Mar. 1st, 2023

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COW-T 13, seconda settimana, M3

Prompt: 10. Due personaggi che non si conoscono si ritrovano insieme in una situazione di pericolo, e devono contare l’uno sull’altro per sopravvivere.

Numero parole: 4250

Rating: Verde

Note: SPOILER del capitolo 362 di BNHA! E poi taaanti headcanon sparsi che lo so non si realizzeranno mai, ma sognare è così bello! 



“Oh, tu devi essere il giovane Rody Soul di cui tanto ho sentito parlare. Non ci siamo mai conosciuti direttamente, ma mi hanno raccontato grandi cose, soprattutto il giovane Midoriya nutre un’immensa stima e affetto per te. Quella volta a Otheon ci hai salvati tutti.”

Rody avrebbe potuto raccontare in giro che All Might in persona, il precedente eroe numero uno del Giappone - del mondo, chi volevano prendere in giro! - lo avesse ricoperto di lodi, nonostante fossero passati dieci anni e il suo coinvolgimento non fosse mai stato reso pubblico. Non erano cose che capitavano tutti i giorni, no?

Ma quel giorno in particolare Rody lo avrebbe segnato sul suo calendario personale come uno dei peggiori della propria vita.



Partendo dal principio, era tutto iniziato con il piede giusto.

Dalla vicenda con la Human Rise, Rody aveva ricominciato a ricostruire i suoi sogni e le sue speranze insieme a quelle del fratellino e della sorellina. Perdersi d’animo dopo quanto successo sarebbe stato un modo per darla vinta definitivamente alla vita. Con quello che avevano passato, la possibilità di riscattarsi Rody la vedeva chiara come il sole. E gran parte del merito - o della colpa, come adorava ripetere per punzecchiarlo - era di Deku.

Erano rimasti in contatto. Dapprima con qualche e-mail sporadica inviata a scrocco da un internet caffè in cui Rody era riuscito a infilarsi con qualche moina ai proprietari, poi con un cellulare acquistato di straforo, promettendo mesi di lavoro extra dopo che era giunta in Europa la notizia di come il Giappone fosse a un passo dall’apocalisse per mano di All For One e Shigaraki Tomura.

Rody si era sentito inutile e impotente a ogni nuova news che riusciva ad arrivare loro. Si era messo a studiare un giapponese molto basico per approcciarsi a quanti stessero facendo una cronaca diretta, continuando a chiedere a chiunque L’Hero Deku come sta?

Il Live Streaming dell’ultimo scontro, di quello che avrebbe deciso le sorti non solo del Giappone, ma più realisticamente dell’equilibrio dell’intero globo, Rody l’aveva seguito tenendosi stretto ciò che di più caro aveva - Roro e Lala - continuando a ripetersi che Deku ce l’avrebbe fatta.

Un anno dopo, Rody era stato in grado di racimolare abbastanza risparmi e favori per permettersi un breve soggiorno dall’altra parte del mondo e scuotere di persona Izuku, urlandogli Mi hai fatto venire un infarto! Pensavo saresti morto! Anche Deku fu immensamente felice di rivederlo, abbracciarlo e consolare Pino, sciolta in un mare di lacrime.

Da quel momento, le cose erano andate bene.

Rody aveva smesso di chiedere alla vita nulla di più che la salute dei suoi fratellini - e magari qualche botta ci culo occasionale per pagare le bollette - ma, per tutto il resto, si era rimboccato le maniche, con chiari obiettivi.

Dieci anni dopo, quegli obiettivi si erano realizzati e sostentavano un piccolo appartamento di periferia, due rette scolastiche, un corso propedeutico di design per Lala in vista dell’Accademia, gli allenamenti intensivi di Roro per la pallavolo a livello professionale e, di tanto in tanto, qualche gratifica extra che un tempo sarebbe stato solo un sogno per la disastrata famiglia Soul.

A ventitre anni scarsi, recuperando un quantitativo di studio arretrato che solo il pensiero gli provocava ancora la nausea, Rody si era fatto strada come pilota. Avere una personalità in grado di infilarsi e togliersi da qualsiasi situazione con una certa nonchalance, lo aveva aiutato lì dove la burocrazia avrebbe rallentato tutto. La sincerità incensurabile di Pino aveva fatto in modo che nessuno se la prendesse davvero con lui. Non voleva superare i colleghi, non era quello il suo attuale scopo, ma non poteva tradire una certa impazienza nel raggiungere quanto si era prefissato.

Sì, aveva smesso di fare richieste alla vita, aveva deciso di prendersi le occasioni da sé, ma una spintarella non gli avrebbe fatto schifo.

Tre anni dopo, quando alle sei del mattino di un giorno qualsiasi la sua richiesta per un corso particolare era stata accettata, i vicini erano andati a bussargli per le urla di gioia con cui lui e Pino avevano svegliato tutti.



“C’è qualcosa che non va, giovane Rody?”

“No no, va tutto a meraviglia. Siamo alla giusta altitudine, il cielo oggi è uno splendore, non prevedo turbolenze. Tutto perfetto.”

Pino emise un pigolio particolarmente acuto, continuando a fare tap tap con la zampetta sulla sua spalla, le alucce incrociate. Toshinori lo guardò perplesso, paragonandolo poi al sorrisetto lucidato del padrone, ma senza riuscire a formulare una domanda più pertinente.

“Si vada a sedere, signor All Might. Il viaggio sarà più piacevole e volerà in un baleno, prometto. Prima arriviamo meglio è, no?”

Prima arriviamo, prima torniamo indietro, disse tra sé e il pensiero si rifletté in un nuovo pigolio della piccola rapace, fin troppo simile a uno sbuffo, mentre Pino dava le spalle all’ex Number One.

“Va… bene. Siamo nelle tue mani, giovane Rody.”

“Tutto sotto controllo, capo!”

All Might si congedò, permettendo al giovane di Otheon di sfogare l’umore fino a quel momento veicolato solo dalla compagna rosa.

“Che diavolo!” imprecò, settando velocemente la consolle di volo fino a premere all’ultimo il pilota automatico. Si lasciò ricadere sulla poltrona e puntò i piedi contro il bordo.

Pino sciolse l’apparente irritazione in un’espressione più demoralizzata, scivolando nel taschino frontale della camicia con un prio abbacchiato.

“Lo so. Lo so.”

Deku non c’era.

Rody aveva fatto tutti quei chilometri da Otheon, affidando la casa e Lala a Roro per quei mesi in cui sapeva sarebbe stato via - e ci aveva messo un anno a convincersi e farsi convincere! - con la sola speranza di poter rivedere Deku e passare del tempo con lui. Magari anche ricambiare quel minuscolo debito che aveva con l’attuale Hero numero uno per avergli salvato la vita (in più di un’occasione).

Ma doveva aspettarselo. La sua fedele compagna di vita era la sfiga e non si era smentita mai. Rody aveva dato per scontato che avere All Might come passeggero prevedesse anche Deku. Gli aveva rintronato la testa così tanto negli anni con il suo idolo che Rody aveva capito fossero pappa e ciccia. Maestro e allievo, no? Quindi un unico pacchetto, no!?

E invece eccolo lì. Rody era stato scelto da una selezione accuratissima tra candidati che si erano accapigliati tra esami e test per quei pochissimi posti nell’aviazione di ausilio agli Hero. Si era conquistato persino il secondo posto in classifica - l’importante era essere passato, il resto era tutto cibo per l’autostima - per finire invece a trasportare…

“Come ha detto che si chiama?”

Prrrioo! Prioo!” tirllò Pino.

“Sì sì, era un nome stupido. Danko? Menko? Bah! Che differenza fa? Non è Deku.”

Si stiracchiò, sporgendo il labbro inferiore mentre il cielo terso si stendeva a perdita d’occhio di fronte a lui.

“È solo la prima missione… lo vedremo sicuramento al ritorno.”

Prio!”



“… il tuo uccello può smetterla di guardarmi male?”

“È evidente che gli stai antipatico.”

Shimura Tenko

Ecco come si chiamava il suo secondo passeggero. Mai sentito. All Might glielo aveva presentato senza lodi e senza infamie particolari, ma con l’affetto che si riservava a un parente lontano.

