Mar. 1st, 2018

sidralake: (Default)
Cow-t, settima settimana, M1
Prompt: Rivelazione
Numero Parole: 4145





Le jilgane di Altea frinivano nell’aria estiva, riempiendola insieme allo scrosciare delle fontane del giardino reale. Nascosti in un cespuglio di juniberry bianchi, Lance tappò la bocca di Keith con una mano, intimandogli di fare silenzio e portandosi il dito indice alle labbra per sottolineare il monito.
In due facevano su per giù ventitre anni e cominciavano a capire appena cosa fosse la discrezione. Come in quel preciso momento, in cui stavano spiando gli adulti. Shiro e Allura.

Il giovane padawan allontanò di malagrazia le dita dell’altro ragazzino, ma si costrinse a parlare in un sussurro, togliendosi dai ciuffi di capelli un paio di foglioline rimaste incastrate.

« Cosa stiamo facendo qui!? »

Lance roteò gli occhi.

« Aspettiamo che succeda qualcosa! »

Cosa dovesse succedere, Keith proprio non ne aveva idea, ma prima di ridare fiato alla bocca concesse il beneficio del dubbio a quel principino antipatico di Lance, riportando gli occhi sulla scena.

I giardini reali di Altea erano labirinti di siepi alte più di una persona, cespugli sgargianti di fiori profumatissimi, fontane con statue di antenati e divinità; un posto noioso e troppo pieno di odori per un bambino come Keith. Non riusciva a capire cosa Lance ci trovasse di “favolistico”, o perché Shiro ci accompagnasse giornalmente la Principessa Allura, rimanendo con lei fin quasi al tramonto delle volte, quando non c’erano riunioni o ordini da portare a termine. Sapeva che il compito del suo Maestro, e suo, in minima parte, era quello di vegliare sulla sicurezza dei reali, ma Altea era già così sorvegliata, con guardie e androidi ovunque, che in un mese la minaccia più spaventosa che aveva visto era stato la sottospecie di orso che Coran aveva cercato di addomesticare in vista di una qualche festa in programma per il mese successivo.

In definitiva, Keith non capiva cosa potesse succedere in quel giardino così ordinato, curato e tenuto sott’occhio. L’inerzia data dalla mancanza di missioni vere, di allenamenti in posti impervi e salvataggi pericolosi cominciava a ripercuotersi sul suo stato d’animo, rendendolo più scorbutico del solito. Quando Shiro gli aveva detto che sarebbero andati insieme su Altea per quell’estate, Keith si era immaginato tutt’altro.

Ricordava di quando il suo Maestro, prima di diventare tale, fosse stato al fianco di Re Alfor e della Principessa durante diversi viaggi diplomatici, in Senato e in pianeti dove la guerra contro i Galra era costante e mortale. Erano stati mesi lunghi in cui Shiro si metteva in contatto quando poteva, per assicurarsi che il suo addestramento con il Maestro Galma procedesse in sua assenza, e Keith aveva imparato a riconoscere i segni di quando una giornata era andata storta, anche se non ne faceva mai parola e rispondeva con innata tranquillità a tutte le domande.

Quell’estate invece pareva che la battaglia contro l’Impero fosse cessata, a vedere come tutti perdessero tempo in passeggiate o tazze di tè. E questo rendeva Keith ancora più frustrato, soprattutto quando l’unica distrazione che aveva era Lance.

Il Principe Lance.

L’onorifico più sbagliato che quel ragazzino, di un anno più piccolo di lui, potesse sfoggiare. Era odioso, saccente, petulante e si credeva tanto simpatico con le sue battutine che per Keith non avevano senso. Poi era debole e maldestro, e si giustificava dicendo “queste non sono cose che un futuro reggente deve apprendere” quando perdeva con la spada, di legno, che per Keith era un affronto considerando che Shiro gli aveva assolutamente vietato di usare la Light Saber al di fuori degli allenamenti. Ma Lance era anche l’unico con cui riuscisse a interagire lì a corte, quando Shiro era “occupato” con la sua mansione di guardia del corpo della Principessa o del Re.

