Apr. 1st, 2020

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Cow-t, settima settimana, M2

Prompt: Twincest

Numero Parole: 575

Rating: SAFE

Warning: gemelli incestuosi




Esme riprese coscienza e si mosse, senza aprire gli occhi. Il suo corpo riconobbe il proprio letto, le lenzuola aggrovigliate, i due piumoni che lo proteggevano dal freddo pungente. Mancava però la fonte di calore principale, quella che anche il suo corpo, stanco ma ancora soddisfatto dalla notte passata, sapeva doveva trovarsi lì vicino. 

Le sue dita tastarono il materasso finché non si imbatterono in un fianco. Un fianco non caldo come ricordava. Zach tendeva ad avere la pelle bollente; che fosse estate o inverno, il mannaro era una stufa vivente, confortevole nelle notti di neve, da sbattere fuori dal letto in piena estate. 

Esme mugugnò contrariato, ma si avvicinò all'altro corpo come una calamita, andando a tentoni nel far scivolare le gambe tra quelle dell'altro, e il mento contro la spalla. 

C'era qualcosa di diverso. Molto, molto diverso. 

A cominciare dalla quantità minore di capelli. Nessuna chioma fluente, setosa e odorosa di foresta. Poi, di nuovo, la pelle era sì tiepida, ma quanto la sua, tanto che gli fece venire un brivido, invece di rilassarlo. Quando poi la persona che Esme stava abbracciando da dietro emise un flebile verso, i ricordi della sera prima tornarono come una cascata. 

La pioggia

Il litigio feroce con Ezra.

Le confessioni reciproche. 

Le dita che si sfioravano. 

Un abbraccio rimandato e rimandato che aveva aperto le porte a un'emozione incatenata nel buio della negazione per troppo tempo. 

La necessità

La necessità mentale e fisica che Esme aveva di sentire il proprio gemello il più vicino possibile. Vicino in un modo che il mondo non avrebbe potuto accettare, che avrebbe distrutto quello che avevano, a cominciare dalla loro famiglia, se li avessero scoperti. 

Era comunque successo. 

Si erano trovati, si erano avuti a vicenda, in grovigli di braccia e gambe uguali, di respiri che trovavano il passo insieme, bocche fatte per combaciare e gemiti che li avevano uniti. 

Esme non aveva mai avuto grandi pensieri sull'amore, e modi di dire come "ricongiungere due metà" lo facevano vomitare. Eppure, con Ezra era stato esattamente questo. 

Due metà uguali che erano tornate assieme dopo tanto tempo. Avevano solo il nome a distinguerli, e quel ciuffo di capelli blu che Esme si era fatto per vezzo, proprio per avere un tratto che lo rendesse subito diverso dal gemello (per quanto ci pensasse la sua personalità a mettere distanza tra i due). 

E ora erano lì, insieme nel letto, abbracciati, con solo i residui di un piacere che aveva superato qualsiasi barriera e aveva spalancato la porta a un peccato che non avrebbero potuto lavare mai né dalla pelle, né dall'anima. 

Perché Esme aveva la sensazione che si trattasse di questo. Della loro anima. 

Per la prima volta dopo molto tempo, dopo anni, dopo un'infanzia distorta, un trauma che superava a poco a poco ogni giorno, dopo l'abbandono, e anche con il ritrovarsi, per una spirale di eventi incontrollabile, Esme aveva idea che il benessere che provava era dovuto alla sua anima placata. Era come se, grazie a quella notte, una ferita aperta fosse stata finalmente rimarginata. 

La parte ironica di sé avrebbe detto che "il sesso fa miracoli". Tuttavia, Esme non riusciva a riderne. 

Strinse Ezra a sé e nascose il viso nell'incavo del suo collo. 

Ciò che avevano era fragile come un rametto. Un passo sbagliato e tutto sarebbe crollato, il mondo li avrebbe divisi di nuovo e Esme non sarebbe sopravvissuto di nuovo a un'altra separazione da Ezra.

Mai più. 


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Cow-t, settima settimana, M6

Prompt: La speranza lascia il posto alla disperazione

Numero Parole: 1040

Rating: SAFE

Warning: SPOILER BUNGO STRAY DOGS --- SPOILER GROSSI!!!

