Feb. 20th, 2021

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COW-T 11, seconda settimana, M3
Prompt: Sereno/Pioggia
Numero parole: 833
Rating: SAFE
Warning:
Note: dedicata a Mini che mi ha fatto pazientemente vedere la serie *love*




Kotetsu cercava di ricordare chi una volta gli avesse detto che “con la pioggia diventi proprio un gatto pigro”, mentre sbadigliava e si strusciava leggermente contro il muro alle proprie spalle, avvolto nel caldo e vecchio cappotto invernale. Forse per la stagione e per Sternbild City era un capo di abbigliamento sia demodè che fuori stagione, ma l’umidità era un attentato costante alla sua schiena non più così giovane. 

Prima la salute gli aveva detto qualcun altro, probabilmente sua madre. 

La verità era che senza caffè non aveva ancora iniziato a carburare e la pioggia non gli stava venendo in aiuto nell’attesa. 

Si trovava al riparo sotto una tettoia appena fuori da una delle fermate della monorotaia. Bunny era in ritardo per quell’uscita programmata, ma mezza improvvisata. 

Vorrei parlare di alcune… questioni tra di noi.”

Ricordava che avesse distolto lo sguardo, ma con un sorrisetto piccolo e imbarazzato, strano per i suoi atteggiamenti tipici. 

C’è questa caffetteria nuova nel quartiere…”

I dubbi su quel modo di fare bislacco e improvvisamente gentile si erano dissipati nel momento in cui il biondino si era offerto di pagare la colazione e Kotetsu si era illuminato, senza uno straccio di pudore, come un bambino a Natale. 

Peccato che Barnaby fosse in ritardo. 

Kotetsu sbadigliò di nuovo, stropicciandosi la faccia col palmo della mano. Non che gli desse problemi aspettare, era solo quell’umidiccio dato dalla pioggia che gli stava facendo desiderare il divano di casa, un plaid caldo e la tv. Quel desiderio gli fece venire un’idea. 

Avrebbe potuto chiamare Bunny e spostare l’appuntamento a casa propria. Aveva fatto da poco le pulizie complete, era abbastanza decente per riceverlo e avrebbero potuto stare comodi sul divano a parlare di qualsiasi cosa volesse il suo partner. Doveva solo comprare del tè e qualche biscotto lungo la strada, e- 

Lo sguardo di Kotetsu fu attirato da una figura ferma sulla soglia dell’uscita della monorotaia. 

“Ah, ma è… come si chiamava…” borbottò tra sé, picchiettandosi il mento con le dita e guardando in alto in cerca di ispirazione per il nome. Una goccia d’acqua cadde dalla tettoia colpendolo al centro della fronte e lui ebbe l’epifania. 

Yuri Petrov!” 

L’uomo in questione, sentitosi chiamare, si voltò a fulminarlo con lo sguardo, anche se era evidente una certa confusione, ma del tutto composta. 

Dopo un ops tra sé e sé, Kotetsu alzò la mano a mo’ di saluto, senza essere certo di cosa fare per tirarsi fuori dall’ennesima situazione imbarazzante in cui si era cacciato da solo. 

“Salve!” disse, alzando un po’ la voce per farsi sentire attraverso la pioggia e la distanza di tre-quattro metri che li separavano. “Sono Wild-” si bloccò, mordendosi la lingua.

“Kaburagi Kotetsu” replicò il procuratore, con un vago cenno del capo. 

Valigetta da lavoro stretta in mano, l’uomo tornò a guardare la strada davanti a sé, valutando le pozzanghere e la confusione, ignorando l’eroe. 

Kotetsu tirò un sospiro, reclinando la testa, indeciso se approfondire o lasciar correre. Anche se si conoscevano, non avevano chissà quale confidenza, oltre al fatto che per una decisione di Petrov lui si era ritrovato a pagare diversi danni alla città. Non proprio la persona con cui ti fermeresti a chiacchierare. 

Tuttavia, il suo sguardo tornò a focalizzarsi sul procuratore, ancora immobile all’uscita. Emanava un'aura di autorità tale che la gente si scostava da lui, nonostante ostruisse un po’ il passaggio. Non capì perché fosse fermo lì finché il proprio corpo non si mosse da solo, realizzando prima della sua mente. 

“Ah-” iniziò Kotetsu, incerto. “Il palazzo di giustizia è in fondo alla strada a destra, vero? Sto aspettando una persona, ma è in ritardo, quindi posso accompagnarla se, ecco-” e fissò l’ombrello che aveva appena aperto di fronte all’uomo, ma non voleva dire se ha dimenticato l’ombrello perché qualcosa gli diceva che potesse essere scortese. Una voce a metà tra quella di sua madre e Bunny. Aveva decisamente bisogno di un caffè. 

