Mar. 5th, 2022

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COW-T 12, terza settimana, M4
Prompt: Beautiful Dreamer
Numero parole: 500
Rating: Verde
Warning: ot3


«Ohi, Sgom-mmpfhh»

Chuuya alzò gli occhi crucciati sul viso di Odasaku, domandandogli solo con questi un Che diavolo fai!?

Con la mano non impegnata a tappare la bocca a Chuuya, Odasaku si portò un dito alle labbra per ribadire il concetto di fare silenzio. Il più giovane non fu d’accordo, non subito, e si agitò un poco - avrebbe potuto liberarsi facendo più pressione, ma si limitò a scuotere la testa.

Odasaku lo lasciò andare quando fu certo che non ci sarebbero state ulteriori rimostranze.

«Non svegliamolo» si limitò ad aggiungere, accennando a Dazai addormentato sul divano del salotto del loro appartamento.

Perché!?

Fu ciò che lo sguardo di Chuuya chiese con insistenza.

«Abbiamo una prenotazione per la cena» ribadì a parole, sottovoce, più simile a un sibilo, ma buttando un occhio che Dazai non si muovesse. Sapeva di avere problemi a regolare i toni di voce, però in quella situazione gli sembrava ridicolo.

Odasaku si strinse nelle spalle, posando a propria volta lo sguardo sul bell’addormentato.

«È stata una giornata lunga in Agenzia.»

Chuuya sbuffò, sempre contenendosi, e incrociando le braccia.

«Devo credere che abbia lavorato sul serio tutto il giorno?» ribatté scettico, continuando a guardare il partner, senza riuscire a staccargli davvero gli occhi di dosso.

Odasaku si sedette sulla poltrona davanti al divano, massaggiandosi un po’ il collo, ma anche lui incapace di discostare lo sguardo dall’ex Dirigente della Port Mafia.

«Abbiamo inseguito un ladro con abilità, individuato una bomba in un ufficio e cercato un bambino in grado di trasformarsi a piacere in qualsiasi tipo di rapace, ma senza controllo. La madre era disperata.»

Chuuya lo fissò sbattendo le palpebre.

«Ed è successo tutto oggi!?» si lasciò scappare, in un tono normale che provocò una reazione in Dazai, che arricciò il naso e sbuffò appena. Gli altri due si irrigidirono, ma dopo qualche secondo constatarono fosse ancora nel mondo dei sogni.

«… ok, possiamo andare più tardi, o farci portare la cena a casa» sospirò il rosso, sedendosi a propria volta. Non prese il cellulare subito per avvertire, rimase invece a fissare il viso placido dello Sgombro, in silenzio, insieme a Odasaku.

Non era più così raro vedere Dazai dormire - non da quando condividevano quell’appartamento e passavano la maggior parte delle nottate insieme - ma doveva ammettere che quel sonno così abbandonato e totale non lo vedeva tanto spesso. Di solito sarebbe bastato un piccolo rumore, una parola, un colpetto accidentale per destarlo. Dazai viveva di sonni leggeri - a meno che non fosse dopo una nottata di sesso e allora lì era più comprensibile - e sempre con la guardia alta.

In quel momento, invece, dava l’idea di essere completamente in pace. Stanco da una giornata impegnativa, comodo in una casa dove stava coltivando delle nuove radici, vegliato dalle persone che si erano fatte carico di quel vuoto che si portava dentro.

Chuuya capì perché Odasaku non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Era certamente lo stesso motivo per cui non ci riusciva neanche lui.


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COW-T 12, terza settimana, M4
Prompt: Beautiful Dreamer
Numero parole: 511
Rating: Verde
Warning: ambientata in The Day I Picked Up Dazai; menzione di suicidio e vago underage? 



Odasaku chiuse il libro quando capì che il misterioso ragazzo si era addormentato. Per davvero, constatò osservandone il respiro più profondo e i muscoli del viso rilassati. Erano le tre di pomeriggio e “Port Mafia”, come aveva deciso di definirsi senza altri convenevoli, aveva continuato a lamentarsi e tirare le corde con cui era legato senza fermarsi un momento. Non sembrava importargli dei segni che queste gli lasciavano sui polsi e le caviglie, e che invece avrebbero dato ulteriore lavoro all’uomo per sistemargliele.

Gli scostò un poco il polsino della camicia e constatò il rossore sul polso, lì dove aveva sciolto alcune bende e dove c’erano anche chiari tentativi passati di suicidio. Le cicatrici erano sottili, leggere, quasi non si percepivano se non ci si passava il dito sopra a sentirne il rilievo. Era la seconda volta che lo faceva. La prima volta le aveva sfiorate mentre gli medicava altre ferite e se ne era accorto così, mettendole in secondo piano per dedicarsi a quelle più gravi. In quel momento lo fece con curiosità e interrogativi che si esaurirono nello stesso mare di domande dove erano finiti tutti i dubbi legati a quel ragazzo appartenente alle ombre.

Odasaku sospirò, indeciso sul da farsi. Avrebbe dovuto svegliarlo per cambiargli i bendaggi, ma vederlo così rilassato dopo tutte le lagne post pranzo gli stava restituendo un po’ di pace. E poi… c’era qualcosa che continuava a richiamargli lo sguardo su quel viso non ancora ben definito dall’età, morbido dove un giorno, a breve, i tratti si sarebbero affilati, rendendolo un adulto. 

