Mar. 9th, 2019

sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 1024

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lance, Lance/???, Lance & Veronica, Pidge, Coran

Note: primo tentativo (fallito) di Hanahaki Disease





Dopo quel mi dispiace, Lance iniziarono colpi di tosse sporadici, mascherati con qualche risolino a dissimulare, mentre la mano massaggiava il petto.

“Ti sei raffreddato?” era la domanda più frequente a cui il ragazzo aveva finito col rispondere sì, un malanno di stagione.

Erano all'inizio dell'autunno e poteva starci. Nessuno sapeva e i diretti interessati a malapena incrociavano gli sguardi, evitando quanto possibile di ritrovarsi invischiati in qualche momento di gruppo troppo invasivo. In fondo, l'universo era ancora nel suo pieno dopoguerra, i focolai Galra insorgevano e le Lame di Marmora insieme all'Atlas se ne occupavano. Lance aveva la sua nuova vita come insegnante diviso tra la Galaxy Garrison e Nuova Altea; tutti gli altri si stavano ricostruendo un avvenire, quindi non c'era da prestare troppa attenzione ai dettagli.



"Dovresti farti controllare questa tosse, dura da un po' troppo" aveva insistito Pidge durante una delle loro videochiamate. Il gesto vago di Lance stava per essere accompagnato da una delle sue battute per minimizzare, quando quella stessa tosse incriminata lo colse impreparato e più forte del solito. Dallo schermo, Pidge saltò in piedi, avvicinandosi alla webcam allarmata, ma Lance la sentiva a malapena mentre percepiva qualcosa ostruirgli la gola. Tossì così forte che credette di strozzarsi e poi avvertì qualcosa di umido nella mano.

"Lance... quello è sangue!? E quello è un pe-"

Lance interruppe la chiamata, terrorizzato. Nel palmo della mano, macchiato di vermiglio, c'erano anche dei petali blu.



I medici umani, da cui Veronica e Pidge lo portarono il giorno dopo, poterono solo riscontrare una crescita sospetta nei polmoni, ma la diagnosi finale fu di Coran.

"Lance... c'è qualcuno di cui sei innamorato che ti ha respinto?" fu molto serio nel chiederlo, e davvero molto preoccupato. L'ex paladino blu distolse l'attenzione, continuando a tenersi una mano al petto, stringendo la stoffa della maglietta col bisogno di aggrapparsi a qualcosa. La sorella gli appoggiò una mano sulla spalla per poi abbracciarlo quando lo sentì singhiozzare.

Coran spiegò che si trattava della Malattia dei Fiori. Qualcuno aveva rifiutato i sentimenti di Lance e ora questi stavano crescendo nei suoi polmoni, mettendo radici e soffocandolo poco a poco.

Anche di fronte a quella assurdità, Lance non proferì parola, ma tremò, ricominciando a tossire fino a trovarsi altri petali e un fiore completo nel palmo della mano, il sangue a sporcargli le labbra.

"È un Non ti scordar di me" riconobbe Veronica, spaventata e con le lacrime agli occhi. Prese tra le mani il volto del fratello, tentando di costringerlo a guardarla. "Lancey, hermanito, chi è questa persona? Che cosa è successo?"

Non ci fu verso di cavargli di bocca un nome. Per la prima volta, Lance era silenzioso, trincerato nel proprio dolore. L’unica cosa che disse, alla fine, fu che quella storia rimanesse tra loro; il solo pensiero che altri potessero sapere lo portò ad alzare la voce per far giurare ai tre di non dire niente, finendo col tossire di nuovo.

"Coran, qual è la cura?" chiese Pidge con gli occhi sbarrati nel vedere Lance piegato su se stesso, respirando a fatica. "Dobbiamo fare qualcosa, subito."

Allo stadio in cui si trovavano, l'unica soluzione era un'operazione di estirpazione, sperando che le radici dei fiori non avessero imbrigliato completamente i polmoni.

"Andrà tutto bene, numero tre" gli sorrise incoraggiante Coran. "Ti guariremo."

Quello che non disse a Lance, mentre lo sedavano e lo sistemavano su uno dei lettini dell'ospedale, lo spiegò alle due ragazze con gli occhi lucidi.

"Estirpando i fiori, porteremo via a Lance anche i sentimenti verso chiunque si sia confessato, insieme anche alla memoria di questa persona e... la possibilità di innamorarsi di nuovo. Mi dispiace."

"Intendi che dimenticherà completamente qualcuno?" sussurrò Pidge.