Molto alla lontana a giudicare dai modi taciturni e stringati con cui il ragazzo - uomo? - si approcciava. Rody aveva capito avesse trent'anni circa, poco più, anche se dimostrava un’età indefinita a seconda del dettaglio su cui ci si soffermava, dalle rughe e cicatrici intorno agli occhi per qualche problema cutaneo, al brillio spento nelle pupille, tipico dei teenager cresciuti al buio. Le mani erano coperte, quindi non erano utili per determinare quanto fosse vecchio o giovane.

Gli diceva però qualcosa. Affermare che avesse un viso famigliare era eccessivo - un volto così malridotto se lo sarebbe ricordato, no? - eppure, la sua memoria continuava a prudergli. Forse era il colore dei capelli che stonava - un tipico moro giapponese, così scuro da non avere riflessi - o quello degli occhi - anch’essi color pece.

Altra cosa che non gli era chiara per nulla - e che All Might aveva scivolato in ogni maniera - era la mansione che ricopriva.

Gli eroi non erano materia per Rody - Deku era la più grande eccezione - ma sapeva quanto tenessero a farsi notare, soprattutto con costumi ricercati o appariscenti - di nuovo, Deku era un’eccezione perché dava l’idea che cadesse nell’armadio ogni volta. 

Quel tizio era a un passo dal sobrio e molto vicino a sembrare un becchino. Doveva essere un agente del governo, uno di quelli per i lavori sporchi, perché indossava un pezzo unico che non era nero solo per pietà, ma di un blu notte tanto scuro da sembrarlo. Non c’erano loghi ricamati o altro, solo qualche tasca. L’eccezione erano le scarpe. Rosse. E terribilmente simili a quelle di Izuku, il che lo irritò ancora di più, spingendo Pino a esternare un nuovo Priiio sbuffante.

“Il tuo pennuto soffre di pressione alta?”

“Ringrazia che non parli.”

“Ohi pilota, che ti ho fatto? Non ti conosco.”

Rody si fermò, sospirando pesantemente, ma verso se stesso. Pino si quietò.

Non era da lui essere tanto scortese con un estraneo, anche se quel tipo non gli ispirava particolare benevolenza. Era conscio che fosse tutto malumore personale, ma sentiva proprio il bisogno di sfogarsi per la delusione di non star passeggiando per le stradine di quella cittadina con Deku. Doveva invece accompagnarsi a quel tizio inquietante - si era anche calato il cappuccio in testa! - che pareva uscito da un film horror.

“Va bene, ho iniziato col piede sbagliato. Colpa del jet lag" mentì e stavolta Pino rifilò a lui un’occhiataccia, svolazzando fino a posarglisi in testa.

Se Tenko lo intuì o meno, continuando a seguire con lo sguardo il pennuto, stette al gioco.

“Da Otheon sono almeno sedici ore di volo diretto.”

Rody e Pino lo guardarono stupiti.

“Sedici ore e tre quarti” precisò per deformazione professionale, ma senza voler essere sgarbato per una volta. “Come sai da dove vengo?”

“Izuku non ha fatto altro che parlarmi di te e del tuo arrivo negli ultimi mesi. Il dinamitardo strillante stava per chiedere il divorzio - o ammazzarlo, ma dice sempre così e non lo fa mai. Noioso.”

La mascella cadde prima a Pino, ma anche Rody faticò a rimanere composto.

“Aspetta, aspetta, aspetta! Tu conosci Deku!?”

Non gli era passato inosservato che lo avesse chiamato col nome di battesimo. In quegli anni aveva compreso abbastanza di cultura giapponese da sapere che fosse roba grossa.

Tenko non replicò e lo scrutò come se l’altro lo avesse insultato intenzionalmente. Guardò altrove e a Rody sfuggì la sua espressione.

“… tu non hai davvero idea di chi sono?”

“Non un tipo che si vuole far notare. Ma conosci Deku e il signor All Might sembra tenerci a te, quindi devi essere uno del giro. Sei un eroe o uno 007?”

A Tenko si aprì quasi un sorriso sulle labbra e un risolino indecifrabile.

“Bella domanda. Sono uno con una seconda occasione.”

“Eh?”

Un cellulare iniziò a vibrare. Era quello di Tenko.

“Vecchio, stiamo tornando” rispose subito, per poi aggrottare la fronte. “Ohi, stai bene?”

“… Abbiamo un problema.”



Rody si chiese quando avesse battuto la testa per credere che diventare pilota ausiliario per gli Hero fosse una buona idea. In Giappone poi, tra tutti i posti! Dal ritiro di All Might era diventato il paese con probabilmente più incidenza di crimini e Villan del mondo, secondo solo all’America.

Il Rody del passato avrebbe dovuto pensare ai fatti suoi, al massimo farsi cambiare tratta per fare le continentali, così da vedere Deku ogni tanto, e basta. Stop. Fine.

E invece no. Eccolo lì, chino sul corpo esanime di All Might, mentre intorno a loro imperversava il caos. Rody fu assalito dai terribili flashback della battaglia contro la Human Rise. Se l’erano cavata per miracolo e perché Deku era lì, e c’erano anche il pazzo delle bombe e l’algido piromane a supporto, mentre in quel momento… in quel momento…

“Moriremo” sentenziò con voce rauca, come unico esito possibile. Pino, tremante e pigolante, era nascosta nel suo taschino.

Erano stati attaccati da un gruppo di Villain. La polizia era intervenuta, ma riusciva a malapena ad arginarli. Loro erano riusciti a portare All Might al riparo in un palazzo chiuso per rischio crollo, ma avevano solo allungato l’agonia prima della fine, a parere del giovane di Otheon.

“Hai un quirk per difenderti? Quel tuo uccellino ha qualche caratteristica che potrebbe tornarci utile?” chiese Tenko, appostato a tenere d’occhio la situazione e nient’altro. Rody avrebbe voluto avere le energie mentali per invidiargli la pacatezza con cui stava affrontando quel destino orribile, ma riuscì solo a ridere istericamente, appoggiando il palmo sul rigonfiamento che aveva sul petto. Pino e il suo cuore tremavano all’unisono.

Moriremo.”

Tenko lo squadrò con un’espressione a metà tra la pietà e il voler capire dove fosse il problema. Come se per lui quell’attacco non risultasse essere altro che un’inezia, nonostante non stesse facendo nulla per intervenire.

“Non eri preparato?”

Non avrebbe potuto fare domanda peggiore.

“Preparato…?” pigolò Rody, così acuto da dover aver parlato con almeno due ottave sopra il suo tono normale. “Preparato a cosa!?” sbottò nevrotico. “La mia vita aveva ricominciato a girare dal lato giusto e per la prima volta da anni avevo pensato di fare qualcosa per me! Volevo solo essere utile a Deku e rivederlo! Ripagarlo anche per avermi salvato la vita! Invece adesso sto per morire! E se dovessi riuscire a sopravvivere, non posso tornare indietro e dire Scusate, All Might, l'eroe degli eroi, mi è morto sotto gli occhi!

Tenko non parve toccato dal melodramma. Lo ascoltò in silenzio, anche quando fuori ci fu una nuova esplosione che fece tremare l’intera struttura e far piovere calcinacci qui e lì.

“Il Vecchio non è morto. Ha la pelle dura. Il problema principale è che è svenuto.”

Rody si prese il viso tra le mani, soffocandoci l’ennesimo verso di sfogo.

“Dovevamo fare affidamento su di lui!? È praticamente in pensione da dieci anni! O mi stai dicendo che tiene nascosto un briciolo di super potere-”

“Ohi, riesci a fare una telefonata?”

Rody lo fissò come se gli avesse chiesto di uscire a comprare le uova in mezzo a un tornado. Che non era poi una situazione così inverosimile dall’attuale.

Prima che potesse replicare, Tenko gli lanciò il proprio cellulare.

“Cerca il numero di Izuku, se non lo ricordi a memoria. Digli dove siamo.”

Sentire nominare Deku infuse in Rody un briciolo di speranza, tanto che Pino stessa volò verso lo smartphone, intenzionata a digitare lei stessa sul display con le sue alucce.