Non aveva problemi ad ammettere che qualcosa lo stesse intrigando più di quanto fosse lecito. Era giovane, quel Port Mafia, ma l’ingenuità e la fanciullezza non erano caratteristiche che gli si addicevano. Lo conosceva da pochi giorni, manciate di ore, eppure gli era bastato leggere tra le righe quanto di più ci fosse oltre la sua apparenza, oltre fare la voce grossa come membro dell’organizzazione più spietata della città, oltre le sue proteste o richieste assurde.

Era presto per dire cosa fosse, ma Odasaku capì che non se ne sarebbe liberato facilmente. Che non avrebbe voluto lasciarlo andare come se non fosse accaduto nulla e tornare a essere due estranei - e lo erano ancora, in fondo: anche lui non si era ancora presentato. Un’altra scena buffa in quel teatrino cominciato sulle scale di casa.

Si avvicinò al letto e, molto piano, gli scostò i capelli dalla fronte. Il disordine di quelle ciocche era intrigante quanto quelli occhi profondi come pozzi. Era uno sguardo che si poteva affrontare solo se non si aveva paura del buio, o se si possedeva un coraggio molto idiota. Restava il fatto che fossero affascinanti e che Odasaku ne sentisse quasi un po’ la mancanza a non averli fissi su di sé, capricciosi e, silenziosamente, bisognosi di capire.

Decise di lasciarlo dormire, ma scelse anche di non allontanarsi da lì e godersi quella vista, innocente nel sonno e intrigante nelle possibilità, mentre rileggeva, per l’ennesima volta, il suo libro preferito. 


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COW-T 12, terza settimana, M4
Prompt: Beautiful Dreamer
Numero parole: 571
Rating: Verde
Warning: //



Zach ignorò il citofono e tirò fuori le chiavi di casa Farrell quando fu nel portico. Pigiare il campanello sarebbe stato inutile quanto un suono fastidioso da sopportare, cosa che il suo orecchio soprannaturale non gradiva mai, non quando poteva sentire ogni giorno migliaia di citofoni anche a metri e metri di distanza. Di certo alle sette e mezza del mattino era l’ultima cosa che si sarebbe inflitto volontariamente.

L’uscio della casa scivolò docile sotto le sue mani e dentro lo accolse la penombra di una casa che sembrava vuota. Corrucciò la fronte. Sapeva che Eva avrebbe dormito all’Eden per quel giorno, dopo essersi chiusa nel magazzino a fare l’inventario di tutti i tè per riordinare anche le idee in merito al ritorno di Ezra, ma Esme sarebbe dovuto essere in cucina a fare le sue pigrissime colazioni dove era capace di mangiare cereali e avanzi insieme, se gli girava male. E quella era decisamente una mattinata dove gli sarebbe girata male di certo, eppure non lo trovò al bancone.

Zach fece per dirigersi verso le scale che portavano al piano superiore quando il suo udito gli rimandò un battito dal salotto. In poche falcate, il ragazzo fu dietro lo schienale del divano e, abbassato lo sguardo, trovò il proprio ex addormentato in un nido di cuscini e coperte sistemati alla rinfusa. 

«Esme» chiamò il mannaro, ma fu quasi più simile a un’imprecazione. Seppe di non averci messo abbastanza enfasi - di non aver abbaiato, come piaceva a Esme definire i suoi richiami - quando non sortì neanche un sospiro infastidito. Fece per allungare la mano e scrollarlo, ma si fermò un istante prima di sfiorarlo. I suoi occhi lo guardarono meglio, in viso, e qualcosa gli morse in modo spiacevole la bocca dello stomaco nel ricordargli quante volte si fosse trovato faccia a faccia con quell’espressione rilassata.

La loro storia era finita da qualche mese e quello era un ricordo pericoloso da riportare a galla. Non aveva scelto lui di troncare, ma era stato d’accordo. O meglio, come ogni volta, aveva accettato una decisione di Esme. Come la richiesta di non terminare la loro amicizia di base - se si poteva chiamare amicizia l’essere l’ombra l’uno dell’altro - nonostante Zach sentisse di continuo gli odori degli amanti con cui Esme si sfogava e facesse una fatica immensa a contenere la gelosia.

Con uno sbuffo Zach masticò un’imprecazione, tornando però a fissare il volto dell’ex e, senza mentirsi, ad amarlo come continuava a fare nonostante il mondo continuasse a girare e lui dicesse a voce alta Sì, con Esme è finita a chiunque non fosse a conoscenza della situazione. Convincere gli altri, si era detto, prima o poi avrebbe convinto anche lui. Fingeva di crederci.

Tuttavia, la bugia fioriva in momenti come quelli, attimi rubati alla luce del sole, persino a Esme stesso, in cui Zach poteva scoprire la ferita e sentire la mancanza di loro due insieme.

Non lo svegliò, anche se avrebbero fatto tardi a lezione. Si sedette invece sulla spalliera del divano e restò a fissarlo, a farsi male nel ricordarsi cosa significasse averlo solo per sé, a baciare quelle labbra per zittirlo, o anche solo appoggiare la fronte contro la sua e bearsi di una mattinata tranquilla dove il mondo poteva aspettare fuori dalla porta. 

«Come si fa a odiarti?» mormorò tra sé, sentendosi uno stupido ancora irrimediabilmente innamorato. 


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