Feb. 22nd, 2020

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Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato

Numero Parole: 649

Rating: SAFE



Koushi stava contemplando la culla dei gemelli con l'amore negli occhi. La tazza di tisana che si era preparato era sul bordo del tavolo e le spire di vapore stavano profumando la stanzetta con un odore rilassante e delicato. Dei biscotti al cioccolato ne erano già spariti tre, masticati di gusto da Daichi, che sembrava, per l'ennesima volta, intento a scaricare una non meglio specificata tensione nel cibo. Questo lo aveva portato ad ammorbidire i fianchi, dettaglio che Sugawara non aveva mancato di sottolineare già da due mesi - "Cos'è, lo fai per distogliere l'attenzione dal mio essere balena? Vuoi sperimentare anche tu cosa si provi?

Erano stati i nove mesi più importanti della loro vita. Forse prima Koushi avrebbe detto, senza ombra di dubbio, i più difficili: le complicazioni c'erano state, i momenti di panico, le corse in ospedale, l'attesa degli esami, i dolori, le nausee, il dover rinunciare a tante cose, il non trovare un momento per stare un attimo sereni. Poi era migliorata. Più il pancione si faceva evidente, più ci credevano, più le cose sarebbero state diverse. Koushi e Daichi avevano ripreso confidenza e forza, avevano smesso di dire no per paura e avevano anzi cominciato a scegliere i nomi, a chiedere ad amici, a riprendere a uscire e fare festa. Avevano anche imbastito un falso matrimonio, una specie di prova generale di qualcosa che ora aveva anche una data, sebbene lontana, ma era un altro pensiero. 

Adesso, da poco più di una settimana, avevano altro a cui pensare, a due visetti a cuore identici che reclamavano a ogni ora la loro attenzione, e se anche poi gli lasciavano il tempo di dormire, né Daichi né Koushi sembravano in grado di staccarsi dalla culla. 

Come in quel momento. Una domenica pomeriggio dove erano solo loro e la prospettiva del riposo. Ma eccoli lì, intenti a dedicare ogni secondo alla loro creazione più bella. 

I gemelli non erano poi le pesti che tutti avevano previsto sarebbero stati. A sentire i rispettivi genitori - più un quantitativo imbarazzante tra zii e cugini, ufficiali e acquisiti, aggiunti ai nonni - per Daichi e Koushi, una così giovane coppia Alpha e Omega alle prese da subito con due gemelli, sembrava dovesse accadere l'apocalisse, il rovesciamento delle stagioni, fuoco e fiamme dagli occhi. Sì, due bambini al primo colpo erano doppiamente - se non il triplo - più impegnativi di un solo bambino. C'erano stati piantarelli e piccoli lamenti, ma per il resto i neo genitori non si erano trovati ad affrontare il campo minato tanto chiacchierato. Ogni ora c'era da controllarli e ogni due da sfamarli - e Koushi era esausto, ma era anche terribilmente felice. 

"Ti si sta raffreddando la tisana" disse Daichi, dando un bacio alla nuca di Koushi. 

"Mi hai lasciato due biscotti?" ribatté l'omega senza distogliere gli occhi dalle sue creaturine. Doveva esserci un qualche elemento magnetico nella nascita dei bambini di cui nessuno parlava mai. "Ho già detto a Noya che deve portarti a correre o quelle maniglie dell'amore rimarranno lì per sempre."

"Ehi!" se la prese Daichi, arrossendo, ma lo sguardo gli cadde lo stesso sul piattino. C'era rimasto un solo biscotto e si sentì un colpa per ragioni diverse. Ma Koushi sapeva come distrarlo, e come distrarsi. 

Prese quell'unico superstite ricoperto di cioccolato e ne staccò un morso prima di avvicinarsi al compagno, prendergli il volto con le mani e baciarlo. Furono un po' impacciati, più per la sorpresa di Daichi perché Sugawara non era nuovo a certe trovate, ma finirono con lo scambiarsi un lungo e intenso bacio. Quando si staccarono entrambi erano senza fiato e rossi, neanche fossero tornati ad avere diciassette anni scarsi e provare a scambiarsi i primi gesti affettuosi. 

"Ti si addice fare il papà, Sawamura" scherzò Koushi, mangiandosi il pezzo di biscotto rimanente. 

Daichi preferì controbattere togliendogli il fiato di nuovo con un altro lungo bacio.


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Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato / Cuccioli

Numero Parole: 1186

Rating: SAFE



Sul documento che Dazai aveva ricevuto da Ango qualche ora prima c'era chiaramente scritto "Merce di lusso. Valore stimato per pezzo: 100,000 yen. Numero pezzi: 90 ca. Massima priorità ricerca compratori", ma nessuna voce riportava che i suddetti pezzi avessero la coda o abbaiassero. 