Yuri Petrov lo scrutò come se fosse stato un criminale e l’eroe sentì davvero di aver fatto un errore, incassando la testa nelle spalle. 

“Posso anche prestarglielo-” aggiunse Kotetsu sulla difensiva. 

Il procuratore chiuse gli occhi e sospirò con pazienza, mandandolo ancora più in confusione. Avrebbe dato tutti i soldi che aveva nel portafoglio - non molti in effetti - per capire cosa pensasse di lui. 

“Non sarà necessario.” 

Kotetsu saltò come se gli avesse appena letto nel pensiero. 

“Cosa?”

“L’ombrello. Non sarà necessario” spiegò l’uomo con voce modulata, forse più tiepida di quella che l’eroe ricordava. Con un gesto del mento indicò la strada e Kotetsu si accorse che la pioggia aveva appena smesso. Alzando gli occhi al cielo questo lo beffò con uno scorcio di sereno primaverile. 

“Oh.” 

“Sarà per la prossima volta, Tiger-san.”

Yuri lo superò con un sorrisetto che lasciò Kotetsu ancora più sbigottito, mentre richiudeva l’ombrello. 

Bunny avrebbe dovuto offrirgli un caffè doppio perché proprio non capiva. 


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COW-T 11, seconda settimana, M2
Prompt: Un giorno di attesa
Numero parole: 2424
Rating: SAFE
Warning: //
Note: //



Erano le undici di mattina e l’atmosfera mite di inizio primavera fu interrotta quando Heiji entrò in casa del professor Agasa come un tornado. 

“Ohi Kudou! Kudou! Dove sei!? Cos’è successo!?”

Ad accoglierlo furono otto paia di occhi interdetti da quell’arrivo trafelato, tra cui quelli dello stesso Shinichi. 

“Cos’è successo?” fece eco quest’ultimo all’amico, mentre sua madre sceglieva una delle carte che aveva in mano, contenta di non aver pescato l’uomo nero

Il giovane detective dell’ovest marciò a passi pesanti verso l’amico. 

“Succede che devi guardare il cellulare!” sbottò tenendo ben in vista il proprio cellulare e indicando l’elenco chiamate e poi switchando alla loro chat comune. “È un’ora che ti chiedo come stai e non mi rispondi! Né tu né la scienziata pazza-neechan lì! Ero preoccupato!” 

Haibara sbadigliò, stropicciandosi un occhio e tornando a sfogliare la rivista che aveva sulle ginocchia, seduta di fianco a Kudou. Nel mentre, Akai pescò una carta dalla mano di Yukiko, sorridendo tra sé e sé per la buona sorte. 

“Kudou-kun sta bene, i valori sono stabili” bofonchiò la ragazzina, prendendo un sorso di caffè dalla tazza sul tavolino. “E dopo il secondo messaggio in meno di un quarto d’ora non sognarti che ti risponda” aggiunse con una smorfia. 

Hattori mise il broncio, tornando a fissare l’amico con una faccia che diceva e la tua scusa per avermi fatto preoccupare quale sarebbe? 

“Ran continua a chiamarmi a entrambi i cellulari” spiegò quest’ultimo mesto, allungando una mano ma tentennando nello scegliere una carta tra quelle di Shuichi, riflettendo nel gesto i propri pensieri. 

“La tentazione di risponderle è tanta, quindi ho silenziato tutto, notifiche comprese” continuò in tono un po’ di scuse, scegliendo l’ultima carta a sinistra e guadagnandoci un ghigno dall’agente dell’FBI che si era appena liberato dell’uomo nero. Shinichi sbuffò, maledicendo la propria sfortuna mentre, con con le dita, si massaggiava il petto. 

A Heiji il gesto non passò inosservato. Dimenticò il motivo per cui era arrivato lì correndo, recuperò una sedia e si unì al tavolino dove stavano gli altri. 

“Sei sicuro di stare bene bene? Che tutto proceda come dovrebbe andare?” 

“È inutile rivolgere queste domande al paziente, Hattori-kun” lo riprese Haibara, leggermente piccata. “Ribadisco, i valori sono nella norma. Si massaggia il petto come riflesso condizionato. Sta per terminare la seconda dose di somministrazione dell’antidoto” e nel dirlo, pizzicò il tubicino della flebo tra lei e Shinichi, appesa a un’asticella mobile. “La sua temperatura è scesa a 37.6 ed è stabile da circa un’ora, come da programma.” 