"Esatto. Come se non lo avesse mai conosciuto."

"... e non potrà più amare nessuno?" continuò Veronica in un sussurro.

"Mi dispiace."



L'operazione durò otto ore e fu impossibile che la voce non si spargesse; era pur sempre Lance, l'ex Paladino Blu di Voltron che aveva salvato l'universo e che ora era sotto i ferri, rischiando la vita e nessuno sapeva perché o per cosa.

Pidge e Veronica iniziarono a ricevere messaggi su messaggi, senza sapere cosa rispondere, troppo occupate a continuare a convincersi che tutto sarebbe andato bene.

"Veronica! Pidge! Cos'è successo!?" Shiro fu il primo ad arrivare, il giorno dopo. A lui seguì Hunk con Shay e Romelle, poi fu il turno di Matt e Keith. Tutti si erano mobilitati dai quattro angoli di galassia dov'erano, tutti con la stessa identica domanda, tutti con il terrore in viso. L'operazione era riuscita; nei polmoni dell'ex paladino blu non c'era più un singolo fiore di Non ti scordar di me e Lance riaprì gli occhi al rumore delle persone nella stanza.

Nonostante la debolezza, riuscì anche a sorridere, alzando un pollice. Parlare non sarebbe stato possibile prima di un po' di tempo, aveva spiegato Coran, così passarono a Lance un blocco e una penna.

Mi dispiace, vi ho fatto preoccupare e siete corsi tutti qui, ma ci vuole altro per ammazzarmi, scrisse, voltando il foglio verso gli astanti. Tutti risero rincuorati, per poi attende quando lo videro scrivere di nuovo, più concentrato. Questa volta, Lance non girò il blocco ma lo passò alla sorella.

Chi è quello con la tutina nera sexy e aderente?

Veronica capì all'istante.

"Lance deve riposare" annunciò, ignorando le proteste stesse del fratellino. Li fece uscire tutti e uscì anche lei.

Veronica si chiuse la porta alle spalle per poi cambiare completamente espressione. Strappò il foglio dal blocknotes, lo accartocciò e lo spinse contro il petto di Keith, fregandosene della reazione degli altri.

"Vattene da qui. Non ti azzardare più ad avvicinarti a mio fratello!" urlò feroce, tanto che Shiro e Matt dovettero mettersi in mezzo. "È colpa tua se ha rischiato la vita! È colpa tua se ora non potrà più amare nessuno! Sparisci dalla sua vita!"

Keith, senza ancora riuscire a comprendere cosa stesse succedendo, aprì il foglio accartocciato, rileggendo quelle parole scritte nella calligrafia di Lance e impallidì.

“È molto meglio se te ne vai” mormorò Pidge in tono piatto, nonostante il dolore e l’odio nello sguardo. “Per lui non sei più nessuno.”


sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 1541

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Lotor, Haggar/Honerva

Note: questa fanart ci sta perfect http://33-ko.tumblr.com/post/171640341409/young-lotor-c




Lotor aveva circa otto anni quando scoprì le prime verità su sua madre. Relegato a vivere su una nave spaziale lontano da quella di suo padre anche galassie a volte, Dayak continuava a istruirlo bacchetta alla mano, nonostante da rimproverargli ci fosse veramente poco.

Era curioso Lotor, ma discreto. Aveva imparato davvero molto presto che qualsiasi sgarro sarebbe stato punito severamente, come ordinato da suo padre la volta in cui gli chiese chi è mia madre?

Così aveva imparato a mantenere il sangue freddo quando una domanda gli ronzava così forte in testa da assordare qualsiasi altro pensiero; era diventato bravo a rispettare gli orari, a non fare ritardi ma neanche ad arrivare presto; a soffrire in silenzio o in un luogo dove sapeva che i suoi singhiozzi non sarebbero stati uditi. A volte si era dilettato in qualche furtarello, ma pochi. Non era bravissimo e aveva scoperto che non gli recava una gran gioia appropriarsi di qualcosa di nascosto. Preferiva poter prendere quello che gli pareva sotto gli occhi di tutti, perché sapessero che poteva farlo, perché era all'altezza delle conseguenze. Si era detto che un giorno sarebbe stato così; tuttavia, fino a quel momento, si accontentava di ciò che come Principe dell'Impero Galra poteva richiedere, che alla fine non era poco.
Però c'era questo pensiero per cui proprio non poteva fare a meno di rischiare e per cui, più di una volta, aveva fatto arrabbiare i suoi tutori. Erano le vecchie cose di sua madre. E non una semplice scatola di roba, ricordi e simili, ma un'intera stanza, una specie di biblioteca di libri, oggetti e ricerche.

