Mar. 19th, 2022

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COW-T 12, quinta settimana, M1
Prompt: Interruzione
Numero parole: 883
Rating: Verde
Warning: //



La prima interruzione, per quanto irritante, Lio l’aveva accettata.

Era stata una chiamata di emergenza - un incendio anche piuttosto brutto in un locale - e poteva succedere. Ovviamente la sera in cui lui e Galo stavano finalmente per arrivare al dunque dopo mesi di tira e molla, tensione alle stelle e tutto il corredo, ma il lavoro era lavoro, e, se c’erano delle vite in pericolo, Galo era il primo a mettere tutto da parte. Lio non era stato da meno, certamente.

Quindi l’ex Burnish aveva sospirato pesantemente, era passato in bagno per sciacquarsi il viso con l’acqua più fredda per smorzare l’eccitazione e si era precipitato fuori casa con il compagno per raggiungere il luogo dell’incendio in moto. Ci avevano impiegato buona parte della notte per domare le fiamme, evitare che gli edifici limitrofi venissero coinvolti e, in fine, ciliegina sulla torta, Galo aveva fatto troppo lo spavaldo e si era procurato una piccola frattura al gomito e incrinato qualche costola in un salvataggio estremo.

Prognosi del medico: molto riposo e pochi sforzi.

Prognosi di Lio (con una certa dose di stizza tra sé e sé): programma prima volta posticipato a data da destinarsi.

Tuttavia, l’ex Burnish aveva compreso le circostanze e se le era fatte andare bene.

La prima volta.

La seconda volta che erano stati interrotti, dopo più di un mese di attesa e di preparativi e aspettative, Lio aveva iniziato ad avere un tic nervoso. Aveva predisposto tutto - atmosfera, cibo, occorrente, impegni. Ma no, il giorno prima il Sindaco aveva deciso di impiegare proprio la loro caserma in un progetto nuovo di sensibilizzazione della comunità, sia sul tema prevenzione degli incendi sia sulla riabilitazione dei Burnish nella società. 

Era finita che Galo e Lio non solo si erano ritrovati le agende piene di appuntamenti extra con gruppi di sconosciuti, scuole e simili, ma anche separati per la maggior parte del tempo. Una volta tornati a casa, erano sempre così stanchi che il massimo di contatto che avevano avuto era stato addormentarsi uno sopra l’altro in maniera disordinata e senza neanche cambiarsi.

Un altro mese era volato in quella maniera e Lio aveva iniziato a odiare chiunque li interrompesse anche solo mentre prendevano un caffè in pausa, un raro momento che potevano passare insieme.

Oltre a quello, Lio aveva dovuto mettere in conto la propria libido offesa. Non aiutava ritrovarsi a fissare Galo che usciva dalla doccia per poi vederlo vestirsi in fretta e scapicollarsi per un appuntamento o una chiamata improvvisa. Come non aiutava essere svegliato dalle sue erezioni mattutine contro il corpo e non avere neanche un momento per ricamarci qualche idea sopra, perché il pompiere era già fuori dal letto per la sveglia o il telefono che squillava. Non aiutava minimamente fissare il cavallo dei suoi pantaloni, rintronato dalla stanchezza e dalla voglia, e fantasticare su cose ed essere punzecchiato da Aina o Lucia, o sentire Remi passargli di fianco e commentare con un Prendetevi una stanza. Come se non ci avesse pensato. O non avesse pensato di spegnere entrambi i loro cellulari e finalmente avere quella cavolo di prima volta in silenzio, solo loro due.

La terza volta che ci avevano provato, un vicino aveva suonato al loro appartamento perché il tubo del gas perdeva e Galo era accorso mollando Lio sul letto, mezzo svestito e con un nodo nel basso ventre che gli aveva fatto emettere un urlo frustrato nella federa di un cuscino.

La quarta volta c’era stato un blackout generale nel quartiere ed erano dovuti intervenire.

