Mar. 24th, 2022

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COW-T 12, sesta settimana, M1
Prompt: e alla fine, il lieto fine
Numero parole: 3800
Rating: Verde
Warning:
Note: WHAT IF? Se un incontro fortuito avesse permesso a Odasaku di salvarsi alla fine della Dark Era?



Gli anni potevano passare, ma non c’era modo di dimenticare certi sguardi - quelli caustici, accusatori, senza speranza - anche quando questi si erano ammorbiditi e non ci si scorgeva più la profondità di quei sentimenti spessi come muri.

Fu la prima impressione che Fukuzawa provò nel trovarsi davanti quello che una volta era stato un ragazzino di appena quattordici anni, capace di sorprenderlo e uccidere qualcuno con le mani letteralmente legate dietro la schiena e un sacco sulla testa.

Quelle stesse mani ora erano rigide nel tenere e accartocciare un sacchetto della spesa, a comunicare che anche l’altro uomo, dopo quasi dieci anni, non si era scordato di quell’episodio specifico.

Yokohama viveva sotto un cielo sereno quel giorno.

Non era ancora primavera, ma dava l’idea di essere già iniziata, con delle giornate tiepide che da sole erano in grado di portare il buon umore. Le persone ne stavano approfittando, affollando le strade anche sul calare del pomeriggio, quando le temperature tornavano a rammentare che l’inverno non fosse ancora giunto al termine.

Al destino dovevano intrigare quelle circostanze, perché, nonostante la confusione, Fukuzawa e Odasaku si ritrovarono a fissarsi e ricordarsi l’uno dell’altro. Sarebbe bastato un minuto di ritardo, un passante troppo alto, una distrazione superflua a impedire quel momento. Eppure, da qualche parte, qualcuno doveva aver scritto che le cose sarebbe andate in quel modo.

Avrebbero potuto ignorarsi e la storia avrebbe seguito un corso già fissato, ma, per quella realtà, non andò così.

“Quando ti sei stancato di quella prigione?”

C’era un fondo di ironia travestita male da domanda seria. Era l’ultimo ricordo che il Presidente dell’Agenzia serbava di quel ragazzino troppo giovane per stare dietro delle sbarre, troppo giovane per la nomea da assassino, ma il loro era un mondo che non risparmiava nessuno.

“Dopo un paio di settimane” rispose Odasaku, onestamente, appoggiando il sacchetto pieno di merendine e dolcetti sul muretto del parco. Avevano trovato una zona tranquilla dove sostare e parlare, lontani da occhi e orecchie indiscrete. Il cielo si stava tingendo di colori vividi ad annunciare il tramonto. Il mafioso si godette il panorama, in quella parentesi inaspettata. “Non mi stavano più portando il curry e non vedevo ragione per continuare a rimanerci.”

Fukuzawa registrò quella risposta con qualcosa che chi lo conosceva a fondo avrebbe interpretato come un sorrisetto, ma era troppo poco accennato per essere colto davvero.

“Mi sembri cambiato” disse quindi, scrutandolo con una lunga occhiata che sembrava dire Non sei più il bambino assassino di un tempo.

Odasaku si infilò le mani in tasca, appoggiandosi a sua volta contro il muretto e guardandosi le scarpe, o qualcosa sul terreno di indefinibile.

“Sono successe molte cose da allora” replicò, cercando di tradurre i propri pensieri mentre aggrottava la fronte. “Ricordo ogni mia singola azione compiuta in passato, ma… me le sono lasciate alle spalle. Non senza pesi. Quando ho potuto, ho cercato di rimediare.”

Fukuzawa annuì, accettando quella piccola confessione. Non si erano neanche mai presentati davvero, eppure la vicenda in cui erano stati invischiati aveva aiutato a tracciare le strade su cui ora entrambi camminavano.

“Sei più sereno” continuò il presidente, adocchiando il sacchetto pieno di quelle cose che a Ranpo avrebbero fatto impazzire, anche se intravide pure del granchio in scatola che non aveva niente a che vedere con i dolci.

L’altro colse l’occhiata e abbozzò un sorriso che prima non sarebbe stato in grado di produrre con tanta semplicità.

“Mi sto occupando di alcuni orfani. Ogni tanto mi piace viziarli.”

Fukuzawa accennò una brevissima risata, comprendendo benissimo.

“Lei è riuscito a salvare il suo sottoposto?”

Il presidente preferì non correggerlo, perché alla fine di quella storia Ranpo era diventato davvero un suo sottoposto. 

“Sì. Le informazioni che mi diedi risultarono esatte. Grazie” il presidente si inchinò per sottolineare quanto quel ringraziamento fosse sentito. “Se non fosse stato per te non avrei ciò che oggi ho costruito.”

Una genuina sorpresa si dipinse sul viso di Odasaku che riuscì soltanto ad assentire.

“Mi aveva offerto di farmi uscire di prigione, andando contro ogni principio, pur di salvare uno dei suoi…” ricordò a voce alta il mafioso, ma con una tranquillità che il se stesso di quattordici anni, pieno di odio e vendetta, non sarebbe stato in grado di dire alla stessa maniera. “Ricordo di essermi sentito geloso. Non avevo mai avuto nessuno a preoccuparsi così di me.”

I suoi occhi si posarono su quel granchio in scatola che spuntava dalla busta della spesa, ma non aggiunse altro.

“E ora c’è qualcuno?”

Fukuzawa diede corda alla propria curiosità, con la sensazione che chiedere e approfondire avrebbe portato a qualche indefinibile sorpresa. Non si aspettò di essere guardato dritto in faccia e capire realmente la piega che quella storia stava per prendere.