Dazai sospirò pesantemente, guardando di nuovo il documento e poi il magazzino in cui era stata "scaricata" la merce del container. O meglio, era stato lo stoccaggio più veloce di cui avesse memoria, essendo che ogni "pezzo", per citare il documento, fosse sceso di propria spontanea volontà dal trasporto. 

"Dazai" iniziò Odasaku, attirando l'attenzione su di sé. Era seduto al centro del magazzino e aveva un numero imprecisato di musi che lo annusavano e facevano a gara a riceverne le coccole. "Hai mai visto la Carica dei 101?" 

Era serio e Dazai sospirò di nuovo, incrociando le braccia. Abbassando lo sguardo, si ritrovò a fissare un altrettanto imprecisato numero di musetti e code scodinzolanti. "Dovrei?" 

"No" replicò l'altro, con un tono molto più morbido e sovrappensiero del solito. "Sakura e i bambini lo adorano" continuò, mentre i cuccioli conquistavano sempre più terreno sopra di lui, arrampicandosi ovunque. "Credo abbiano fame." 

Il giovane Dirigente della Mafia sospirò una terza volta e tirò fuori il cellulare, iniziando a digitare un numero a memoria. 

"Boss, sono Dazai. Ha presente la partita di merce di lusso in arrivo oggi con richiesta di stoccaggio urgente? Ah ah, quella, apparentemente. Con la stessa urgenza ci servirebbe un camion di cibo, un paio di veterinari e venti agenti col pomeriggio libero." 


Dazai non aveva mai visto Odasaku così imbronciato come quando ebbero finito di contare i cuccioli di dalmata e risultarono essere cento precisi. Non uno di più, come sembrava desiderare il più grande. In compenso, mangiarono per il doppio del loro numero. 

Nel mentre, Dazai chiuse l'ennesima chiamata e decise anche di spegnere il cellulare, facendolo scivolare in una delle tasche del giaccone. 

"Che storia" esordì esausto. "Ango era inferocito. Pare che ci sia stato un qui pro quo con il proprietario della merce. Ci sarebbero dovute arrivare statuine pregiate a forma di cane, non cento cuccioli di razza." 

Odasaku stava supervisionando alcuni dei cagnolini che si erano affollati alle ciotole per mangiare, mentre con un biberon sfamava i più piccoli non ancora svezzati. Un po' in ogni angolo del magazzino era lo stesso, con agenti che sembravano tornati bambini mentre giocherellavano con i vari quadrupedi. Il più serio apparentemente era Hirotsu, che stava ascoltando il resoconto dei veterinari, ma era anche intento a tenere in braccio e accarezzare uno dei vari cuccioli. 

"Cosa ha deciso il Boss?" domandò Odasaku senza però distogliere l'attenzione dal piccoletto che si abbeverava con ingordigia. Altri tre cuccioli, piccoli e ancora senza macchie, erano in mezzo alle sue gambe, già con lo stomaco pieno e il musino sonnacchioso. "Serviranno delle cucce e delle coperte. E qualcuno che rimanga a supervisionarli" continuò, senza aspettare risposte. Sembrava come in trance, preso da tutti quei musi in cerca di attenzioni. 

Dazai non aveva più la forza di sospirare o borbottare. A lui neanche piacevano i cani, ma vedere Odasaku così preso gli stava facendo sopportare meglio tutto il casino all'interno del magazzino. 

"Ha già incaricato Ango e altri intermediari di piazzarli. Sembra che l'equivoco lo abbia divertito abbastanza da chiudere un occhio e non li rispedirà indietro. Anche perché non credo sopravvivrebbero a un secondo viaggio. Comunque, ha bloccato i pagamenti. Alla fine valgono quanto dichiarato, anche se le spese extra da qui a quando riusciremo a sbarazzarcene non sono coperte" Dazai finì ugualmente di sbuffare, prendendo su uno dei cuccioli più piccoli e facendosi passare un biberon da Odasaku. "Hirotsu ha già predisposto un presidio notturno. Sarà un miracolo se non avremo un blitz della polizia militare o di qualche ente per la protezione animali." 

"Posso rimanere anche io stanotte."

Dazai lo guardò per nulla convinto. "Ti piacciono davvero i cani, eh?" 


Alla fine Odasaku non rimase nel magazzino per la notte. In compenso, ottenne da Dazai il permesso di portarsi dietro uno dei cuccioli, con la promessa di riportarlo indietro il giorno dopo. 

"Siete impossibili" li apostrofò Ango quando quella sera scese le scale del Lupin. Gli bastò un'occhiata per individuare il cucciolo in braccio a Odasaku, con le zampette sul bancone mentre si sbaffava tutto il latte di una ciotolina. "Le chiedo scusa a nome dei miei amici" disse Ango al barista mentre si sedeva. 

"Ehi, io non c’entro, non ero neanche d'accordo" puntualizzò Dazai lamentoso, le braccia incrociate sul piano in legno e la testa abbandonata su queste, vicino al suo bicchiere di whiskey serale appena finito. Era esausto. Non pensava che badare a una carica di cuccioli di dalmata fosse così sfiancante. 

