[My Hero Academia] Nato per lui
Mar. 2nd, 2023 10:06 amCOW-T 13, seconda settimana, M3
Prompt: 06. Il rapporto tra un personaggio protagonista ed “eroe” della storia e il suo fedele “compagno”.
Numero parole: 3831
Rating: SAFE con riserve.
Warning: “contenuti delicati”. Menzione di dub-con.
Note: Fantasy AU.
I saw you losing faith, I saw a fading fire
Flick of flames of every time we came out as the sole survivors
And when I went too far, and then you came to follow
You pulled me from the edge, thought I was too far to save
I would be lost without you
You are the sun that keeps my darkness at bay
I would be lost without your love
You know that I would be lost
[Lost without you - Sleeperstar]
La storia di Izuku non iniziava dalle stanze dietro la cucina come molti amavano raccontare.
Quegli ambienti erano soltanto un piccolo rifugio, ereditato dalla madre, dove poter sistemare tutto quello che riusciva a collezionare. Quando il ragazzino diceva che dormiva nelle stanze accanto al principe tutti ridevano, dandogli un buffetto, o talvolta ci rimediava una dolorosa sculacciata perché Non si dicono le bugie, piccolo impertinente!
Crescendo, Izuku si era fatto l’idea che nessuno lo prendesse sul serio per colpa di come era solito vestirsi o girare per il castello. Per riuscire a correre, esplorare i boschi intorno alle mura o anche solo avventurarsi nei meandri dell’enorme tenuta, nei cortili o nelle stalle, gli eleganti abiti cuciti da sua madre, con stoffe morbide e tinte, arricchiti di ricami argentati, non erano pratici. E poi a Izuku piaceva dare una mano e rendersi utile. Così c’erano giornate in cui, messa una casacca e dei pantaloni laschi, passava le ore con la servitù della cucina o gli stallieri.
Senza che nessuno lo capisse veramente, Izuku era nato con una libertà che pochissimi all’interno del castello potevano vantare. Neanche il futuro Re aveva la sua fortuna - ed era con probabilità uno dei motivi per cui tanto lo detestava.
Era quel tipo di libertà data dal non essere nessuno.
La vera storia di Izuku era iniziata il giorno in cui Mitsuki, Regina delle Terre del Sole, aveva annunciato l’arrivo del suo primo figlio e futuro erede al trono.
Nulla che non fosse previsto, ma molti scettici avevano messo in dubbio le capacità del consorte scelto dalla regnante a portare a termine anche solo il basilare compito di un concepimento. Non che Masaru mancasse di qualcosa, ma le sue attività di ricerca lo avevano portato fin da giovane a intraprendere lunghi viaggi per tutte le terre del regno e oltre. il suo entusiasmo per la scoperta non si era mitigato neanche con il matrimonio, portandolo a lasciare fin troppo spesso il fianco della compagna. Ma Mitsuki era la prima a incoraggiarlo e ascoltarlo al ritorno dei suoi viaggi. E se proprio ne aveva voglia, la Regina aveva dato prova in più occasioni di poterlo raggiungere quando più desiderasse e ovunque il consorte si fosse cacciato. Discendere dai Draghi ed essere un mutaforma aveva enormi vantaggi, non solo dal punto di vista politico.
Ma per via di questi frequenti pellegrinaggi, nessuno all’interno delle mura si era davvero dato pena di pensare che il futuro rampollo reale sarebbe arrivato dall’oggi al domani. Nulla che non fosse comunque affrontabile da un entourage al servizio della famiglia reale da generazioni. Gli stallieri avevano passato il mestiere ai figli, le cuoche alle figlie e il ruolo di Maestro di Corte era stato ereditato sempre dalla stessa famiglia fin da quando la prima pietra del castello era stata posata. L’attuale attendente al ruolo era ligio alle tradizioni e alle regole, per cui il giorno stesso dell’annuncio si premurò di radunare tutte le donne in età da marito che prestavano servizio per la famiglia reale.