“Sì, c’è” il tuttofare sospirò nel dirlo, combattendo su come mettere a parole e in sintesi quelle che parevano essere solo un mucchio di informazioni disordinate, nel tentativo di farle suonare coerenti. “Per una serie di circostanze mi sono ritrovato a entrare in una certa organizzazione. Avevo bisogno di un modo per impedire al passato di creare problemi a me e a chi mi circondava e volevo anche… seguire una persona” per quanto fosse conscio della confusione e la risicatezza del discorso, Odasaku avvertì lo sguardo di Fukuzawa affilarsi e seguire attentamente ogni parola, dando a intendere che stesse comprendendo ciò che c’era di non detto tra le righe.

“Ci sono poche organizzazioni che accettano dotati di abilità senza fare domande.”

Il Presidente non fu clemente e andò dritto al punto. C’era una sottile aura di ostilità che il tuttofare accolse come ogni incarico sgradevole gli venisse propinato.

“Lo so” disse soltanto, reggendo il suo sguardo. “Ma entrarci mi ha permesso di realizzare una parte di quello che volevo fare.”

“Solo una parte?” indagò Fukuzawa.

“Sì.”

Odasaku non si spese a spiegare altro, ma osservò come il Presidente prese a vagliare di nuovo non solo la sua figura, ma anche quel sacchetto della spesa tra di loro. Si afferrò il mento con una mano, restituendo ancora di più l’impressione che stesse cercando di carpire una verità con davvero pochissime variabili a disposizione.

“Rispondi a una domanda, per favore” iniziò, tornando a fissarlo dritto negli occhi e sondandolo come neanche una macchina della verità avrebbe saputo fare. “Sei ancora un assassino?”

“No.”

Una risposta che risuonò secca e ineluttabile quanto lo sarebbe stato un proiettile. E fu ciò che servì a Fukuzawa per formulare la sua proposta.

Quella riga in più dettata dal destino che avrebbe cambiato molto di un futuro già scritto in altre pagine.

“Dopo quel caso in cui ci siamo conosciuti sono successe molte cose. La più importante, che si è realizzata perché mi hai permesso di salvare un mio subordinato, è stata la fondazione di un’Agenzia di Detective dotati. Ne hai sentito parlare?”

“Non mi pare.”

Fukuzawa accolse l’ennesima risposta schietta con un breve sospiro, restando pacato, e senza l’intento di demorse, anche se fu una piccola stilettata nell’orgoglio.

“Ci occupiamo di tutti quei casi in cui la polizia militare si trova difficoltà perché sono implicati utilizzatori di abilità fuori dalla loro portata. Abbiamo un permesso speciale per agire, senza doverci nascondere nell’ombra.”

Il riferimento fu chiaro. Odasaku estrasse la mani dalle tasche dei pantaloni come se avesse dovuto fare qualcosa, senza sapere cosa per l’esattezza. Non era lì per difendere l’onore della Port Mafia, non quando sul piatto c’era ben altro. 

“Mi sta… proponendo un posto?”

“Un’opportunità” assentì Fukuzawa, mitigando la propria incisività. Si rendeva conto di come fosse un cambio di vita definitivo, soprattutto avendo ben chiaro in mente chi fosse il capo di quell’organizzazione a cui l’ex assassino apparteneva. Non c’era nulla da non considerare o da trattare alla leggera.

“Ti stai prendendo cura di alcuni orfani e non uccidi. La determinazione non ti manca, l’ho provata in prima persona. E c’è qualcos’altro che vorresti fare” lo fissò diretto, ma senza risultare aggressivo. “Un’agenzia come la mia, che opera alla luce del sole e legalmente, ti potrebbe aiutare a realizzare il tuo desiderio?”

Odasaku non rispose, ma il suo spaesamento raccontava la storia di chi era uscito solo per fare la spesa e si era ritrovato con in mano un biglietto del treno per una destinazione più distante in termini di possibilità che di spazio. Osservò la spesa e poi il tramonto, in cerca di alcuni punti fissi che gli ricordassero che quella fosse la realtà.

Il Presidente comprese la sua esitazione senza bisogno di spiegazioni.

“Prenditi del tempo per riflettere” disse, frugandosi nelle tasche del kimono e tirandone fuori il proprio portafoglio. C’erano dei bigliettini da visita eleganti e ordinatamente infilati in una taschina, dall’aria di essere usati per delle occasioni speciali. “Chiamami quando avrai deciso.”

“Fukuzawa Yukichi” lesse Odasaku sul pezzo di carta su cui era stampato anche un semplice Presidente dell’Agenzia Armata di Detective. “Non teme che possa tenderle una trappola e venderla in qualche maniera all’organizzazione di cui faccio parte?”

Il Presidente non si scompose della minaccia.

“Sono un ex assassino anche io” ammise, sentendo l’attenzione totale del tuttofare su di sé. “E per alcune ragioni… conosco il tuo Boss. So cosa aspettarmi.”

A Odasaku bastò. Ripose il biglietto in una tasca interna della giacca e riprese la busta della spesa tra le braccia. La confezione con il granchio in scatola scivolò in basso e il mafioso la guardò, mentre nella mente gli si formulava un nuovo pensiero.

“Se accettassi la sua proposta…” iniziò, conscio che porre delle condizioni - quella in particolare - avrebbe ridotto le chance che il tutto si realizzasse davvero. “Oltre agli orfani, ci sarebbe una persona che dovrei portare con me. Non me ne andrei senza, a meno che non fosse lui a non volerlo.”

E allora neanche io me ne andrei.

Anche se non lo disse a parole, Fukuzawa non faticò a leggerglielo in volto.

“Va bene. Vedremo cosa potrò fare, Oda…?”

“Oda Sakunosuke. Piacere.”




Odasaku si decise a vuotare il sacco con Dazai dopo un intero mese di riflessioni - e una nottata iniziata con troppi drink e finita nel letto del proprio minuscolo appartamento.

“Hai qualcosa in testa da giorni” sospirò il giovane Dirigente corrucciato, accoccolandosi nel suo abbraccio e premendogli la guancia contro il petto caldo di loro. “Se non vuoi dirmelo, smettila di pensarci quando sei con me o indovinerò cosa ti frulla in testa.”