La quinta volta Galo si era addormentato per la stanchezza e Lio aveva avuto un mezzo pensiero di assaltarlo comunque, finendo invece col chiudersi in bagno a farsi una doccia e sfogarsi da solo.

Dopo tre mesi in bianco, Lio era sull’orlo della follia.

“Io giuro” iniziò, mentre chiudeva a chiave la porta di casa a doppia mandata e staccava il telefono fisso e il wi-fi. “Che se questa notte qualcuno suona o bussa, lo ammazzo.”

Galo rise, osservando il tutto seduto sul divano mentre divorava a manciate le patatine da un sacchetto gigante.

“Perché, che succede stanotte?”

Non c’era malizia. C’era solo la sua perenne ingenuità. Non sapeva cosa Lio avesse in mente perché l’ex Burnish aveva deciso che programmare significava solo vedersi i piani rovinati. Quindi aveva preso in mano il timone tutto nell’ultima ora.

Avevano la sveglia presto il giorno dopo, ma erano fortunatamente tornati prima. Erano stanchi ma non spossati. Il film d’azione che Galo aveva scelto di vedere per rilassarsi avrebbe potuto fare loro da accompagnamento, a Lio non importava.

L’unica cosa che gli premeva era l’eccitazione costretta nei pantaloni e il bisogno fisico di avere Galo. Senza atmosfere preparate, senza lenzuole particolari, solo loro due. Il divano sarebbe stato perfetto.

Lio non rispose alla sua domanda se non dopo aver spento i cellulari di entrambi e averli buttati sulla poltrona libera.

“Stanotte” e nel dirlo, si inginocchiò davanti a Galo, in mezzo alle sue gambe, fissando così dall’alto in basso il compagno - che aveva la bocca sporca del sale e dell’unto delle patatine. “Siamo solo io e te.”

E, finalmente, si dedicò a slacciargli i pantaloni e prendersi ciò che agognava da mesi. 


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COW-T 12, quinta settimana, M1
Prompt: Interruzione
Numero parole: 872
Rating: Verde
Warning: primissimissimo esperimento su di loro!



Noé si schiarì la voce, troppo impostato per risultare naturale, ma continuò a fare finta di nulla, riprendendo la penna dal calamaio e tornando a scrivere.

In fin dei conti, stava lavorando. Anche se era tutto il pomeriggio che era fermo alla propria scrivania e aveva riempito pagine e pagine di appunti, era pur sempre qualcosa che andava finito. 

Ciò non gli impedì di accogliere quella piccola interruzione con blanda attenzione, molto discreta, fingendo di non essersene reso conto. Sapeva di avere ad osservarlo due occhi color del mare - della sfumatura che andava dal blu più profondo dell’orizzonte all’azzurro quasi trasparente delle onde che si infrangevano sulla battigia - da più di dieci minuti. 

Era impossibile per Noé non avvertire la presenza di Vanitas anche quando si trovava dall’altro lato del maniero. Averlo a pochi metri di distanza inviava un piacevole brivido ai suoi sensi, che, inconsciamente, iniziavano un silenzioso conto alla rovescia per quando la distanza si sarebbe annullata.

Fino a quel momento, Noé finse di continuare a lavorare - scrivendo invece i loro nomi a ripetizione, conscio che quella pagina avrebbe dovuto ricominciarla da capo - e ignorò invece la terza presenza che sembrava stesse giocando a nascondino, passando da dietro alla poltrona a sotto la scrivania e via così.

«Prrr prrr» sentì mormorare alla propria destra e Noé si voltò ad abbassare lo sguardo, ma vide solo una ciocca di capelli color della notte svanire dietro la propria seduta.