"Dovrei crederti?" Ango lo guardò con una di quelle occhiate che significavano si tratta di Odasaku, gliele fai passare tutte lisce come lui fa con te. Dazai mise su il broncio, ordinando un altro giro di bevuta. 

"Lo sai che non puoi tenerlo?" continuò Ango, guardando verso il più grande. 

"Io sarò permissivo, ma tu sei proprio cattivo. Che poi il danno lo hai fatto tu, no?" rincarò Dazai. 

Ango si spinse gli occhiali sul naso con espressione così seria da rasentare l'omicidio. Mai mettere in dubbio il suo lavoro. "Il compratore ha pensato di fare il furbo. Ho passato la mattinata a ricontrollare tutte le conversazioni e gli accordi e si è sempre e solo parlato di statuine e non cani reali. Per colpa di questo ho dovuto passare poi il pomeriggio a cercare acquirenti di cani di razza, e ci tengo a precisare che non è un target che la Mafia tratta." 

"Ma sicuramente sei riuscito già a piazzarne la metà, non è vero?" ridacchiò Dazai. 

"Sessantasette di quei cuccioli partiranno entro le prossime quarantotto ore per cinquantatre adozioni" fu la replica concisa della spia, neanche fosse stata un'informazione scritta appena stampata. 

"Efficientissimo come al solito."

"Mi piacerebbe tenerne uno" esordì Odasaku di punto in bianco, interrompendo il battibecco e attirando l'attenzione degli altri due. Aveva un accenno di sorriso sulle labbra che era una vera rarità, questo mentre il cucciolo di Dalmata gli leccava tutta una mano e cercava coccole contro il suo palmo. "Ma non posso permettermelo. Ho già le spese dei bambini e non sono mai a casa. Non è il momento giusto per prendere un cane." 

Ango e Dazai si scambiarono un'occhiata complice. 

"Sono certo che se chiedo al Boss di tenerne uno me lo sconta. Sono pur sempre uno dei Dirigenti della Mafia" iniziò Dazai, battendo il pugno sulla mano. 

Ango si risistemò di nuovo gli occhiali accennando un segno di ok con le dita. "Posso contribuire con la metà delle spese e trovare un buon addestratore e un dogsitter. Oggi ho dovuto fare diverse ricerche per piazzare i cuccioli, sarà uno scherzo." 

"Però poi voglio scegliere il nome!" proseguì il giovane Dirigente della Mafia con più foga.

"Penso che un collare bordeaux sarebbe davvero carino” gli andò dietro Ango, annuendo con convinzione. 

Odasaku li lasciò parlare. Pensare a quel cucciolo adottato da loro tre era un’idea tanto strana quanto piacevole. 


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Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato

Numero Parole: 778

Rating: SAFE



Lio si stava stropicciando un occhio, riprendendo i contatti con la realtà e con ciò che aveva intorno. Non era più in ospedale, nella stanzetta in cui aveva passato gli ultimi tre giorni, ma sul divano di casa, avvolto in una coperta in pile. Ogni fibra del suo corpo era ancora tesa e dolorante, ma il sonno, la prima vera dormita serena che aveva da diverse ore, gli aveva restituito un po' di energie. Anche se l'idea di rimettersi giù e dormire un altro po' non era così malvagia, ma quando si stiracchiò, i suoi piedi urtarono contro qualcosa di diverso dal bracciolo del divano. 

Tirandosi su, Lio si accorse di Galo. 

Galo che dormiva con la testa reclinata all'indietro, semidraiato sulla penisola e con i loro due gemelli in braccio, anche loro addormentati. Neanche una tazza di caffè avrebbe potuto svegliare di più Lio dell'ammirare quella composizione papà-bimbi. 

Scostando la coperta, e facendo piano per non svegliare di soprassalto Galo, l'ex burnish gattonò verso il trio, fermandosi in ginocchio a scrutarli come bestie rare e ammalianti. 

Se tre anni prima, quando era ancora latitante e additato dal mondo intero come "terrorista Mad Burnish", qualcuno gli avesse detto "incontrerai un pompiere e con lui non solo salverai il mondo e tutti i burnish, ma metterai anche su famiglia", probabilmente Lio gli avrebbe dato fuoco solo per aver insinuato che qualcuno - un pompiere poi - potesse approfittare della sua natura di omega e costringerlo a sfornare un figlio. Per uno sempre in fuga come lui e abituato alla sfiducia nel genere umano, non esisteva il pensiero di “potersi innamorare”. 