La telefonata non andò oltre i due squilli.

Tenko?

“Deku!” Rody neanche si accorse di aver urlato di gioia.

… Rody? Che succede? Stai bene? Tenko sta bene?”

“Sì! Cioè, assolutamente no! Siamo stati attaccati da un gruppo di villain!” e ad avvalorare le sue parole ci pensò un’altra violenta esplosione. D’istinto, Rody tentò di coprire almeno la testa di Toshinori col proprio corpo, stringendo il cellulare come se fosse stata la mano stessa di Izuku. “Sono troppi! All Might è ko! Oddio, oddio, Deku! Ero venuto in Giappone perché volevo passare del tempo con te e aiutarti, ma è stata una pessima idea! Se dovessi morire, devi dire a Lala e Roro che io-”

Rody! Rody, frena! Non ti agitare! C’è Tenko lì con te? Dimmi dove siete e spiegami la situa- waaacchan!” 

Ci fu un attimo di confusione dall’altro capo del telefono. Rody e Pino, entrambi a coprirsi la bocca pensando al peggio del peggio, sentirono una seconda voce inserirsi nella conversazione. 

Dammi il telefono, Izuku!

Era Bakugou.

Ohi, Ammaestratore di uccelli, apri le orecchie! Vedete di resistere! Se trovo un solo graffio su All Might vi faccio esplodere."

Kacchan! Non sei di aiuto così! Rody è terrorizzato!

Pino si accasciò sulla spalla del pilota, coprendosi gli occhietti con le ali.

Erano spacciati.

Comunque sarebbe andata, erano spacciati.

Ohi, mi stai ignorando!? Ci sei ancora!?

“Io-”

Di che cazzo ti preoccupi? Sei in buone mani.”

Rody si chiese se il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva avesse bevuto.

“Cosa-”

Sei in buone mani” insistette e dalla sua voce trasparì un chiaro ghigno. “Di’ questo a Faccia da drogato! Veniamo a prendere quel che resta di voi.

E riattaccò.

L’ultima cosa che Rody avrebbe sentito prima della proprio dolorosa dipartita sarebbe stata la peggior rassicurazione di sempre.

“Ohi, pilota? Cos’ha detto Izuku?”

Rody alzò lo sguardo spento sul suo compagno di disavventura. O di morte. Questione di tempo.

“Era Dynamight” spiegò, avvertendo la bocca asciutta. “Dice che… sono in buone mani… con te.”

Si fissarono.

Pino svenne direttamente, scivolando nel taschino della camicia, mentre Rody si chiese se sarebbe riuscito a fare un’ultima chiamata alla sua famiglia.

Poi Tenko si grattò sotto un occhio, per smettere un attimo dopo.

“Cerca di occuparti del Vecchio, deve uscirne integro. Quando Izuku piange mi mette di cattivo umore.”

Rody non avrebbe voluto prestargli attenzione, ma un brivido gli corse lungo la schiena.

Tenko iniziò a ridere. Come quando si ascolta una battuta buffa.

“Sei impazzito?” Anche se Rody non si accorse di aver dato voce al pensiero, gli uscì come uno dei pigolii di Pino.

Tenko non diede segni di averlo ascoltato. Continuò a ridacchiare, osservandosi le mani per poi iniziare a sfilarsi i guanti.

“Tienimeli un attimo” e glieli lanciò addosso.

Dopo che lasciò il loro rifugio, fuori calò il silenzio.



L'anima di Rody faticò a rimanere nel suo corpo dopo che ne uscirono vivi. Con le spiegazioni che seguirono dichiarò definitivamente la propria resa.

“… se All Might non avesse perso conoscenza, avrebbe potuto dare lui il permesso a Tenko di agire, essendo il suo supervisore in questa missione. Purtroppo le informazioni dell’intelligence non erano complete e non abbiamo potuto prevedere l’attacco, ma per fortuna non ci sono stati feriti gravi.”

Rody avrebbe voluto dissentire. La sua serenità interiore aveva subito un tracollo. Pino era ancora nascosta nel taschino, nonostante gli incoraggiamenti di Deku a uscire.

“Ve la siete cavata alla grande! All Might mi ha detto che viaggiare con te è rilassante come andare in crociera! E Tenko dice che, nonostante il panico, sei riuscito a rimanere calmo.”

Rody si riebbe e si focalizzò sul suo viso. Stava davvero cercando di tirarlo su, ma lo scetticismo non lo abbandonò.

“Che vorrebbe dire? Non ha senso.”

“Che hai superato anche l’ultimo test, pilota. Sei approvato in via definitiva per il posto.”

Tenko si inserì nella conversazione senza essere invitato. Rody di certo non avrebbe voluto sentirlo parlare, non ora che aveva finalmente davanti Deku, trauma da morte scampata o meno. E poi aveva ancora quel fastidioso prurito in fondo alla testa a sussurrargli come stesse tralasciando un particolare fondamentale.

“Quale test!? Nessuno aveva menzionato altri test! Avevano approvato tutto la settimana scorsa" e Rody capì, nel momento in cui parlò, di aver fatto la figura dell’idiota, facendo il giro delle espressioni di tutti. Deku aveva il sorrisetto tirato di chi chiede scusa con lo sguardo; Bakugou aveva appena mormorato un Sei senza speranze; Tenko lo fissava come si fissa un cruciverba che non ti riesce, ma che non sembra così complicato.

“Un test pratico. Agire sotto pressione sul campo. Dare assistenza ai compagni. Mettersi in contatto con i rinforzi e spiegare la situazione.”

Rody spalancò la bocca, indignato. Pino riemerse dal taschino con la stessa espressione.

Mi avete mandato a morire!

“Si chiama test segreto per un motivo” puntualizzò monocorde Tenko. “Se ne fossi stato al corrente non sarebbe stata la stessa cosa.”

“Oh, ma finiscila, sei tutto intero!” sbuffò Bakugou. “L’ultima volta ti hanno dovuto raschiare dalle pareti!”

“In effetti, però, non era previsto che andasse così…” intervenne Izuku nel tentativo di mitigare la situazione.

Ma Rody non voleva mitigare proprio niente. Puntò anzi il dito contro Tenko.

“Ma lui non ha fatto nulla fino all’ultimo! E io non sono mica un Hero! Ci poteva cadere in testa il rifugio! Potevamo saltare per aria e lui stava lì, immobile!”

Il diretto interessato non diede adito di essere stato toccato dalle accuse e sostenne lo sguardo senza cambiare espressione.

“… è un po’ complicato” Deku cercò in tutti i modi di essere delicato e ragionevole. “Ma come dicevo prima, al momento, senza il permesso di un supervisore - All Might, Kacchan o io - Tenko non può agire di propria iniziativa.”

Rody sentiva il bisogno di un bagno caldo e magari pure di un bicchiere di vino. Ma anche di continuare a sfogare tutto il panico che apparentemente gli aveva fatto superare quell’esame extra.

“E chi sarebbe, un eroe sbocciato tardi che non ha ancora la patente?! Ha bisogno della balia!?”

Tre paia di occhi lo fissarono come fosse stato un particolare fenomeno naturale che non si scorge tutti i giorni.

Poi Tenko ricominciò a ridere. Rody ebbe di nuovo i brividi perché, onestamente, sembrava un maniaco sociopatico.

“Non ha davvero idea di chi sono.” Tenko si voltò verso Izuku, che stava guardando in alto con un poco di imbarazzo. “Perché non glielo hai detto?”

“… credevo non ce ne fosse bisogno. L’ho dato per… scontato.”

Stavolta a scoppiare a ridere fu Bakugou, con irriverenza, e Rody pensò di essere tornato alle elementari e aver appena chiamato mamma la maestra. Si aggrappò, letteralmente, all’unica persona di cui gli importasse davvero.

“Deku… cosa hai dimenticato di dirmi?”



Izuku aveva omesso un dettaglio minuscolo, quanto fondamentale, che accese tutte le lampadine in testa a Rody. Quel pessimo presentimento inascoltato suonò le campane tra le sue tempie.