Chi di voi non ha ancora partorito e non ha avuto malanni di recente? Inko? Quanti anni hai? Venticinque, mmh... Andrai benissimo lo stesso. Hai un uomo? No? Non sarà un problema neanche questo, ci sono molti giovani cavalieri nella guardia e hai un viso piacevole, sarà una cosa veloce. Ricorda, lo fai per la Corona che servi e che ti protegge. Da oggi, oltre alle tue mansioni classiche, dovrai pensare unicamente a diventare una brava nutrice per il futuro erede.
La vita di Inko era cambiata in ogni suo aspetto. La cucina non era più stato un luogo da considerare casa, ma diventò la sua zona di fuga e conforto, dove rintanarsi e metabolizzare gli incontri che il Maestro di Corte aveva da subito disposto per lei con uomini di ogni età, affinché il suo nuovo compito iniziasse quanto prima.
Erano occorsi circa tre mesi prima che il seme di un cavaliere senza nome iniziasse a mettere radici dentro di lei. Ce ne erano voluti altri quattro perché fosse presentata formalmente alla Regina e vedesse il primo spiraglio di luce.
Mitsuki era una donna che aveva sempre fatto parlare di sé, in positivo e in negativo. Nessuno avrebbe mai osato mettere un collare ai Signori dei Draghi, ma nei secoli erano state stabilite delle etichette da rispettare, un bon ton a cui piegare anche il più ribelle dei regnanti. Tuttavia, Mitsuki era la prima Regina da lungo tempo e il sangue dei suoi antenati ribolliva vivace nelle sue vene. Aveva iniziato da subito a distruggere una a una ognuna di quelle costrizioni, conquistandosi ciò che aveva passo dopo passo e sempre con un ghigno inscalfibile.
Per questo, quando Inko si trovò al suo cospetto e presentata come nutrice, ne ebbe timore.
Al contrario di lei, Inko non aveva mai conosciuto nulla al di fuori delle cucine ed era sempre stata contenta così. I suoi genitori, come lei, erano nati e cresciuti tra farine e cacciagioni da arrostire, maestri nella loro arte, insegnata a lei fin da quando ne aveva memoria.
Avere Mitsuki davanti fu abbagliante come il Sole che rappresentava. Il suo ventre di sette mesi era impossibile da non seguire con lo sguardo, anche quando si muoveva come se non ne sentisse il peso. Era stata gentile con Inko, l’aveva voluta conoscere, come se non fosse stata una delle tante cuoche di corte e semplice nutrice. L’amicizia era stata una conseguenza che aveva scaldato le giornate di Inko, riuscendo a farle tornare tracce di un passato buon umore.
A pochi giorni dall’arrivo del futuro Principe, però, Mitsuki aveva posto a Inko la domanda che le aveva fatto realizzare cosa realmente le stesse succedendo.
Hai già scelto i nomi?
I nomi, mia regina?
Nel caso sia un maschietto o una femminuccia, no? Il Mago di Corte ha detto che sono entrambi maschietti, ma finché non li vedrò non ci crederò!
Ah…
Solo Masaru lo sa per ora, ma voglio confessarlo anche a te. Il futuro principe o principessa si chiamerà Katsuki o Masaya. Che ne pensi?
Katsuki… è molto appropriato, mia regina.
Sempre che non si monti la testa! Spero prenda la pacatezza di Masaru o avrò una bella gatta da pelare. Crescere un giovane drago è stancante, se in più nasce con un’indole dominante… saranno giornate intense! Ehi… tutto ok?
Io… non ho pensato a un nome.
Hai ancora tempo, mia cara.
Inko si ritrovò di fronte a una realtà che fino a quel momento aveva schivato.
Stava per avere un figlio. Un bambino. Una creatura che sarebbe dipesa da lei, che avrebbe avuto bisogno di essere protetta e…
E amata.
Non era pronta.
Tutto quello che le era stato ripetuto fino a quel momento era di diventare una brava nutrice, non una madre. Lei avrebbe dovuto badare al Principe in arrivo, sfamarlo, fare in modo che crescesse forte nel corpo e splendente come lo era Mitsuki.
Un figlio suo, invece… lei che non aveva mai posseduto nulla al di fuori delle capacità di impastare e preparare pasti. Un figlio era una realizzazione e una responsabilità troppo forte.
Ma il tempo di piangersi addosso non c’era stato. Pochi giorni e Mitsuki partorì Katsuki alle prime luci dell’aurora, mentre per Inko il mondo si rovesciò un’altra volta.