Heiji lanciò un’altra occhiata critica a Shinichi, studiandolo meglio. Era pallido, con le occhiaie e imbacuccato in una felpa pesante nonostante il clima caldo-tiepido che si respirava da qualche giorno, però non sembrava sofferente.  

Il detective del Kasai sospirò arrendevole, togliendosi il cappello e facendosi aria contemplando il soffitto. 

“Sei uno straccio” commentò, recuperando un po’ di leggerezza. “Mary-obachan scalpitava per muoversi e uscire. Potresti andare in giardino e prenderti un po’ di sole, ti farebbe bene.” 

“Grazie, ‘kaasan, sto bene qui.” 

“Mia madre non ha mai imparato a stare ferma neanche con quaranta di febbre, ecco perché si caccia nei guai” replicò Akai pacato, rimescolando le carte a fine partita e ridistribuendole includendo anche Heiji. Guardò Haibara, ma lei fece segno di diniego, controllando dal tablet i valori degli elettrodi che Shinichi aveva addosso. 

“Non sei molto diverso da lei, Shuu-chan” ridacchiò Yukiko, controllando la propria mano. “Anzi, credo che tu in famiglia sia quello che le somiglia di più, dico bene?”

Akai fece spallucce, iniziando a pescare dal mazzo di Shinichi. “La testardaggine è un nostro tratto genetico.” 

“C’è qualcosa di fresco in frigo? Anche qualcosa da mangiare, muoio di fame” si intromise Heiji, guardandosi in giro. “Hakase dov’è finito? E tuo padre?” 

“Il professore sta dormendo, ha fatto la notte con noi” spiegò Ai, stiracchiandosi e saltando giù dal divano per raggiungere il frigorifero. 

“Yuusaku è a casa, nel suo studio a scrivere. È il suo modo di esorcizzare l’ansia” spiegò Yukiko con il sorriso di chi conosceva bene certi atteggiamenti. Pescò una carta da Heiji e fece una faccia poco convinta, per poi riprendere a parlare. “Uno dei suoi racconti brevi più famosi, L’Undicesima Ora, l’ha scritto nelle mie undici ore di travaglio per avere Shin-chan. Ha imparato a scrivere con una mano sola quella volta, mentre io gli stringevo l’altra” ridacchiò, dando un buffetto a Shinichi, che, imbarazzato, le scacciò le dita come con una mosca. 

Non c’è bisogno sempre di raccontare tutto” puntualizzò il figlio, fulminando l’amico che se la stava ridendo. 

“Se vuoi mangiare vieni a darmi una mano, Hattori-kun. Non sono una cameriera” lo richiamò Ai da oltre il bancone al centro della sala. 

Oltre a Heiji, anche Akai si alzò, sfilando di mano alla ragazzina la bottiglia di tè verde freddo e i bicchieri. Haibara non la prese benissimo, assottigliando lo sguardo. “Non sono neanche una principessa.” 

“Ma sei in piedi da ieri pomeriggio” gli ricordò l’uomo, che se avesse avuto due mani in più probabilmente l’avrebbe riportata a sedere in braccio. “Ed è già la seconda volta in meno di una settimana che somministri l’antidoto e segui la procedura dall’inizio alla fine.” 

“Non obbligarti a essere gentile con me” sbuffò Haibara, superandolo. 

Il fatto che gli arivasse appena a metà coscia non sembrava costituire un problema nel tenergli testa. 

“Sto rimediando al mio passato” si lasciò poi sfuggire a mezza voce, abbastanza piano perché gli altri non la sentissero. Si fermò a fissare come Shinichi stesse cercando di tirarsi indietro dal tramezzino che Heiji cercava di cacciargli in bocca. 

“Allora a breve dovrai decidere come incasinarti di nuovo la vita.”

Akai si liberò una mano e le scompigliò i capelli con un ghigno.

Non sono una bambina” ribatté lei stizzita, risistemandosi le ciocche finitele davanti agli occhi. 

“La mia proposta di venire in America è ancora valida” cambiò discorso Shuichi, ritrovando una parvenza di serietà. Avevano già toccato quell’argomento, ma non aveva avuto una risposta concreta. E dubitava l’avrebbe avuta per ancora del tempo.  

Lei distolse lo sguardo. 

“Ci penserò” borbottò, per poi aggiungere, ancora più piano, più come un pensiero fugace che stava mettendo radici. “Magari per le vacanze estive.” 

Un attimo dopo si schiarì la voce, mettendosi le mani sui fianchi e puntando lo sguardo al resto della combriccola. In particolare verso il loro ospite più rumoroso. 