Note: Atsushi e Sigma, liberamente interpetrabili. 




La neve stava creando un manto morbido su ogni superficie del vicinato, uniformando tutto sotto una coltre bianca.

Sigma cercava di godersi quel momento, ma nella sua mente il peso della bilancia pendeva con costanza verso la zona più in ombra di lui, donandogli uno sguardo dai tratti malinconici e dalla incancellabile sensazione di dover chiedere scusa per tutto.

"Ecco qui!"

Prima ancora che Sigma realizzasse, Atsushi gli mise in mano una tazza bollente di cioccolata. Bollente al punto che il giovane uomo cacciò un piccolo urletto, appoggiando al volo la tazza sul kotatsu, senza riuscire a rovesciarne neanche una goccia nel mentre.

"Ah! Scusami!" disse avitato Atsushi. "Ti prendo del ghiaccio? O dell'acqua fredda? Kunikida mi ha detto che le patate funzionano bene con le scottature!"

Sigma si stava soffiando sui palmi, ma si mise a ridere sentendo la storia delle patate, dimenticando per un attimo il dolore. "Non abbiamo patate" fece presente, più per scherzo.

Atsushi invece era molto serio e prese tra le mani quelle di Sigma, analizzando i danni che aveva provocato senza badare alla temperatura della tazza.

"Tranquillo, sta già passando" mentì Sigma, ma alla fine sarebbe stato così. Passava tutto, prima o poi.

"Mi dispiace!" disse ancora il ragazzo. "Dovevo farci più attenzione, tu hai le mani così delicate."

Sigma arrossì un po', con piacere. Non era esente dai complimenti, soprattutto quelli che sentiva meritati, visto come si prendesse cura delle proprie mani con le lozioni giuste. Tuttavia, lasciò da parte l'orgoglio e sorrise al ragazzo, ricambiando il gesto e osservando a sua volta le sue mani.

"Uhm" mormorò pensieroso, frenando in tempo le parole dall'esprimere qualcosa di simile a in effetti, le tue dita avrebbero bisogno di un po' di tregua.

I palmi di Atsushi avevano diversi calli, vecchie scottature e addirittura piccole cicatrici. Sapeva che la maggior parte erano dovuti all'infanzia e all'adolescenza passata all'orfanotrofio, il ragazzo stesso gli aveva raccontato la sua infanzia; tuttavia, neanche il lavoro in Agenzia era così clemente. "Ho qualche crema che potrebbe ammorbidire e nutrire la pelle. Che ne dici? Vuoi provare?" domandò con un sorriso un po' timido e un tono di voce arrotondato da una piccola speranza. Atsushi annuì, sia interessato che incuriosito.



La loro convivenza era fatta di impacci e un continuo chiedere scusa, ma anche piena di momenti di tranquillità e inezie per cui l'animo tormentato di Sigma ringraziava. Ricominciare non era facile. Sarebbe stato impossibile farlo da solo, vivere col fardello della consapevolezza di essere lì, nel mondo, solo perché qualcuno un giorno aveva posato la penna su un Libro sovrannaturale e gli aveva dato forma.

Sigma a volte si chiedeva come riuscisse a essere lucido, a non impazzire e cedere alla voragine interiore che lo accompagnava da sempre.

Credeva di essere solo vittima di un'amnesia, che da qualche parte, anche se non lo avesse mai scoperto, c'era stata una vita che aveva vissuto prima del ricordo più lontano che conservava. Tutte menzogne, tutti sogni soffiati nella sua testa da chi lo aveva voluto al fianco per il suo potere e come pedina in una scacchiera minata.

Incontrare l'Agenzia di Detective doveva essere stata l'unica benevolenza da parte di un Dio di cui non era figlio, ma che si era commosso per la sua miseria. O ancora, voleva credere che trovare Atsushi sulla propria strada fosse un modo del Destino per alleggerire il peso di un'esistenza che poteva essere spezzata strappando un leggero foglio di carta. 

Le persone morivano in un battito di ciglia; sarebbe potuto succedere anche a lui, che nell'essere un replicato umano era confondibile con chiunque altro. Tuttavia, Sigma non aveva una famiglia. Lui non aveva avuto un ventre materno in cui crescere e da cui nascere, un'infanzia di ginocchia sbucciate e prime scoperte del mondo, un'adolescenza a rincorrere desideri e illusioni. Lui un giorno aveva aperto gli occhi e l'unica sensazione che aveva avuto era stata di non sapere chi fosse.