Ancora tre mesi e sarà il tuo turno, amica mia. Ti starò vicina, non temere. Non auguro a nessuna un’esperienza simile da sola! Non ti ho mai chiesto del tuo compagno, il Maestro di Corte mi ha solo detto che è della Guardia. Vorrei che veniste tutti e tre ad abitare nelle stanze qui vicine, così che potremmo darci man forte con queste piccole sanguisughe adorabili.
Inko non aveva risposto e non l’aveva guardata. Stringere al petto il neonato Principe era tutto quello che riusciva a fare, mentre i morsi della colpa la stavano divorando viva.
Non c’era alcun compagno. Non aveva idea di chi l’avesse… non voleva neanche ricordare. Era stato soltanto un dovere. Nessuno aveva alzato le mani su di lei, ma nessuno si era tirato indietro da quel compito.
A ogni calcetto nel suo ventre pieno di vita, Inko si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare del bambino. Di quel bambino che non riusciva a sentire proprio.
Il tuo unico pensiero deve essere il Principe, Inko. Se le tue compagne della cucina sono d’accordo, puoi lasciare la cura di tuo figlio a loro. Diversamente, provvederemo a portarlo in campagna. Se è davvero un maschio, le sue braccia saranno utili nei campi. Ma il pensiero non ti deve distrarre dal tuo compito principale.
Il Maestro di Corte le aveva posto delle alternative, qualsiasi cosa purché non deviasse dal cammino che lui stesso le aveva imposto. Inko, per la prima volta, aveva stretto tra le mani il suo pancione di quasi nove mesi e aveva avuto paura.
Paura che tutto svanisse. Che quel bambino, probabilmente piccolo quanto lo era stato Katsuki tre mesi prima, le fosse portato via perché lei non era capace. Perché non aveva idea di come si facesse la madre. Non era neanche certa fosse giusto tenere con sé una creaturina che forse non sarebbe stata in grado di amare. Eppure, si aggrappò a quei piccoli movimenti dentro di lei che non conoscevano ancora il calore del Sole, ma non sembravano aspettare altro.
Inko entrò in travaglio mentre piangeva e fu tra le lacrime, stringendo la mano di Mitsuki, che regalò il mondo a quel bambino.
Izuku.
Izuku.
Izuku.
Iniziò a chiamare il suo nome come se lo avesse sempre saputo, ma non fosse mai stata in grado di leggerne i caratteri nella propria testa.
Al primo vagito dell’ultimo arrivato, Katsuki rispose dalla sua culla con un acuto più forte e prepotente. Entrambi iniziarono a piangere, mentre Mitsuki rideva e spostava un ciuffetto di capelli verdi e bagnati dalla fronte di Izuku, stretto tra le braccia di Inko.
Ho come l’impressione che sia iniziato il primo capitolo di una nuova storia, amica mia.
A circa sei anni, con un’intelligenza vispa e attenta, ma impacciata nell’esprimersi, Izuku aveva iniziato a capire il perché della sua nascita.
Era stata la Regina stessa a fargli dono di quella verità, ricamandola come una storia, e da subito era diventata il centro del suo universo.
Quella pulce di mio figlio può fare il prepotente quanto vuole, ma non ha capito che se oggi sta in piedi sulle sue gambette è tutto merito tuo e della tua mamma, mio dolce Izuku. Se non fossi nato tu, non so come avrei fatto da sola! In fondo, si può dire che voi due siate come quelle stelle così vicine da essere indistinguibili.
Per la prima volta, Izuku si avvicinò al concetto di appartenere a qualcosa. Di avere un posto nel mondo.
La girandola di emozioni che provava ogni giorno cominciò a incanalarsi in pensieri più definiti e al centro, la maggior parte delle volte, c’era Kacchan.
A nove anni, quella stessa verità tornò una seconda volta nella sua vita, con il primo schiaffo di realtà.
Erano giornate grigie. Katsuki era in viaggio sulle montagne da quasi due settimane con sua madre e il suo drago, Eijirou, per imparare a padroneggiare la sua metamorfosi. Gli altri bambini di corte, quelli che odiavano Izuku perché era il preferito della Regina pur non essendo nessuno, lo avevano cacciato in un grosso guaio. In lacrime e con diversi graffi per aver cercato di difendersi, fu il Maestro di Corte in persona a trovarlo con i resti di un antichissimo arazzo fatto a pezzi.