«Mmmh… chissà se è Murr che fa le fusa» mormorò ad alta voce, a nessuno in particolare, ma sia Vanitas sulla porta, sia la terza presenza, ridacchiarono. Il vampiro stesso stirò le labbra, chinandosi di nuovo a scrivere cose insensate - quello che avrebbe voluto per cena - mentre sentiva di nuovo uno scalpiccio e qualche tocco fugace e involontario intorno alle gambe.

«Miao! Miao!»

«Oh!» esordì di nuovo Noé, ancora con quel tono così teatrale da non risultare minimamente vero. «Deve essere proprio Murr! Murr dove ti nascondi?»

Si sporse dalla poltrona, fingendo di cercare il gatto bianco qui e lì, continuando a chiedere retoricamente Dove sarà? Non lo vedo!

Da sotto la scrivania venne una risata soffocata - due manine premute sulla bocca - a cui seguì un nuovo Miao! Miao! Miao!

Vanitas si staccò dalla porta della stanza e Noé lo sentì avvicinarsi. Contò il numero dei suoi passi come, in passato, aveva contato le ore che lo separavano dalla mattina e da una nuova giornata da passare insieme.

Quando lo avvertì alle proprie spalle, alzò la testa e si perse in quel mare che gli aveva dato più di quanto avesse mai desiderato. Si sorrisero, complici. Poi le labbra di Vanitas si stirarono in un ghigno.

«Credo che un gatto sia entrato dalla veranda, sai? Mi devo essere distratto un attimo…»

Da sotto la scrivania arrivò una nuova risatina - note prese in prestito a un pianoforte - e poi un lungo miagolio.

«Chissà se questo gattino vuole fare merenda, tu che ne pensi? Io ho un po’ fame» domandò Noé, mentre alzava una mano e la appoggiava sulla guancia di Vanitas, che premette il viso in quella carezza.

Stanotte… avrei fame solo di te… sillabò con le labbra Vanitas e Noè si ritrovò ad allargare gli occhi, a corto di parole per quella dichiarazione improvvisa. Capì di essere arrossito come un adolescente, ma questo gli fece solo che battere il cuore di aspettativa. 

«Penso che prima, però, dovremmo riuscire a prendere questo gattino randagio!» riprese Vanitas, staccandosi dalle premure del compagno e scattando - al pari di un felino - verso la scrivania e guardandoci sotto.

«Uuah!» gridò il micetto, correndo fuori dall’altro lato, ma le braccia di Noé lo stavano aspettando.

«Presa!» ridacchiò il vampiro, mentre una bambina di quattro anni sgambettava in aria, urlacchiando una sequela di Miao! Miao! Miao! e dimenandosi. Noé se la portò in grembo, sorridendole mentre le scostava i capelli arruffati dal viso. La piccola gli morse la mano con un ennesimo miagolio soffocato, sfoggiando i suoi occhi color del glicine.

«Lou, niente morsi» la riproverò Vanitas, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Anche se suonò come un rimprovero verso la bambina, nel suo tono c’era una dolcezza nuova che fece stringere il petto a Noé. Non si sarebbe mai abituato a ciò che avevano costruito se continuava a provare ogni giorno la stessa meraviglia.

«Miiiaooo!» protestò la piccola, serrando le palpebre mentre lasciava andare la mano del padre e faceva la linguaccia.

«Non la vuoi la merenda?» ridacchiò Vanitas, facendo scivolare le braccia intorno al collo del compagno e dando alla piccola un buffetto sul naso. «Ormai abbiamo interrotto il lavoro di papà - Noè fu scosso da un brivido e si irrigidì appena, mentre Vanitas alzava gli occhi al soffitto per la reazione - quindi direi che un tè e una fetta di torta ci stanno alla grande.»

«Miao! Miao! Miaoooo!»

I due genitori risero, mentre la piccola di casa balzava giù e correva verso la porta.

«Quanto pensi che durerà questa fase del gatto?»

«Ha la tua testardaggine» replicò Noè, accarezzando il polso e il dorso di una delle mani di Vanitas, portandosela alla bocca per baciargli il palmo. «Non finirà mai.»