Aveva dato tutto se stesso per il piano folle di Kamui, Fyodor, Nikolai e gli altri.

Aveva ottenuto Atsushi.

Non come premio di consolazione, ma come possibilità di riscatto.

La prima vera persona gentile con lui.

La prima persona come lui. Un altro figlio del Libro, come avevano iniziato a chiamarli.

Il trauma e lo shock era stato pieno, potente e aveva minacciato di distruggerli. Ma la forza d'animo di Atsushi, e le persone che lo circondavano, l'avevano salvato. 

E Atsushi aveva teso una mano a lui, Sigma, portandolo fuori dall'oscurità. 

Il mito del vaso di Pandora mentiva quando diceva che la speranza sarebbe stata l'ultima ad abbandonare il vaso, per diffondersi solo quando i suoi fratelli avessero schiacciato gli animi umani. Il mito mentiva perché, dopo di lei, tra le ombre di quel fondo infausto, la disperazione rimaneva a vegliare, pronta ad abbracciare chi si illudeva e si lasciava fuorviare da desideri imbevuti nella fiducia di un futuro che giocava a dadi.

Se un uomo era la somma delle proprie azioni, ricordi e aspettative, Sigma era un'imitazione ingannevole. Sigma...



"Sigma?"

Atsushi lo stava chiamando, le mani a coppa sul viso del giovane uomo. "Va... tutto bene?"

Sigma sbatté le palpebre un paio di volte, spaesato. Si era di nuovo perso negli incroci infiniti dei propri pensieri.

"Io... sì" farfugliò, facendosi un po' indietro per l'imbarazzo crescente. Atsushi lo lasciò andare, arretrando a sua volta e risedendosi vicino al kotatsu.

"La cioccolata si raffredda-" ridacchiò il ragazzo, grattandosi la nuca. "E sono andato a prendere l'astuccio che dicevi."

"Oh, sì, giusto, le creme" si ricordò il maggiore. 

Il silenzio era teso ma in maniera piacevole, spezzato da qualche risata e poche parole, dette mentre Sigma frugava in cerca dei tubetti giusti. Una skin care fuori programma era una delle cose tipiche che potevano succedere in serate come quelle e Sigma sentiva il proprio cuore, e in parte la mente, rappacificarsi col mondo in quei brevi momenti. Era una cosa di cui non sapeva di aver bisogno finché non succedeva. Una routine di serenità che poteva instaurare solo con Atsushi.

"Ecco, spalmala così" disse, facendo vedere come stendere la crema, inebriato anche dall'odore di quella cioccolata rimasta intoccata, ma che sapeva sarebbe stata buona lo stesso anche dopo.

Con Atsushi vicino, pensare al futuro era più facile. 


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Cow-t, settima settimana, M4

Prompt: Warning: Alternate Universe – Pirates/Mermaid

Numero Parole: 1337

Rating: SAFE

Note: Lio e Galo versione pirata e sirenetto. 



Lio comprese di essere spacciato prima ancora di cadere in acqua. 

La tempesta sopra le loro teste era ancora nel pieno della sua ferocia. Il ponte della nave era impraticabile senza funi di sicurezza a cui legarsi. Alcune casse del carico si erano rotte, riversando il contenuto ovunque e intralciando ulteriormente i movimenti. Non c'era un singolo membro dell'equipaggio pirata che potesse permettersi di rimanere con le mani in mano o che non stesse già rischiando la vita. 

Lio era uno di questi, appeso alle sartie con una mano e tutte le sue vane speranze. La corda che aveva stretto intorno alla vita come tutti, e che avrebbe dovuto evitare che finisse in mare senza la possibilità di ritornare a bordo, giaceva sul ponte come un serpente a cui era stata tagliata la testa. Una cima recisa e non accidentalmente: il capitano aveva appena riposto un piccolo pugnale all’interno del proprio pastrano, fermo in piedi sotto la sartia al pari di una montagna che non teme la furia del vento e della pioggia. Il ghigno di Kray era la realtà sotto la maschera da capitano benevolo che indossava quotidianamente mentre era in mezzo al suo equipaggio. 

