quando non viveva più a Suribachi, in un cratere fatto di buio, speranze mal riposte e rassegnazione. Era il piedistallo dell’inferno. Il punto più alto del fondo che una persona poteva raggiungere. Per una banconota stropicciata erano stati uccisi amici e famigliari. 

Fissare le luci di Yokohama da uno dei tetti di quel luogo significava contemplare ogni notte la propria sconfitta, farsi tenere compagnia dalla solitudine di non essere nessuno. Erano stelle finte, che ti fissavano di rimando con una pietà artificiale, silenziosa e beffarda. 

Col senno di poi, sapere di essere il fautore di quel posto, che l’entità che viveva dentro di lui fosse l’artefice di quel buco infernale, aveva solo aggiunto in Chuuya un tassello al puzzle di ricordi che conosceva per sentito dire, ma che non avrebbe mai afferrato. 

Era stato il Re delle Pecore, aveva abitato e vissuto ogni angolo di Suribachi, l’aveva chiamata l’unica casa possibile per qualcuno come lui. Aveva lasciato che il sudiciume e la rassegnazione di quel luogo si iniettassero nelle sue vene e lo paralizzassero al punto di non fargli scorgere altro oltre il bordo della miseria. C’erano i suoi compagni. Aveva vissuto e combattuto per loro, anche quando, alle spalle, le loro parole erano state lame.

La prima volta che, dall’ufficio di Mori, aveva visto Yokohama nella sua interezza, dall’alto, dal trono, aveva capito che c’era altro. La consapevolezza che quelle luci che osservava di notte, le false e uniche stelle di un firmamento nero, fossero vita, fossero opportunità, gli aveva fatto rimescolare quello che credeva di sapere. Gli aveva fatto anelare ad altro. 

Pensava avrebbe odiato la città di Yokohama, i suoi abitanti fortunati. Quelle persone che non sembravano accorgersi dei fantasmi di Suribachi, e che gli sventurati stessi di Suribachi odiavano di rimando. Non capì perché ne rimase affascinato, perché non ritrovò in sé quello stesso odio che i suoi compagni avevano costantemente ricamato nei confronti di perfetti sconosciuti. 

Un’opportunità si era presentata davanti a Chuuya e lui l’aveva afferrata prima ancora di rendersene conto. 

Anche se quell’opportunità si chiamava Dazai Osamu e, a essere precisi, Chuuya l’aveva preso a calci, tentando di ucciderlo. 

Ringraziare Dazai per averlo trascinato in quel mondo, anche quando, a conti fatto, lo aveva incastrato ad accettare la sua proposta, era fuori discussione. Non sarebbe bastato tutto il vino del mondo a farglielo ammettere, a pensare di dovere della gratitudine a quell’idiota. 

Era il contrario. 

Era Dazai che gli doveva qualcosa. Delle risposte

Dove cazzo sei?




Il telefono squillò un tempo imprecisato più tardi, svegliando Chuuya. A tastoni recuperò il cellulare che vibrava sul divano, rispondendo senza leggere chi fosse. 

“Pronto…” 

Aveva la bocca impastata dall’alcool e dal sonno, così dovette aggiungerci una discreta dose di minaccia per renderla credibile. “Sei in ritardo, dove cazzo eri finito?”

Le chiedo scusa, Nakahara-san. C’è… voluto più tempo del previsto.

Il tentennamento dall’altra capo del telefono era palese. C’era una paura di fondo, il distintivo tono di chi, anche se maschera tutto con professionalità, prova timore nel riportare i propri risultati, sapendo che non soddisferanno. 

Chuuya si mise seduto, non con la solita agilità. Erano giorni che non riusciva realmente a riposare e i suoi muscoli tesi gli stavano dietro a fatica. Si diede un’occhiata veloce e constatò lo stato disastroso del proprio aspetto. Se quel malcapitato dall’altro capo del telefono avesse potuto vederlo, la sua voce non sarebbe risultata così cauta, tutt’altro. Questo non avrebbe però impedito a Chuuya di essere indulgente. Essere compatito era la prima voce nelle lista Se vuoi farmi incazzare

“Cosa hai scoperto” chiese secco, senza farla neanche suonare come una domanda. 

La bomba sotto la sua macchina…” iniziò l’uomo, tentennante, ma con una cadenza svelta, di chi cerca di togliersi un cerotto. “Non sono risultate impronte. I componenti erano generici, qualcosa che si può fabbricare con pezzi comprati da un ferramenta. Potrebbe essere stato chiunque. Qualcuno che ha del rancore nei suoi confronti o che abbia voluto farle uno scherzo...

Il nome di quel chiunque doveva essere Dazai Osamu. Chuuya aveva bisogno di sapere che fosse lui. Aveva bisogno di una cazzo di traccia da far seguire a quel detective che aveva ingaggiato.

Tuttavia non replicò, afferrando il pacchetto di sigarette dal tavolo e accendendosene una. La nicotina si mescolò al sapore del vino rimastogli sul palato, in un mix che ricordava solo vagamente quanto adorasse entrambi i sapori insieme. Lo disgustò, ma lo aiutò anche a schiarirsi in parte la mente dal sonno. 

Pensa

Pensare era un’arma a doppio taglio quando si parlava di Dazai, perché significava calarsi nei suoi labirinti, dove quel mentecatto si nascondeva e, al contempo, ti faceva credere di averlo a portata di mano. 