Ma di lì a tre anni scarsi, Lio non solo aveva perso la capacità di bruciare e aveva passato un periodo a lottare contro una forma di stress post traumatico, ma aveva anche ricominciato ad avere cicli di calore regolari e non più soppressi con un abuso di inibitori per rimanere sempre vigile. Questo, unito all’aver trovato in Galo un amico e un compagno, oltre a un alpha molto atipico, possessivo quanto un bambino con il giocattolo preferito, gli aveva inizialmente fatto rivalutare la possibilità di mettere radici stabili, cosa che in realtà era successa quasi fin da subito, e l'idea che, chissà, forse, un figlio in futuro ci sarebbe potuto essere. Perché allora non due, aveva proposto suddetto futuro nove mesi prima? 

Ed eccoli lì i gemelli. Con così poche ore di vita che a malapena si parlava di giorni, in braccio a Galo dove sembravano ancora più minuscoli di quanto non fossero. 

Non avevano ancora deciso i nomi definitivi, per quanto nove mesi fossero sembrati un'eternità per farlo, avevano solo liste variegate e per la maggior parte depennate o bocciate in tronco da amici e parenti. 

"Sono i figli dei due eroi che hanno salvato il mondo! Dovete scegliere qualcosa di decente!" era più o meno la tiritera che si sorbivano da Remi e Aina a giorni alterni. Il resto della squadra annuiva dalle retrovie, preferendo non mettere bocca, se non quando Galo se ne usciva con proposte imbarazzanti come Galolio perché era la fusione dei loro nomi; ma primo, era orribile e cacofonico - e Lio stesso lo aveva bocciato seduta stante, nonostante l'idea romantica di fondo - e secondo, erano in attesa di due gemelli, un solo nome non era d'aiuto. Per il momento, in cima alla lista rimanevano Lime e Blue che, neanche a farlo a posta, sembravano coordinarsi perfettamente con i colori dei capelli.

"Lime" pronunciò Lio sovrappensiero, nel silenzio rilassato del salotto, con un sorrisino che sentiva stupido. "E Blue" continuò, spostando l'attenzione sul secondo fagottino. Il piccoletto che, dai pochi capelli che spuntavano dalla cuffietta, aveva ereditato il colore di Galo, si agitò leggermente come a confermare che lo avesse sentito. Il cuore di Lio sperimentò un nuovo modo di battere e farlo sciogliere. Pensava che dopo Galo non si sarebbe potuto innamorare di nuovo. 

Anche se aveva avuto tutto il tempo della gravidanza per abituarsi all'idea di “essere madre” - e c'era riuscito, o almeno, c'erano stati momenti in cui avrebbe voluto stringerli adesso e subito tra le braccia - avere i gemelli lì con loro, reali e tangibili, così piccoli e perfetti, così concreti nell'essere il frutto di quel sentimento insperato che Galo gli aveva fatto crescere dentro, poteva quasi minare il suo controllo e farlo commuovere. 

Nel dubbio, volendo continuare a riempirsi occhi e petto di quella sensazione bellissima che era ammirare la propria famiglia, Lio si allungò a recuperare la coperta e si accoccolò addosso all'alpha. Era la sua isola felice. 

"Lio, Galo, Lime e Blue" mormorò a nessuno in particolare, ma sentiva che fosse tutto perfetto. 


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Cow-t, terza settimana, M2

Prompt: Mitologia Celtica e Irlandese

Numero Parole: 1272

Rating: SAFE



Tara era una città particolare. Anche se non tutti lo sapevano, era stata la prima nel suo genere, ossia la prima comunità mista di umani, meta umani e creature sovrannaturali a trovare un accordo di pace e condivisioni di luoghi e quotidianità reciproca. 

Le cose non erano mai state rose e fiori, nonostante le premesse e, soprattutto, le promesse. Il razzismo viaggiava sottopelle in tutte e tre le fazioni, che si erano amalgamate per forza di cose, ma bastava una scintilla per accendere la miccia. Un omicidio con fin troppe prove di natura non umana, per esempio. La Supernatural Special Squad ci lavorava notte e giorno, ma questo non impediva ai cittadini di Tara di congetturare, di seguire altre piste, o rimanere coinvolti in eventi solo all’apparenza slegati. 

Come la situazione in cui si erano trovati i gemelli Farrell la sera prima, quando avevano quasi assistito alla morte di una delle loro due madri. Madre in questione - Andrea - che ora godeva di ottima salute, come se lo scontro con una creatura non identificata e che l’aveva ridotta a brandelli sanguinolenti non le avesse fatto in realtà soltanto che solletico. 

La notte era stata lunga e i due non avevano chiuso occhi per fare ricerche su ricerche online, smessaggiato con un paio di conoscenze mantenendosi sul vago, finché alle otto del mattino la biblioteca non aveva aperto e si erano catapultati dentro alla sezione folklore per avere conferma delle poche informazioni che erano riusciti a ottenere. 