Con un verso inconcludente misto tra malessere post sbornia e orgasmo ancora in circolo a pizzicargli i nervi, il tuttofare si passò una mano sulla faccia, premendosi le dita sugli occhi. C’era una serie di pensieri che sbattevano nella sua mente, senza dargli tregua e senza permettergli di riordinarli in maniera coerente.

“Mi hanno proposto un nuovo lavoro” se ne uscì, capendo l’istante successivo che non suonava minimamente con la rilevanza che l’argomento doveva avere, ma fu sufficiente per alzare l’asticella dell’attenzione di Dazai. Quest’ultimo si risistemò in maniera da riuscire a guardarlo meglio, imbronciandosi ancora di più, anche se nel suo sguardo aleggiava la confusione data dal troppo alcool in circolo.

“Nel senso che ti avanzano di grado o…” allargò gli occhi. “Oh! Ho capito!

Odasaku sospirò. Avrebbe potuto dire due parole stupide di un intero discorso e Dazai avrebbe dedotto da solo il resto senza troppi sforzi.

“Intendi fuori dalla Port Mafia!” e non fu una domanda.

“Già…”

“Qualcosa di legale?”

“Sì.”

“Interessante” e nel dirlo, Dazai si spostò sopra il compagno, cingendogli il dorso con le gambe. Si stese in avanti, fino a incontrare le labbra del tuttofare. Quello che iniziò come un bacio si accese in poco come un nuovo desiderio a cui dare seguito.

Odasaku invertì le loro posizioni e allontanò le mani di Dazai da sé, portandogliele sopra la testa e tenendogli i polsi bloccati lì, mentre ritrovava il suo posto dentro di lui.

Persero coerenza dei loro sensi e riempirono l’aria di gemiti e dei loro nomi finché il tutto non si ridusse, di nuovo, ai loro soli respiri affannati e sfiniti.

“Non sei preoccupato?” chiese Odasaku, la fronte affondata nell’incavo del collo di Dazai, intento a riprendere fiato e i contatti con la realtà. Perdersi in Dazai era un viaggio su più livelli. Non aveva allentato la presa delle braccia con cui lo stava tenendo a sé per cercare di prolungare il piacere e il momento.

“Devo farlo?” chiese il più giovane, spostando lo sguardo annebbiato dal soffitto alla confusione di capelli rossi del compagno.

“Lascerei la Port Mafia…”

Dazai sospirò.

“… prima o poi lo avresti fatto comunque per realizzare il tuo sogno di scrivere” replicò piano, accogliendo lo sguardo un po’ perso con cui Odasaku lo cercò. Lo ricambiò con un sorrisetto facendo spallucce, per quanto la posizione glielo consentisse. “Un membro della Port Mafia che non uccide… non so quanto questa storia potrebbe ancora andare avanti.”

C’era una serietà mortale nel suo tono e un rimprovero che aveva perso di intensità nel tempo, trasformandosi in un pessimo presentimento. C’era un orologio, da qualche parte, che ticchettava verso il momento in cui quella scelta di Odasaku sarebbe stata la sua rovina. Il loro non era un mondo dove potevano permettersi un lusso del genere e giocare con la sorte in una roulette russa in cui l’unico vantaggio dell’ex assassino era solo la sua abilità.

“Vorrei che venissi con me.”

Prima che Dazai potesse anche solo piegare le labbra per rispondere, Odasaku gli premette un palmo sulla bocca.

“Non dire niente. Lo so che avresti la risposta più sensata e penso di non volerla sentire. Non ora.”

Appoggiò la fronte contro la sua, per poi scivolare di lato, portandolo con sé in un abbraccio.

“Ne riparliamo da sobri.”

“Come vuoi…” acconsentì Dazai, chiudendo gli occhi e lasciando naufragare la mente nelle sensazioni che la sola presenza di Odasaku gli dava.



Non ebbero il tempo di riparlarne da sobri. Non sfiorarono minimamente l’argomento perché le cose peggiorarono - precipitarono - in breve, senza alcun controllo.

Ango sparì e il Boss della Port Mafia affidò il suo ritrovamento a Odasaku.

Così ebbe inizio il capitolo dedicato alla Mimic.

Un copione vergato con dovizia di particolari in diverse realtà, seguendo in tutte una scaletta di eventi che erano punti fermi nel tempo, impossibili da sovvertire una volta messi in moto.

Eppure, nonostante la situazione scivolasse via dalle loro dita come granelli di sabbia, riducendo le loro possibilità alla stregua dei secondi mancanti a un’esplosione, il destino si divertì una seconda volta a volteggiare intorno a un incontro casuale.

Lo dico per il tuo bene. Non raggiungere il posto dove stai andando. Ripensaci.

Perché?

Perché se ci vai… morirai.

Lo so.



Osservando la schiena di Odasaku allontanarsi, Ranpo recuperò il cellulare dalla mantella, senza darsi pena di trovare un riparo dalla pioggia. I suoi occhi rimasero inchiodati a fissare quella giacca ocra zuppa di acqua neanche per un secondo, mentre si avviava verso un destino che tutti avrebbero evitato, se avvertiti.

Shacho” salutò brevemente, quando Fukuzawa accettò la chiamata. “Il tipo di cui mi aveva detto, che voleva far entrare in Agenzia… Se non interveniamo adesso, non sarà più in grado di accettare la sua proposta o quella di chiunque altro.”

Cosa succede?” chiese il presidente dall’altro capo del telefono. Si avvertì il rumore fastidioso delle gambe di una sedia venire scostata con forza e grattare il pavimento, seguita da alcuni passi affrettati.

“L’ho appena incontrato e mi è bastato meno di un secondo per dedurre che sta andando in un posto da cui non uscirà vivo.”

Non va bene.”

“Non le aveva detto se voleva entrare da noi?”

Non ancora” sospirò il Presidente, mentre intorno a lui si sentiva un basso mormorare proveniente dai dipendenti presenti in Agenzia. “Ma se la tua deduzione è corretta-”

“Certo che lo è!”