Bisognava essere più rapidi di lui, cercare di anticiparlo, immaginare cosa avrebbe combinato. Tentare di prevedere la mossa, le mosse, che aveva in mente. 

Nei tre anni da partner, Chuuya ci aveva provato costantemente, anche se, più volte, aveva gettato la spugna molto presto. Era più semplice ammortizzare le conseguenze, incazzarsi a cose fatte e mandarlo a quel paese. 

I pochi momenti in cui era riuscito a stargli mezzo passo avanti erano quelli che avevano preannunciato un tentativo di suicidio serio da parte di Dazai. 

Quelle volte aveva aveva dovuto sia pensare, pensare molto rapidamente, sia affidarsi all’istinto e sfruttare la piccola finestra di tempo che il partner gli lasciava aperta. Cercare di capire dove fosse la trappola, quale fosse il modo più efficace di raggiungerlo prima che fosse tardi. 

La sensazione che Chuuya aveva alla fine, quando ripescava il partner da un fiume, da una vasca con l’acqua tinta di rosso, o gli toglieva un cappio dal collo, era di afferrare di lui dei frammenti di vetro. Erano i momenti dove credeva di avvicinarsi a Dazai, di carpire qualcosa di lui, ma poi bastava che riprendesse i sensi e lo schernisse per gettare quel barlume di vittoria e si ritornava da punto a capo. 

Eppure, tolto il rafforzare l’opinione di Chuuya che Dazai fosse semplicemente uno stronzo, quei suoi sbalzi avevano costruito un’immagine incoscia che gli aveva permesso di rapportarsi - e sopportarlo - meglio di giorno in giorno. 

Venire a sapere dal giorno alla notte che Dazai fosse sparito a seguito di uno scontro con un’organizzazione nemica non aveva dato il buongiorno a Chuuya. Aveva interrotto quel vago processo di accettazione che il Dirigente stava portando avanti nei confronti dell’altro, se non stroncato sul nascere qualcosa di più. 

Tuttavia, Chuuya non ci stava a rimanere appeso a un filo tranciato senza prima delle risposte. 

“Novità dagli ospedali?” chiese quindi, riprendendo il discorso e massaggiandosi la fronte. 

Nessun paziente ricoverato con le sue caratteristiche…” 

Chuuya imprecò. 

“Obitori?” lo disse prima che nello stomaco potesse formarsi la familiare sensazione di negazione a quella possibilità. 

Ho confrontato i cadaveri sconosciuti con la foto che mi ha fornito, ma nessuna corrispondenza.” 

Nella seconda imprecazione che si lasciò sfuggire, il mafioso infuse anche un discreta dose di sollievo malcelato. Quell’idiota era ancora vivo. Nascosto da qualche parte, ma ancora vivo. 

“Voglio dei risultati” iniziò il Dirigente, ciccando nel posacenere e poi allungandosi ad afferrare la bottiglia del vino rimasta aperta e prendendone un sorso senza passare dal bicchiere. “Cerca nelle altre prefetture.” 

Pensa. Pensa come penserebbe lui. Sai di cosa è capace. Chi è

“Lascia perdere gli aeroporti, ma tieni d’occhio i falsari. Un passaporto falso in mano a Dazai è come dargli le chiavi del mondo, ma è troppo pigro per andare molto lontano.”

Ne sei certo? 

No. 

Come si faceva a scegliere un percorso nel labirinto di Dazai e percorrerlo alla cieca? 

“Potrebbe essere benissimo nascosto qui dietro l’angolo. Setaccia gli appartamenti che nessuno sano di mente affitterebbe. Fruga nella spazzatura se necessario. Quell’imbecille campa di sakè e scatolette di granchio.” 

... mi servono altri soldi” riprese la voce al telefono. 

“Non è un problema.” 

Per pagare le informazioni… e i miei collaboratori. E gli spostamenti, ho bisogno di-

Non è un problema” rimarcò Chuuya, accendendo un’altra sigaretta. “Non farmi ripetere. Avrai un nuovo assegno in mattinata al solito indirizzo. Spendi quello che è necessario, ma portami dei risultati.” 

Dimmi dove cazzo è finito Dazai



Quattro anni più tardi, quando Chuuya apparve in cima alle scale della sala delle torture, per un breve momento ripensò a quel periodo subito dopo la scomparsa di Dazai. 

Ripensò a quanto avesse toccato il fondo in quell’occasione, a quanto avesse scavato, sperando - gli si chiuse lo stomaco solo a rammentare quel sentimento - di ritrovarlo. A quante energie, fisiche e mentali, a quanti soldi avesse speso per correre dietro a un’ombra, senza mai avvicinarla. 

E in quel momento, quella stessa ombra stava lì, ammanettata a un muro, sbadigliando annoiata. 

Chuuya se ne era fatto una ragione molto tempo prima. Aveva capito che, quando sarebbe stato il momento, Dazai sarebbe ricomparso dal nulla. Era un chiodo conficcato troppo a fondo per poter sparire nel nulla, sparire per sempre. Non voleva perderci altro tempo però, anche se una parte di sé già gli diceva di pensare

Dazai catturato così facilmente dalla Port Mafia? 

Puzzava di fregatura dalla prima sillaba. 

Eppure nessuno e nessun pensiero gli avrebbe tolto la soddisfazione di rifilargli almeno un pugno nello stomaco. 

Bentornato Dazai.


April 2025

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