Dayak era molto severa a riguardo, su ordine di suo padre. "Il bambino non può avere accesso" erano state le sue parole alle guardie davanti la stanza. Non lo aveva chiamato Lotor, o “il Principe”; aveva usato solo quel sostantivo che toglieva a lui qualsiasi potere. Perché era così che lo vedevano, alla fine. Era l'unico bambino in quell'immensa nave-castello. Oltre lui, i più giovani erano forse le guardie fresche di accademia o gli inservienti. Per diverso tempo Lotor aveva anche creduto di essere speciale perché l’unico. Lo chiamavano "il bambino" come se fosse stato una qualche sorta di onore, perché non ne esistevano altri. Non aveva neanche capito che quella fosse una fase, che un giorno sarebbe stato grande quanto chi lo circondava. A pensarci, si dava dello stupido e si vergognava. Poi gli erano capitati libri tra le mani, e vecchie produzioni video che Dayak usava per istruirlo, dove aveva visto altri come lui, altri piccoli e bassi e...
Aveva forse quattro anni, o meno, quando chiese alla sua tutrice "Cos’è una mamma?" Aveva imparato da un video sugli animali della vecchia Daibaazal che i cuccioli, come i bambini, nascevano da altri animali più grandi, le "mamme" e da lì, la domanda era mutata. “Dov’è la mia mamma?” Ma non c’era stata risposta vera, se non un “Questi non sono affari suoi, Principe Lotor. Non rivolgetemi domande sciocche. Non è importante ai fini della vostra educazione” ed era stata l'ultima parola in merito. Insistendo, perché sentiva di dover sapere, il bambino era stato spedito in camera propria senza cena.

E così Lotor, sentendo per la prima volta male al petto, aveva taciuto e aveva iniziato a fare ricerche per conto proprio, perché in fondo, finché sfogliava libri, Dayak era tranquilla. Da una semplice domanda era diventata un'ossessione che proprio non riusciva a tacitare nella sua mente. Non era come i dubbi che poneva a lezione, su un componente di un qualche oggetto o un evento storico. No, era quel concetto, quelle foto che aveva visto, di bambini come lui che tenevano la mano alle loro mamme. Lui sapeva di avere un padre, ma non aveva mai pensato a una madre prima di allora. Apparteneva a suo padre e, in quanto principe, un giorno sarebbe stato come lui, un imperatore. Ma poi aveva letto più e più libri su come i cuccioli e i bambini nascevano e c'era sempre una mamma, colei che ti tiene per mano, come aveva ribattezzato il concetto.
Dayak non era riuscita a togliergli quella domanda di bocca per diversi giorni, finché non lo aveva messo in punizione seriamente. Lotor era abbastanza sveglio da capire che insistendo non avrebbe ottenuto niente, tuttavia era come chiedergli di trattenere il respiro più di quanto già non riuscisse. Comprese che sarebbe dovuto tornare a essere il bambino tranquillo e diligente di prima, per farle abbassare la guardia e poi portare avanti le sue ricerche per conto proprio.
E fu così che scoprì diverse cose. Conscio della ritrovata libertà, scovò in biblioteca un vecchio libro con l'albero genealogico della sua famiglia; sull'ultima pagina era vergato il nome che cercava. L'imperatore Zarkon sposato all'alchimista Honerva di Altea.
Lotor aveva già sentito parlare di Altea diverse volte. Era una delle parole che agli adulti intorno a lui piaceva meno, perché si trattava del pianeta da cui proveniva Re Alfor, l'uomo che aveva distrutto Daibaazal.