Hattori-kun, cosa non ti è stato chiaro di quando ieri sera ho specificatamente ordinato che Kudou rimanesse a stomaco vuoto per l’intero ciclo di somministrazione dell’antidoto!?” 

Heiji si rizzò in piedi, il tramezzino maltrattato in una mano, ma lo stomaco di Shinichi a brontolare in sottofondo fu la giustificazione migliore per ribattere a quella sgridata. 

“Non fare la strega, neechan. Sentilo! Sta morendo di fame.”

“Sto bene” si difese Shinichi, anche se, di nuovo, il suo stomaco marciò nella direzione opposta. 

“Punto numero uno, ha una flebo con i nutrimenti essenziali. Ci ho messo mesi a selezionare quelli che non avrebbero interferito con i processi dell’antidoto” ringhiò Haibara, guardando il detective dell’ovest come una persona senza ore di sonno avrebbe voluto sopprimere una evidente fonte di disturbo. 

“Punto numero due” riprese, mentre faceva il giro del divano e si sedeva di nuovo di fianco al suo paziente. “Tu sei l’ultima persona al mondo che dovrebbe dare da bere o da mangiare a Kudou. Finisci sempre con incasinare tutto con qualche rimedio strampalato e nocivo.”

“Ehi” si offese Heiji, incrociando le braccia e sporgendo il labbro inferiore. “I miei rimedi sono stati efficaci meglio di qualsiasi miscuglio di droghe o medicine! E prima che tu arrivassi!” 

“I tuoi rimedi lo hanno esposto, quasi fatto scoprire e hanno messo a dura prova il suo fisico!”

“Ehi, Kudou, amico, diglielo anche tu che-”

Stop!” 

Yukiko batté le mani, mettendo fine a quel battibecco. 

“Al termine di questa lunga giornata d’attesa organizzeremo una festa e ci assicureremo che Shin-chan spazzoli ogni portata” disse, strizzando l’occhio a Heiji, per poi tornare seria e annuire nei confronti della piccola scienziata. “Fino ad allora seguiremo esclusivamente le direttive di Ai-chan. Se Shin-chan dovrà stare a stomaco vuoto fino alla fine del trattamento, sarà nostra premura non indurlo in tentazione.”

Nel dirlo, afferrò un tramezzino e lo mangiò di gusto, mentre Shinichi, rimasto a patire quei discorsi, si massaggiava le tempie con le dita. Si lasciò scappare un “Vi odio tutti” tra i denti, mentre gli altri quattro si riempivano la bocca. 

“Ma, Hei-chan, non ci hai detto com’è andata stamattina?” riprese Yukiko più tardi, alzandosi per aiutare Akai a sparecchiare. 

Shinichi si era appoggiato allo schienale del divano per riposare, la testa riversa all’indietro, ma aprì gli occhi alla domanda. Di fianco a lui, Heiji scrollò le spalle, continuando il solitario con le carte che aveva iniziato mentre mangiava. 

“Sveglia alle sette e mezza come da programma. Alle otto eravamo al Poirot per la colazione con Sonoko-neechan e Masumi-neechan e alle nove le ho portate all’Haido City Center. Mi devi un grosso favore, amico” borbottò lanciando un’occhiata all’altro detective liceale. “Da solo con quelle quattro per due ore a fare shopping. Già Kazuha è difficile da sopportare quando gira con quindici stampelle in mano.” 

“Come sta Ran?” chiese piano Shinichi, ignorando il resto e tornando a massaggiarsi il petto. 

Heiji rimase a fissare un po’ la carta che gli era appena capitata in mano, proiettandoci i propri rimuginamenti. 

“Ieri sera ha di nuovo pianto parecchio per Conan. Kazuha ha finito per piangere anche lei nel tentare di consolarla. Ammetto che mi stavano quasi convincendo che, insomma, te ne fossi andato sul serio…” borbottò, buttando la carta sul tavolo e pescandone un’altra.

“Quando racconterai tutta la verità a neechan credo che continuerà a starci male lo stesso. Non so se esiste un termine adatto in psicologia per chiamare questo trauma, ma si era sinceramente affezionata alla tua versione da marmocchio.” 

Shinichi sbuffò sonoramente, le mani abbandonate ai lati del corpo sul divano, mettendo ben in vista i punti dove le tre flebo erano state applicate. Tornare bambino era stato doloroso, per prima cosa fisicamente, poi la realizzazione di quanto fosse stato incastrato in qualcosa di molto più grande di lui non era stata da meno. Tuttavia, si era abituato. 

Anche se non gli era mai piaciuto vedere soffrire Ran, era stato alle regole del gioco. 

