[Voltron] In un'altra vita
Mar. 2nd, 2019 01:06 am![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Cow-T, terza settimana, M2
Prompt: Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare. (Alessandro Baricco, Oceano mare)
Numero parole: 1047
Rating: SAFE
Fandom: Voltron LD
Personaggi/Ship: Elfo della Notte!Lotor & Sirenetto!Lance
Note: Fantasy!AU (gasp)
Quando Lotor riuscì a risalire anche l'ultima collina, la distesa di sabbia che gli si presentava davanti lo scoraggiò definitivamente e lo lasciò privo degli ultimi barlumi di volontà. Il sole stava tramontando alle sue spalle, lì dove ancora sorgeva il fumo della sua sconfitta.
Non era stato in grado di spodestare suo padre dal trono. Aveva intrapreso una guerra civile che aveva portato a morire chi si fidava di lui. La strega che una volta era stata sua madre lo aveva osservato con sguardo impietoso, mentre vigliaccamente scappava, con i pochi sopravvissuti. Quel giorno aveva perso per sempre la foresta. Non sarebbe mai potuta più essere sua.
Gli Elfi della Notte avrebbero continuato a osannare un re che pian piano li avrebbe portati tutti a morire per le sue mire di potere. La sua razza era destinata alla sconfitta quanto lo era lui in quel momento, un giorno lo avrebbero capito e sarebbe stato troppo tardi.
Ma ora Lotor era lì, solo. Quei pochi che erano scappati con lui non ce l'avevano fatta a sfuggire ai soldati di suo padre. Perché il re, pur di vederlo distrutto, aveva continuato a uccidere chiunque lo avesse seguito, chiunque si fosse arreso, fino a lasciare vivo soltanto il figlio ribelle, affinché ammirasse cosa succedeva a chi si fosse fidato di lui, lo avesse appoggiato, lo avesse seguito o amato.
Lotor era partito con la consapevolessa che non si sarebbe piegato mai più a un tiranno del genere, a qualcuno che aveva scelto, molto tempo prima, il potere oscuro totale, pur di vincere. La nomea di Elfi della Notte già di suo bastava a renderli bersaglio per l'odio di tutte le altre creature, suo padre avrebbe soltanto scatenato una guerra totale per la follia del potere.
Anche quando l'ultimo raggio di sole caldo raggiunse la sua schiena, tuttavia, Lotor non si voltò indietro. Non gli era rimasto più nulla, probabilmente neanche l'alba successiva, se non avesse medicato le ferite infertegli nello scontro. Digrignando i denti per il dolore, si rimise in piedi e affrontò la discesa dalla collina.
Affondare nella sabbia fu qualcosa di nuovo. Non si era mai allontanato così tanto dai territori degli Elfi della Notte o dalla foresta in generale. Quando era stato esiliato, era stato confinato sulle montagne, al gelo dei venti, e quella distesa l'aveva conosciuta da lassù, osservandola all'alba, quando il sole sorgeva dal confine ultimo del mare e l'aurora apriva la strada al mattino con le sue dita rosate, fino a tingere le onde e la sabbia su cui si infrangevano.
In quel momento, con l'avanzare del buio, i granelli avevano un'ombra bluastra a colorarli, oltre al rosso del sangue che Lotor vi stava facendo colare sopra. L’elfo cercò di non perdere l'equilibrio, ma fu difficile camminare per metri e ancora metri, affondando e cercando di proseguire. Poteva sentirlo, il rumore del mare. Poteva chiudere gli occhi e non essere più lì, nel regno della sua sconfitta, cullato dallo sciabordio che lo attendeva alla fine di quella spiaggia.
Non sapeva perché stesse andando verso il mare; non avrebbe potuto proseguire e non c’era nulla lì intorno. Una terra di nessuno. Ma i pensieri, come gli ideali e l'onore, avevano perso di importanza ormai.
Poi lo sentì. Un suono diverso, più simile a una voce, ma con note che non aveva mai sentito. Aveva i sensi annebbiati dalla battaglia, eppure era sicuro si trattasse di una voce che cantava. Era surreale, ipnotica e con parole che non riusciva a cogliere. Traballante, si mosse ancora, ignorando che le gambe non ce la facevano più. Camminò per quelle che gli parvero al contempo delle ore e pochi minuti, la vista così sfuocata da non distinguere più cosa avesse davanti.
Quando cadde in ginocchio, era ormai arrivato alla battigia e un'onda gli si infranse contro prima che potesse anche solo realizzarlo. Era gelida e il sale gli bruciò le ferite, strappandogli il primo vero gemito di dolore e sfogo.
La voce smise di cantare a quel verso e Lotor provò a cercare le parole per chiedere che continuasse, ma niente aveva davvero importanza. Rimase lì, immobile, le mani abbandonate vicino alle gambe, mentre le onde continuavano a lambirlo, finché non cadde sulla sabbia bagnata. Sopra la sua testa, il cielo notturno scintillava di stelle, in uno spettacolo così bello e insperato per una sconfitta, che Lotor sentì le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.
Aveva fallito. Aveva perso tutto e tutti. E a poco a poco, stava smarrendo anche se stesso. Il mare avrebbe potuto portarlo via. Avrebbe potuto cancellare la sua esistenza, avviluppandolo tra le onde, e nessuno si sarebbe ricordato di lui e lui non avrebbe dovuto vivere col peso della sconfitta.
Chiuse gli occhi e smise di pensare.
Fu allora che la canzone ricominciò. Una nenia, leggera e portata dalle onde. Le stesse che continuavano a passare sopra il corpo abbandonato di Lotor, lavandolo dal sangue, confortandolo anche quando non avrebbe voluto. Una di quelle onde fu più consistente delle altre e non lo abbandonò. Lotor sentì un peso sul petto e riaprì gli occhi per ritrovarne due di un blu zaffiro a fissare i suoi. E ora la nenia era lì, a un passo dalle due orecchie, sussurrata come una buonanotte.
Non aveva la forza di sorprendersi, o di muoversi. Ne trovò un barlume solo per piangere, di fronte alla prima creatura del mare che avesse mai visto al di fuori di un libro. Le scaglie azzurre brillavano di un piccolo riverbero, e delle linee dorate, come tatuaggi, correvano sulla pelle nuda e scura. In viso aveva un’espressione smarrita che provocò in Lotor una dolcezza inaspettata.
"Stai morendo?” sussurrò il sirenetto, tastando con attenzione alcune delle sue ferite che continuavano a perdere sangue.
Lotor aveva la gola arsa, le labbra che bruciavano bagnate dalle onde, ma riuscì a sollevare lo stesso un angolo della bocca, in un tentativo di ultima ironia.
“Sarei un pessimo bugiardo… se dicessi che non ho più nulla per cui vivere.”
Vedere quella creatura bellissima arrossire, incorniciata dalle stelle sopra le loro teste, riuscì a fargli battere di nuovo il cuore con qualcosa di diverso dalla disperazione.
“Come ti chiami?”
“... Lotor” sospirò, chiudendo gli occhi senza più sentire dolore. “Tu?”
“Lance…”
“Spero di incontrarti in un’altra vita, Lance…”