La leggenda più accreditata vede il Dullahan (“uomo oscuro”) come un folletto irlandese riconoscibile per la mancanza della testa. Solitamente cavalca un cavallo nero e porta il proprio scalpo sotto il braccio o, talvolta, in alto, per vedere a grandi distanze. In alcune leggende brandisce una spada, in altre una frusta ricavata dalla colonna vertebrale di un cadavere umano. Quando il Dullahan si ferme e scende da cavallo, è certo che qualcuno morirà. Quando il Dullahan pronuncia un nome, la persona a cui questo appartiene… muore immediatamente.” 

Ezra terminò di leggere il paragrafo con voce monocorde e l'espressione accigliata, in parte dalla lettura scabrosa, in parte dalla nottata in bianco. Dall'altro lato del tavolo della biblioteca, Esme sembrava aver appena leccato la suola di una scarpa. 

"Spero sia uno scherzo" esordì, ma la convinzione non faceva da padrone alle sue parole. Si guardò intorno per constatare che non ci fosse nessuno intorno a loro, prima di appiattirsi sul tavolo verso il gemello. "La mam- Andrea" si corresse. "Non può essere questa cosa qua." 

Ezra si tolse gli occhiali per passarsi le mani sugli occhi con stanchezza. Non dormiva dalla sera precedente per tutti i casini che c'erano stati e per cui lui e Esme avevano avuto bisogno di cercare risposte. Ma mentre il gemello sembrava aver convertito la stanchezza in ansia, e questa lo teneva sveglio come un orologio a cucù pronto a scattare, lui cominciava ad avere seriamente bisogno di dormire, o svenire. Più guardava l’immagine del Dullahan nel libro di folklore che avevano trovato, più l'oblio del sonno sembrava la risposta a tutto. 

"Credo invece che sia così" replicò Ezra, tornando a inforcare gli occhiali. "Senti qui: secondo leggende minori, il Dullahan in origine nascerebbe come essere umano o di fattezze umane, senza segni riconoscibili se non la capacità di sopravvivere a incidenti mortali o qualsiasi atto violento nei suoi confronti. Finché a un Dullahan umano non viene tagliata la testa, questo continuerà a vivere in eterno, fermo a un'età imprecisa, ma segnata da un trauma. Tuttavia, una volta separata la testa dal corpo, la reale natura del Dullahan si impossesserà del corpo ospite." Scorse con gli occhi anche le righe seguenti, ma preferì ometterle.

La replica di Esme fu di prendersi il viso tra le mani, soffocandoci un gemito, mentre Ezra chiudeva il libro e lo lasciava cadere sulla pila di fianco a sé. "Con questo possiamo concludere la ricerca. Abbiamo una risposta." 

"Dio" biascicò Esme, rimanendo confinato nella sicurezza dei propri palmi. "Non potevamo fermarci ad avere una madre vampiro? Ora ci tocca anche una madre Cavaliere Senza Testa? Uuh" con l'ultimo verso sembrò dovesse avere un conato di vomito, però per fortuna non successe. "Ma non è che siamo così anche noi? Insomma, Andrea ci ha messo al mondo." 

Ezra riaprì stancamente il libro mentre si stropicciava un occhio senza togliersi gli occhiali. Anche con questi sbilenchi, diede un'altra letta al seguito del paragrafo che aveva solo scorso. "No, qui dice che non è qualcosa di trasmissibile. Non ci tedierai con la tua presenza anche da morto fratellino, tranquillo" concluse sarcastico, buttandosi contro lo schienale della poltrona e piegando il collo all'indietro. "Io invece voglio morire, ora, di sonno."

"Come fai a pensare di dormire!?" 

"La mamma ha ancora la testa attaccata al collo e finora è sopravvissuta a tutto. Adesso sappiamo il perché. Non penso che proprio ora la gente di Tara inizierà a sospettare che sia un Cavaliere Senza Testa." 

Gli occhi di Esme sembravano dover schizzare fuori dalle sue orbite. 

"Non siamo gli unici ad averla vista quasi morire e tornare senza un graffio! Non pensi che qualcuno si farà delle domande!?" 

"Certo. Ma da qui a capire quale delle mille mila creature del mondo sia, troppo avranno da cercare. Siamo a Tara. Anche un sasso può rivelarsi avere i denti. Non penso che da domani qualcuno tenterà di tagliarle la testa, anche perché uno, Andrea non si farà ammazzare tanto facilmente, due, Eva ora non le toglierà gli occhi di dosso e presumo anche papà, e tre, chi ci prova non farebbe una bella fine. In generale, non penso che qualcuno voglia un Cavaliere della Morte a spasso. E poi noi abbiamo avuto un indizio." 

"Già, da un altro Cavaliere della Morte. Che fortuna! Bella gente che frequenti." 

"Disse quello che si fa scopare da un Lupo Mannaro, un Kitsune e un Tritone."

"Nessuno di loro ha mai tentato di uccidermi!" rincarò Esme, tirandosi indietro i capelli che avevano visto tempi migliori e ora erano tutti scompigliati e quasi del loro riccio naturale. "Qui invece la nostra madre biologica potrebbe farlo solo chiamandoci per nome!" 