Lo sapevo che dovevamo abbandonarti nelle campagne, piccolo ingrato! La Regina è stata troppo pietosa con te! Sei una continua distrazione per il Principe e ora guarda cosa hai combinato! Credi che la passerai liscia anche questa volta? Oh, non ci sperare! Sei nato soltanto perché tua madre potesse nutrire l’erede al trono! Non hai un padre perché neanche lei ricorda chi sia stato tra i tanti! Nessuno ti aspettava o ti voleva! Sei soltanto un buono a nulla!
Izuku non aveva fatto parola dell’accaduto. Era stato punito, ma aveva subito in silenzio e non lo aveva raccontato a nessuno. Quando sua madre aveva cercato di capire cosa ci fosse che non andasse, Izuku aveva stirato le labbra nel primo sorriso amaro della sua vita, rispondendole che andava tutto bene.
Lui non era nessuno.
Fu intorno ai quindici anni che la vita di Deku - con il nomignolo che gli aveva affibbiato Kacchan e con cui ormai era famoso nel castello - iniziò a cambiare.
Che il suo modo di vedere se stesso mutò.
Il motivo della sua nascita era come uno specchio rotto dentro di lui. Da un lato riusciva a vedersi ancora con le parole di affetto donategli da Mitsuki, in quel segreto complice che soltanto un bambino e una seconda madre potevano condividere. Dall’altro lato, frammentato in pezzi così piccoli da renderlo indistinguibile, c’era la verità che il Maestro di Corte gli aveva sputato in faccia.
Nessuna delle due realtà era falsa e nessuna delle due prevaleva sull’altra, lasciandogli quel senso di spaccato e di inadeguatezza che spesso gli facevano solo tirare gli angoli della bocca in una smorfia che i più accettavano come sorriso.
Kacchan non era tra questi. Lui odiava quell’espressione, ma Kacchan lo detestava in generale.
Eppure, Izuku non riusciva a concepire un mondo senza di lui.
Io sono nato per lui.
Fu la sintesi e la risposta che un giorno colsero Izuku. Non era preparato a un pensiero del genere e il cuore aveva iniziato a battergli all’impazzata, così forte che aveva temuto di sentirsi male.
Stavano festeggiando il compleanno dell’erede al trono, nel pieno della propria adolescenza e del proprio vigore. Katsuki rapiva gli occhi e l’attenzione di tutti, anche nel suo essere scontroso nonostante qualsiasi dei presenti lo adulasse.
Izuku non era che una macchia di colore verde all’angolo della sala, con una mano all’altezza del petto, il viso accalorato sulle guance.
Io sono nato per lui.
Io sono nato per lui.
Io sono nato per lui.
Era un pensiero furioso e martellante, quanto vero. Così reale da fare male e, allo stesso tempo, da insegnargli a respirare in modo diverso. A respirare Katsuki in maniera diversa.
Quando i loro sguardi si incrociarono brevemente, Izuku si sentì esposto, ma con un senso di vertigine provato solo la prima volta che Eijirou lo aveva portato in groppa a solcare il cielo.
Lasciò la festa senza avvertire nessuno e si cullò con quel nuovo sentimento per tutta la notte.
“Tu credi di essere nato per me, Deku!? Credi che io non potessi farcela senza di te!?”
Izuku avvertì l’acqua invadergli il naso e la bocca quando tentò di rispondere. Katsuki lo spinse sotto la superficie del lago ancora una volta, riversandogli addosso qualsiasi sentimento lo stesse animando, dalla furia alla disperazione.
Era una giornata splendente quanto nefasta. Il sangue fu lavato via dall’acqua gelida, lasciando solo il dolore di ferite ancora aperte.
Quando Izuku riemerse, fu perché Katsuki lo lasciò andare, mollando la presa con un’imprecazione. Si trascinò verso la riva, una mano premuta sulla gamba offesa. Almeno, constatò Deku, non era grave.