Shimura Tenko era stato, quasi dieci anni prima, Shigaraki Tomura.

Il Villain per cui il mondo aveva tremato nelle fondamenta insieme all’ombra di All For One. Lo stesso Shigaraki che aveva ammazzato - brevemente - Bakugou e poi aveva cercato di polverizzare Midoriya e quello che restava di un Giappone sull’orlo del collasso.

Rody aveva seguito le sue gesta durante il Live Streaming dell’ultima battaglia, pregando neanche lui sapeva di preciso che divinità perché non vincesse. Perché non ammazzasse Deku, forse il primo vero amico che avesse mai avuto e su cui potesse contare.

Rody aveva pianto di sollievo alla notizia che ne fosse uscito vivo e aveva dovuto aspettare un anno per poterlo constatare di persona. Quel dolore e quel fiato tirato per non aver perso l’ennesima persona importante della sua vita si erano incisi così a fondo dentro di lui che aveva rivoluzionato tutta la propria vita. Sapeva per primo cosa significasse sia perdere tutto che trovarsi di fronte alla possibilità di rimanere soli di nuovo.

E adesso gli venivano a dire che Shigaraki Tomura, ora Shimura Tenko - sfoggiando un look che lo rendeva meno riconoscibile, per quanto naturale - era qualcosa a metà tra un agente governativo e un Hero.

Un Hero. Shigaraki Tomura. Quello Shigaraki Tomura ora era al servizio dei più deboli.

Si erano bevuti il cervello, shakerandolo per bene prima.

Eppure, era tutto vero.

“Benvenuto nel club, Ammaestratore di uccelli. Ce ne siamo fatti tutti una ragione col tempo. Fattela passare presto perché continuerai a lavorare con lui, sempre che tu voglia restare e accettare il posto.”

Bakugou Katsuki neanche ci stava provando a indorare la pillola. Non che Rody si aspettasse qualcosa di diverso da lui, ma questo non gli impedì di ricordargli - come se avesse potuto dimenticarlo! - che quel pazzo maniaco seduto in macchina con loro gli avesse disintegrato il cuore.

“Cristo, ma sei un disco rotto. Persino la mia Vecchia ormai gli prepara il pranzo scherzandoci sopra. Rilassati.”

Sulla strada verso l’albergo dove avrebbero alloggiato, Rody perse qualsiasi briciolo di dignità gli fosse rimasta, ma non se ne fece una colpa.

No, la colpa era di quei tre decerebrati con cui era in viaggio. E sì, compreso Deku, nonostante il giovane di Otheon gli fosse rimasto allacciato addosso durante tutto il tragitto e persino quando scesero. Fu più forte di lui. Deku rimaneva l’unico di cui si fidasse ciecamente e che sperava di convincere che dovessero legare stretto Tenko e buttarlo nel primo burrone disponibile. Pino si impegnò strenuamente nel mimare quel pensiero, ma il solo che parve recepirlo fu proprio il diretto interessato, che tentò persino di approcciarsi con un dito alla creaturina piumata.

Di fronte alla porta della camera da letto che Deku avrebbe condiviso con il legittimo marito, Rody si rifiutò ancora di lasciarlo andare, nonostante le minacce di Bakugou di farli esplodere entrambi e di firmare col sangue le carte del divorzio. Dietro di loro, Tenko era prossimo alle convulsioni da risate.

“Vi odio tutti…” mormorò Rody piagnucolante, mentre Pino passava dall’agitare le alucce, chiuse comicamente a pugni, a coprirsi la faccia scuotendo la testa. Izuku cercò di nuovo di ammorbidirlo con qualche carezza incoraggiante.

“Andiamo… è successo dieci anni fa… è cambiato ed è dalla nostra parte ora. È acqua passa-”

“Rettifico” lo interruppe Rody, fissandolo con biasimo. “Siete tutti pazzi. Tutti. Ci ammazzerà nel sonno e riderà nel farlo!”

Tenko rise in effetti più forte, beccandosi un Ohi! Finiscila anche tu o ti imbavaglio! Mi stai dando i nervi! Da parte di Katsuki che finì inascoltato come qualsiasi altra dichiarazione di intenti.

“Buonanotte… se riuscirete a dormire” e l’ex Villain entrò in stanza, ma non prima di aver regalato a Rody un ultimo sorrisetto da stregatto che lo avrebbe di certo accompagnato nei suoi incubi durante la notte, spingendolo ad arrampicarsi in testa a Deku.

“Voi non volete ascoltarmi! Siamo spacciati!” 


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COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 2607

Rating: Verde

Note: Omegavers. Omega!Deku, Alpha!Bakugou. Past mpreg. 


L’asse in legno del pavimento scricchiolò sotto il piede di Izuku. 

L’occhiataccia di Katsuki lo raggiunse in tempo zero, ma il lieve mugugno infastidito dell’angioletto dormiente fece contrarre le spalle a entrambi. Nessuno si mosse o fiatò. Per lunghi, infiniti istanti, l’aria nella stanza non fu respirata. 

Un secondo sguardo di Bakugou avvertì Deku molto chiaramente. 

Se ti muovi e fai un altro rumore ti ammazzo. 

L’espressione interdetta dell’omega fu già da sola una replica, ma la sua bocca tradusse mimando le parole che avrebbe voluto dire. 

E cosa dovrei fare!?

C’era da aggiungere che aveva freddo - fuori stava nevicando - e che voleva solo infilarsi nel suo nido di cuscini e coperte, insieme a Kacchan e Hane, e non uscirne più fino all’ora di colazione. O del pranzo. 

Bakugou fece un gesto secco con la mano. Dal basso verso l’alto. Deku non capì. Katsuki lo ripeté con più frenesia e un’occhiata che stava urlando o di muoversi o vendetta, o forse entrambe. 

«Oh!» si lasciò sfuggire Izuku quando capì, ma tappandosi la bocca un attimo dopo, fissando il suo adorabile angioletto contrarre appena le palpebre calate. 

Abbandonando l’asse di legno fedifraga, Deku usò Galleggiamento per sollevarsi a qualche centimetro da terra. Raggiunse il letto nel più completo silenzio e, con più dolcezza di quanto avrebbe fatto in condizioni normali, scivolò tra le coperte annullando gradualmente il quirk. Un sorriso, anche troppo allegro e contento, gli si allargò in viso, mentre Katsuki roteava gli occhi al soffitto. 

Anche se Izuku ci mise un po’ a sistemarsi di fianco all’alpha, Hane non sembrò disturbata, non con l’odore rassicurante dell’omega a circondarla. La bimba allungò anche una manina, nel sonno, nella sua direzione. Gli occhi di Deku si addolcirono mentre le sue dita le andavano incontro. 

Hane aveva quasi un anno e Izuku aveva riempito il cuore di ogni minuto passato con lei. Anche in quei giorni che si stavano rivelando più stancanti e stressanti per tutti, l’omega sapeva che ne avrebbe conservato il sapore con nostalgia. 

Sentendo che il solo contatto della mano non gli bastava, Deku si chinò su di lei, depositando un bacio sopra le guanciotte tonde, lì dove era ancora arrossata dai pianti di tutto il pomeriggio. 

Katsuki non tardò a rifilargli una schicchera e un lievissimo ringhio gutturale. 

«Se la svegli ti butto fuori a calci nella neve. In mutande» sibilò così sottile che fu necessario leggergli le labbra per capire. 

Izuku non riuscì a trattenersi dal ridacchiare, massaggiandosi la parte offesa della fronte. Questo non intaccò la sua espressione intenerita, ma rese anzi il suo odore più avvolgente e tranquillizzante.

Hane si rilassò visibilmente, facendosi scivolare il ciuccio di bocca, ma Katsuki prontamente - e con una delicatezza nuova, che nemmeno lui aveva sospettato di avere fino a qualche tempo prima - lo rimise al posto, aspettando un attimo che la piccola lo riprendesse a succhiare, immersa nei sogni. 

Riversando la testa indietro sul cuscino, l’alpha sospirò piano, esausto.