… allora dobbiamo dargli una possibilità. Riesci a capire dov’è diretto e qual è la situazione?”

Ranpo sbuffò, incamminandosi lentamente per seguire a distanza Odasaku, ma senza dare l’impressione di farlo.

“Certo. C’è un sacco di trambusto in giro, è scoppiato qualcosa e le cose sono certo che siano collegate, però lui ora sta andando verso la periferia. Mi servirà un passaggio.”

Ti raggiungerò a breve.

“Perfetto! Una missione di salvataggio!” trillò Ranpo completamente fuori luogo, ma coperto dal rumore della pioggia. “Venga con un cambio di vestiti per me, sennò mi prenderò un raffreddore! E porti anche Yosano-sensei” la sua voce si fece seria di colpo. “Il suo aiuto sarà indispensabile.”



Lo scontro di Odasaku contro la Mimic fu il bagno di sangue che sarebbe dovuto essere.

Un solo uomo contro i resti incancreniti, ma ancora pericolosi, di un’organizzazione che agognava la morte.

Lui gliela donò.

E la trovò ad attenderlo a propria volta.

Dazai non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo per salvarlo. Non lui. 



“Se non lo lascia andare sarà inutile” disse una voce che rimbombò nella stanza e che Dazai non comprese davvero, non col sangue caldo sulle dita e l’irrealtà a spingere per avere spazio nella sua mente.

Più reali furono invece le due mani che lo strattonarono indietro, lasciandogli perdere la presa sul corpo morente di Odasaku. Il giovane Dirigente realizzò soltanto il distacco forzato e non cosa stesse succedendo. In una delle rare volte in vita sua, il dolore era troppo forte e logorante - Odasaku gli spegneva il cervello, in ogni maniera, in ogni situazione, anche quella - perché comprendesse.

Si accorse finalmente degli sconosciuti presenti e fuori contesto per la scena. Oltre alle mani che lo tenevano saldamente per le spalle, comparvero altre due persone in quel teatro tinto di rosso. Un uomo dall’espressione impassibile, da volpe, di chi era in grado di conoscere il futuro senza bisogno di scrutarlo, e una donna dallo sguardo abituato a sedere con la morte e giocarsi a tavolino le vite delle persone.

Nel frastuono di emozioni e pensieri scoordinati, Dazai colse due bagliori. Uno dorato, di una farfalla, un fermacapelli, appuntato tra i capelli della donna - un messaggio di morte che adornava la Dottoressa della Vita. Il secondo fu il bagliore di una lama. Di una mannaia, levata in alto, rossa nel catturare la luce del tramonto.

Ferm-”

Dazai non fece in tempo. La stretta dell’uomo alle sue spalle era ferrea e determinata come una catena e poté solo osservare quell’arma affilata calare sul corpo di Odasaku per infierire.

Il sangue schizzò ovunque, addosso al giovane Dirigente come alla donna.

Poi Dazai lo sentì.

Avvertì l’inequivocabile brivido di un’abilità in azione. Le ali leggere e fragili di tante farfalle a infrangersi contro No Longer Human, ma pulsando invece intorno a chi sarebbe dovuto morire. 

Il petto di Odasaku risucchiò l’aria come dopo una lunga immersione, anche se i suoi occhi non si aprirono.

“Un solo trattamento non basterà, ma ci siamo assicurati che resti vivo” chiarì la donna, passandosi il dorso della mano sulla guancia e finendo con lo spandere ancora di più il sangue. “Andiamocene prima che gli uomini di Mori-sensei arrivino.”

Dazai si riebbe a quel nome, ma non pose domande. Staccandosi dall’uomo che lo teneva con un gesto troppo repentino per essere fermato si portò al fianco di Odasaku, constatando che stesse davvero respirando, prima di guardare i presenti e anche chi lo aveva immobilizzato fino a quel momento. Non lo riconobbe, non sul momento, ma ebbe uno strano sentore a dirgli che poteva conoscerlo - e fidarsi.

“Chi siete?”

“Ti pare il momento delle domande?” sbuffò Ranpo, incrociando le braccia e scrutandolo con intensità. “Sei più intelligente di così, ma ora non riesci a fare un bel niente se non pensare a lui” e indicò apertamente Odasaku. “Devi essere la persona che voleva portare con sé una volta lasciata la Port Mafia.”

Dazai cercò di calmarsi, avendo intuito il tipo di persone che aveva davanti.

“Voi siete quelli che gli hanno offerto un nuovo lavoro.”

“Sì” replicò Fukuzawa, osservandolo con un’occhiata che a Dazai non piacque, ma che sostenne senza timore, conscio di essere in svantaggio. “Hai intenzione di venire con noi?”

“Lui non può venire con noi!” si impuntò Ranpo, scuotendo la testa. “Non è mica un tuttofare come il quasi-morto lì! Lui è un Dirigente!”

Sia Fukuzawa sia Yosano fissarono Ranpo e poi Dazai.

Ara, questo complica le cose, Shacho. Che cosa facciamo?” chiese Yosano, appoggiandosi alla mannaia puntellata a terra. “Abbiamo decisamente poco tempo per metterci a trattare con uno dei cuccioli di Mori-sensei. Devo occuparmi di Oda-kun, se vogliamo che veda l’alba di domani.”

“Voi… state dalla parte di chi aiuta le persone?”

La voce di Dazai tentennò, mentre la sua mano stringeva la stoffa della giacca di Odasaku sul petto, sentendolo alzarsi e abbassarsi molto lentamente. Gli diede quella spinta ad aprirsi e prendere in considerazione quegli sconosciuti e l’opportunità che rappresentavano. 

“Noi risolviamo quei casi che gli incompetenti della poli-”

“Sì” tagliò corto Fukuzawa, interrompendo il suo protetto che sbuffò, incrociando le braccia.

“Odasaku… ha detto che stare dal vostro lato è più bello.”

Ranpo scoppiò a ridere e Yosano scosse la testa.