"Smettila con questa paranoia, nessuno ammazzerà nessuno. Men che meno te. Chi ci ricaverebbe qualcosa dalla tua morte? A parte il silenzio. Il che-" 

"Dici così perché otto anni fa non ci sei finito tu quasi strangolato dalla tua stessa madre!" rincarò Esme, portandosi di riflesso una mano al collo, dove una sottile cicatrice ancora testimoniava quella violenza. 

Ezra fu a un passo dal bestemmiare e mandare al diavolo il suo gemello. Non poteva dargli torto, ma non intendeva neanche dargli ragione. Avevano problemi ben più grandi di cui preoccuparsi e la vera natura della loro madre biologica, per quanto fosse uno shock, non era ancora una questione per cui allarmarsi. Anzi, probabilmente non la sarebbe mai stata finché qualcuno non ne fosse venuto a conoscenza. 

Questo perché Ezra aveva omesso un piccolo particolare dalla lettura di poco prima e dubitava che Esme sarebbe andato di propria sponte a leggersela, per il momento. Tuttavia, quelle parole continuarono a rimbomargli in testa in tono infausto. 

Chiunque riesca a sottrarre la testa al Dullahan ne diventa immune e, al tempo stesso, ne rivendica l’asservimento. In questo caso il Dullahan, finché non riavrà il proprio scalpo, eseguirà ogni ordine impartitogli e ucciderà qualsiasi persona aggradi il proprio padrone.

Era un’eventualità remota, continuò a ripetersi Ezra, mentre le chiacchiere del fratello si facevano più ovattate e chiudeva gli occhi. Andrea non sarebbe diventata un Dullahan, non così facilmente. 

Allora perché Ezra aveva una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco che lo metteva in guardia?  


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Cow-t, terza settimana, M2

Prompt: Mitologia Cristiana

Numero Parole: 553

Rating: SAFE



Aziraphale occhieggiò al bicchiere di Crowley che veniva riempito per l'ennesima volta, ma finse indifferenza mentre addentava la quarta fetta di torta. 

Era il tardo pomeriggio di un sabato qualsiasi post Apocalisse. Nulla di nuovo, nulla di vecchio all'orizzonte. La tranquillità era qualcosa che suonava sospetta, ma era facile distrarsi dal pensare a qualcos'altro - ma cosa peggio dell'apocalisse? - che potesse distruggere il creato. Ed era diverso tempo che Aziraphale e Crowley avevano iniziato a distrarsi insieme. Come quel pomeriggio. Una specie di routine loro che aveva come base il vedersi, e il frequentarsi, di più. In fondo, avevano salvaguardato la vita del mondo, letteralmente. Concedersi del tempo per loro, da buoni amici, da... qualcosa in più, era un vezzo che potevano permettersi. Che, secondo Crowley, dovevano permettersi. 

Quindi eccoli lì, in un pub che avevano scoperto da poco ma che sembrava fatto apposta per loro: tutto il caffè e i liquori che Crowley potesse desiderare (e, se non c'erano, bastava uno schiocco di dita per farli apparire, con sorpresa annessa del proprietario) e un assortimento di dolci che teneva Aziraphale seduto lì anche quattro ore per rendere onore alla cucina del compagno del proprietario, un ragazzo dalle guance tonde che diventava tutto rosso ai complimenti dell'angelo e prendeva note scrupolose su cosa cambiare o aggiungere nei dessert che preparava. 

Ma quel pomeriggio il discorso era tutt'altro e Aziraphale si chiese se non fosse colpa di tutti quei bicchieri che Crowley stava buttando giù come acqua liscia. 

"... qualcuno dice che sia successo dopo la congiura a Cesare, mah, io credo prima. C'era sempre un sacco di casino all'epoca, C'è sempre un sacco di casino. Sempre. Però un giorno è arrivato questo dispaccio che diceva "Da oggi si parla Latino". Ed è stata la svolta. Perché? Non lo so. Ma io ero già avanti, quindi ehi, finalmente! Basta parlare a sputi e suoni gutturali stupidi! Poi vuoi mettere col latino? È stato un gran macello all'inizio con le declinazioni, ma poi è andata meglio. Ma anche peggio, perché era più facile creare formule per esorcizzarci. Ma non erano problemi miei." 

Aziraphale masticò di gusto il pezzo di Sacher con la torta di arance amara al punto giusto. Ricordava a malapena di aver chiesto il perché del Latino - gli era appunto capitato un libro di esorcismi tra le mani quella mattina - ma era un pourparler per ammazzare l'attesa di ricevere il dolce. Crowley invece, colpa anche l'essere brillo, aveva preso la palla al balzo. 