Coran non era male, era strambo e spesso iniziava a narrare storie sulle sue avventure di gioventù piene di stranezze ed elementi esotici, ma a lungo andare Keith non riusciva più a credere davvero a quello che raccontava, tipo il mercato nero dei pirati spaziali in cui si poteva acquistare qualsiasi merce anche promettendo come paga il proprio primogenito, oppure di come uscire dal ventre di un Weblum - che Keith dubitava pure esistesse.

L’alternativa alla noia rimaneva Lance, batterlo nelle continue sfide che si lanciavano o seguirlo attraverso i passaggi segreti del castello, anche se a volte pure Lance lo trascinava in qualche passatempo noioso, come quello di quel momento, infrattati in un cespuglio a spiare Shiro e la Principessa Allura attendendo che succedesse qualcosa.

« Questo posto è troppo sorvegliato perché qualcuno ci attacchi » borbottò incrociando le braccia nello spazio ristretto e fissando Lance col broncio riguardo al suo Aspettiamo che succeda qualcosa.

« Ma chi vuoi che ci attacchi! » sbuffò il principino, deridendolo allo stesso modo di quando faceva una battuta e Keith non la capiva. Lo odiava. Lo odiava!

« E allora cosa facciamo qui!? Perché li stiamo tenendo d’occhio se non succederà nulla!? »  

« Forse si baceranno »

Il padawan era già pronto con la bocca aperta per ribattere, quando registrò le parole e rimase immobile. La fronte si contrasse al centro, di fronte a quello che per Keith era un evidente problema di conciliazione tra l’affermazione e i protagonisti della scena.

Lance aveva davvero detto che forse Shiro e la Principessa si sarebbero baciati?

« Shiro è un Jedi! » affermò, e alla totale mancanza di interessamento da parte di Lance mancò poco che Keith saltasse in piedi per l’indignazione - un po’ difficile dato lo spazio ristretto e i rametti conficcati fastidiosamente un po’ ovunque. « I Jedi non- non baciano! » continuò, inceppandosi perché trovava l’argomento oltre che oltraggioso anche disgustoso.

Al contrario, Lance fece una delle sue risatine sibilline. Forse il gesto che Keith detestava più in assoluto del Principino.

« La conosco la solfa, “I Jedi non possono innamorarsi”, bla bla bla… Eppure Shiro passa tutto il suo tempo libero con mia cugina! »

« Shiro sta solo eseguendo il suo compito! Proteggerla! »

« Da cosa, i frutti maturi che cadono dagli alberi? Le telertule che corrono sul vialetto del giardino? Sveglia, giovane padawan! Shiro è cotto di Allura! »

Keith non prese bene quella rivelazione; scattò ancora prima di realizzarlo e saltò addosso al Principino, afferrandolo per il colletto della casacca, sbilanciandoli entrambi.

« Non osare! »

I rametti del cespuglio non riuscirono a trattenere il loro agitarsi e i due finirono col rotolare alla luce del sole, incuranti delle guardie che scattarono dai crocevia, attirati dal tafferuglio, e dal Maestro Jedi che si parò istintivamente di fronte ad Allura.

« Non capisci niente neanche quando è così ovvio! »

« Non sai di cosa stai parlando, idiota! »

« Ehi! Se mi insulti è reato! Ti faccio buttare in cella! »

« Meglio di sentire le tue str- »

« Keith! »

Il padawan fu afferrato per un braccio e strattonato via. Lance non poté cantare vittoria troppo presto, perché anche lui fu trattenuto per le spalle e redarguito.

« Lance, fermati immediatamente! »

Arruffati e con solo qualche graffietto superficiale e i vestiti di traverso, i due ragazzini si calmarono nella stretta dei rispettivi adulti spiati fino a quel momento.

« Che cos’è questa storia Keith? »

« È colpa di Lance! »

Dall’altro lato, il principino scattò puntando l’indice.

« Ti arrabbi subito quando non capisci cosa sta succedendo! Io non ho fatto nulla, scemo! »

« Lance! Chiedi subito scusa! » sbottò Allura, sovrastando il cugino e facendogli serrare la mascella con un filo di terrore. « Poi voglio sapere esattamente cosa stavate combinando! »

« Io non chiedo scusa, ha iniziato lui! »

« È vero? » intervenne Shiro, con il tono che più metteva agitazione in Keith: controllato e serio. Con l’aggiunta di uno sguardo che il bambino non riusciva a sostenere. Deglutì.