Lio lo sapeva. Si era imbarcato con l'intento di rovesciare Kray, di fermarlo una volta per tutte dallo sfruttare le isole dove la sua gente viveva, di rapire i suoi compagni per rivenderli come schiavi, e, allo stesso tempo, far credere a tutti di essere un benefattore. 

Tuttavia, e si odiava per questo, Lio lo aveva sottovalutato. Aveva preso sotto gamba la perfidia con cui l'uomo era capace di sfruttare a proprio vantaggio qualsiasi situazione. Aveva sottovalutato che potesse sapere chi fosse, smascherarlo senza sforzi, e prevedere le sue intenzioni. E fermarle prima che potesse attuarle, ovviamente. 

"Saresti uno schiavo perfetto, Lio Fotia. Capitani, nobili, borghesi faranno a gara per comprare il tuo bel faccino e il tuo corpo minuto, ma resistente" disse Kray, allungando una mano verso Lio, il ghigno che deformava la sua faccia. "O questo o la morte." 

Lio seppe in quel momento che sarebbe morto. 

Sarebbe morto pur di non diventare l’ennesima vittima delle ambizioni di Kray. Aveva come unico rimpianto quello di non essere riuscito a piantargli un coltello nella gola quando avrebbe potuto, credendo di avere tempo per portare a termine il proprio piano e sopravvivere. Era stato un ingenuo. 

Così, Lio scelse la morte. Non avrebbe permesso a Kray di metterlo in ginocchio e ricavare qualsiasi guadagno dalla vendita della sua libertà. 

Il gesto fu il più stupido che avesse mai fatto. Si lasciò andare all’indietro, accettando il proprio destino che lo attendeva tra il vento e flutti impietosi del mare, sotto gli occhi attoniti di alcuni dei compagni. Per un breve momento, Kray recitò ancora la propria parte, mettendo su un’espressione allarmata, tentando all’ultimo di afferrare quel pezzo di corda che lui stesso aveva reciso e che, con la stessa teatralità, si fece sfuggire dalle mani.  

Lio non prestò orecchio alle grida, ma chiuse gli occhi. 

Infranse la superficie agitata dell’oceano e sparì in questo, con la consapevolezza di aver fallito e che nulla sarebbe cambiato. 




"UOMO IN MARE!" 

Galo gridò a pieni polmoni, accorrendo verso la paratia di fianco a Kray e agitando le braccia verso i compagni. 

"Capitano! Dobbiamo fare qualcosa!" urlò il ragazzo per sovrastare il fischio del vento e il rumore dei tuoni. "La sua cima di sicurezza! Possiamo ancora salvarlo!" 

Kray lo fissò con il viso impassibile, con qualcosa che avrebbe voluto imitare del rimpianto. 

"La sua corda si è spezzata, non c'è niente da fare" disse, abbastanza forte da farsi sentire anche dagli uomini intorno che erano accorsi. "Ormai è morto. Con questa tempesta si resiste poco e il suo corpo non era forte” continuò, col tono di un requiem addolorato, per alzare lo sguardo subito dopo. “Uomini! Per onorare la sua memoria dobbiamo sopravvivere!" concluse, voltandosi verso l'equipaggio per infondere maggior passione nel discorso. 

Galo non si diede per vinto. 

"Capitano! Posso salvarlo!" disse, guardando in mare e poi Kray. "Posso riportarlo qui!" 

"Vuoi morire anche tu? Che capitano sarei a lasciartelo fare? Sarebbe un suicidio" replicò Kray, con un'enfasi simulata. 

Galo sorrise sicuro, anche troppo. 

"Lasci fare a me!" 

E furono le ultime parole che disse prima di saltare fuori bordo. 

I compagni accorsero increduli, richiamandolo, mentre Kray non credeva alla propria fortuna nell'essersi liberato in un colpo solo delle due maggiori seccature del proprio equipaggio.



La sensazione dell’aria nei polmoni fu dolorosa tanto quanto l’acqua salata che gli aveva riempito e bruciato la gola fino a poco prima. Lio non capì cosa stesse succedendo. Non distingueva il sotto dal sopra, non aveva più forza nel proprio corpo. Sapeva solo che qualcosa, o meglio, qualcuno lo stava stringendo con fin troppa foga, tenendogli la testa fuori dall’acqua e gridandogli di rimanere sveglio. 