Bugie, fughe improvvise, sfruttare tutte le possibilità e, talvolta, anche le pedine che finivano per caso o per propria volontà sulla scacchiera. Erano stati giorni, mesi intensi. Aveva la sensazione che fossero trascorsi degli anni, di essere stato risucchiato in un loop dove tornava costantemente a zero e doveva ripartire con una carta in più o in meno contro quegli uomini in nero da incubo. 

Ma era finita. Appena qualche settimana prima, il grosso del caso era stato chiuso. Avevano vinto e la possibilità di tornare adulto si era concretizzata nel momento in cui erano riemersi tutti i documenti relativi all’APTX4869. 

Mary Sera era stata la prima a testare l’antidoto, conscia che sarebbe potuta andare male, ma si era imposta di essere la prima per ragioni che cominciavano da “sono la più grande qua dentro” a “stai zitto, ragazzino”. 

Shinichi difficilmente si sarebbe opposto alla madre di Akai, anche quando a separarli c’erano solo pochi centimetri e non fisicamente trentasei anni. Gli era bastato vederla in azione per capire che non avrebbe avuto comunque chance. 

Il test era stato però un successo, per quanto estenuante e ogni effetto collaterale (febbre, vomito, dolori muscolari e ossei continuati, insonnia, per citarne alcuni) li aveva tenuti sulle spine per ventiquattro ore, il tempo stimato da Haibara perché l’antidoto facesse effetto e si stabilizzasse. 

Mary era stata stoica, forse più impaziente e recalcitrante alle attenzioni (soprattutto dei figli minori) che le venivano date. 

Sorprendentemente, Heiji era stato quello con cui era andata più d’accordo durante tutto il processo. Si erano conosciuti per il rush finale contro l’Organizzazione, poche parole e solo azione spalla contro spalla, ma il detective dell’ovest si era guadagnato la sua stima e simpatia. 

Su un altro versante, invece, Haibara si era preparata mentalmente al fatto che Shinichi le avrebbe chiesto di ripetere la somministrazione dell’antidoto neanche due minuti dopo che avesse stabilito che nell’organismo di Mary non sussistessero più tracce di APTX4869. 

Per una volta, con alle spalle più di trenta ore di veglia, Ai aveva ceduto e aveva chiesto aiuto: tirando Akai per una manica per avere la sua attenzione, lo aveva guardato negli occhi e gli aveva detto un semplice “Tienimelo lontano” indicando Conan. 

L’”Aspett-” del detective rimpicciolito era stata l’ultima cosa che Haibara aveva sentito, andandosene sbadigliando e concedendosi mezza giornata di dormita. Ascoltare da Heiji e Yukiko come Akai avesse portato via per la collottola Conan era stata la sua iniezione di buon umore quando era riemersa dal coma. 

Ed ora eccoli lì, con un programma a tappe serrate diviso su due fronti: da un lato lo step definitivo per uscire dall’incubo dell’Organizzazione, ossia far tornare Shinichi adulto (Haibara non aveva ancora dichiarato apertamente la propria decisione in merito), dall’altro un piano di intrattenimento per Ran che la tenesse fisicamente e mentalmente occupata per l’intero giorno che ci sarebbe voluto a restituirle il suo ragazzo. 

“Non posso dimenticare nemmeno io cosa ho provato a starle vicino come Conan” disse piano Shinichi, attirando l’attenzione di tutti con quella piccola confessione. 

“È stato frustrante, ma anche divertente a volte” sorrise, richiamando alla mente qualche ricordo in cui si era cacciato nei pasticci e ne era uscito con scuse al limite dell’accettabile. “Ma almeno sono riuscito a restarle accanto, in un modo o nell’altro. Sono pronto ad aspettare tutto il tempo che ha dovuto aspettare lei se la aiuterà a metabolizzare questa storia. Anche di più. Non voglio più lasciarla.” 

“Oh, Shin-chan” singhiozzò sua mamma, mollando i bicchieri che aveva in mano e andando ad abbracciarlo. “Sei diventato proprio un ometto.” 

Mi stai strozzando-” 

“Wow, Kudou” borbottò Heiji col broncio, anche se sembrava essersi un po’ emozionato dal rossore sulle gote. “Piantala di fare sempre il super eroe anche quando tutto è finito.”

Haibara, di fianco a quest’ultimo, annuì con una smorfia, trovandosi concorde. 

“Smettila di essere melodrammatico. Andrà tutto bene, questa volta” sbuffò, ammettendo della positività necessaria. 

Sarebbe stato un lungo giorno di attesa, ma prima o poi sarebbe finito. 


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