« Sì, l’ho spinto » confessò controvoglia, stringendo a pugno il bordo della casacca. « Ma lui ti ha insultato! »

Il primo a sbattere le palpebre confuso fu Shiro, seguito da Allura e dall’espressione sbalordita e tradita di Lance.

« Non è vero! Io non ho insultato Shiro! » urlò il Principino, rosso come un pomodoro, soprattutto quando si voltò per fronteggiare il Maestro Jedi, per cui provava una segreta ammirazione. Il suo tono cambiò all’istante; niente più ostentata spavalderia da erede al trono, quando una vocetta tremolante, più appropriata a un bambino che tentava di chiarirsi. « Maestro Shirogane, giuro su mio zio il Re che quello che ho detto non voleva essere un insulto! È il vostro padawan che- che non ha capito! »

« Tu hai detto chiaramente che Shir- »

« Stai zitto! Vuoi farci finire tutti nei guai!? »

« Finire nei guai, Lance? » Allura trasmise chiaramente dei brividi, e non solo ai bambini. « Per qualcosa di importante, visto che hai giurato sul Re. Voglio sapere cosa »

« M-Mi appello al… all’emendamento di Kaser V e-- e non confesserò senza un Difensore presente e-- e il mio tutore legale d-data la mia giovane età » farfugliò Lance, sforzandosi di far riaffiorare in mente le lezioni di legislatura che aveva iniziato ad apprendere in vista della sua probabile e futura carica di Senatore.

Allura sembrò sinceramente spiazzata dalla sua uscita e questo diede il tempo a Lance di voltarsi, agguantare Keith per una manica e correre come se avesse avuto l’intero esercito Galra alle spalle. O una cugina davvero molto adirata che non controllava più gli improperi.

« Wow, ha detto la parola proibita con la c! » ridacchiò Lance a nessuno in particolare, galvanizzato dal suo essere riuscito a sfuggire, temporaneamente, al tribunale-Allura. Per farsi perdonare sarebbe dovuto tornare con un mazzo dei juniberry selvatici preferiti dalla cugina, e sapeva anche dove trovarli.

« Ti porto in un posto! Ti piacerà! » esclamò, lanciando un sorriso aperto al suo compagno di fuga, dimentico del litigio appena avuto.

Keith lo seguì senza fiatare.



La piccola vallata era un campo di fiori fucsia che ondeggiavano nel venticello pomeridiano. I due ragazzini si erano lasciati alle spalle le mura dei giardini reali attraverso uno degli innumerevoli passaggi segreti conosciuti da Lance; erano scesi, sempre di corsa, lungo il pendio di una collina, attraversato un boschetto popolato di insettini luminescenti e approdati su un’altra collina che sormontava una stretta gola dove i juniberry rosa acceso crescevano ovunque, compresi vecchi tronchi morti e-

« Quella è- »

« La capsula di salvataggio di una nave Galra! » completò Lance, ansimando per la corsa.

Anche il petto di Keith era scosso; non si erano mai fermati, e il respirare affannosamente gli impedì di trattenere il fiato a dovere di fronte a quella scoperta.

« È precipitata qui quando Allura era piccola! Io non ero ancora nato - e neanche tu! Ci fu uno scontro nei cieli di Altea e mio zio vinse la battaglia. In un vano tentativo di fuggire al suo destino, il generale Galra a capo della missione si lanciò con la capsula, ma era stata danneggiata e precipitò qui! » spiegò Lance concitato, gli occhi brillavano di entusiasmo, e con parole che sembrava aver imparato a memoria a furia di riascoltare i racconti. Prese una boccata d’aria immensa, molto poco elegante, ma Keith era concentrato solo sul relitto attanagliato da radici e fiori. « Sai » riprese il principino. « Si dice che al suo interno ci sia ancora lo scheletro di quel Generale! »

L’attenzione di Keith si catalizzò di nuovo su Lance, stavolta dubbiosa.

« Non ci sei mai entrato » sentenziò, e non era neanche lontanamente una domanda.

Lance tenne bene a bada l’imbarazzo.