Per lunghe notti Lotor si chiese se Dayak facesse bene a non parlargli di sua madre, se questa era originaria di Altea. Voleva dire che era cattiva e che forse era per quello che suo padre non voleva mai avere a che fare con lui, perché gli ricordava quelli che avevano distrutto il suo regno precedente.
Dayak si complimentò con Lotor per la sua tranquillità, nei giorni successivi, ma il bambino ci fece poco caso, perché in testa continuava a riaffiorargli ancora quel nome, come una maledizione. Ma nonostante questo, il bisogno di sapere chi fosse Honerva, che aspetto avesse, dove fosse, era più forte di qualsiasi altro pensiero negativo.
Continuò le sue ricerche in biblioteca. Quando Dayak si addormentava sulla sedia, lui sgattaiolava nei reparti in cui gli era vietato andare e leggeva tutti i tomi che trovava. Riuscì anche a rubarne uno, intitolato "Storia moderna del pianeta Altea". Se prima aveva avuto dei dubbi, quel libro gliene mise ancora di più, quando si trovò davanti una foto di sua madre. "L'Alchimista Honerva, amica e consigliera di Re Alfor, giovane sposa dell'Imperatore Zarkon, sta dedicando la propria vita alla ricerca della quintessenza" recitava la didascalia. Ma anche una volta letta, Lotor non poté che guardare soltanto la fotografia. Fu la prima notte della sua vita in cui pianse tutte le lacrime che aveva per un vuoto dentro più brutto di quando Dayak lo mandava a letto senza cena.
Quel libro fece ritorno in biblioteca solo dopo che Lotor ebbe scansionato in segreto le pagine e fatta una copia da tenere con sé, nascondendo il tutto in un vecchio manuale sui miti di Daibaazal che sapeva Dayak non gli avrebbe mai sbirciato o tolto.
I pensieri su sua madre mutarono ancora e Lotor non riuscì più a immaginarla come un mostro capace di distruggere un pianeta. In una delle pagine che aveva trattenuto c'era un trafiletto dedicato a lei, dove si parlava delle sue ricerche, di come per tutti avrebbe rivoluzionato il mondo con le sue scoperte e del suo matrimonio, che aveva consolidato un’alleanza millenaria tra Altea e Daibaazal. Anche se era solo un bambino, non riusciva a immaginare come tutte quelle belle cose potevano aver reso sua madre innominabile.

Da lì, facendo sempre il bravo per non essere punito, Lotor aveva continuato a collezionare tutte le informazioni che poteva, a scoprire quella sala con gli oggetti di sua madre, e a cercare di immaginare come sua madre potesse essere sparita… o morta. Una possibilità che lo rattristava, ma che era conscio di dover tener presente.

Non scoprì niente per anni. Nonostante le ricerche silenziose, all’ombra dell'obbedienza che dimostrava, nulla venne alla luce fino a quando compì quattordici anni e con più autorità di prima, e Kova a fargli da palo, fu in grado di accedere ai registri storici degli ultimissimi anni.

La verità fece male.

La verità fece così male che lo portò a fare il gesto più stupido che avesse mai fatto.

Rubò un incrociatore e volò alla nave di suo padre. Forse l’unica sua fortuna fu che lui non ci fosse, perché, col senno di poi, sarebbe stato punito così severamente da riportare ancora i segni sulla pelle. Non che questo avrebbe arrestato il tumulto che aveva dentro.

Atterrato, nessuno lo fermò nella sua avanzata verso la persona che cercava, non quando, per la prima volta, fece vibrare la propria autorità con un tono che non ammetteva repliche.

“Sono il Principe Lotor, fatemi passare!”

E così, guardia dopo guardia, era arrivato davanti alla strega, davanti a Haggar.

“Mio principe” aveva sussurrato lei, con quella sua espressione dalla fronte corrugata, la linea delle labbra che non sembravano aver mai sorriso, quegli occhi vitrei e senza pupille visibili. Sembrava smarrita nel guardarlo.

Lotor non seppe cosa fece più male, se riconoscere in lei quei lineamenti della foto che teneva conservata gelosamente, o la completa indifferenza nei suoi confronti da sempre. La donna di quell’immagine gli avrebbe sorriso come faceva con le persone che la circondavano. Sua madre non avrebbe permesso che vivesse segregato e oppresso, un principe alla stregua di un prigioniero, punito per desiderare sapere il nome di chi lo aveva messo al mondo.

Sua madre non si sarebbe dimenticata di lui.

“Tu non sei lei.”


sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 687

Rating: SAFE


Fandom: Originale

Personaggi/Ship: Nathaniel & Rafael

Note: //



C’era una lista di cose a cui Nathaniel cercava di non prestare attenzione e in cima c’era il compleanno, oltre a un’altra mezza dozzina di festività. Ma il compleanno aveva quel posto speciale, lì proprio per primo.

L’ultimo compleanno felice di cui avesse memoria era quello dei suoi sei anni con i suoi genitori. Non che da allora non ci fossero più stati, ma avevano un sapore diverso, di quelle date fissate sul calendario come l’appuntamento dal medico, per non dimenticarsi.