“Dannazione, svegliati una volta per tutte! Non credere di essere chissà chi! Alla mia Vecchia serviva una nutrice e per caso è stata scelta tua madre! Cosa dovrebbe farti credere che questo ti renda speciale!?”
Izuku finì di tossire l’acqua e si rialzò con una smorfia. Non era certo di avere tutte le ossa integre. La fuga era stata caotica e, in tutta onestà, non pensava neanche ne sarebbe uscito vivo. Per proteggere il Principe si era messo in mezzo alla mischia e sapeva soltanto di essere ancora vivo per raccontarlo.
Qualcosa brillò vicino alla sua mano, nell’acqua trasparente. Quando si alzò, la portò con sé, verso Katsuki.
“Ti è caduta la corona, Kacchan…”
L’altro imprecò, afferrandola di prepotenza e lanciandola di nuovo nel lago.
“Ha ancora importanza!?”
Avevano quasi diciotto anni e il loro mondo era stato appena distrutto.
La capitale era stata attaccata a sorpresa. Il castello era stato sbriciolato come un biscotto da una potenza oscura e indescrivibile nella forma. Della Regina Mitsuki e di Inko non si avevano notizie; il consorte reale era in un paese confinante, ignaro di tutto, con l’ultimo messaggero ancora vivo inviato ad avvertirlo di nascondersi. La guardia reale era stata decimata e l’unico che era riuscito a fare qualcosa, il Mago di Corte, Toshinori, doveva essere rimasto schiacciato dalle macerie dopo aver lanciato un ultimo incantesimo che aveva portato lontano e al sicuro Katsuki e Izuku.
“Sì, penso che abbia ancora importanza” affermò debolmente quest’ultimo, voltandosi e immergendosi di nuovo nel lago a cercare la corona. Tornò davanti a Katsuki, ma questa volta non gliela porse. Continuò tuttavia a stringerla con forza, nonostante il sangue riprese a gocciolargli lungo il braccio. Aveva il cuore a mille e la testa vuota, ma il solo vedere Kacchan vivo davanti a lui gli permetteva di riempirsi i polmoni. Chiuse gli occhi.
“So perché sono nato.” Tornò a guardarlo. “E non mi importa. Non mi importa di sapere chi è mio padre. Tua madre ha sempre nutrito del sincero affetto per la mia e a me va bene così. Io-”
“Non dirlo! Non osa-"
“Io sono nato per te!”
Lo urlò perché aveva bisogno che Katsuki capisse quanto quello fosse importante per lui. Quanto lui fosse importante nella sua vita. E se non lo avesse capito, lo avrebbe urlato più forte.
Ma Katsuki lo afferrò per la casacca strappata, i pugni stretti, scuotendolo.
“Perché ti sei convinto di essere tanto speci-”
“Non sono speciale! Non sono nessuno!”
Il Principe si bloccò, senza parole, indagando i suoi occhi. Izuku era consapevole che in viso non fosse bagnato solo di acqua, ma anche di lacrime. Alzò la mano libera dalla corona e la appoggiò su una di quelle di Katsuki. Tremava e gli faceva male tutto. Se non era ancora svenuto era per un senso di dovere e per non essere un peso in quella situazione disastrata, ma aveva bisogno che Kacchan capisse.
Che lo accettasse.
“Non mi hai sempre odiato… io me lo ricordo. Quando eravamo piccoli… anche se mi chiamavi Deku, ti piaceva stare con me… poi hai cominciato a detestarmi. Qualcosa di me ti dava fastidio e non sono mai riuscito a spiegarmi quale fosse il motivo…”
Katsuki soffocò tra i denti delle parole e fece per allontanarsi, ma Izuku lo trattenne con quell’unica mano e l’urgenza di farsi ascoltare.
“A sei anni tua madre mi disse con parole buone perché fossi nato… è stato davvero importante per me. Per me… io che non ero nessuno. Il figlio di una serva che era diventata una dama di compagnia, ma non era nobile. Il bambino che giocava con l’Erede al Trono, che dormiva nella stanza di fianco, a volte con lui, ma che era meno di un’ombra…”
“Smettila De- Izuku. Smettila!”
“Io non sono speciale, Kacchan. Io non sono nessuno! Ma non mi importa! Non mi importa di essere nessuno finché posso stare al tuo fianco! Sei tu quello straordi-”
“Ti ho detto di smetterla!”