Ma chiedergli di restare cosciente era troppo, non dopo che aveva accettato di aver fallito e che la morte fosse la ricompensa adeguata. 

Era stanco e voleva solo che la sofferenza finisse. 


Quando Lio riprese i contatti con la realtà fu per una sensazione tiepida e bagnata alla bocca. I suoi polmoni si gonfiarono senza che lui facesse niente, se non sentire l’acqua ingoiata riemergere e provocargli un conato. 

Se prima era stremato, ritrovarsi vivo su una battigia fu anche più surreale dell’aver accettato la morte. Ci mise diversi dolorosi respiri a riprendere il controllo del proprio petto e della testa che gli esplodeva. Le onde del mare arrivavano a lambirlo, ma più con carezze e quasi un senso di scuse, che con la violenta con cui poco prima lo avevano fagocitato. 

Lio alzò gli occhi per guardarsi intorno, nonostante pure quel gesto risultasse doloroso. 

“Ehi! Sei vivo! Lo sapevo!” disse una voce alle sue spalle e Lio si voltò per rimanere completamente spaesato. 

Davanti a lui c’era Galo che sorrideva come un bambino felice. Lo stesso Galo che aveva pregato di essere preso a bordo, e l’aveva avuta vinta più per approvazione generale della ciurma che per volere del capitano (perché Lio lo aveva capito che Kray odiava quel ragazzo quanto odiava lui, se non di più). 

Lio non aveva nulla contro Galo se non per la sua profonda e insensata ingenuità. Un’ingenuità letale a bordo di una nave pirata, il tutto per seguire il proprio idolo, senza rendersi conto del male che questo faceva. 

Ma quello che al momento stava lasciando Lio senza parole, oltre al gesto di averlo salvato, era qualcosa che mancava a Galo. 

“Tu-” provò a dire Lio, ma aveva la gola bruciata dall’acqua di mare e si ritrovò a tossire di nuovo. Galo gli batté una mano sulla schiena, facendo quasi più danni per la troppa forza. 

“Ti ci vorrà ancora un po’ per riprenderti, te la sei vista brutta! Ti credevo morto!” ridacchiò Galo come se non fosse successo niente. 

Lio riuscì a fermargli il braccio prima che lo uccidesse a suon di “colpetti” per aiutarlo. 

“Tu” ricominciò, più se stesso, anche se rauco, ma lo sguardo di nuovo padrone di sé, anche se scettico. “Tu sei… una sirena?” 

“Un tritone!” ridacchiò Galo, imbarazzato, sbattendo sulla sabbia la propria coda con l’allegria di un cane scodinzolante. “È così che sono riuscito a salvarti” continuò, con un altro sorrisone. 

“Che cosa ci fai su una nave pirata!? Kray lo sa che cosa sei!?” 

“Volevo dirglielo, ma non c’è stata occasione. Ero troppo felice che mi avesse preso sulla sua nave. Sai, ho sentito così tanti marinai parlare di lui! È come una leggenda! Volevo troppo salpare con la sua ciurma! Ora dobbiamo solo trovare il modo per tornare alla nave. Saranno tutti felici di sapere che sei vivo!” 

Lio desiderò stesse scherzando. Non poteva essere così ingenuo. Scosse la testa. 

Se il lato positivo era essere ancora vivi e poter, quindi, riprendere la propria missione, dall’altro Lio si chiese come potesse salvare anche Galo, a cominciare dalla propria fiducia mal riposta nell’uomo peggiore di tutti. 

E solo perché gli doveva la vita. 

Sarebbe stata una lunga storia.  


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Cow-t, settima settimana, M4

Prompt: Warning: Alternate Universe – Pirates/Mermaid

Numero Parole: 400

Rating: SAFE



Dazai picchiettò il dito contro lo spesso vetro dell'enorme vasca che stava al centro della casa del governatore Mori. Non l'uomo più retto che il mondo conoscesse, ma sapeva nascondere i propri traffici illeciti dietro sorridi ammaliatori. E il risultato di uno di quei traffici era ora davanti a Dazai, oltre quel vetro alto fin quasi al soffitto e pieno di limpida acqua dei caraibi. 