Hane si era addormentata dopo ore di pianti, lacrime, bava e nuovi livelli di acuti. Era la prima volta che si trovavano in quella situazione spiacevole con lei. Nulla di ingestibile. La gavetta fatta con Hina li aveva preparati, anche se la magagna che stavano tentando di affrontare era tutt’altra faccenda. 

A pochi giorni dal compiere un anno, Hane si rifiutava di imparare a camminare.

Nessun momento di trepidazione e commozione com’era stato per la sorella - o per Tenko, ma lì al primo passo aveva assistito fortuitamente solo Deku - perché il piccolo angioletto aveva imparato prima a volare che a gattonare. Quindi camminare era un altro step che, nella sua logica di cucciolo di umano dotato però di ali, non sussisteva. 

Cosa vi aspettavate!? Sta soltanto assecondando un istinto naturale!, era stato il commento divertito - e di parte - di Hawks una sera a cena, prontamente fulminato da metà famiglia. Ma come un’infinità di altre cose, l’Hero aveva fatto finta di nulla, per poi raccontare che anche per lui era stato complicato accettare di non poter sempre e solo vivere a mezz’aria. 

Sotto consiglio del pediatra, erano quindi iniziate le lezioni Impariamo a camminare! con risultati molto scarsi e rifiuti contornati da pianti. 

Quel ricordo portò Bakugou a sospirare di nuovo, rammentando all’ultimo di farlo piano, visto che la piccoletta si era addormentata a pancia in giù su di lui e muoverla significava rischiare un’altra sessione di lacrime. 

Tuttavia, non tutta l’aria abbandonò i suoi polmoni, non quando sulle sue labbra un’altra bocca gliela portò via. Schiudendo gli occhi, Katsuki si ritrovò a specchiarsi nello sguardo fin troppo sveglio e felice di Izuku. 

«Tu vuoi che io ti ammazzi sul serio.»

Che Deku fosse un incosciente non era una novità. Ignorando l’avvertimento, l’omega si chinò verso il collo dell’alpha, strusciandosi lì alla base dove era più sensibile e mischiando i loro odori, mentre un rumore sommesso, delle fusa, iniziarono a riempire l’atmosfera.

Katsuki non si mosse. Chiuse di nuovo gli occhi e si inclinò leggermente per lasciare più spazio ai baci che il compagno gli stava regalando. Nonostante non si sentisse in vena, finì ad arrendersi e con le dita andò a solleticargli la nuca per ricambiare. 

«Sei davvero stanco» sussurrò Izuku tirandosi su, non prima di aver dato un bacio anche alla sua bambina addormentata. Al contrario di Bakugou, timoroso - ma senza ammetterlo mai - di muoversi per non disturbarla, Deku sembrava totalmente a proprio agio ora che era lì con loro. 

L’omega continuava a rilasciare quell’odore così rilassante, dolce e ricco di positività che l’istinto da alpha di Katsuki sembrò sul punto di abbandonarsi alle fusa, per quanto sarebbero risultate ben più rudi e forse un po’ minacciose - perché impacciate non lo avrebbe mai usato come termine

Izuku trasmetteva l’idea che niente di brutto potesse capitare finché erano lì, insieme, nel suo nido confortevole. Non era che un letto invaso da una montagna di cuscini, lenzuola e coperte morbide, ma perfino l’alpha fu pervaso da quella sensazione di luogo sicuro. 

«Non è stata una giornata… facile» confessò. 

Non era l’aggettivo giusto. Non era neanche la frase migliore per svicolare dalla domanda sottintesa da Deku.

Come ti senti? 

Sarebbe stato più semplice descrivere un qualche tragico evento del passato. La guerra contro All For One era stata devastante. Ci avevano rimesso tutti, fisicamente, emotivamente e psicologicamente. Tuttavia, Bakugou aveva scoperto con la paternità che il pianto della propria bambina, un pianto anche solo frustrato, poteva lasciare il segno molto più a fondo e con riverberi difficili da ignorare.

Se in battaglia perdevi un arto prima o poi te ne facevi una ragione e continuavi a convivere con i pezzi rimasti. Ma se Hane si disperava perché lui, cedendo alla stanchezza, alzava il tono di voce, la mortificazione che ne seguiva sembrava dover rimanere in maniera indelebile come un fallimento insanabile nella sua mente. 

Grugnì frustrato, tendendo le spalle, ma sapendo di non potersi muovere. Non era una punizione, doveva metterselo in testa, ma non gli riusciva di essere disinvolto alla maniera di Deku. Era come se a lui fosse stato consegnato il manuale di istruzioni per prole scontenta e altre situazioni spiacevoli, mentre l’alpha doveva subire sulla pelle, tentennare e mangiarsi il fegato per i sensi di colpa.

Izuku tornò a dedicarsi al suo collo, smorzando il sentore leggero di stress che si stava lasciando sfuggire e che fece appena arricciare la boccuccia all’angioletto dormiente.  

«Non sei un cattivo papà» sussurrò Izuku con dolcezza e appena una punta di divertimento nel chiamarlo in quel modo, mentre il suo petto moltiplicava le fusa. 

Katsuki deviò lo sguardo altrove. Se arrossì appena lo avrebbe negato strozzando Deku.

Non si era ancora abituato. Anche se era già stato un papà per Hina, era solo da un anno che quel titolo era suo di diritto. E tutto per la testardaggine di Izuku. Per il desiderio di Izuku. Per amore di Izuku. 

Un Bakugou Katsuki di quattordici anni non avrebbe mai accettato di sentirsi raccontare un finale del genere per lui e per il buono a nulla quirkless che era stato Deku. 

Invece eccoli lì, a dieci anni e poco più di distanza, stretti in un abbraccio di calore e coperte, mentre il risultato di una delle loro litigate più feroci e passionali dormiva pacificamente avvolta dal loro odore e dal loro affetto. 

L’alpha tornò con le dita a massaggiare il collo dell’omega, per poi scendere lungo la schiena fino a un fianco e tirarselo vicino. Lo strinse forse con troppa forza, perché Deku si lasciò sfuggire un ooff soffocato e le sue fusa saltarono il ritmo per un attimo. Bakugou gli solleticò la pelle sotto la maglietta, sentendola calda, avvertendo contro i polpastrelli la differenza tra le cicatrici e le delicate smagliature date dalle due gravidanze. 

Con un risolino leggero, Izuku incastrò la testa nell’incavo del suo collo e prese a giocherellare con i capelli della piccola. Ora che si erano allungati non erano più ispidi come i primi tempi, diventando ciocche morbide e mosse, più simili ai suoi. Chiunque vedesse Hane per la prima volta capiva subito che fosse figlia di Katsuki, ma c’erano quei piccoli dettagli meno evidenti che erano di Izuku e che lui amava trovare in lei. 

«Domani riproviamo» disse piano, senza aggiungere nulla di più, perché non ce ne era bisogno. «Andrà meglio» continuò, cercando la mano di Kacchan e intrecciando le loro dita. «Piangerà ancora e non vorrà farlo, ma andrà meglio.»

«Lo so.»

A Bakugou non piacque il proprio tono. Mise a nudo la sua parte vulnerabile, quella che odiava e che detestava lasciar trapelare. Appena due sillabe, ma uscirono zuppe di tutta la stanchezza e delusione verso se stesso.

Izuku gli fece percepire la propria presenza, si premette contro di lui con più insistenza, con più amore

«Non ti odia.»

Lo so, avrebbe voluto ripetere Katsuki, ma le parole gli si incastrarono in gola. La voglia di imprecare contro se stesso fu forte. Era un idiota che non riusciva ad avere pazienza neanche verso la propria figlia. Ecco il problema. Lui era un-

Deku si districò dalla sua stretta senza preavviso. Non fu delicato, tanto che Hane mugugnò nel sonno, ma l’omega la baciò sulla tempia, circondandola ancora una volta dalla propria essenza confortevole, prima di tornare a fissare il papà pieno di incertezze. Rimase sospeso sopra di lui, puntellato su un braccio per non gravare sopra ciò che di più prezioso avevano messo al mondo. 