Il compagno sbuffò ma si tenne una rispostaccia. Aveva la notte per fargliela rimangiare. 


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COW-T 12, quinta settimana, M1
Prompt: Interruzione
Numero parole: 1051
Rating: Verde
Warning: me so tolta anche sto sassolino



Kunikida sospirò a niente in particolare. Era una giornata uggiosa, piena solo di pioggia e grattacapi burocratici in formato fogli da leggere e firmare. In realtà, era una giornata anche troppo tranquilla.

Tutti i detective erano fuori per lavoro, a cominciare dal Presidente e Ranpo convocati dalla Divisione per risolvere un problema interno, ai Tanizaki e Kenji andati a portare vari documenti ad alcune società che collaboravano con loro, per finire con Atsushi, Kyouka e Dazai impegnati con un caso della polizia. Persino le segretarie erano dimezzate, tra impegni e raffreddore stagionale.

Per quanto la zona ufficio fosse silenziosa, per Kunikida iniziava a esserlo anche troppo, senza un motivo apparente. Giornate come quelle erano rare, ma probabilmente per via della pioggia che non lasciava spazio ai pensieri, o per l’eccessiva mole di documenti tutti uguali da vagliare, Kunikida sentì il principio di un mal di testa fare capolino.

Come ogni persona ligia al dovere, detestava stare male. Stare male significava non riuscire a lavorare. Non riuscire a lavorare voleva dire accumulare scartoffie su scartoffie e rallentare tutto. Il solo pensiero bastò a fargli stringere i denti e dedicarsi ad altri due plichi.

Per circa una mezz’ora andò bene, finché, di nuovo, la pioggia non scaglionò i suoi pensieri, infilandosi tra le parole che stava leggendo e facendogli perdere il filo. Spese quasi cinque minuti pieni sulla stessa frase, prima di arrendersi.

Con un verso frustato, chiuse la cartellina dei documenti e si tolse gli occhiali, passandosi le dita sulle palpebre stanche. Le tempie gli dolevano con fastidio e sapeva che neanche una pausa forzata lo avrebbe aiutato.

Alzandosi, recuperò le lenti e uscì dalla porta dell’ufficio, prendendo il corridoio. Avrebbe chiesto a Yosano-sensei, l’unica rimasta in sede, un antidolorifico. Si sarebbe quindi steso una ventina di minuti, tempo che facesse effetto, e poi sarebbe tornato alla propria tabella di marcia.

Bussò alla porta dell’infermeria e chiamò la dottoressa, aspettando l’avanti per entrare.

Non arrivò nulla.

Kunikida lanciò un'occhiata alla finestra alla fine del corridoio, poco distante, e si convinse che lo scrosciare della pioggia avesse coperto o il suo bussare o la risposta della donna. Tentò di nuovo, con più energia.

«Yosano-sensei, sono Kunikida. Mi servirebbe qualcosa per il mal di testa.»

«S-Sì… avanti.»

Il detective rimase a fissare la porta corrucciato, anche se la mano scattò automaticamente verso la maniglia. Si chiese se fosse stato solo una sua impressione il leggero affanno nel tono della dottoressa. Ipotizzò che stesse sistemando qualcosa. Era certo che fosse arrivato qualche pacco di medicinali e un macchinario nuovo. Erano a corto di personale quel giorno, se no di sicuro Kenji le avrebbe dato una mano.

Con quei pensieri - pronto ad aiutarla nel caso - Kunikida entrò.

La sorpresa fu trovare lo studio vuoto.

«Yosano-sensei?»

«Sono qui» rispose lei, con un tono più basso del solito. Oltre alla voce, il detective fu certo di aver sentito un cigolio, il tutto proveniente da uno dei posti letto oscurati per privacy.