“Vuoi venire con noi?” chiese di nuovo Fukuzawa, fissandolo dritto negli occhi. “Dovrai lasciarti tutto il resto alle spalle.”

“L’ho già fatto” e nel dirlo, il giovane Dirigente fissò il cappotto nero cadutogli nella corsa per raggiungere l’unica persona che non lo faceva sentire vuoto. “Voglio stare ovunque sarà Odasaku.”

“Quanto sei sentimentale” lo prese in giro Ranpo, ma più leggero.

“Io li trovo carini” commentò invece Yosano.

Fukuzawa li ignorò entrambi, tendendo la mano a Dazai.

“È deciso” sancì, e tenendogli stretto il palmo lo tirò in piedi con poco sforzo. “Da oggi siete entrambi sotto il tetto della mia Agenzia.”



Fukuzawa fu un po’ precipitoso nel tirare le somme.

Odasaku si riprese fisicamente in pochi giorni, ma gli ci volle molto più tempo per accettare la perdita dei bambini e il piano in cui era stato incastrato e che prevedeva la sua morte. Quell’uomo che il Presidente aveva reincontrato per caso era diventato un’ombra che avrebbe di nuovo voluto reindossare i panni della vendetta e ci volle diverso tempo perché quel desiderio si ridimensionasse. 

Anche se entrambe le parti vinsero, l’amarezza per gli squilibri che quella vicenda aveva provocato ebbero lunghi strascichi e ripercussioni. 

Yokohama vide la tranquillità ripristinata dalla minaccia della Mimic, anche se con questa la Port Mafia ebbe l’opportunità di estendere e legalizzare il proprio potere. Odasaku e Dazai dovettero sparire per due interi anni prima di potersi ripresentare in Agenzia e assumere quei posti loro promessi - e conoscere Kunikida, rimasto ignaro di quella vicenda per tutto il tempo.

Alla fine, fu un lieto fine.

Almeno in quella realtà.


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COW-T 12, sesta settimana, M3
Prompt: Road trip
Numero parole: 3204
Rating: Verde
Warning: Spoiler su Strombringer!!!
Note: oh, un’altra Ango/Chuuya! 

 

I think he did it but I just can't prove it
I think he did it but I just can't prove it
I think he did it but I just can't prove it
No, no body, no crime
But I ain't letting up until the day I die

[no body, no crime - Taylor Swift]


Non era propriamente il tipo di canzone che Ango avrebbe associato a Chuuya, ma tradusse le parole e deglutì il vuoto, guardando la radio della macchina, ma con la coda dell’occhio continuando a fissare il rosso alla guida. 

“C’è qualcosa che devi… comunicarmi?” 

Optò per una parola più formale del semplice dirmi, cercando, in maniera vana, di rallentare qualsiasi presagio di sventura fosse lì in macchina con loro.

Il giovane mafioso sbadigliò emettendo un verso seccato di gola e non rispose.

Alzò invece il volume e continuò a guidare senza dargli retta.

Il ritornello della canzone - No, no body, no crime - tornò a rimbombare nell’abitacolo.



Ango era stato buttato giù dal letto da una telefonata alle sei scarse del mattino.

Quattrocchi” aveva esordito la voce dall’altra parte, senza dare adito a dubbi a chi appartenesse, anche con la persistente patina di sonno e stanchezza che annebbiavano i sensi della spia. “Sarò sotto il tuo hotel tra mezz’ora. Fatti trovare pronto. Andiamo nel Kansai. Non perdere tempo a preparare la valigia.

Non era niente di inusuale, Ango lo aveva capito dopo qualche settimana da infiltrato. Nella Port Mafia esistevano agende da rispettare, e anche se lui era stato inserito in quel sistema dell’intelligence per cui una rigida schedule era sempre prevista, i fuori programma erano all’ordine del giorno come tutto il resto.

Come volevasi dimostrare, mentre era in bagno a ricordarsi come si chiamava fissando pateticamente il proprio doppio nello specchio, il suo cellulare ricevette più di un messaggio da alcuni colleghi e notifiche di aggiornamento ai loro calendari. Nel giro di dieci minuti, i suoi compiti di quel giorno erano stati presi in carico da altri, ma un dettaglio gli fece aggrottare la fronte. Anche gli impegni dei due giorni a seguire erano stati rischedulati.

Questo fu il primo campanello d’allarme per Ango.

Non perdere tempo a preparare la valigia.

Così aveva detto Chuuya e questo, solitamente, equivaleva a una missione di massimo ventiquattro ore. Tuttavia, il fatto che per tre giorni gli fossero stati spostati tutti gli impegni non era un buon segno. Ci perse sopra quasi cinque minuti buoni, indeciso se notificare all’istante alla Divisione quel cambio di programma e metterli in allerta.

L’arrivo di un nuovo messaggio lo distrasse.

Era di nuovo Chuuya.

Fatti preparare un caffè a portar via.

Ango sospirò, non sapendo se interpretare positivamente la nuova richiesta del rosso, ma fu distratto da un altro breve trillo.

Era Dazai.

Yo, sono appena stato informato. Non me lo aspettavo, Ango, ma quando Chuuya scopre queste cose non lo ferma nessuno… Non disturbarti a dirlo a Odasaku, ci penserò io. Brinderemo a te stasera. Peccato che non ci sarai. Buon viaggio.

Tra la mancanza di sonno e una naturale inclinazione a vedere nera ogni situazione, Ango avvertì uno sgradevolissimo vuoto nello stomaco.

Era stato scoperto?

Il pensiero gli rimbalzò dentro come la pallina impazzita di un flipper, rimescolandogli le viscere. Sentì il bisogno di sedersi, mentre ogni ricordo recente gli passava davanti agli occhi, in una sequenza in cui la sua mente cercava di pesare ogni gesto o azione compiuta, ogni parola detta, tentando di capire cosa avesse potuto tradirlo.