« Non dovrei neanche essere qui! Un principe non dovrebbe uscire da solo senza scorta! Sono venuto qui solo un paio di volte di nascosto, sai, per Allura, a lei questi juniberry piacciono un sacco- »

« E avevi paura di entrare da solo nella capsula e controllare se ci fosse davvero uno scheletro »

« Ti ho detto che non dovrei neanche essere qui! Bah, cosa mi è venuto in mente di portarci te! Sei solo un padawan, non un Jedi vero! »

« Io non ho paura » ringhiò Keith, facendo un passo avanti, più aggressivo del normale, tanto che Lance lo fissò disorientato, levando le mani a difesa.

« Ehi, calmati. Se vuoi entrare- aspetta! »

Ma Keith stava già percorrendo la distanza verso la capsula a passo sostenuto, facendosi rincorrere dietro da Lance. Non era grande e la circumnavigarono un paio di volte in cerca dell’ingresso, nascosto dalla maggior parte dei rampicanti. Tentarono di strappare a mani nude quelle che sembravano delle vere e proprie liane, spesse e robuste, finché Keith non sbuffò, afferrando la propria spada laser.

« Se la usi io non dirò nulla » lo anticipò Lance, che fissava con ammirazione e un vago timore l’impugnatura. Keith assentì e gli fece cenno di farsi indietro. Il rumore tipico della lightsaber riempì l’aria per qualche secondo; con due colpi netti Keith tranciò i rampicanti e aprì l’ingresso alla capsula.

A un primo sguardo, i bambini videro solo buio e nient’altro. Era come l’ingresso di una caverna, con un odore di vecchio e abbandonato, a tratti umido e più caldo rispetto al clima tuttavia mite che li circondava, nonostante fosse estate.

Lance era così teso che scattò al fianco di Keith, quando qualcosa di indefinito scricchiolò senza preavviso e uno degli steli non completamente mozzato cadde vicino a loro.

« Se hai paura- »

« No! Non ho paura! » abbaiò Lance con un’ottava di troppo, scostandosi di nuovo e irrigidendo la schiena. Era di qualche centimetro più alto di Keith e sfruttò la cosa per tentare di guardarlo offeso dall’alto verso il basso.

Keith roteò gli occhi, addentrandosi senza aspettarlo, ma sentendolo subito andargli dietro.

L’aria era afosa e viziata, il pavimento in parte ricoperto di muschio e in generale si vedeva poco, dato che la luce non filtrava oltre la soglia.

« P-Perché non riaccendi la spada laser? Così… sì, ecco, vediamo dove mettiamo i piedi »

Keith annuì al buio e un attimo dopo l’azzurro della lightsaber delineava i loro profili.

« Le spade dei Jedi sono davvero utili » sorrise Lance, girandosi intorno per adocchiare l’osservabile. Il vetro della capsula era danneggiato e le piante erano entrate ramificando sulla console dei comandi. La postazione di controllo era anch’essa ricoperta di licheni e qualche stelo, ma Lance ci si sedette ugualmente, risultando minuscolo nel posto a sedere.

« Lo zio Blaytz mi ha detto che i Galra sono anche più grandi di lui, e a vedere da questo posto… be’, di sicuro il sedere ce lo hanno grosso » ridacchiò Lance, pigiando qualche tasto a caso e muovendo una cloche, senza ottenere risultati.

« Non hai mai visto un Galra? » domandò Keith stupito, avvicinandosi al posto di guida.

« Altea non viene attaccata dai Galra da l’ultima volta che questa navicella è precipitata qui! Ho visto qualche ologramma per studio, ma mai un Galra vero e proprio » si strinse nelle spalle. « Tu invece? Li hai già combattuti? »

La bocca di Keith sembrò pronta a rispondere, ma il ricordo dell’esperienza più recente lo bloccò. Il primo e ultimo incontro che avesse avuto con un Galra lo aveva fatto dubitare di sé così tanto che aveva rimosso il pensiero. Guardò anche lui verso i comandi, stringendo la presa sull’elsa della spada.

« Una volta, non molto tempo fa »

« Oh! Hanno davvero i denti appuntiti? E sono ricoperti di pelo? Gli occhi brillano al buio? » chiese Lance a manetta, sporgendosi tanto che quasi scivolò giù dalla seduta.

Keith non ne voleva davvero parlare.

« Non più dei tuoi marchi alteani » borbottò, fissandoli con un cipiglio che si sarebbe potuto dire a metà tra l’interessato e il pensieroso.