"... ma l'ignoranza è rimasta per parecchio tempo. Vedevi queste mezze calzette di demoni ripiombare all'inferno col culo per terra al primo Vivamus mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum, omnes unius aestimemus assis! credendo di venir esorcizzati, invece qualcuno stava solo decantando un verso poetico. Insomma, non è stato un gran periodo per il lavoro. Ma ehi, ne abbiamo fatti di passi in avanti? O forse no. No, non con tutte quelle serie tv dove con due parole di latino risolvono la situazione... anche l'esorcismo è una pratica complicata che richiede il suo tempo." 

Aziraphale pensò onestamente di meritarsi un'altra fetta di torta se Crowley aveva intenzione di andare avanti con quel discorso. O forse doveva aspettarsi davvero che qualcosa di peggio dell'apocalisse potesse piombare su di loro? Tipo... la noia?

Nel dubbio, chiese una crêpe.


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Cow-t, terza settimana, M3

Prompt: Teatro + Citazione di De Gregorio + Ossessione 

Numero Parole: 713

Rating: SAFE



C’erano volte in cui la memoria tradiva Fukuzawa e ripescava ricordi che l’uomo credeva di aver archiviato, chiuso in un cassetto perché la vita tendeva a prendere svolte ripide e voltarti le spalle troppo spesso per tenere registro di tutto. Anche di quei frammenti di memoria che un tempo avevano costituito la base di un’amicizia che nel tempo aveva assunto forme spigolose o in parte si era dissolta.  

Erano passati dodici anni da quando Fukuzawa Yukichi si era fatto un'idea di chi fosse Mori "Rintarou" Ougai. All’epoca appariva come un medicastro dei bassifondi, l'uomo che curava chiunque senza fare distinzioni tra fazioni, sesso, colore della pelle, lingua parlata. Aveva sentito qualcuno chiamarlo "samaritano", qualcun altro lo apostrofava come pusillanime, data la sua scelta di non schierarsi. C'era chi aveva tentato di irrompere nella sua clinica e ucciderlo, ma era gente che entrava dalla porta principale e, dopo aver passato un paio di giorni in una delle celle dell'obitorio sotto la clinica a farsi dissezionare, usciva da quella sul retro in un sacco nero che un becchino ben pagato portava via. 

Fukuzawa aveva avuto e aveva tutt'ora diversi interrogativi su Mori-sensei, oltre a diverse cose che di lui proprio non digeriva. Tuttavia, sempre a quei tempi, ricordava come Natsume-sensei fosse stato chiaro nel chiedergli (quasi più ordinargli) di proteggerlo, di essere la sua guardia del corpo. 

Per questo Fukuzawa, volente o nolente, era entrato a far parte del teatrino che era la vita di Mori. Tentava di rimanerne ai margini, se poteva restava dietro le quinte e agiva solo quando sul palco stava per consumarsi una tragedia. Per il resto, Fukuzawa cercava di capire quali fossero i confini della vita di quell'uomo che ostentava un'anima nera come un principe che si fa strada verso il potere disseminando la sala del trono di cadaveri. Eppure, Mori Ougai era anche lo stesso medico che si prendeva cura degli orfani di strada, che dava un pasto caldo, delle medicine e raccomandazioni al barbone di turno, che trattava con estremo riguardo e premura le prostitute che avevano bisogno di liberarsi di un incidente di percorso. 

In tutti quegli scenari, Mori Ougai era un attore formidabile. Si confessava di continuo tenendo alta la propria maschera, e le volte che se la toglieva - quelle in cui si erano ritrovati a combattere fianco a fianco - iniziava la sceneggiata. Dove il vero Mori di collocasse, Fukuzawa non era sicuro né di volerlo sapere né che fosse importante. C'era uno scopo da qualche parte, per vivere in quella maniera, con un sipario pericolante sopra la testa che minacciava di srotolarsi da un momento all’altro su quel palco che prendeva sede nella periferia emarginata di Yokohama. Tuttavia, il sentore di morte sempre presente non aveva mai fermato nessuno dei due.

"Lei ama questa città, Fukuzawa-dono?" gli aveva chiesto Mori una volta mentre erano fuori dalla clinica ad aspettare il furgone del becchino. Dentro, un padre piangeva le spoglie del proprio sfortunato figlio, vittima di un fuoco incrociato. Mori aveva ancora il camice schizzato di sangue, ma fumava una sigaretta con l'eleganza dei gentiluomini dei salotti per bene, con le due dita curate, pallide e lunghe. 

"Certo" Fukuzawa ricordava di aver dato una risposta un po' frettolosa, ma con la coda dell'occhio aveva avuto la conferma che non ci fosse bisogno di ulteriori spiegazioni. 