Era stato a colloquio con il Boss della Port Mafia più di una volta nelle ultime settimane, ma non trovò nulla fuori dal normale. Aveva visto poco Dazai e non si erano neanche ubriacati, col rischio di farsi scivolare di bocca qualcosa di inopportuno. Per la maggior parte del tempo erano stati solo lui e i chili di scartoffie che smaltiva ogni giorno. Non si era neanche incontrato con nessun agente della Divisione per aggiornamenti.

Fissò il cellulare, iniziando seriamente a panicare e chiedendosi se fosse il caso di uscire dal retro dell’albergo e correre fino al primo checkpoint della Divisione, mandando a monte tutta l’operazione sotto copertura.

Chuuya lo chiamò in quel momento.

“P-Pronto?”

Lascia perdere il caffè, l’ho recuperato lungo la strada. Ti ho preso un macchiato, ma se vuoi lo zucchero devi fartelo dare prima di uscire. Aspettami nel parcheggio.

“Certo…”

Ango si alzò come un automa, tentando di ricomporsi. Non poteva permettersi scelte azzardate basate solo su - davvero pessimi - presentimenti o quel lavoro lo avrebbe mandato all’aria molto tempo prima.

Recuperò la giacca, infilò la pistola principale nella fondina e quella piccola di scorta nella cavigliera, per quanto inutili contro un utilizzatore del calibro del rosso. Digitò per scaramanzia la frase concordata per richiedere un’estrazione immediata e lasciò la bozza nelle email, preparandosi ad affrontare quel viaggio che, dalle premesse, era senza ritorno.



See the dogs come running
Smelling blood now
To an open sore
On the parasite
Countless hunts have fallen
Hard to number
Damnation's whore
Is looking for a victim tonight

[Serpentine - Disturbed]


Se avesse dovuto misurare la situazione in base alle canzoni che la playlist di Chuuya stava riproducendo, Ango si sentiva spacciato.

Erano in viaggio da appena quaranta minuti - il suo macchiato, per quanto buono, era rimasto abbandonato dopo due sorsi di circostanza - e Chuuya non aveva ancora spiccicato parola su niente.

Non gli aveva consegnato alcun incartamento che spiegasse cosa stessero andando a fare, e il fatto che fossero solo loro due non lasciava molto spazio a fantasie rosee.

La Port Mafia aveva parecchi affari nell’area del Kansai, sebbene subordinati a diverse organizzazioni del luogo in un mutuo scambio dove nessuno pestava i piedi a nessuno. Non era raro che gente del loro rango - Chuuya non era ancora Dirigente ma la promozione era dietro l’angolo, e Ango era tenuto molto in conto - vi andasse in visita, ma solitamente erano incontri pre organizzati da tempo, calcolati con dovizia per non permettere spiacevoli incidenti diplomatici. Se c’era qualche faccenda sporca da sistemare sarebbe stata inviata una squadra di assassini o qualche tuttofare sacrificabile. 

Non che viaggi improvvisi non fossero previsti. La spia del governo aveva sentito da Dazai alcune storie su come i bordelli di Osaka e Kyoto fossero un rifugio allettante per svignarsela dal caos di Yokohama e Tokyo, ma dubitava che Chuuya lo stesse portando in qualche quartiere di piacere tradizionale.

“Avrei bisogno di sapere cosa stiamo andando a fare.”

Dopo tanti tentennamenti, Ango si decise a dare voce, in maniera più vivida, a quello che alla fine era un suo diritto sapere. Aveva cercato, casualmente, di toccare qualche oggetto per vedere attraverso la propria abilità - Discorso sulla decadenza - uno spiraglio di motivo legato a quella storia. I risultati, ovviamente, a parte avere una visione di Chuuya scazzato per qualcosa in piena notte, dandogli a intendere che non fosse neanche andato a dormire, non erano stati incoraggianti.

“Se mi riguarda direttamente, mi servirebbero dett-”

“Non ti riguarda.”

Ango sobbalzò come se qualcuno avesse appena punto e fatto scoppiare un palloncino con uno spillo. Il caffè che ancora stringeva sobbalzò con lui all’interno del bicchiere usa e getta, ma il coperchio impedì che facesse un disastro sui suoi pantaloni.

Nel giro di pochi secondi, i timori della spia persero il volume assordante avuto fino a quel momento nella sua testa, permettendogli di tornare a pensare in maniera più analitica - per quanto le poche ore di sonno glielo concedessero.

Tuttavia, un “Oh” fu la cosa più intelligente che rispose a quella prima dichiarazione.

“Credevo-” si schiarì la voce. Doveva essere professionale. “Perché serve che venga io?”

Chuuya prese a tamburellare con un dito sul volante, crucciando l’espressione come un ragazzino restio a vuotare il sacco. Anche se Ango si era dovuto abituare all’idea che il rosso fosse a tutti gli effetti un adolescente di diciassette anni - con dei documenti che gliene segnavano venti, permettendogli di guidare anzitempo - non riusciva a fare invece i conti con la sensazione che, tirate in ballo certe faccende, fosse decisamente più adulto di lui.

“Saprai cos’è successo l’anno scorso” esordì il giovane mafioso, lanciandogli un’occhiata significativa.

Per quanti eventi fossero capitati, Ango non aveva dubbi a cosa si stesse riferendo. L’incidente con Verlaine e la Guivre e, prima ancora, con Rimbaud e la storia dell’Arahabaki erano due fascicoli che aveva redatto personalmente per la Divisione.

“Conosco i fatti e qualche dettaglio” replicò, sentendosi improvvisamente a proprio agio nel maneggiare una materia a lui più vicina.

Chuuya sbuffò sarcastico.

“Non è per te” precisò, mentre con la mano che non aveva sul volante si frugava in tasca. Recuperò un pacchetto di sigarette e, in pochi gesti abituati, ne estrasse una con le labbra. Dalla stessa tasca recuperò anche un accendino. L’odore del fumo aiutò Ango a rilassarsi.