Lance annuì piano, abbassando gli occhi sulle proprie guance, scorgendo appena il riverbero tenuissimo delle mezzelune acute.

« Immagino li incontrerò quando diventerò Senatore per Altea »

« Cosa ci sarà di eccitante… Il Maestro Galma dice che i politici sono anche peggio dei soldati Galra »

« Non è che come Principe bastardo abbia altre possibilità »

Keith lo guardò per la prima volta come non aveva mai fatto, ma Lance sembrava troppo interessato a trovare sequenze sempre nuove per il tastierino sul bracciolo del sedile di comando.

« Bastardo? » riecheggiò, incerto anche solo del significato. Lance non si faceva problemi a parlare con un linguaggio più che colorito, ma come aveva pronunciato quella frase aveva lasciato il padawan interdetto.

« Illegittimo ti suona meglio? » sbuffò il principino, ma senza davvero una verve acida. Si arrischiò a lanciare uno sguardo nella direzione dell’altro ragazzino, complice quel buio e la sola fonte di luce data dalla lightsaber, parlare di quell’argomento gli risultò più facile del solito. « Non lo sai? Non hai sentito le voci di corridoio su di me? Ho undici anni e i nobili, o chiunque passi per il Castello, non hanno smesso un attimo di trovare nuovi modi per chiamarmi »

« Ma sei il nipote di Re Alfor, sei… il figlio di suo fratello »

Il sorrisino di sprezzo, insieme al gesto noncurante, non piacquero a Keith.

« Sì ma sono nato al di fuori di un regolare matrimonio, da una relazione clandestina, senza l’approvazione di nessuno. Quelle cose da politici che non piacciono al tuo altro maestro! »

Keith era a bocca aperta, non credendo alle proprie orecchie.

« Sei… stato abbandonato? »

« Oh no! Non questo! So chi sia mia madre, è una delle principesse di Bacu, un pianeta di questo sistema… ma Altea e Bacu hanno qualche screzio commerciale di lunga data in mezzo e il fatto che mio padre abbia sedotto mia madre in segreto e che poi sia nato io… ha portato all’inasprimento dei rapporti. Mio nonno materno non ha voluto un bastardo alla sua corte, così appena nato mi hanno spedito qui su Altea. Ho visto mia madre per la prima volta quando avevo quattro anni » Lance sorrise nostalgico a niente in particolare. « È molto bella sai? Ed era anche giovane quando sono nato. Non è potuta venire al funerale di mio padre, ma mio zio è riuscito a persuadere mio nonno per farla venire in visita ogni tanto, per me. Ora lei ha un’altra famiglia - ho due sorellastre! - ma la mamma dice che mi pensa tutti i giorni ed è sempre felice di vedermi »

Keith non sembrò trovare nulla da dire e Lance proseguì, balzando giù dalla seduta.

« Però ora non ti stupirai quando sentirai qualcuno a corte chiamarmi bastardello, illegittimo, ruba-corona o simile. Anche se mio zio ha espressamente dichiarato che punirà chiunque si azzardi a darmi nomignoli simili, ma questo poco frena le malelingue. Una volta Allura ha rischiato un incidente diplomatico con una duchessa che mi aveva chiamato divertita fagiolino spurio »

« Non avevo idea… credevo fossi solo… un principino viziato »

Lance lo guardò male, incrociando le braccia in una imitazione del sé futuro.

« Viziato io? Lo dici tu che invece segui come un cagnolino il tuo maestro e non hai occhi che per lui! Eppure non ti sei accorto di quanto Shiro sia cotto di mia cugina! Il giorno che la bacerà sotto i tuoi occhi cosa farai? Negherai ancora l’evidenza!? »

« Shiro non- baciare- oh, non di nuovo! »

Keith sbatté la mano sui comandi, frustrato perché l’altra teneva la lightsaber a mo’ di moccolo.

Ci fu un ronzio, che zittì i due bambini e il loro litigio sul nascere. Con la testa incassata tra le spalle, si guardarono circospetti intorno, continuando ad ascoltare il rumore crescere, come una ruota che va su di giri. Quando smise di colpo, il silenzio fu brevissimo, anticipatorio delle prime spie luminose che si accesero illuminando il pannello.