La beffa era che mentre tutti non ci pensavano, e anche quando Nathaniel stesso faceva di tutto per dimenticarsene, puntualmente gli veniva in mente. Anche quando era troppo occupato, quando era un periodo difficile, o quando le cose andavano sorprendentemente bene, ci pensava. Iniziava il mese di Marzo e l’occhio cadeva su quella cifra, a metà del mese. Il giorno prima delle Idi di Marzo, andava dicendo un tempo, stupidamente. Ma all’ennesima domanda “e cosa succede?” - se non peggio, “che cosa sono le Idi di Marzo?” - aveva lentamente rinunciato, deviando il discorso sulla morte di Giulio Cesare.

A quasi trent’anni andava bene così. Aveva altre cose a cui pensare. Da poco più di un anno il lavoro aveva iniziato a girare e ora nella sua vita c’erano delle persone che non fossero Lady Morgana o Merlino, o Lady Winterbell, come l’anziana amava ricordargli di tanto in tanto.

C’era Dorothea, probabilmente l’amica che aveva sempre voluto avere, non nei canoni in cui se l’era immaginata, ma la migliore e l’assistente più desiderabile che la vita potesse mettergli sulla strada. E da qualche tempo c’era anche Rafael, con cui aveva un rapporto diverso da quello che aveva con Merlino, non come un fratello, ma un amico che allo stesso tempo riusciva a essere presente come un famigliare (a volte anche invadente come uno zio).

Cameratesco ma silenzioso, Rafael sembrava capirlo senza usare troppe parole, come se misurasse ogni sua azione per poi dedurre quello che Nathaniel stesso non diceva. A volte il Mago aveva timore che potesse scoprire il suo segreto, se già non lo aveva fatto. O almeno, da alcuni suoi sguardi, Nathaniel aveva dedotto che avesse capito qualcosa, o meglio, che qualcosa non andasse gli era chiaro. Ma invece di avanzare domande si limitava a rimanere al suo fianco, e questo per Nathaniel significava già moltissimo. Avrebbe pure potuto dimenticarsi della maledizione che gli gravava sulle spalle, se Dorothea e Rafael gli fossero rimasti vicini per sempre.

Soprattutto quando, rientrando un po’ più tardi dal solito club, perché, insomma, era il suo compleanno alla fine e aveva ceduto a svagarsi, trovò un pacchetto incartato ad attenderlo sulla scrivania in salotto. Rimase immobile a guardarlo come fosse un qualche trucco che allo sbattere delle palpebre sarebbe scomparso, ma non successe.

“Avanti, non morde” disse una voce dalla poltrona in fondo alla stanza. Nathaniel trasalì nelle proprie spalle, trovando Rafael stravaccato a sfogliare pigramente un libro, facendosi bastare la propria vista e l’illuminazione dei lampioni esterni. Nathaniel preferì accendere almeno il lume sul tavolo.

“Perché…?” iniziò a chiedere, ma lasciò in sospeso, non sapendo neanche lui di preciso cosa intendesse domandare.

“Perché è il tuo compleanno, no? Ma se non ti sbrighi ad aprirlo sarà solo l’ennesimo anniversario della morte di Giulio Cesare” spiegò il diurno con il suo sorrisino sempiterno, senza distogliere l’attenzione dalle pagine che stava sfogliando.

Nathaniel si mosse verso il regalo senza neanche togliersi i guanti. Sciolse il nastro - che da solo sembrava costare quanto l’abbigliamento del Mago - e aprì la scatola. Dentro, tra fogli di carta velina, trovò una cravatta blu scuro in seta con un fermaglio in oro.

“Rafael, è…”

“Non ringraziarmi” tagliò corto il Diurno, incrociando finalmente i suoi occhi. Forse stava sorridendo e non ghignando come suo solito. “Anzi, buon compleanno Nath. Domani voglio vedere la faccia di Dorothea quando si accorgerà di aver dimenticato il tuo compleanno.”

Nonostante l’affermazione, detta con leggerezza, avrebbe potuto ferire Nathaniel in quanto vera, dentro era così commosso che non gli importò. Augurò la buonanotte all’amico e andò a dormire stringendo il regalo come fosse il più prezioso mai ricevuto.


sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Piangere senza riuscire a smettere

Numero parole: 602

Rating: SAFE


Fandom: Haikyuu!!