“Non so quanto ne sai di questa storia, ma Mori-san mi ha detto che sei solito trattare le vittime con riguardo. Non ti limiti a segnare i nomi e i loro ruoli. Pure lo Sgombro dice che ci tieni a non farli sembrare soltanto dei numeri.”

Era l’ultima cosa che Ango si sarebbe mai aspettato di sentire. Annuì, come se quella fosse stata una domanda, salvo rendersi conto che gli occhi di Chuuya erano fissi solo sulla strada e non lo stesse guardando.

Anche se l’atmosfera si era distesa e non temeva più di finire in un sacco seppellito in una buca anonima su qualche collina del Kansai, le nuove informazioni non gli stavano fornendo alcun quadro specifico. Non aveva sentito di massacri recenti e vittime tra le file della Port Mafia, men che meno nel Kansai. E cosa questo potesse avere a che fare con quanto avvenuto un anno prima con la Guivre.

“Non fare come lo Sgombro, Quattrocchi” lo riprese Chuuya, ciccando nel posacenere della macchina. “Non tirare conclusioni senza ascoltare. Sei più…” aggrottò la fronte, lanciandogli un’occhiata da capo a piedi, valutando cosa dire. “Decente, se paragonato a quello stronzo.”

“Grazie?” replicò Ango, senza capire se fosse realmente un complimento o solo un paragone triste. Evitò di soffermarcisi e restò in attesa della spiegazione - con una terribile voglia di accendersi una cicca a propria volta.

“Tra le vittime di Verlaine dell’anno scorso c’erano cinque miei amici” raccontò Chuuya senza mai scostare lo sguardo dalla strada. Dava l’idea di essere profondamente concentrato, ma ad Ango diede invece l’impressione di vedere altro. Si era accorto della rigidezza della sua postura e di come avesse smesso di fumare la sigaretta, lasciandola a consumarsi da sola.

“Erano agenti tra i più forti. Erano già un'élite e avrebbero potuto diventare Dirigenti con qualche anno in più. Verlaine li ha spazzati via come foglie” continuò, il tono piano di chi stava leggendo un articolo di giornale, eppure Ango avvertì l’ondata di rabbia, di impotenza, che irradiava di fondo, nonostante il tempo passato. Non si era mai definito una persona empatica, ma neanche stupida.

Sapeva di dover avere una faccia da Mi dispiace ma lo tenne per sé.

“Pianoman. Lippmann. Doc. Iceman. Albatross” su quell’ultimo, la spia avvertì una nota particolarmente amara. “Ti dicono niente, Quattrocchi?”

“Sì, ricordo i loro nomi” assentì Ango, fissando anche lui il paesaggio come modo per proiettarci la propria memoria. Dimenticarsi di qualcuno, anche se non l’aveva mai conosciuto, era qualcosa che la sua mente non era in grado di fare. Una volta toccato un oggetto per ripercorrerne i ricordi, quelli finivano per diventare parte di un archivio personale nella sua mente. Probabilmente era un effetto collaterale della sua abilità, non aveva mai indagato.

“Sono loro il motivo per cui stiamo andando nel Kansai?” ragionò più quieto, senza più alcuna ansia. A ripensare a cosa lo avesse agitato tanto un’ora prima si sentì quasi uno stupido.

“Per Albatross” specificò Chuuya, cambiando marcia per superare un camion. “Si occupava dei mezzi della Port Mafia, di qualsiasi tipo, fossero di strada, cielo o d’acqua.”

Ango annuì, ricordando i propri appunti in merito.

Sul viso del rosso si aprì una smorfia simile a un ghigno.

“Albatross era un casinista della peggior specie” ridacchiò, per quanto la spia sentì un’amarezza senza fondo. “Prima abitavo nell’appartamento sotto al suo. Alle tre di notte si metteva a pestare i piedi di proposito finché non salivo a urlargli di smetterla. Aveva la faccia tosta di chiedermi di giocare ai videogames insieme fino all’alba o di uscire a farci un giro in moto. Era iperattivo e la notte faceva fatica ad addormentarsi. Poi magari si faceva venire un colpo di sonno alla guida. Siamo finiti in un fosso una volta, non sono stato abbastanza attento da evitarlo. Abbiamo fatto l’autostop per tornare a Yokohama.”

Non capì quando la metamorfosi fosse avvenuta, ma Ango avvertì l’atmosfera completamente diversa da quando erano partiti. E conobbe un lato del Dio della Distruzione che non aveva mai visto.

Chuuya si riportò la sigaretta alle labbra e ne tirò un’ultima boccata, prima di spegnerla nel posacenere. Tornò serio, quasi incazzato.

“Non hanno ancora trovato qualcuno alla sua altezza capace di rimpiazzarlo e hanno continuato ad arrabattarsi. Questo però ha finito col ritardare e bloccare alcune transazioni del Settore 4. La settimana scorsa ho ritrovato dei suoi vecchi appunti… un macello, era un disastro anche a tenere in ordine i conti e i clienti, non so come facesse a fare tutto” nel dirlo, pigiò ulteriormente sull’acceleratore, svicolando tra un paio di macchine. “Ho ricavato però delle info che mi hanno portato ad alcuni container stoccati che Albatross aveva preparato per delle vendite di cui… be’, si sarebbe dovuto occupare la settimana dopo la sua morte.”

La bocca di Ango era una o perfetta di stupore, mentre la sua mente ricollegava i pezzi.

“Mi era arrivata una richiesta per la rendicontazione del Settore 4, quindi era da parte tua?”

“Già” Chuuya si accese un’altra sigaretta e la spia ebbe l’impulso di chiedergliene una. Si fermò con le sillabe in gola, avendo la sensazione di invadere un territorio troppo nuovo di confidenza. “Avevo il presentimento che qualcosa non tornasse” proseguì il rosso, sfregandosi il dorso della mano occupata dalla cicca contro uno zigomo, senza perdere un secondo l’andamento dell’auto. “E infatti ho trovato una ventina di container svuotati.”