«Se ha bisogno di una mano a spostare qualcosa poss-»

Le parole morirono in gola a Kunikida come anche tutto il suo colorito, quando scostò la tenda e si trovò davanti qualcosa che la sua mente non avrebbe mai potuto neanche lontanamente immaginare.

Fu talmente scioccante che si dimenticò come si deglutisse, finendo con lo strozzarsi e allo stesso tempo arrossire furiosamente, portandosi un palmo davanti alla bocca per reprimere qualsiasi verso stesse per scappargli. Al contrario, il suo corpo non si mosse. La scena lo aveva inchiodato sul posto.

«Credo che una mano serva a lui» ridacchiò una terza voce che decisamente non si sarebbe dovuta trovare lì.

«T-Tu!» abbaiò Kunikida, mentre Yosano, di spalle, nuda, sospirava, giocherellando con un lembo di lenzuola, ma senza fare nulla per coprirsi. O per spostarsi da sopra quella terza presenza che non si sarebbe dovuta trovare lì.

«E-Eri uscito con Atsushi e Kyouka! I-Il c-caso!» continuò Kunikida, come se la logica, irrimediabilmente incrinata, potesse spiegare quello che stava succedendo.

Dal canto suo, Dazai si tirò su sui gomiti, muovendosi appena, ma abbastanza da far raddrizzare la schiena a Yosano, che si portò una mano alla bocca per mitigare un gemito. La donna era a cavalcioni sull’ex mafioso, ma la mente di Kunikida non avrebbe mai potuto realizzare davvero il loro incastro. Semplicemente, si rifiutò.

«Atsushi-kun e Kyouka-chan se la caveranno benissimo!» spiegò Dazai come se stesse parlando del tempo. «Non capitano mai giornate così tranquille qui! Io e Yosano-sensei ne abbiamo approfittato perché ho perso una scommessa con lei l’altra sera…» e mentre lo diceva fece qualcosa, un movimento mirato, fluido, ma appena percepibile, che, di nuovo, fece sfuggire un gemito alla donna e Kunikida se lo sentì arrivare addosso come l’onda d’urto di una bomba.

«Però ora ci hai interrotti!» concluse Dazai, ridacchiando e fissandolo da capo a piedi. «Potresti rimediare unendoti a noi.»

Fu il colpo di grazia per la psiche di Kunikida.

Yosano lo osservò mentre la sua faccia restituiva solo l’impressione che il suo cervello fosse andato in blackout. Rise, e ricambiò le attenzioni di Dazai ondulando i fianchi e provocando a entrambi diversi gemiti che finirono soltanto per inceppare ancora di più le rotelle fumanti del collega.

«I-Io… V-Voi…»

Kunikida era così rosso di imbarazzo che gli altri due non riuscirono a trattenere dei nuovi risolini.

«Puoi sgridarmi, Kunikida-kun. Se può aiutarti…» riprese Dazai, passandosi la lingua sulle labbra. «Potresti farlo mentre mi-»

«IO- VOI-!»

Kunikida scosse la testa e fece un passo indietro, abbassando lo sguardo sul pavimento.

«Devo andare» mormorò, defilandosi verso la porta così veloce che ci sarebbe potuto passare attraverso senza accorgersene. Ma il modo in cui la sbatté rimbombò per tutta l’infermeria.

«L’abbiamo rotto, temo» sospirò Yosano, ravviandosi i capelli. «Lo trascinerò a bere e cercherò di fargli elaborare l’accaduto.»

«Oh, io invece pensavo già a come farglielo rivivere domani, non voglio che se ne dimentichi! Non trovi che sia stato fantastico?»

Yosano sospirò con condiscendenza.

«Sei proprio perfido, avrà già gli incubi stanotte.»

«Magari sognerà di fare quello che si è appena lasciato sfuggire… chissà, la prossima volta sarà meno restio a unirsi…»

«Intanto… finiamo io e te» e nel dirlo, tornò a dondolare su di lui, prendendosi il premio per la propria scommessa.


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