La "cosa", come l'aveva chiamata Dazai, gli ringhiò mostrando i denti, facendolo sorridere. 

"Sei proprio buffo" disse ridacchiando. "Però sei anche molto..." cercò il termine appropriato, tamburellando l'indice sul mento. "Mortale? È così che i marinai ti descrivono?" 

Con uno scatto, la "cosa" fu contro il vetro, graffiandolo con artigli che avrebbero potuto recidere con un colpo netto carotide e osso del collo. Dazai ne rimane ulteriormente affascinato. 

"Stai importunando il nostro ospite?" si interessò Mori, entrando nel grande salone dopo aver pagato e congedato l'uomo che aveva aiutato a catturare e contenere la creatura nella vasca. 

"Mi ha detto di provare a farci amicizia" si lamentò Dazai, giocherellando con la benda che gli copriva l'occhio. "Ma pensavo a quanto efficaci potrebbero essere i suoi artigli contro la mia gola. Potrei morire all'istante!" 

"Sarebbe doloroso, temo" sospirò Mori, portandosi al fianco di Dazai per osservare la "cosa" che aveva appena comprato con un sorriso che la diceva lunga. "E desidero davvero che voi due andiate d'accordo. Ho un compito da affidarvi." 

"Cosa!?" dissero quasi in contemporanea, tanto che Dazai si distrasse per fissare la creatura e aggiungere un "Ma allora sai parlare!?" 

"Certo che sa parlare" rise Mori. "E potrà anche camminare, una volta che sarà fuori dall'acqua. Vedi Dazai, Chuuya è un tipo di sirena molto rara, direi anche unica, combattiva e letale. Vengono chiamate Arahabaki e si dice possano distruggere anche un'intera isola." 

Chuuya, nel vetro, agitò nervosamente la coda rossa e lucente. 

"Be', cosa volete per lasciarmi in pace?" disse, guardando entrambi, ma soprattutto Mori, per cui sembrava nutrire sia rispetto sia un malcelato sesto senso guardingo. 

"Ho bisogno che tu e Dazai troviate il precedente governatore, mio predecessore, sfortunatamente scampato alla morte che ero certo di avergli inflitto. Un patto. In cambio, lascerò andare quegli umani orfani e spaventati che ti chiamano amico. Saranno miei ospiti fino al vostro ritorno. Ci stai?" 

"Come se potessi scegliere" sibilò Chuuya, mentre Dazai sospirò sconsolato e arreso. 

Sarebbe stata una collaborazione molto, molto difficile.


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Cow-t, settima settimana, M3

Prompt: Polyamory

Numero Parole: 784

Rating: SAFE

Note: Dazai/Odasaku/Chuuya




Quella nottata iniziò con una telefonata.

«Ehi, Odasaku.»

«Dazai.»

«Sei per caso dalle parti del Lupin? Per essere precisi, tre isolati a nord-ovest.»

Odasaku non rispose subito, in un iniziale tentativo di comprendere la situazione, ma il solo fatto che dall’altro lato ci fosse Dazai non lasciava largo spazio a una prospettiva realistica. Poteva anche essere in corso l’apocalisse. 

«Sono al Lupin» replicò asciutto, alzandosi dallo sgabello, lasciando una banconota di fianco al bicchiere ancora pieno e infilandosi la giacca, passandosi il cellulare da un orecchio all’altro. «Sei nei casini?» 

«Non proprio, ma avrei bisogno di un paio di mani in più.»

Odasaku fece un segno di saluto all’oste e salì le scale per uscire nell’aria tiepida della sera. La voce di Dazai era allegra, un altro segnale non facilmente interpretabile. «Ho solo un caricatore di scorta con me» ci tenne ad aggiungere Odasaku, cauto ma pronto. 

«No, no, non mi serve quel tipo d’aiuto. E nel caso so che ti basterebbe a sedare una rivolta. Ma non è quel tipo di serata.»

Di quale tipo di serata fosse, Odasaku non lo scoprì finché non ebbe raggiunto Dazai. Seguì le sue indicazioni continuando una chiacchierata di quelle che avrebbero potuto fare al Lupin davanti ai soliti bicchieri di whiskey, discorsi senza davvero un capo e senza una reale volontà di fine. 