«Non ti odia» ripeté con fermezza, ma insieme a un affetto che Bakugou a volte non credeva ancora di meritare e che Izuku gli buttava addosso in quantità ingestibili. Proseguì, abbassando lo sguardo su Hane, sorridendo. «Se ha preso qualcosa da me di certo è l’ammirarti troppo.» 

Katsuki sospirò. 

«Ma piantala.»

«Anche se oggi hai alzato la voce, non si è più voluta staccare da te.» Tornò a guardarlo, accennando un ghignetto. «Non ti ricorda qualcuno?» 

Bakugou alzò di nuovo la mano e Deku si preparò a ricevere una seconda schicchera. Riaprì gli occhi quando sentì un palmo caldo contro la guancia. 

«Ehi» mormorò l’omega, andando incontro a quel tepore, senza interrompere il contatto visivo. «Va tutto bene.»

Katsuki aveva gli occhi lucidi. Izuku lo vide reclinare la testa per ricacciare indietro le lacrime, mordendosi le labbra per non imprecare. Lo aspettò, gli diede spazio e tempo, accontentandosi di quella mano che non si staccò da lui. 

Ciò che mise un punto ai dubbi dell’alpha fu però un nuovo rumorio che si aggiunse a quello di Deku.

Entrambi i genitori guardarono all’angioletto ancora addormentato, ma i cui piccoli pugni ora stringevano la felpa di Bakugou, mentre l’espressione si era fatta caparbia. 

All’odore intimo del nido e di Izuku se ne mescolò un terzo più infantile, ancora incerto sull’aroma principale, con un retrogusto di latte e miele. 

«Ooh-» sfuggì a Deku, mentre i suoi occhi si allargavano per la realizzazione. Fissò Katsuki, incredulo quanto lui. «Lei sta-! Sta cercando di-»

Si zittirono e ascoltarono. Il rumorio continuò a essere molto basso, variabile, con alcuni picchi in cui la bambina si muoveva ogni tanto, tirando la stoffa tra le ditine, o ciucciando più forte, ma non si interruppe mai. Hane stava tentando di confortare, come a incoraggiarlo, Bakugou. 

Izuku si tirò su, sedendosi con una mano sulla bocca, completamente rapito dalla meraviglia. Anche se era già successo con Hina, era uno di quei momenti diversi per tutti, come sarebbe stata la prima parola o il primo giorno di scuola. 

«Ho bisogno di fare una foto.»

«… che?»

Deku non sentì Bakugou neanche di striscio. Si allungò oltre il letto e recuperò dal comodino il cellulare spento. Qualche secondo, lanciando occhiate di continuo ad Hane, neanche fosse dovuta sparire all’improvviso, e si mise a inquadrare padre e figlia. 

«Cerca di essere naturale» borbottò, sistemando alcune impostazioni per avere il risultato migliore. 

Katsuki odiò essere inchiodato al materasso in quella maniera.

«Non dirmi cosa fare! Ma che ti prende!? Scatta e basta!» sibilò più piano che riuscì, quasi a denti serrati. 

«Voglio imprimere questo momento.»

«Non puoi fotografare un rumore. Sarà una cavolo di foto come un’altra, sta solo dormendo!»

Izuku si morse il labbro, ma alla fine inquadrò e scattò. 

La riaprì subito e, al contempo, si rimise sdraiato di fianco all’alpha, riprendendo contento con le fusa, tentando di armonizzarsi con quelle della piccola. 

«Non importa se sembrerà una foto come un’altra» mormorò Deku, facendola vedere anche a Bakugou, per poi abbassare il telefono e fissare la testolina bionda dormiente. «Mi sto imprimendo questo preciso momento nella testa… quando la riguarderò, sono certo che mi ritornerà in mente ogni dettaglio.» 

Katsuki non concordò a parole, ma lo fece lasciandosi avvolgere da quello stesso momento di cui Izuku stava tessendo il ricordo. Era stanco, ma si sentì anche più leggero.

Gli odori si mescolarono in una delle fragranze più rilassanti e buone - e sue - che avesse mai inspirato. Il vago vibrare del corpicino di Hane sul proprio sciolse il resto della sua tensione, facendogli desiderare di addormentarsi così e finalmente riposare. 

«Ascoltala! Senti quanto è… lieve?» si intromise Deku. Quando Bakugou riaprì gli occhi, fissando la sua espressione più concentrata, mentre Izuku si tirava il labbro inferiore con le dita, l’alpha capì l’andazzo. «Forse aveva iniziato anche prima e non ce ne siamo accorti? E se non fosse la prima volta?»

«De-»

«Però è così dolce! E… e anche intenso, in un certo senso! È come se volesse dire papà non ti preoccupare! Non sembra anche a te?»

Bakugou emise un verso confuso, infastidito ma non davvero, in parte imbarazzato - papà davvero non gli entrava in testa - e sfinito. 

«Forse è l’odore a trasmettere questa sensazione. Ha qualcosa di tuo sotto sotto, come quello di Hina ricorda vagamente Shouto… e ok che è un meccanismo della natura per far accettare agli alpha i propri cuccioli, però potrebbe essere-»

«Izuku

Gli tappò la bocca con una mano, occhieggiandolo non minaccioso come avrebbe voluto perché sentiva i muscoli ridotti alla consistenza di budini - e voleva godersi quella sensazione di dolcezza, pace e sicurezza del nido - ma abbastanza da farsi ascoltare.

«Stai sovranalizzando tutto come al solito tuo, Nerd. Piantala di blaterare o la sveglierai. Vieni qui.» 

Anche se fu un ordine, fu Katsuki stesso a eseguirlo, spingendolo di nuovo ad aderire completamente al suo fianco.

«Ti concedo di continuare con le fusa. Ma, per il resto, taci e dormi

Ricevette solo un pruu particolarmente intenso in risposta.

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COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 1591

Rating: Verde

Note: un ipotetico incontro tra un giovanissimo Hawks e Mera circa ventitrenne nella caffetteria (?) della Commissione per la Sicurezza Nazionale degli Hero.  


Mera Yokumiru non aveva mai capito cosa volesse fare nella vita.

Per lo più si era fatto trascinare dalle correnti, cercando qualche ideale da perseguire, ma con scarsi risultati.

Appena uscito dal liceo si era ritrovato ad accettare un lavoro fisso dietro una scrivania, fino a quando qualcuno non aveva intuito - o sancito per proprio comodo - quanto fosse un lavoratore instancabile

Da lì, in un’escalation che l’uomo stesso aveva faticato a comprendere, si era ritrovato a scalare una dopo l’altra le mansioni della Commissione per la Pubblica Sicurezza degli Eroi, fino a ritrovarsi a gestire le pratiche per le licenze, vedersi affidata per intero l’organizzazione degli esami, annuali e straordinari, fino al rilascio degli attestati, oppure al ritiro delle patenti, con annesse verifiche sui reclami, più tutti gli extra che potevano derivare dall’essere considerato praticamente il braccio destro nell’ombra del Presidente in carica. Se c’era un mezzo segreto all’interno della Sicurezza prima o poi lo veniva a sapere, sempre se dato segreto non partisse direttamente dal suo ufficio. 

In breve, Mera aveva iniziato a sperimentare la vita dal punto di vista degli insonni e di chi aveva una casa per bellezza, a volte dimenticava persino l’indirizzo, date le scarse volte in cui riusciva a tornarci.

Imparare a dormire ovunque era diventata una necessità, come avere sempre in tasca almeno un paio di boccette di integratore power-up che lo rivitalizzassero abbastanza da affrontare il mare infinito di scartoffie sulla sua scrivania.

Notte e giorno avevano acquisito significati relativi alle situazioni o ai gradi di deprivazione di sonno in cui versava. A volte scambiava una semplice luce al neon per il sole o la luna e si immaginava in vacanza da qualche parte. Un miraggio.

Quella notte, più che un’illusione data dalla stanchezza, ciò che provò fu un mezzo infarto.

Non che fosse nuovo ad allucinazioni dettate dalla spossatezza - ci avrebbe potuto riempire i taccuini di uno strizza cervelli - ma accendere la luce della caffetteria e ritrovarsi fissato da un bambino alle quattro del mattino aveva del patologico.

