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COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Neve
Numero parole: 1000
Rating: Verde
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Note


Era una notte bellissima. Una di quelle che chiunque avrebbe volentieri passato insieme alla persona amata. Per Vanitas era vero a metà, con una vena fatta un po’ di nostalgia e un po’ di amara accettazione. 

Non era un desiderio così lontano dalla realtà, alla fine. Le circostanze, tuttavia, rendevano i contorni di quella cartolina affilati, col rischio di tagliarsi e insozzarne la bellezza, quindi andava bene così.

Vanitas respirò piano dalla bocca, osservando la condensa biancastra formarsi come una piccola nuvola contro il cielo nero, puntinato da stelle mobili e che cadevano dolcemente verso terra.

Aveva iniziato a nevicare da un’oretta. Fiocchi piccoli ma tenaci che stavano cominciando ad accumularsi negli angoli più freddi.

Non che ci fosse un posto caldo al di fuori delle case e dei palazzi di Parigi, ma l’unico tepore di cui Vanitas sentisse il bisogno era all’altezza del proprio petto e stava bene così, in cima al tetto dell’albergo dove lui e Noé avevano iniziato tutto.

Era stata lunga, ma come qualsiasi attesa finì.

“Vani!”

Il richiamo che stava aspettando riecheggiò nella silenziosa volta notturna. Era tardi, anche per essere la notte di Natale. Le celebrazioni erano finite da diverso tempo e quello sprazzo di vita ruppe la quiete. Per il diretto interessato fu la campana a festa, solo per lui, che non era ancora suonata quella notte.

Noé balzò sul tetto di fretta, perdendosi il cappello e recuperandolo in modo distratto prima che cadesse. I suoi occhi brillarono cercando solo il compagno. La distanza durò l’attimo di un solo respiro, portato via da un bacio urgente.

“Sei tornato presto” scherzò Vanitas, restando placido, armonizzato alla quiete della Parigi dormiente. Noé era invece un fascio di nervi e col bisogno di condensare tutto insieme il tempo che aveva passato lontano.

“Non sarei dovuto andare” si recriminò, tenendo il viso del compagno tra le mani come una coppa da cui abbeverarsi, sentendosi non dissimile da un viaggiatore sopravvissuto a un deserto. “Mai più. La prossima volta-”

Vanitas rise, interrompendolo. Noé non capì, sbattendo disorientato le palpebre.

“Perché ridi?” e lo tradusse a parole. Aveva la faccia di un bambino lasciato in un angolo a osservare un mondo che non comprendeva - un mondo bellissimo - anche quando, ormai, era certo di avere la maggior parte dei segreti dell’erede del vampiro blu custoditi nel cuore.

“La prossima volta” ripeté Vanitas, ripetendo le stesse parole. “Saremo noi a dare un ricevimento di Natale, se ci andrà.”

Il cuore di Noé fece un balzo nel petto, non tanto per la promessa, ma per l’espressione felina con cui Vanitas gli stava promettendo tante cose tra le righe.

“Ovviamente deciderò io chi invitare” aggiunse il moretto, mentre si stringeva nelle braccia, abbassando lo sguardo sul proprio petto. “E l’unica assistente che voglio è Lou.”

Sotto gli strati di vestiti e cappotto che indossava, nessuno avrebbe potuto intuire che ci fosse una bimba di appena tre mesi, placidamente addormentata con i pugnetti che ogni tanto stringevano la camicia leggera di Vanitas. La piccola restò addormentata, anche quando Noé fu sull’orlo di un pianto dirotto per cui il suo viso si era deformato in maniera buffa. Come ogni volta che guardava la figlia. 

“Non dovevo andare” ripeté con un sospiro mortificato il vampiro, osservando la piccolina, ma senza osare toccarla, come fosse una penitenza autoinflitta - oltre a non volerla svegliare.

“Se non fossi andato, Domi sarebbe venuta a prenderti di peso. Con un altro collare magari” sospirò Vanitas, stanco di quella lagna e di ripetersi. Ne avevano parlato fino allo sfinimento fino a due giorni prima, quando Noé era tornato ad Altus per il Natale sfarzoso delle famiglie nobili. “Finché non ci saremo stabilizzati, e finché non saremo sicuri, Lou rimane un segreto e dobbiamo mantenere le apparenze. Sei fortunato che Domi l’abbia capito bene.”

Non che andasse bene a nessuno di loro, ma lo avevano accettato. La piccola perla di calore che dormiva contro il proprio petto era tutto ciò che contava e la sua incolumità veniva prima di qualsiasi capriccio.

“Noi siamo stati bene” aggiunse il medico dei vampiri, con un sorriso sincero che sperò placasse le fisime del compagno. E in parte fu così, anche se la malinconia e il senso di colpa di Noé persistettero, finché un pensiero non si intrufolò nella sua mente, facendogli corrugare la fronte.

“Non dovevate essere con Roland e Olivier?” domandò, come se avesse realizzato solo in quel momento dove si trovassero. Quando era tornato non ci aveva pensato due volte e aveva seguito l’istinto - e il profumo di Vanitas - precipitandosi in albergo e sul tetto.

Vanitas sbuffò, stringendo un braccio intorno a Lou sulla difensiva.

“L’avete deciso voi che dovevamo assistere alla messa, mica io” sbottò stizzito. “Me la sono svignata appena è finita, ma lo so che Roland è qui intorno a fare la guardia come gli hai chiesto. Posso sentire Olivier borbottare come una teiera. Tzé.”

Tendendo l’udito - perché, fino a quel momento, ogni senso di Noé era stato catalizzato solo da Vanitas e dalla loro bambina - sentì in effetti lo chasseurs dabasso, ridacchiare insieme al compare Olivier, decisamente più stizzito di trovarsi lì a quell’ora e con quel freddo.

“Devo andare a fare loro gli auguri di Natale” pensò il vampiro a voce alta, scattando in piedi.

Vanitas fu sul punto di commentare, ma se lo tenne per sé. Sospirò.

“Sbrigati e poi torna qui” disse, riprendendo a fissare il cielo e la neve che cadeva. 

C’erano piccoli fiocchi ad adornargli i capelli d’inchiostro, ma la sensazione che preferiva era quella dei cristalli che si posavano sul viso e si scioglievano. Non capiva perché, ma gli ricordavano le carezze di Luna, nonostante le sue dita avessero sempre avuto una temperatura neutra. In notti come quella aveva la sensazione di averla ancora accanto ed era un’emozione che non voleva far scivolare via.

Come sentire le labbra di Noé sulle proprie e i suoi occhi nei suoi.

“Aspettami.”

“Sempre.” 


April 2025

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