«Yoo~» salutò Dazai, chiudendo il cellulare quando vide Odasaku avvicinarsi. Anche se sapeva di essere stato visto sventolò comunque la mano con quella sua allegria priva di fondamenta. «È stato facile, no?»

Odasaku non si espresse, non quando la sua attenzione era dedicata a capire la situazione. Il vicolo era sgombro e i rumori delle strade laterali rimbombavano attutiti. In giro non c’erano corpi o segni di lotta, ma addosso a Dazai c’era qualche segno che dava almeno l’idea di una scazzottata. 

«È vivo?» 

La domanda fu per Chuuya, la figura stesa di fianco a Dazai, la testa su una delle cosce di quest’ultimo. Odasaku non riusciva a vederne il capo, coperto dal familiare cappello che il giovane agente della mafia indossava sempre. 

Senza alcun preavviso o premura, Dazai diede due colpetti, neanche troppo leggeri, alla testa del ragazzino inerte. 

«Chi, Chuuya? Certo, chi lo ammazza. Se ti ho chiamato è per lui, non ce la faccio a trascinarmelo in giro e se lo lascio qui chi la sente Ane-san» mugugnò Dazai con lo stesso tono lamentoso di un bambino che non vuole responsabilità. 

Nel mentre Odasaku si era acquattato di fronte ai due, levando il cappello al ragazzo rosso e constatando coi proprio occhi che stesse davvero bene. Corrucciò la fronte, fissando il compagno di bevute. «Dove sono i vostri uomini? Cos’è successo?» 

«Parliamo mentre torniamo indietro. Vorrei levarmi da questo vicolo.»

L’uomo annuì. «Vi porto agli uffici-.»

«Non mi va» lo anticipò Dazai, sapendo che stava per dire “quartier generale della Port Mafia”. Si tirò in piedi e si stiracchiò, lasciando vedere bene le bende che gli stringevano polsi e braccia. «Vorrei riposarmi qualche ora lontano da tutto questo» e “tutto questo” non sembrava avere una valenza tangibile, quanto metaforica, anche se Dazai allargò le braccia e sollevando lo sguardo verso la cima dei palazzi che delimitavano il vicolo, e da cui si intravedeva appena uno spiraglio di cielo troppo luminoso anche per le dieci di sera. 

Lasciando la parola al silenzio, Odasaku assentì alla richiesta, sia per dovere sia per comprensione, e nel mentre tirò su da terra il corpo svenuto di Chuuya. 

«Sicuro che stia bene?» indagò ancora, notando sulla pelle lividi e piccoli graffi. 

«Dovresti vedere i suoi avversari. E comunque ha cominciato lui, gli sta bene. Deve imparare a calmarsi.»

Odasaku sospirò, finendo col sistemarsi il ragazzo in braccio. 

Dazai rise, tirando fuori di nuovo il cellulare e scattando una foto prima che l’altro potesse protestare. 

«Si vede che hai a che fare con dei ragazzini, Odasaku. Sei proprio tagliato. Chuuya in braccio a te sembra un moccioso che ha litigato a scuola» ridacchiò Dazai, digitando qualcosa al cellulare prima di riporlo in tasca. «Ora basta indugi, andiamo? Ti è venuto in mente un posto dove potremmo sistemarci qualche ora?»

Il maggiore annuì. 

«Ho la macchina vicino al Lupin. Vi porto a casa mia.»

«Oooh~ mi piace come idea! E sono certo che piacerà anche a Chuuya, anche se non lo ammetterà. È un po’ che non passiamo una notte tutti e tre insieme, eh?»

Odasaku annuì. «Potremmo andare a mangiare pancake per colazione.»

«Facciamo come le coppiette felici a un appuntamento? Anche se coppietta è riduttivo. Uhm… non c’è un termine per relazione a tre?»

Odasaku fece spallucce. 

«Non mi addormenterò finché non troverò una parola adeguata!» promise Dazai, aggiungendo un saluto militare totalmente fuori luogo. 