“E-Ehi…” salutò per buona educazione, mentre cercava di ricordarsi a che livello di esaurimento fosse arrivato per avere una visione simile. Era certo di aver schiacciato un pisolino almeno ventisei prima. “Ti sei perso?”

Il ragazzino si guardò intorno. 

“No” e scosse la testa.

No, quello che si sentiva perso era Yokumiru. Si guardò alle spalle, sperando di intercettare qualche collega, ma non vide nessuno. Salvo il bambino, la caffetteria e le stanze limitrofe erano deserte. Forse con una tazza di caffè a ricollegargli le sinapsi quell’allucinazione sarebbe sparita. O volata via dalla finestra, viste le ali rosse che aveva sulla schiena.

Un tarlo gli grattò la testa, dandogli l’idea che quello fosse l’indizio giusto per venire a capo dell’enigma, ma nelle condizioni in cui versava, Mera poteva processare mezzo pensiero alla volta.

“Io mi preparo un caffè… tu… vuoi qualcosa?”

Si sentì osservato - indagato? - dallo sguardo del piccolo mentre raggiungeva la caffettiera. Probabilmente avrebbe dovuto chiedere altro - dove sono i tuoi genitori? Chi ti ha fatto entrare?di preciso, come fai a essere qui? - ma non poteva affrontare tutto quello senza prima della caffeina in circolo.

Il bambino fu in dubbio se rispondergli o meno, continuando a fissarlo, tanto che Mera, in soggezione come se non fosse stato lui l’adulto della situazione, quasi fece strabordare dalla tazza la preziosa linfa vitale.

“Ci sono i biscotti?”

“Biscotti” ripeté Yokumiru, neanche fosse nuovo alla parola. La sua mente gli venne in soccorso con una gamma di possibilità. 

“Biscotti…” poggiò la tazza e aprì i primi due sportelli davanti a lui, trovando una dozzina di ramen istantanei impilati. Non aveva neanche idea che ce ne fossero. Le sue gite in caffetteria si limitavano all’elemento base - il caffè. Gli venne il dubbio di non avere mai aperto nessun armadietto. Quella fu l’occasione per scoprire cosa ognuno contenesse.

“Biscotti!” disse un’altra volta con più convinzione, deciso a tirarli fuori. Era certo che almeno uno dei suoi colleghi fosse goloso. Lo sfiorò persino l’idea di uscire un attimo e andare al konbini davanti il palazzo, se fosse stato necessario. Ma non ce ne fu bisogno.

“Oh. Eccoli” Se li trovò davvero davanti. Due scatole, una aperta e fermata con una clip. Le prese con estrema cura, come fossero state le sue ferie arretrate.

“Tè verde o cioccolato?”

Il ragazzino lo scrutò con gli stessi occhi fissi - iniziò a notare qualche dettaglio in più, come la natura del suo quirk riconducibile a un rapace cacciatore, nonostante il visino tondo - per poi passarli sull’una e l’altra scatola.

“Cioccolato.”



Qualche minuto più tardi, il divano della caffetteria era stato colonizzato.

Mera era al secondo sorso di caffè e cominciò a ristabilire i contatti con la realtà. Al suo fianco, il bambino stava consumando in lenti morsi il bottino.

“Sono buoni?”

La lunga occhiata probabilmente lo giudicò, o semplicemente fu curiosa, ma l’impiegato non poteva essere più in pace col mondo in quel momento. Una manina allungò un biscotto verso la sua faccia. Non disse nulla, ma continuò a mantenere lo sguardo su di lui come una preda e Mera si sentì obbligato ad accettare. Senza sapere esattamente cosa fare, lo inzuppò nel caffè prima di dargli un morso.

Un mugugno di puro piacere lo sciolse contro la spalliera del divano.

“… non ricordavo più il sapore del cioccolato.”

Il bambino gli offrì l’intero pacco e Yokumiru se ne concesse un secondo.

La caffeina e lo zucchero ebbero un effetto doping, ravvivandolo.

“Che fai da queste parti? Sei in visita? Dove sono i tuoi genitori?”

Come fosse stato premuto un interruttore, il ragazzino smise di masticare. Ingoiò quello che aveva in bocca e poggiò la scatola di lato, fissando davanti a sé. Ma davanti a loro c’era solo la vetrata che dava sugli uffici dalle luci spente, quindi non c’era davvero nulla da guardare. 

Sulle prime, Mera non comprese. Non era bravo con i bambini - era più abituato a vedere adolescenti chiassosi e impavidi, e anche lì aveva scarse doti relazionali - ma qualcosa di quel piccoletto lo faceva sembrare molto più simile a un adulto. Un adulto cresciuto terribilmente in fretta.

“Mio padre è in prigione. Mia madre non lo so. Sta bene. Mi hanno che si sarebbero occupati di lei.”

Mera ebbe la netta impressione di essere caduto in una di quelle gaffe dove si parlava prima di connettere il cervello - Cos’è quel muso lungo? Non ti sarà morto il gatto, spero!

Avrebbe voluto avere lui la scatola di biscotti per offrirgliene uno e rimediare. Si grattò la nuca, cercando di pensare.

“Err… Mi dispiace. Non deve essere facile.” 

Lo guardò, mentre la sua testa lo riempiva di input che non riusciva a riordinare. Aveva iniziato la conversazione col piede sbagliato, ma alle quattro di notte incappare in una forma di vita intelligente non rientrava nella sua routine.

Tuttavia, a guardarlo non dava l’idea di essere abbattuto dalle circostanze. Eppure, qualcosa in Yokumiru lo spinse a riconsiderare quell’ipotesi. Era piccolo - sei o sette anni forse? - ed era da solo, con uno sconosciuto, in un ufficio governativo a mangiare biscotti al cioccolato alle quattro del mattino. Non era più o meno la fine che aveva fatto lui, ma rischiava si esserci molto vicino.

“C’è qualcosa che ti piace?” provò, aggiustando il tiro.

Quando il bambino lo fissò con quella mono espressione da cui non traspariva nulla, Mera fu certo di aver messo di nuovo il piede in fallo. Ma poi qualcosa gli illuminò lo sguardo. Qualcosa che sembrava poter vedere solo lui.

“Endeavor.”

Yokumiru sbatté le palpebre, piegando la testa di lato.

“Endeavor?”

“Endeavor. Mi piace Endeavor.”

“… l’Hero?”

Non doveva essere così strano, ma raramente sentiva nominare al primo posto l’eroe di fuoco, nonostante fosse il secondo della nazione. All Might era il preferito dei bambini. 

“Endeavor ha catturato mio padre.”

Mera fu ancora più confuso su come dover prendere quell’affermazione. Una parte della sua mente gli gridò disperatamente Biscotti! Come se afferrare la scatola e metterla fisicamente in mezzo alla conversazione potesse essere più sensato.

Mmmh… Endeavor… vediamo…”

Prese il cellulare e aprì YouTube, digitando il nome. Uscirono i risultati più disparati e cliccò sul primo che recitava Compilation delle vittorie fiammeggianti - Parte 3.

L’audio partì fin troppo alto, ma quando girò lo schermo e passò il telefono al bambino, vide come il viso gli si illuminò, le immagini sul display che si riflettevano nei suoi occhi. Non disse nulla. Non espresse nessun entusiasmo se non trattenere il fiato. Non iniziò neanche a blaterare nulla che avrebbe fatto un qualsiasi ragazzino della sua età, elencando nomi di mosse o episodi particolari. Rimase solamente fisso su ogni sequenza, mangiandola con gli occhi.

C’erano poche cose che smuovevano Mera dal suo torpore costantemente costretto alla veglia. Quella notte, in maniera del tutto casuale, scoprì quanto potesse essere rilassante condividere del tempo, che avrebbe potuto impiegare per dormire, con un bambino taciturno e per nulla abituato a chiedere o ricevere attenzioni. Avrebbe scoperto negli anni tutte le potenzialità avvolte da quelle piume rosse, oltre che il nome e i segreti che si portava dietro. 

Per quella notte, quando chiusero gli occhi stanchi e crollarono l’uno addosso all’altro - con la voce profonda di Endeavor proveniente dal cellulare - nessuno dei due si chiese chi fosse l’altro. 