« Cosa hai fatto!? » sussurrò Lance, immobile, senza celare il panico crescente.

« Niente! Io- »

Keith ritrasse la mano neanche si fosse scottato. Il pannello su cui l’aveva abbattuta si era retro-illuminato di viola, e uno scanner si era attivato, insieme ai sensori laterali. Quella che sarebbe dovuta essere la voce dell’interfaccia dell’A.I. di bordo borbottò qualcosa, ma il segnale venne fuori distorto e incomprensibile. Il pavimento tremò sotto i loro piedi.

« La capsula si sta- »

« Non dovremmo essere qui! » strepitò Lance, afferrando Keith per la manica. Il riverbero violaceo delle luci rendeva giustizia al suo stato di panico, allungando le ombre sul suo viso. « Se Allura lo scopre mi metterà in punizione fino alla maggiore età »

« Andia- » ma Keith si interruppe. Si immobilizzò l’istante dopo in cui il suo corpo aveva iniziato il primo passo, lo sguardo sgranato e fisso su qualcosa alle spalle di Lance.

Il suono distorto dell’A.I. nel mentre riuscì a scandire meglio le parole, in lingua Galra, nonostante un brusio di fondo fastidioso. E non fu un sottofondo rassicurante.

Intru--sione. All---erta. Aller--ta. Nemico A---ltean ricono--sciuto. Eli--minare.

Lance non fece in tempo a voltarsi, seguendo lo sguardo di Keith, che una mano lo afferrò per la collottola, sbattendolo in terra.

Lance urlò, ma gli altoparlanti stridettero più forte di lui.

Nemi--co. Eli---minare. Intru---so Alte---

Il droide Galra che si era riattivato, ricoperto di radici, fiori e muschio, tenne a terra il principino con un ginocchio e una mano premuti sul petto, mentre alzò il braccio libero, un moncherino a cui mancava la parte dal gomito in giù, pronto a calarlo ugualmente contro la faccia del bambino.  

« Aiutami! » pianse Lance, coprendosi la faccia.

Mina---ccia. Mi---na---ccia.

Keith si mosse prima che accadesse l’inevitabile. La lightsaber vibrò del suo suono particolare, fendendo l’aria e fendendo il collo del robot. Il gomito monco e frastagliato abbastanza da lasciare una profonda ferita, si arrestò a pochi centimetri dalla faccia di Lance. La voce stessa dell’A.I. si esaurì in un suono morente e prolungato, mentre la testa del droide rotolava sul pavimento senza più alcuna luce ad animarla.

Con un calcio, Keith fece cadere all’indietro la carcassa metallica, liberando Lance.

« Andiamo, usciamo di qui » e prima ancora che Lance tendesse le mani, liberandosi il volto fradicio di lacrime, il futuro Jedi lo tirò in piedi, cercando di nascondere lo sguardo contrito ma curioso con cui lo scrutò, soprattutto i marchi che parevano aver raddoppiato di intensità.

Lance annuì e basta, avviandosi a passo spedito e testa bassa verso l’uscita, vero la rassicurante luce che faceva sembrare il prato di juniberry fucsia il sogno dopo un incubo. Si fermò sulla soglia quando si accorse che Keith non era dietro di lui.

« Che fai!? Aspetti che un altro robot Galra ci attacchi!? »

Ma nella capsula non erano rimasti che loro, anche a sondare meglio gli angoli. Tuttavia il padawan non diede cenno di averlo sentito. Stava fissando la console dei comandi, le lucine, gli scanner per metà rotti e lo schermo, integro solo per un quarto, in cui parte di una sequenza di ordini aspettava l’ok.

Lance fece un passo per raggiungerlo, ma quando l’occhio gli cadde su quello che restava del droide e del pericolo scampato, ci ripensò.

« Keith andiamocene! » pregò, ingogliando l’orgoglio. Voleva correre al Castello, in camera sua, e sperare che nessuno gli facesse domande. « Perché stai lì impalato!? »

« Ci siamo solo io e te in questa capsula. Siamo in due » mormorò Keith sovrappensiero, in una sorta di trance nell’osservare lo schermo.

« Ti sembra il momento di contare!? Se scoprono che abbiamo riattivato questa navicella passeremo dei guai enormi! »

La frustrazione stava per vincere sull’angoscia dell’essere sfuggito alla morte, ma Lance non si sentì ancora pronto per tornare sui propri passi, anche solo per afferrare Keith e trascinarlo via.