La verità era che c'era un'ossessione di fondo in entrambi, che nel tempo si era sedimentata e ora era alla base della nuova Port Mafia e dell’Agenzia di Detective. Ma allora, non importava quante tragedie si consumassero intorno a loro o in quanto sangue camminassero: la ruota continuava a girare ed entrambi, schiavi di quel vorticare costante, continuavano a schierarsi dalla parte della città, qualsiasi fosse l’avversario e le sue ragioni. Nessuno dei due aveva mai detto all'altro quale fosse il motivo che li spingesse a tanto. Eppure proseguivano, giorno e notte, su un cammino in cui ci sarebbe potuto essere un precipizio di lì a breve, ma che nessuno dei due considerava così importante come proteggere la loro amata città. 

Dopo dodici anni, Fukuzawa ogni tanto si ritrovava a pensare a quei ricordi mai veramente dimenticati, poiché, in fondo, Mori Ougai era forse stata la prima persona capace di tenergli testa, che si trattasse di combattimento o ideali. 


sidralake: (Default)
 

Cow-t, terza settimana, M1

Prompt: Neonato / cucciolo 

Numero Parole: 578

Rating: SAFE


Chuuya stava bestemmiando, ma non era una novità. Come non era una novità che il destinatario di quegli improperi fosse Dazai e le sue trovate del cazzo. E, di nuovo, non era una novità che si fossero cacciati in una situazione simile, con qualcuno a sparargli addosso. O che Chuuya si fosse caricato di peso Dazai e stesse correndo riuscendo il cielo solo sapeva come a evitare che i proiettili li raggiungessero senza neanche l’uso della sua abilità. 

"Chuuya vai a destra!" 

"STAI ZITTO!" urlò il rosso, ma scartò di lato come richiesto, tenendosi il cappello. "Non puoi fare qualcosa per il tuo cazzo di potere!? Sarebbe molto utile se non ci stesse tra i piedi!" 

"E tu riusciresti a dire al tuo cuore di smettere di battere?" ribatté Dazai con nonchalance, come se non fossero in una più che potenziale situazione di morte. Sembrava una gita come un'altra per lui. 

"Dazai di merda" brontolò Chuuya, abbattendo una porta con un calcio. Si fermò un attimo trovandosi in una stanza senza altre uscite. "Cazzo! Cazzo! Cazzo! Dove si hai portato!? Vuoi che ci ammazzino!?" 

"La finestra" cinguettò Dazai battendogli sulla spalla. 

Il rosso si voltò e individuò uno di quei tubi che i muratori usavano per smaltire gli scarti edili. Ci si avvicinò di scattò. "Vedi di averne cura!" e nel dirlo mise in mano a Dazai il proprio cappello con dentro la 'cosetta' per cui avevano ingaggiato quella fuga rocambolesca. "Ci vediamo di sotto."

"Cos- Chuuuuuyaaa!" 

Ma il rosso aveva già spinto Dazai nel tubo. 

Il resto fu la quasi demolizione del quarto piano del palazzo in cui erano fuggiti fino a quel momento. Chuuya non si risparmiò nel farla pagare ai loro inseguitori, insegnandogli a cosa si andava incontro sfidando la Port Mafia. 




Mezz'ora più tardi Chuuya atterrò morbidamente nel vicolo dove terminava il tubo edilizio in cui aveva gettato il proprio partner. Intorno a loro si iniziavano a sentire le sirene della polizia per il trambusto che avevano combinato. In fondo era solo tardo pomeriggio, un po' presto per le solite attività della mafia. 

"Ohi Dazai, dove ti sei cacciato?" vociò Chuuya, guardandosi intorno. 

"Sono qui."

La risposta venne da dietro alcune casse abbandonate e sacchi di scarti di muratura. Dazai era appoggiato di schiena al muro, la gamba a cui aveva preso la storta distesa, mentre l'altra era ripiegata e circondava il cappello di Chuuya. Da questo si levava un flebile, ma acuto e insistente miagolio.

"Ma avevi notato che è piccolo quanto la mia mano?" ridacchiò Dazai che col dito stava facendo le coccole alla testolina nera del micetto che avevano salvato. "Credo abbia davvero pochissimi giorni e stia morendo di fame. Non trovi che sia adorabile?" 

Chuuya non rispose subito. Si accovacciò davanti al partner e osservò quella creaturina che continuava a dare fiato a dei pomoni forse grandi quanto una falange del suo mignolo. 

"Che dovremmo farci?" chiese e sembrò più una domanda che aveva appena preso corpo senza che se ne rendesse conto, per questo aggiunse. "Ma a te i gatti piacciono?" 

"Non mi piacciono i cani. Soprattutto quelli piccoli, rossi e irascibili" rispose Dazai ma era troppo allegro per prendere sul serio la sua offesa. "I gatti sono un'altra storia. Potremmo addottarlo, che ne pensi?" 

Chuuya gli lanciò un'occhiata e poi tornò a guardare il gattino minuscolo. "Abbiamo fatto abbastanza casino per oggi. Intanto vediamo di tornarcene a casa."

"Oh, sembri proprio un padre di famiglia!" 

"Ma stai zitto."



April 2025

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