Personaggi/Ship: Oikawa & Iwaizumi

Note: … ho bisogno di rivedermi tutta la serie




Nella palestra i boati dagli spalti continuavano; il suono delle bottiglie di plastica battute tra di loro, il vociare degli spettatori, gli striscioni ancora alti. Era un celebrare unico, alto e tonante sia per i vincitori sia per i perdenti. Perché erano stati tutti bravi, dicevano. Perché erano tutti degli eroi quel giorno, anche chi aveva mancato la palla. Ma quello che percepiva Oikawa era solo la sconfitta. La cocente e brutale sconfitta. La linea del traguardo attraversata da qualcun altro e lui che non era riuscito a prendere quella palla. Ecco cosa sentiva lui. Il suono di quella maledettissima palla che toccava il terreno, rompendo il suo bagher. E poi il boato che era esploso dalla parte dei corvi, dei sostenitori di quella squadra di marmocchi che non avrebbe dovuto avere speranze.

Il casino non finì neanche quando entrarono negli spoiatoi, anzi, le pareti sembravano in grado di amplificarlo e basta. Ancora e ancora. Karasuno, Karasuno! Verso le nazionali!

A Oikawa sfuggì un singhiozzo di rabbia e di frustrazione. Colpì lo sportello dell'armadietto prima ancora di pensarci e il dolore fisico lo invase, ma non abbastanza forte da eliminare tutto il resto. Ruggì dentro di delusione e alzò la mano per colpire di nuovo il metallo e sentire qualcos'altro, fino a sostituire tutto, ma una mano lo fermò.

"Basta" lo ammonì Iwachan.

"Lasciami" ringhiò Oikawa forte, ma anche con un nuovo singhiozzo. Forzò il polso, ma la presa di Iwachan era quella di sempre, quella forte e salda che lo aveva tenuto in piedi un'infinità di volte. Nel mentre, la porta dello spogliatoio si aprì e si richiuse e loro rimasero da soli.

"Fatti male e giuro che ti pesto."

"Ho detto lasciami!" continuò Oikawa, che voleva solo che il rumore di quella palla mancata la smettesse di risuonargli in testa.

"No" e quel no fu seguito da un'altra mano che lo afferrò per la maglia e lo trasse indietro, lontano dall'armadietto. Oikawa si oppose, sentendo la stoffa anche strapparsi, ed ebbero un piccolo tafferuglio di mani che cercavano di allontanare mani e altre mani che afferravano braccia. Alla fine Tooru si ritrovò Hajime a pochi centimetri, mentre lo teneva per il colletto. "Smettila!" gli gridò e stava ancora piangendo per la sconfitta.

Rosso in faccia, il numero uno della Seijoh tirò su col naso, completamente svuotato da sogni e speranze e allo stesso tempo saturo di tutto, con quegli stupidi singhiozzi e lacrime a scuoterlo.

"Smettila tu!" rincarò di nuovo, ma il suo tono uscì smorzato, privo di forze, a vedere com'era messo il compagno. Nessuno dei due sembrava in grado di interrompere quella lagna. Perché era una lagna? Chi perdeva si lagnava e basta? O aveva diritto di sentirsi così?

Si guardarono negli occhi, in quelle lacrime furiose e a poco poco entrambi sentirono affievolirsi la rabbia verso se stessi.

Oikawa si passò una mano in faccia, facendo un verso disgustato a sentirla umida e appiccicosa. Non ci pensò due volte a pulirla contro la maglia di Iwachan - per altro fradicia di sudore. Hajime gli schiaffeggiò via le dita.

"Ahio!" protestò l'alzatore. "Non mi devo fare male perché poi tanto ci pensi tu, gorillone?"

"Sei il solito schifoso, Shittykawa. Vai ad affogarti nella doccia e smettila di piangere!"

"Gne, smetti prima tu!"

Oikawa si erse in tutta la propria altezza per fissare Iwachan, tirando su col naso. Hajime, come al solito, gli tenne testa anche con i suoi centimetri in meno. Entrambi, dopo qualche secondo di silenziosa sfida, si lasciarono andare a una risata liberatoria e a un abbraccio così forte che si tolsero il fiato a vicenda.


sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Numero parole: 752

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: Shiro/Lance/Lotor

Note: What If Post S8, omegaverse (Alpha!Shiro, Alpha!Lotor, Omega!Lance)




Lotor stava sorridendo. Quando lo faceva, Shiro era certo che sarebbe successo qualcosa di lì a breve e spesso significava sparare a qualcuno o correre a perdifiato per salvarsi la vita.