« Keith, per favore, andiamo via! »

« Sullo schermo... dice che c’è un intruso altean - tu - e un Galra, dentro questa capsula »

Lance guardò prima il padawan e poi lo schermo, che andava e veniva per qualche falso contatto. Era scritto in Galra e lui era ancora alle prime armi con l’imparare la lingua, riconoscendo a malapena qualche simbolo e sillaba.

« Conosci la lingua Galr-- no, senti, non è questo il momento! Hai visto come sono messi gli strumenti?! Questa capsula ha più di dieci anni! Cade a pezzi e i sensori sono sballati! Keith, an-di-a-mo-ce-ne! »

Le spie dei comandi lampeggiarono a intervalli sempre più brevi, mentre l’A.I. biascicava qualcosa di incomprensibile in sottofondo. Lance le fece eco, continuando a chiamare il padawan, mentre quest’ultimo teneva d’occhio le parole che scorrevano sullo schermo, in un crescendo sempre più veloce.

« KEITH! »

E Keith, con un grido frustrato, piantò la lightsaber nella console comandi, mandando definitivamente in cortocircuito tutto il pannello. L’oscurità riavvolse completamente l’ambiente e, dopo qualche istante frammezzato da ansimi che si regolarizzarono lentamente, Keith uscì dalla capsula alla luce del sole, senza guardarsi indietro.



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Cow-t, settima settimana, M2.
Prompt: Mare
Numero parole: 420


Lance si vantava di essere figlio del mare, in un certo senso. Nato prematuro di circa un paio di settimane, sua madre era stata colta dalle doglie la mattina del ventotto Luglio mentre faceva colazione sul portico con la suocera. Nonostante l’arrivo tempestivo dei paramedici, tra cui uno dei tanti futuri zii, Lance nacque in casa. Il suo primo respiro fu l’odore intenso del mare e, anche se era impossibile che se ne ricordasse, Lance aveva la sensazione che quel sentore non lo avesse mai lasciato.

Anche in quel momento, ad anni luce lontano da casa, e nonostante da quando fosse entrato alla Garrison non avesse più avuto occasione di vederlo, se Lance chiudeva gli occhi e respirava a pieni polmoni, aveva l’idea chiara della salsedine, dell’odore di sfondo della sabbia bagnata, dei fiori che crescevano al limitare della spiaggia.

Capitava delle volte che cercasse la solitudine dell’osservatorio all’interno del Castello dei Leoni, sperando di non trovarci nessuno, per sedersi e tenere lo sguardo alto, verso una porzione di stelle molto diverse da quelle di casa, sì, ma l’immaginazione non gli era mai mancata.

Poteva fingere con se stesso che sotto ci fosse il mare, come quando di notte, d’estate, preda dell’insonnia perché il periodo di vacanze a Cuba era sempre più corto di anno in anno, andava a sdraiarsi a cercare costellazioni e inventarne di nuove.

Con ironia ripensava a quando credeva che quelle stelle non le avrebbe mai raggiunte, che sarebbe sempre rimasto il numero due, che la sua occasione in fin dei conti non sarebbe mai arrivata. Si consolava pensando di avere il mare, sempre lì, che non lo aveva mai tradito, che lo aveva sempre accolto come il più lontano e affettuoso dei parenti.

Invece ora era là, difensore delle galassie, componente essenziale di una squadra che si era prefissa di salvare tutto e tutti, in mezzo a quell’oceano di stelle che, per quanto ne avesse studiata la vastità, si era dovuto ricredere su quanto grande e popolato potesse essere l’universo.

E gli mancava il mare. Gli mancava la sensazione dell’acqua tra i piedi, i tramonti, le albe e la luna che si riscpecchiava tra le onde; gli mancava tuffarsi, fare il bagno nudo di notte, trattenere il respiro fino all’ultimo istante prima di riemergere, pur di essere circondato in modo totalizzante dal mare, come solo l’acqua poteva fare.

Prima o poi sarebbe tornato, continuava a ripetersi, un sorriso mesto sulle labbra. Sulla Terra, dalla sua famiglia, alla sua vita e al mare. Prima o poi.


April 2025

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