Ango fu scosso da un brivido poco felice. Non erano molte le opzioni da associare a quella mancanza e per nessuna ci sarebbe stata clemenza.

“Qualcuno ha rubato alla Port Mafia?”

Anche solo supporlo metteva i brividi. La spia del governo non aveva ancora idea di quale fosse la loro destinazione ultima, ma ora sapeva che almeno un morto li stava aspettando. Le persone graziate dopo aver sottratto qualcosa all’organizzazione mafiosa si contavano su una mano - e quella dopo sarebbe stata tagliata loro comunque. Deglutì.

“Secondo le annotazioni di Albatross c’erano delle Ferrari, delle Lamborghini e delle Maserati, più una dozzina di moto da corsa. Qualcuno ha ben pensato di approfittare del casino in cui versavamo dopo la carneficina di Verlaine e fare il colpo grosso… e idioti noi ce ne siamo accorti quasi un anno dopo.”

Ad Ango ora era anche chiaro cosa avesse visto nei ricordi di Chuuya attraverso Discorso sulla decadenza. Doveva aver ricevuto conferma dei suoi sospetti quella notte stessa.

“Sai chi è stato?”

Il motore della macchina andò su di giri mentre il giovane mafioso stringeva il volante della macchina con una presa che in un altro contesto avrebbe spezzato il collo a qualcuno, come sembrava essere sua intenzione fare una volta giunti a destinazione.

“Ho dei sospetti. Mori-san mi ha dato carta bianca per indagare e per usare le risorse che preferivo” e nel dirlo, gli scoccò un’occhiata eloquente.

“Farò quello che posso…” replicò Ango, sinceramente stupito di rientrare nella lista delle persone utili a uno dei due prodigi della Port Mafia. Questo gli fece salire però un dubbio lecito. “So che tu e Dazai non andate propriamente d’accordo, ma lui probabilmente sarebbe stata la persona più indicata a cui rivolgersi, no… ?”

Chuuya ringhiò mostrando i denti e la spia se ne pentì, aderendo di più contro il sedile come se avesse potuto sparirci.

“È una questione in cui non voglio che quello Sgombro del cazzo ficchi il naso, soprattutto ora che gongola per essere diventato Dirigente.”

Si sfogò mandando l’auto quasi al massimo e Ango ebbe solo la percezione delle macchine che superavano come macchie di colore. Non era per niente tipo da alta velocità, ma la certezza che, in caso di incidente, Chuuya avrebbe potuto manipolare la gravità per evitare che si ammazzassero non lo portò a pigolare di rallentare.

“Dazai non ha rispetto per i morti e questa cosa mi fa incazzare. Le Bandiere erano miei amici. Sono morti per colpa mia. Qualsiasi cosa li riguardi non la metterò in mano a quel bastardo perché giochi a fare il detective propinandomi indovinelli invece di soluzioni.”

Esclusi gli epiteti e gli insulti, Ango convenne che fosse un descrizione in buona sostanza accurata di ciò che sarebbe successo se il più giovane Dirigente della Port Mafia avesse preso in carico quel mistero.

“E io come posso aiutarti?” era l’ultimo dubbio che doveva togliersi e che, ricevendo risposta, avrebbe fatto collimare i perché di quel viaggio fuori programma.

“Mi serve la tua abilità.”

Chuuya andò dritto al punto senza girarci intorno, ma questo non tolse il pallino ad Ango di volere più chiarezza.

“Mori-san - e pure quell’idiota di Dazai - mi hanno spiegato che puoi vedere i ricordi degli oggetti. Scavare a fondo se necessario.”

“Sì…” assentì Ango.

“Il Boss mi ha chiesto di non fare casino” sbuffò Chuuya, mettendo la freccia per svoltare a un bivio e riprendere a incalzare sul pedale dell’acceleratore. Finì di fumarsi anche la seconda sigaretta e riportò entrambe le mani sul volante, visibilmente più rilassato, quasi scocciato. “I miei uomini hanno trovato traccia di alcune delle auto dalle parti di Osaka e Kyoto. Sembra sia in corso una sorta di showroom della malavita e noi siamo diretti lì. Non stiamo andando in veste di rappresentanti della Port Mafia per non alzare polveroni inutili e pestare i piedi ai nostri alleati. Non so ancora se sono coinvolti. Tu dovrai limitarti a toccare quelle macchine e cercare tracce di Albatross, tutto qua.”

Ango prese un respiro molto profondo, elaborando le implicazioni insite in quel riassunto striminzito di piano che annunciava più catastrofi che una riuscita indenne. Il passo per scatenare una guerra tra organizzazioni malavitose di regioni diverse era davvero molto, troppo breve. E Chuuya, decisamente, era l’ultima persona al mondo in grado di trattenersi e saper ricorrere alla diplomazia per risolvere una qualsiasi questione. Una tanto personale meno che mai.

“Non mi hai fatto portare dei cambi perché presumo dovremo interpretare degli alias?”

Chuuya gli diede una pacca sulla coscia con un ghigno. Un gesto goliardico che fece sussultare però la spia. Ebbe la sensazione che la zona dove era stato toccato scottasse, nonostante non gli avesse fatto male. 

“Vedi? Sei decisamente più decente di Dazai! Capisci al volo, ma senza fare il saccente.”

“In realtà” puntualizzò Ango, sentendo infine tornare la stanchezza per il sonno interrotto. “Ci sono diversi punti lacunosi che dovremmo colmare prima di intraprendere qualsiasi farsa…”

Il rosso cambiò varie canzoni della playlist, senza lasciarne davvero nessuna per più di cinque secondi.

“Vedila così Quattrocchi, abbiamo tutto il viaggio per definire i dettagli che non ti tornano. Appena arriviamo passiamo a comprare qualcosa che non ti faccia sembrare un contabile e nel pomeriggio si va in scena. Cosa può andare storto?”

Tipo tutto era ciò che Ango avrebbe voluto rispondere di cuore.


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