Il Principe Galra era ancora bersaglio di sovvertitori della nuova pace e cacciatori di taglie ingaggiati per portare la sua testa a chi ancora era fedele al defunto Zarkon. Nonostante ormai tutti sapessero che l’intero universo (e tutte le realtà) erano salve grazie a lui e Allura, per i Galra rimaneva un traditore. Per questo Shiro voleva avercelo sempre vicino quando erano in missione diplomatica; per questo motivo e per il fatto che da qualche mese quella stessa vicinanza avesse portato a far sbocciare qualcosa. Però quando sorrideva in quel modo era perché aveva riconosciuto guai in vista (guai di solito gestibili, se ghignava).

Shiro si fermò dal proseguire e si voltò verso Lotor, guardandolo con un eloquente cipiglio a dire che cosa succede? Erano nel nuovo palazzo congressi di Olkarion e diverse delegazioni erano in arrivo; di lì a un’ora ci sarebbe stato un dibattito, ma nel mentre tutti erano ai controlli della sicurezza, ma non sarebbe stata la prima volta che qualcuno riusciva a introdursi e fare danni.

Lotor ricambiò Shiro portandosi un dito alle labbra e facendogli cenno di seguirlo. Tornarono sui propri passi - il Capitano dell’Atlas sulle spine e pronto a scattare - e svoltarono in un corridoio deserto, con una porta che dava sullo sgabuzzino degli inservienti e altre dedicate ai bagni. Fu a una di queste porte che puntò Lotor, senza smettere il proprio risolino.

Scostando l’uscio, Shiro iniziò a capire, sentendo il naso pizzicargli.

“Qualcuno è in calore e si è dimenticato gli inibitori” svelò serafico Lotor.

Seduto per terra a ridosso del mobile dove erano incassati i lavandini, Lance, madido di sudore, fece una smorfia, alzando verso Lotor un dito medio. L’odore dell’Omega saturava l’aria del piccolo bagno nella sua interezza e Shiro ebbe un leggero fremito, ma scosse la testa per non lasciarsi sopraffare.

“Come ti senti?” domandò, accovacciandosi vicino al compagno ma senza toccarlo; la sola vicinanza bastava a fargli sentire il bisogno di dimenticare il resto e concentrarsi unicamente su di lui.

Lance emise un verso simile a un guaito, che se si era un Alpha come Shiro o come Lotor era un segnale più che chiaro dei bisogni dell’Omega. Ma mentre Shiro si sforzava di mascherare e sopprimere l’istinto, anche solo di rispondere a quel verso, Lotor non si fece problemi ad aizzarlo, con quel suo sorrisino compiaciuto. Shiro lo guardò male.

"Non sei d'aiuto" brontolò.

Lance, nel frattempo, si era nascosto il viso tra le mani. "Ho una voglia schifosa di essere scopato fino a perdere i sensi" confessò, facendo capolino dalle dita con i suoi occhi blu ora ottenebrati dal desiderio. La chiazza umida all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni sottolineava il tutto.

Lotor rise di nuovo, lo sguardo affilato e predatore, e Shiro dovette stringere le dita sui pantaloni per tenerle occupate.

"Abbiamo una riunione tra un'ora" sibilò, come a volerli rimproverare. Perché con quei due succedeva così troppo spesso.

"Scusa daddy, ho fatto male i conti e pensavo di avere ancora una settimana prima del calore" spiegò ironico Lance, il cui sguardo puntava sotto la cintura di Shiro senza alcun pudore.

"Io non sono così indispensabile a questa riunione" annunciò invece Lotor e il paladino blu gli rivolse la propria attenzione insieme a un mormorio di gola molto soddisfatto.

"Voi due siete impossibili" si arrese Shiro. "Ce la fai a camminare per tornare in stanza?"

Lance assentì, allungano una mano ciascuno per farsi aiutare a rimettersi in piedi. "Ma se qualcuno invece mi portasse in braccio?" pigolò, cercando di fare una faccia da cucciolo. "Poi quello stesso qualcuno potrebbe buttarmi di peso sul letto ed essere il primo..." continuò, perdendo completamente il fattore innocenza.

Shiro e Lotor si mossero insieme per istinto a quella proposta e si ritrovarono a far cozzare le mani tra di loro. Lance ridacchiò - anche se sembrò farsi scappare un gemito - ma perse l'equilibrio; il Principe Galra colse l'occasione al volo.

"Mi sa che abbiamo un vincitore... senza rancore, daddy" bisbigliò il paladino blu, stringendo le braccia intorno al collo di Lotor, completamente assuefatto dalle proprie sensazioni.