Izuku si quietò. Strinse la corona solo perché temeva gli scivolasse dalle dita sempre più insensibili. Perfino il suo petto stava desistendo dalla lotta.
“Tu mi odi davvero così tanto solo perché sono nato?”
“…”
“È davvero questa la verità, Kacchan?”
“Perché… perché diavolo per te è così importante avere un motivo per essermi legato?”
Quando Katsuki lo guardò dritto negli occhi, Izuku sentì lo specchio dentro di sé, quello con la sua verità, andare definitivamente in frantumi. Si sentì soffocare, come se una delle schegge gli si fosse appena incastrata in gola. Le ginocchia gli cedettero per la stanchezza, ma Katsuki non lo lasciò cadere. Si accasciarono insieme, sulla riva del fiume, ancora stretti in quella presa che era cominciata con la rabbia e l’incomprensione.
“Io…”
“Hai cominciato a credere che il motivo della tua esistenza dovessi essere per forza io. Perché?”
Izuku non avvertiva più il terreno sotto i piedi. Se non fosse stato già per terra, era sicuro che sarebbe potuto cadere ancora. Boccheggiò.
“Io-”
“Izuku!” Katsuki lo tirò ancora più vicino e Deku si accorse che non c’era più vera furia, ma una sfumatura persa, di chi per anni aveva vagato per un corridoio pieno di porte chiuse, senza trovare l’unica aperta. E lo capì. Comprese quello smarrimento fin nelle ossa. Per lui erano sempre state tutte porte aperte, ma vuote. Tranne… tranne…
“Tu non sei nato per me. Tu sei nato e basta! Posso essere il fottuto motivo di merda, ma tu non devi vivere per me. Tu devi vivere… per te.”
Katsuki scivolò in avanti fino a poggiare la fronte sulla spalla di Izuku con un ringhio esausto. Izuku fece appello a qualsiasi briciolo di forza rimastogli per non lasciarsi andare, anche in quel lungo istante in cui sentiva gli occhi bollenti di lacrime. La dita che gli tremavano si intrecciarono a quelle del Principe, cercando - pretendendo - un appiglio.
“Sono stato uno stronzo… ma mi facevi così incazzare. Non capivo perché diavolo ti andasse bene che tutti ti trattassero di merda. Ma tu accettavi tutto e continuavi a essere gentile come se glielo dovessi. A dire il vero mi fai ancora incazzare. Anche prima sei stato pronto a sacrificarti per me.”
“Tu… sei il Principe…”
“Ti odio quando te ne esci con queste risposte di merda. Io sono Kacchan” e anche se non lo vide, Izuku ebbe l’impressione che si fosse imbarazzato, mentre a lui era saltato un battito. “E se io sono il motivo per cui sei nato…”
“Cosa… Kacchan?” L’attesa di sapere lo stava privando degli ultimi barlumi di sanità mentale.
“Se io sono il fottuto motivo per cui sei nato… allora vedi di non morirmi davanti.”
Izuku si lasciò scappare un singhiozzo involontario e appoggiò la testa contro quella di Katsuki.
“Non lo farò.”
“Sei ferito…”
“Non è niente-”
“Izuku.”
Il Principe si staccò e Deku cercò di ricomporsi, anche se il tepore del suo corpo era stata una panacea e ne aveva bisogno. Barcollò involontariamente e Katsuki lo tenne per le spalle.
“Cazzo… stai perdendo una marea di sangue.”
“Non morirò.” Izuku si morse il labbro e lo guardò negli occhi.
Non morirò ora che…
Non completò il pensiero solo perché non conosceva ancora di preciso le parole, ma il sentimento era caldo, era prepotente come il Principe e terribilmente bello.
“Kacchan…”
Alzò la mano con la corona.
“Dobbiamo fare qualcosa. Il regno… le nostre madri…”
Katsuki la guardò e poi tornò a fissare lui.
“Di questo ci occuperemo quando Eijirou ci troverà. Per ora…”
Prese Izuku tra le braccia e lo sollevò, digrignando i denti per il dolore delle proprie ferite, ma intenzionato a mettere un passo davanti all’altro con fermezza.
“Per ora pensiamo a noi.”