Il conforto arrivava nelle forme più disparate, ma il tepore non cambiava, anche se si era due perfetti sconosciuti. 


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COW-T 13, seconda settimana, M1

Prompt: un personaggio si prende cura di un altro personaggio infortunato, malato, e/o bisognoso di conforto.

Numero parole: 1105

Rating: Verde

Note: Post Canon. Headcanon in cui Deku riesce a salvare Tenko Shimura e torna indietro con lui, ma questo è ridotto a un neonato. Ispirata a questa immagine di Sailor Moon: https://www.pinterest.es/pin/715579828284530193/
È un headcanon che mi è troppo a cuore ;;  




Deku si svegliò di soprassalto. Concesse appena ai suoi sensi di capire dove si trovasse - era in camera, nel suo letto - prima di tentare di scendere. Si trattò di un tentativo perché una mano lo afferrò per un braccio, smorzando lo slancio e riportandolo tra le lenzuola.

Izuku.

“Devo andare, Kacchan. Torno subito.”

Bakugou sbuffò, ributtandosi contro i cuscini e imprecando qualcosa che suonò come Hai bisogno di dormire, Nerd, ma l’altro lo ascoltò di striscio, infilandosi al volo le ciabatte e correndo in corridoio.



Tutto era finito e iniziato sei anni prima, nell’ultima guerra contro All For One. Deku a volte aveva ricordi sfocati di come fossero andate le cose. Capitava soprattutto quando qualcuno gli faceva domande dirette, lui si perdeva a cercare la risposta in mezzo a flash ed emozioni che si erano stampati nella sua mente come polaroid buttate insieme alla rinfusa. Non c’era mai un filo logico. Tutto era semplicemente successo.

Aveva la sensazione che per la sua mente fosse un meccanismo di difesa, una grata sopra un pozzo di cui non si vedeva il fondo e in cui rischiava di precipitare, senza poter riemergere. E andava bene così. Ne erano usciti a pezzi - qualcuno letteralmente - e con ferite che ancora si stavano cicatrizzando.

Ma erano vivi e avevano vinto.

Vinto più di quanto avessero sperato, salvando più di una vita.

E ora Deku, a ventidue anni, si stava prendendo cura di una di quelle mani che si era tesa verso di lui e che avevano silenziosamente detto Aiutami.



“Sono qui. Ehi, sono qui.”

De… ku…”

“Non ti preoccupare, sono qui. È stato solo un brutto sogno.”

Il pianto del bambino non si placò, anche quando Izuku lo sciolse dal groviglio di lenzuola e se lo tirò verso il petto. Si sistemò seduto sul letto, passandogli la mano sulla schiena per cercare di mitigare i singhiozzi.

“Va tutto bene Tenko, sei al sicuro. Siamo a casa, insieme. Sono con te e Kacchan è di là, nessuno ti farà del male.”

Deku…

Il bambino nascose il viso nell’incavo del suo collo e Izuku gli passò le dita tra i capelli scuri, continuando a mormorare parole di conforto.

Non erano bugie, non erano la verità. Il confine che avevano tracciato dopo la guerra era un vaso rotto rimesso insieme al meglio delle loro possibilità. La forma originale c’era, era quella, ma erano visibili i punti dove la realtà era stata distrutta e limando i bordi o senza ritrovare tutti i frammenti.

Tenko era stato il principio di quei cambiamenti. Il modo in cui la società aveva dovuto riconoscere, ammettere e accettare che ci fosse un marciume di fondo alimentato da troppo tempo di falsi ideali, speranze millantate e tanta, troppa polvere nascosta sotto patine di perbenismo.

Quando Deku ripensava a quello che aveva vissuto durante l’ultimo scontro contro All For One e Shigaraki la sua memoria sfumava, i suoni si facevano ovattati, il dolore diventava uno strato solido e tangibile. Flash caleidoscopici. Sensazioni. Il buio.

Poi era apparso Shimura Tenko nel suo campo visivo ed era stata l’ultima cosa che ricordava con una certa coerenza. Quel bambino restio, diviso tra il dolore e la rabbia di essere rimasto inascoltato e abbandonato, che stava scomparendo fagocitato da forze più grandi di lui.

Aiutami.

Ti prego, io non volevo tutto questo.

Ho sbagliato.

Ma non volevo fare loro del male.

È colpa mia. È tutta colpa mia.

Aiutami… ti prego…

Quello che era successo in seguito glielo aveva raccontato - a modo suo - Bakugou , dopo che si era risvegliato in ospedale da settimane di coma.

Ce l’hai fatta, cazzo. Lo hai salvato. ‘Fanculo Nerd, ci hai messo una vita a riprenderti, sei completamente rotto. Fallo di nuovo e ti ammazzo, hai capito?

Se Izuku ne avesse avute le forze, gli avrebbe rinfacciato di essere morto prima del suo arrivo, ma avere Kacchan vivo a sbraitargli contro era un sollievo. Come lo fu apprendere la storia in una ricostruzione a grandi linee, che mancava di particolari che nessuno avrebbe più ricordato.

Izuku aveva riportato con sé Shimura Tenko in un fagotto di stracci, ridotto a un neonato che si lamentava sommessamente e che aveva aperto nuovi occhi incolore su un mondo non pronto ad accoglierlo.

Deku, però, aveva fatto di tutto per proteggerlo. Di tutto per averne la custodia una volta raggiunta la maggiore età. Perché avrebbe fatto qualsiasi cosa per costruire al meglio quella seconda opportunità per Tenko, anche e soprattutto contro un’opinione pubblica che lo vedeva come un mostro. Non importava che fosse un bambino fragile e spaesato che stava imparando a camminare di nuovo.

“Ho fatto male… a tutti… a te…” mormorò Tenko quando si fu calmato un po’.

I brutti sogni su quella vita passata non mancavano e Izuku dubitò sarebbero mai finiti. Erano incisi nelle sue ossa, come in quelle di chiunque altro, ma questo non li rendeva più reali di un ricordo passato. E potevano andare avanti fianco a fianco, facendosi forza a vicenda.

“Sono qui ora. Siamo insieme.” Lo strinse con più forte, sapendo di togliergli un po’ il fiato. “Va tutto bene.”

“Ma se io diventassi di nuovo-”

“Ma piantala, moccioso. Non succederà.”

Sia Izuku sia Tenko sobbalzarono appena, rivolgendo lo sguardo verso la porta. Appoggiato allo stipite, in vestaglia e con la faccia scontrosa di chi aveva dormito troppo poco, Katsuki ricambiò l’occhiata con un grugnito.

“Alzate il culo e venite in cucina. Spuntino veloce e poi torniamo a dormire. Tutti e tre.”

Deku rise appena, seguendo con gli occhi la schiena di Bakugou andarsene, per poi abbassarsi a dare un bacio in mezzo ai capelli neri di Tenko.

“Scommetto che ha preparato il latte caldo con miele e cannella.”

Il bambino gli strinse le dita sulla maglietta e si percepì chiaramente come la nuova prospettiva stesse sgomitando per avere più attenzioni degli incubi.

“P-Posso avere anche… un biscotto?”

Izuku ridacchiò, alzandosi e risistemandosi il ragazzino contro il fianco per vederlo meglio.

“Perché non due?”

“… perché Kacchan dice che poi mi viene la carie e che tu mi vizi…” borbottò Tenko, sottolineando entrambe le argomentazioni con un broncetto scontento.

“Allora dovremo fare gioco di squadra” bisbigliò Deku, ghignando. Erano sulla porta della cucina a osservare il Grande Dio dell’Uccisione Esplosiva intento a preparare tutto, tra uno sbadiglio e l’altro.

“Io distrarrò Kacchan e tu prenderai tutti i biscotti che riesci.”

Il bambino sgranò lo sguardo, sconvolto e intrigato.

“Tutti tutti?

“Ohi, che avete da bisbigliare lì dietro?”

Izuku fece un occhiolino complice al più piccolo.

“Nulla, Kacchan! Ci chiedevamo quanto miele e cannella ci andasse in una tazza di latte…” 


April 2025

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