Shiro roteò gli occhi, ma si diede un contegno. "Se avete finito, qui il tempo passa e abbiamo meno di ora adesso..."

"Assolutamente, andiamo!" annuì Lance. "Sia mai che non riesca a mandarti alla riunione senza un paio di orgasmi prima."


sidralake: (Default)
 

Cow-T, quarta settimana, M2

Prompt: Dimenticarsi di qualcuno/qualcosa

Numero parole: 556

Rating: SAFE


Fandom: Voltron LD

Personaggi/Ship: past Shiro/Adam, Keith/Lance, Matt/N7

Note: What If Post S8



Doveva essere un Giovedì sera normale. Un invito a cena a casa di Matt e N7, Pidge autoinvitata perché non lo sapeva, ma ehi, era casa di suo fratello, Lance e Keith per animare l'aria - ma il fatto che Keith fosse in tremendo ritardo doveva far presagire a Shiro che qualcosa non andava.

"Ma no, vedrai che la hoverbike lo avrà lasciato a piedi. La tratta con riverenza, ma quell'affare ha i suoi anni e lui è ostinato. Tra poco ci chiamerà per andare a prenderlo!" lo rassicurò Lance, nonostante fosse da un po' che continuava a smessaggiare dal cellulare e non sembrava soddisfatto.

Arrivò una chiamata dopo un po', ma non parve di nessuno in ritardo. Lance cambiò stanza, la fronte corrugata dopo aver sillabato un "Sta bene". Shiro iniziò a sentirsi nervoso dopo che anche il cellulare di Matt squillò.

"È Veronica" disse stranito. "Avrà voluto chiamare Lance e ha trovato occupato" e rispose. Come con il paladino blu, anche la sua faccia divenne dubbiosa. E poi impallidì.

"Che cosa sta succedendo?" chiese Shiro con quella brutta sensazione lungo la schiena.

Quando Matt mise giù stava fissando il cellulare come se non fosse reale. Anche Lance tornò dall'altra stanza e aveva la stessa faccia, ma guardò Shiro.

"Che diavolo avete!?" saltò su Pidge, nervosa. "Qualcuno si è fatto male!?"

"No, no..." iniziò Lance, passandosi una mano tra i capelli. Guardò Matt e sembrò dirgli di continuare lui.

Il maggiore degli Holt si alzò da tavola. "Prendete le giacche" ordinò e guardò tutti, tranne Shiro, invitandoli a uscire.

Shiro non chiese di nuovo, attese e basta.

Matt si passò una mano sulla faccia. "Non so come dirlo. Si tratta di Adam. Sembra non sia morto."



Shiro era dietro il vetro a specchio della camera ospedaliera in cui si trovava Adam. C'era un medico e un infermiere con lui, oltre a Iverson in attesa. Con il Capitano dell'Atlas invece c'erano Matt, Veronica, Keith e Lance.

"Stavano facendo un altro dei censimenti post-invasione richiesti dal governo, quando le impronte digitali di Adam sono risultate nel nostro database" stava spiegando Veronica. "Iverson ci ha spediti a controllare" e lo disse accennando a Keith, che se ne stava a braccia incrociate a fissare Shiro, come se da un momento all'altro dovesse intervenire per fare qualcosa. Al suo fianco Lance gli aveva già dato qualche gomitata, ma non era servito.

"Le sue condizioni fisiche sono più che buone" continuò Veronica. "Gli stanno ancora facendo dei test, ma sembra che chiunque l'abbia trovato e curato fosse competente. La protesi al piede sarà sostituita con una di quelle progettate da Coran entro domani."

Shiro, nonostante tutti quei ragguagli, continuava solo a fissare la figura di Adam dall'altra parte del vetro. Il suo sguardo era intenso e con un senso di colpa così profondo che Matt si sentì colpevole a sua volta, in silenzio, ripensando alla missione Kerberos, agli anni di guerra coi Galra, a tutto.

"C'è solo una cosa a cui purtroppo i medici non sanno dare notizie positive" riprese Veronica in fine, appoggiando una mano sul braccio di Shiro, che non si mosse, come se non sentisse il contatto. "Sembra che... abbia perso completamente la memoria. Ricorda solo di chiamarsi Adam e che stava aspettando qualcuno."

Shiro chiuse gli occhi e nessuno riuscì a dire niente quando iniziò a piangere.


April 2025

M T W T F S S
 1234 56
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930    

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Aug. 13th, 2025 01:17 am
Powered by Dreamwidth Studios