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Cow-t, settima settimana, M3

Prompt: Polyamory

Numero Parole: 305

Rating: SAFE




Chuuya era avvolto da un tepore confortevole. Ci mise un po' ad aprire gli occhi, perché avrebbe preferito continuare a dormire, nonostante sentisse di averlo fatto anche troppo. Però la sensazione era... perfetta. Non avrebbe saputo dirlo altrimenti. Un pisolino post pranzo, dopo un buon vino e una compagnia che mai avrebbe pensato piacevole. 


Sì, c'era voluto del tempo per accettare di avere una cotta per Dazai, soprattutto quando il suo partner aveva a sua volta una palese attrazione per un altro membro della Mafia, Odasaku. Di certo, quello che Chuuya mai e poi mai avrebbe previsto, era l'andare d'accordo con quello che avrebbe dovuto considerare un "rivale in amore". E non solo d'accordo perché Odasaku, tolti i momenti nonsense in cui pendeva dalle labbra e dalle cazzate di Dazai, era una persona a cui era impossibile dire di no. Affascinante, aveva suggerito Kouyou, dopo uno sfogo di Chuuya su quei sentimenti contrastanti e che lo stavano facendo impazzire. Pensava di aver toccato il fondo nel prendersi quella sbandata per Dazai, ma aggiungere anche pensieri non richiesti sul proprio "avversario" era l'apoteosi. 


Ma Odasaku aveva fatto breccia in zone di sé che Chuuya preferiva non esplorare. Soprattutto legate al proprio passato e al non ricordarsi nulla di sé prima dell'Arahabaki. Il modo in cui Odasaku si prendeva cura degli orfani lo aveva sotto sotto intenerito. Dazai se ne era accorto. E, come figlio del diavolo, aveva giocato a proprio vantaggio quella rivelazione. 


Vantaggio che alla fine aveva giovato a tutti e tre, se ora Chuuya se ne stava comodamente sdraiato su un largo divano a sonnecchiare, con a destra Odasaku e a sinistra Dazai, dopo un pranzo domenicale fatto di buon cibo, chiacchiere frivole, vaghe minacce, doppi sensi che avrebbe avuto seguito quella notte a letto, e solo la sensazione di essere felici in tre.


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Cow-t, settima settimana, M4

Prompt: Mermaid/Pirati

Numero Parole: 261

Rating: SAFE

Note: Oikawa credulone



Iwachan continuò a fissare la rete da pesca con uno sguardo molto arrabbiato e che prometteva tempesta. 

"Non è come sembra!" cercò di dire Oikawa, togliendosi un'alga dai capelli e lanciando un piccolo pesciolino di nuovo in acqua. "Se mi liberi ti dico cosa è successo!" 

"Che cosa ti avevo detto!?" abbaiò Iwachan, tirando su la rete con la sola forza delle braccia e senza l'aiuto di Mattsun che in quella storia non voleva rientrarci, salutandoli lì. 

Oikawa rotolò con un "Auch! Cattivo Iwachan!" sul ponte della nave, ma dovette arretrare velocemente quando vide l'amico arrivare con un coltello. "Aspetta! Davvero! Posso spiegarti!" 

Ma Iwachan ringhiò e basta, abbassandosi e usando il coltello, ma non per fargli male, ma per liberarlo da un pezzo di plastica che gli si era attorcigliato intorno alla coda. "Oh, grazie" sorrise Oikawa.

"Allora? Ti avevo detto di stare lontano dalla barca quando siamo fuori a pescare! Potresti farti male!" 

"O andiamo, sono il sirenetto più veloce dell'isola!" si pavoneggiò Oikawa, ma si schiarì la voce sotto l'occhiata feroce di Iwachan che minacciava di cucinarlo con lo sguardo. "Ok, senti! L'ho fatto per te, ok? Sei in pericolo e non lo sai!" buttò fuori con il muso, come a sottolineare con comportarsi così con lui fosse sbagliato. 

"Che stai dicendo?"

"Ho sentito quei due bambini, Hinata e Kageyama, raccontare una storia terribile! Di gente sanguinaria! Li chiamavano parati! Uccidono i pescatori onesti come te!" 

Iwachan si schiaffò una mano in faccia. 

"Si chiamano pirati... e non ce ne sono più in giro dal 1700."

"Oh.... ops." 


April 2025

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